30/08/09

"O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca !"


Credo che una delle grandi prerogative della preghiera è quella di - potenzialmente - essere accessibile anche da parte di chi 'non crede'. O anzi, sarebbe meglio dire, parafrasando Gianni Vattimo, di chi "crede di non credere".

Credere o non credere sono infatti stati di coscienza 'cristallizzati' per così dire, sulla base di un convincimento personale, basato sull'esperienza (volatile) della nostra vita, sui ricordi (volatili) della nostra vita, sulle idee (volatili) della nostra vita.

Ed è per questo che è profondamente vero che - come insegna l'esperienza - dentro un qualsiasi credente esiste un 'non credente' (potenziale o parziale o reale), e dentro ogni 'credente' esiste un 'non credente (potenziale o parziale o reale).

"Credente" e "non credente" sono niente più che formule che ci diamo - anche quando ci ritroviamo sinceramente e profondamente in esse - che ci aiutano ad avere una riconoscibilità esterna ed una riconoscibilità interiore.

Ma proprio perchè nella natura umana non sembrano esistere nè certezze, nè verità assolute, si possono concepire - e possono esistere - 'scenari di confine' molto delicati, nei quali il 'credente' lascia aperta e coltiva gli spazi del dubbio, e non finisce mai di interrogarsi sul senso e sulla verità della sua fede; e nei quali il "non credente" può interrogarsi, e anche 'chiedere' la voce e la risposta di un Dio al quale non crede (o non crede fino in fondo).

Viviamo un tempo estremamente propizio per questo. Le ultime scoperte dell'astrofisica ci indicano che la nostra conoscenza del tutto - microcosmo/uomo/macrocosmo - è estremamente labile, e che gli scenari (da dove veniamo ? esistono altri, infiniti universi oltre il nostro ? Cosa esisteva prima del Big Bang ? Esistono una decina di dimensioni almeno oltre alle nostre umane, come afferma la 'teoria delle stringhe' ? Ecc...) possibili sono molto estesi, ed è molto difficile escludere anche razionalmente una eventualità, piuttosto che un altra.

In questa larghezza di vedute, che toglie il fiato, si può - lo possono anche coloro che si sentono 'non credenti' - dire: " O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca. "

Non è una bestemmia. E' forse, anzi, la più umana delle preghiere.

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25/08/09

La Morte viene sempre prima della Resurrezione.



Mi è capitato, proprio ieri, di partecipare ad una funzione funebre, per una persona amica, che ci aveva lasciato pochi giorni prima. E, come mi capita spesso, ho assistito - come gli altri convenuti - ad una omelia, da parte dell'officiante, un anziano sacerdote, che mi ha messo a disagio.

Mi capita abbastanza spesso, infatti, da praticante cristiano, di assistere a cerimonie funebri, durante le quali il sacerdote, preoccupato evidentemente dall'urgenza di dover consolare i parenti più stretti, gli amici, i conoscenti, ecc.. sfodera una omelia "tutta in positivo", puntando esclusivamente sul mondo dorato - il paradiso - che attende il defunto, le braccia del Signore che lo accoglieranno, la beatitudine che finalmente troverà dopo tante angosce terrene; e, quel che è più fastidioso - almeno per la mia sensibilità - accompagnando questo racconto, tutto volto al futuro della resurrezione, con sorrisetti compiaciuti.

Credo che - scontate le buone intenzioni che muovono di volta in volta questi sacerdoti - vi sia però, di fondo, una mancanza di sensibilità, e anche di opportunità.

Chi celebra dovrebbe ricordarsi sempre, soprattutto in momenti come questi, che il Cristianesimo è proprio quella religione che - molto e più delle altre - racconta, ben prima della gloria della Resurrezione, la Morte. E non la morte qualsiasi, ma una morte orribile, una delle più orribili e infamanti, quella per mezzo di Croce, destinata a Colui che si è proclamato Figlio di Dio.

Il Cristianesimo, fra l'altro, racconta questa Morte, nei Vangeli, senza risparmiare nulla del dolore, dello strazio, della disperazione di coloro che sono intorno a questa Morte, e che questa Morte vivono - prima di sapere qualcosa su quel che verrà dopo - come una perdita definitiva e terribile. Il pianto di Maria ai piedi della Croce (ricordate la scena del Gesù di Zeffirelli ?) è un urlo contro l'ingiustizia terrena, l'ingiustizia del mondo, un urlo che esprime il dolore dell'intero universo.

Quando si celebra la funzione funebre, dunque, si dovrebbe secondo me ricordare sempre, anche e soprattutto in ottica cristiana, che prima viene sempre il dolore.

Chi ha appena perduto una madre, o un padre, o un figlio, seppure armato di una fede ferrea nella resurrezione, non sa che farsene in quel momento dei sorrisetti compiaciuti, e dei voli pindarici per descrivere le meraviglie della vita ultraterrena: in quel momento, l'unica urgenza è quel vuoto che resta. Quell'affetto che non c'è più, quello strappo che brucia, quel dolore che niente e nessuno può lenire.

Ci vorrà il tempo, ci vorranno le preghiere silenziose, ci vorranno le notti insonni, ci vorrà la vicinanza di chi saprà esserci veramente. Di chi aiuterà a portare il dolore. Ci vorrà la fede, che lentamente verrà a rischiarare il fondo del tunnel.

Ma, di fronte alla lacerazione della Morte non servono sorrisetti, servirebbe soprattutto il silenzio, il rispetto, l'esempio di quelle poche e forti parole, che risuonano, dalle notte dei tempi, per darci una ultima e buona speranza.


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21/08/09

Il tempo della Vacanza.


L'etimologia della parola 'vacanza' ci riporta al latino vacans, participio passato di vacare, cioè esser sgombro, vacuo, libero, senza occupazioni.

Siccome la vita umana è colma, solitamente, di occupazioni (che noi stesso, spesso, sempre più spesso accumuliamo in una specie di foga forsennata), la vacanza è un tempo quindi eccezionale, di sospensione. Una specie di vuoto.

Ma 'vacanza' e 'vacare' ha la stessa radice etimologica, molto prossima di 'vagare', che deriva a sua volta dal latino vagus, che vuol dire errante, ramingo.

E in vacanza, spesso si fa questo: errare, andare ramenghi.

Che cosa ci dice, in questo nostro tempo, questo 'vagare', questo 'vacare' ??

Questa vacanza, è oggi intesa soprattutto come svago e come di-vertimento. O come rilassamento, riposo. Ma la vacanza, la nostra vacanza, ha, avrebbe anche un senso molto più profondo. Che io mi auguro sia sfruttato da molti in questi giorni ancora torridi di agosto.

La città è svuotata, i rumori sono spariti quasi del tutto, i ritmi sono lenti, rilassati. C'è spazio, oltre che per il riposo e il divertimento, per avvicinarci, sensibilmente a quel nostro 'centro', che molto spesso dimentichiamo, nell'affannosa vita di tutti i giorni. Il centro del centro del nostro essere, che molto spesso mettiamo da parte, ignoriamo, teniamo al guinzaglio.

Ascoltiamolo.

Ascoltiamo questo centro, ascoltiamo cosa ci dice. Ripensiamo all'episodio evangelico di Marta e Maria. Ripensiamo alle parole di Gesù: Marta, Marta, tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose. Una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore e nessuno gliela porterà via.

La 'vacanza' di Maria è la vacanza operosa. E' la vacanza non solo contemplativa di chi decide di fare silenzio, di fermarsi. E di ascoltare quello che nel centro del proprio essere sta parlando. E parla ogni giorno, se soltanto siamo capaci di ascoltarlo.