31/12/10

La fine e l'inizio.




la fine e l’inizio


nel limite di oggi ti vendo
una luce di passaggio, appena
apparsa nel grigio di mille stormi
migranti di nuvole

coglila

io e te non le apparteniamo
meno di quanto le appartenga
il mondo intero
e tutti i silenzi che ci sono dentro,
rinasce e muore
ogni giorno e oggi
più di ogni altro giorno

ti vendo una luce di passaggio
te la regalo, anzi
con le mani giunte
di uno che si è perso
e si ritrova nel dubbio
del mare e della promessa
ogni giorno, e anche questo.


Fabrizio Falconi - 31 dicembre 2010.


in testa: illustrazione di Carl Gustav Jung tratta da The Red Book, Il Libro Rosso, appena pubblicato in Italia da Bollati editore.

22/12/10

Il giorno più corto.


"Una lingua nuova di solito apre la strada a un cuore nuovo. Quello che accade è che un rinnovamento di pensieri e desideri provoca un rinnovamento della lingua.

Il rinnovamento è una necessità costante, poiché questa particolare novità, che non può mancare di piacere a Dio quanto l'uomo vecchio non poteva mancare di dispiacergli, differisce da quanto è nuovo nel mondo.

Le cose terrene, vedete, per nuove che siano, invecchiano man mano che durano, mentre questo spirito nuovo si rinnova tanto più quanto più dura. L'uomo vecchio muore gradatamente in noi, dice Paolo di Tarso, e si rinnova ogni giorno, e sarà perfettamente nuovo solo nell'eternità, in cui canteremo incessantemente il canto nuovo di cui Davide parla nei salmi: il canto, cioè, che scaturisce dal nuovo spirito."

Così scriveva Blaise Pascal in una lettera indirizzata a Mademoiselle de Roannez il 5 novembre 1656.

Mi sembrano parole estremamente evocative, nel giorno dell'anno che segna la nostra rinascita astronomica, cioè solare. Il buio è alle spalle. Il giorno più corto dell'anno lascia il posto ad un nuovo inizio. La luce ritorna. Il sole non è sconfitto, è anzi, come dicevano i nostri padri, in-victus. Cioè, non-vinto.

In questo re-inizio, ogni inizio è possibile. E' un invito a noi, che viviamo così frettolosamente e così sbadatamente, con così poca attenzione. Pensiamo e coltiviamo quello spirito dell'inizio, sempre. Esso, potrà generare in noi frutti insospettabili.


20/12/10

La poesia della Domenica - "Come onde davanti alla tempesta" di Paul Klee


I.
Come onde davanti alla tempesta
fuggono gli uomini. Cosa
li incalza, quale vento. Il vento
dei loro desideri. I vani
desideri del vento.

Io sono il timoniere e la mia nave
forte mi porta alla meta.
Rema la luminosa speranza
verso bellissime isole.

Con violenza si infrangono
marosi, quasi
crolla il coraggio. Se
qui naufragasse il meglio,
oh luminosa speranza ?

No, io sono giovane e il mio braccio
è forte. Io devo
raggiungere l'isola, ci fossero
grandissime montagne
e alta fosse la loro solitudine.

Libero vento di lassù.
Schiuma dei marosi.

II.
So guardare più lontano.
Io ho raggiunto l'isola.
Io ho vinto la risacca
senza spegnerla.
Vive e divora.

Il mio monte più alto tremerà.

Il canto di guerra delle onde
è ammutolito. Il mondo
è una fossa fradicia,
un grande deserto.

La luce si spegne, il mondo
deve essere buio. Il giorno
rinnova la vita.

Avremo la notte !
Lottare da uomini
prima che scenda la notte.
Prima la vita !


(1901)

Paul Klee - da 'Poesie' - ediz. Guanda - poeti della fenice, a cura di Giorgio Manacorda, 1978

13/12/10

Leonessa, 7 aprile 1944






Leonessa, 7 aprile 1944

Lo scuro tempo del presagio giunse,
senza rinvio e senza scelta
si fermò un istante la fila dei coscritti
la morte li attendeva
nel trascolore delle camice brune
come i fianchi dei monti amati
ancora occupati dall’inverno.
Piansero i derelitti,
pianse mio padre
per i suoi spersi diciannove anni
pianse un passaggio di nuvole
scure oltre il crinale del lungo valle
piansero le madri e le sorelle,
in un soffio si dipinse
nel silenzio smorzato dell’altopiano
la bellezza crocefissa
di vite scialate.
Oggi, che queste nuvole
sembrano
di carta, che ogni parola
appare suono falso
di conchiglia
ripenso e credo
allo sguardo intransigente
di chi è morto. Nel temporale
ascolto la voce
dei trapassati:
è forte e non si schioda
dal punto che è questo
e sempre rimane
come un sasso nel lago
per noi mortali
che non sappiamo
fare i conti con gli sbagli
di una tradita umanità.

Fabrizio Falconi

Poeti contro l'Oblio.


Vi riporto qui di seguito il comunicato della nuova edizione di Poeti contro l'oblio.

Poeti, scrittori, editori, lettori, attivisti, giornalisti e cittadini sono invitati alla seconda grande assemblea pubblica dei "Poeti contro l'oblio" che si terrà, proprio come l'anno scorso, sabato 8 Gennaio 2011, a Roma, presso l'Ass.Cult. Beba do Samba (via dè messapi, 8 - San Lorenzo).

Nonostante Adriano Sofri (e l'articolo apparso su Repubblica il 27 Novembre scorso, nel quale si "racconta" come la risposta culturale e linguistica al potere attuale in Italia sia delegata a dei ragazzi sui tetti e che da molto, troppo tempo, non coinvolga più nessun poeta, ma soprattutto la risposta di Luigi Alberto Sanchi apparsa su La Gru, in attesa della nostra risposta collettiva CLO da inviare a Repubblica) crediamo, seguendo anche l'intuizione di Franco Buffoni, di aver contribuito, insieme con tutta la società civile più critica e attenta e alla cittadinanza attiva, all'odierna, seppur difficile e controversa, situazione politica e sociale, certamente diversa da quella di totale afasia e asservimento del 2009, quando la nostra agitazione culturale ha avuto inizio.

Proprio alla luce del nuovo scenario politico, civile e culturale, ci sembra necessario tornare ad incontrarci per riflettere, fare il punto della situazione, scambiare pareri, idee, progetti, cercare di comprendere insieme il cambiamento in atto, al fine di elaborare un documento collettivo, da far circolare in rete e presso tutti i media, contenente le nostre istanze e le nostre richieste da presentare al "futuro governo".

Vi chiediamo pertanto di segnalarci tutti gli esempi di "moderna resistenza organizzata", di "democrazia partecipata", di "controcultura" e giornalismo critico e militante, da coinvolgere durante l'incontro come testimoni diretti della possibilità di un necessario e definitivo cambiamento del nostro vivere insieme.

Inoltre, dopo un grande lavoro editoriale, come già saprete, abbiamo finalmente pubblicato la versione integrale dell'antologia per i tipi di Cattedrale, nella collana Argo diretta da Valerio Cuccaroni, completa delle opere grafiche degli artisti Valeria Colonnella e Nicola Alessandrini, presentata in anteprima alla Casa delle Culture di Ancona il 14 Novembre scorso con un grande successo di pubblico e partecipazione; sarà questa dell'8 Gennaio, quindi, l'occasione per presentarla ufficialmente a Roma.


08/12/10

John Lennon - gli eroi idealisti non muoiono mai.


Sono molto colpito oggi - trentesimo anniversario della morte, avvenuta violentemente a NewYork l'8 dicembre 1980, poco dopo aver compiuto il 50mo anno di età - dal proliferare di ricordi, ovunque, dedicati a John Lennon. Una vera invocazione collettiva per una mancanza.

Sono colpito perché è la dimostrazione eclatante di quanto nel mondo si senta la mancanza di idealismo. Lennon lo era per eccellenza, al punto che certe sue battaglie oggi fanno perfino sorridere. E degli idealisti è sempre facile ridere, sorridere, burlarsi. E' lo sport più facile del mondo: il cinismo vince sempre contro l'idealismo. Sembra una partita senza speranza: il cinismo può distruggere ogni idealismo - specie il più innocente - con una alzata di spalle, con un ringhio da iena, con una battuta fulminante. Sei un idealista? Peggio per te... Svegliati, il mondo è questo. Non sei un bambino, cos'è: fai ancora la pipì al letto ?

E però...

Però alla fine, la vicenda Lennon lo conferma: quanto abbiamo bisogno di questi idealisti, di questi stupidi, quanto ci mancano, quanto ne sentiamo la rumorosa assenza, quanto tristi sono le nostre vite senza lo straccio di un pensiero, di una speranza. Quanto buio e angoscioso è questo vuoto, senza nessun canto che lo abiti.


La lezione di civiltà di Brembate - Claudio Magris.




Sembra incredibile, ma ogni tanto gli uomini, le istituzioni e l'opinione pubblica mostrano anche segni di umana civiltà. Un muratore marocchino che lavora a Brembate di Sopra, presso Bergamo, è stato sospettato di aver assassinato Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa da alcuni giorni; sospettato ingiustamente e poi rilasciato in base alla traduzione sbagliata di una sua frase in arabo detta al telefono.

Non si è scatenata, come purtroppo è avvenuto in altri casi (lo stupro commesso da un romeno che ha creato una feroce psicosi verso i romeni accusati quasi in blocco d'essere stupratori, l'indiscriminata violenza verso gli zingari), alcuna bestiale caccia al marocchino, non si sono sentiti idioti insulti razzisti rivolti globalmente agli arabi.

La comunità di Brembate di Sopra ha dato in generale un esempio civile oggi più che mai prezioso nel clima teso ed eccitato - anche comprensibilmente, per le difficoltà dei problemi legati all'immigrazione e al contatto fra culture diverse - che stiamo vivendo, in cui spesso si sentono risuonare selvagge parole di odio generico e si assiste a violenze gratuite. Non sarebbe male se tutta l'Italia, sotto tale profilo, assomigliasse a questa Brembate.

C'è sempre, e sempre più drammatica, l'angoscia per la sorte di Yara, la speranza o meglio la necessità di trovarla; e - nella tragica eventualità di una sua morte per mano di un assassino - la necessità di individuare quest'ultimo e punirlo con tutti i rigori della legge. Troppo spesso si dimentica che Dio è anche collera.

Mohamed Fikri, il manovale accusato ingiustamente, ha rischiato una sorte terribile per una traduzione sbagliata. La lingua regge il mondo, nel suo potere di comunicare, informare, plasmare e talora plagiare gli animi. Determina la giustizia o l'ingiustizia, può far trionfare la verità o la menzogna, chiarire o avvelenare la vita. Se non si mette correttamente il soggetto al nominativo e il complemento oggetto all'accusativo ma si inverte la sintassi, non si capisce più chi ruba e chi è derubato, si mette in galera la vittima e si manda libero il colpevole. Una punteggiatura sbagliata o alterata può falsare e sconvolgere l'ordine delle cose.

Oggi è sempre più necessaria, nello scambio e nel contatto sempre più a gomito di genti e culture diverse, la conoscenza delle lingue ovvero la possibilità di comunicare, capire, incontrarsi, difendersi, aiutare. L'insegnamento reale delle lingue, così carente in Italia, dovrebbe essere una pietra angolare dell'istruzione, a tutti i livelli. Se il ministro dell'Istruzione - colpito da questo episodio che mostra come la conoscenza linguistica possa dannare o salvare una vita - recedesse dall'assurdo provvedimento che ha abolito i lettori di madre lingua straniera all'università, la vicenda di Mohamed Fikri sarebbe stata, tra le tante altre cose, pure utile al nostro Paese.

05/12/10

Invocazione per voce sola.



Nel vento di Novembre se ne sono andate anche le speranze.
Viaggiano come voci sperse che il vento sospinge malinconiche, e un nuovo orizzonte non appare. Si disinteressa il caso al ricordo e alla dimenticanza. Tutto è come sempre avvolto da un misterioso sospiro, quando i capelli sparsi sul cuscino si perdono in tutto quel bianco e la luce li sfiora appena perché il giorno non può ancora nascere. Viene di notte il tuo battito appena percepito, lo sento dentro, nessuno può più svegliarci, nemmeno il rumore della pioggia o il silenzio intero di una assenza, divenuta insopportabile.
Ritorna, rinnova, dài un senso.
Riprendi il gesto, muovi l'ombra nel gelo dei tuoi occhi, torna a svernare al tepore brumoso dei tropici, resta sospesa tra me e te, descrivi questo niente che è un momento e rendilo eterno, come deve essere e come è sempre stato.


30/11/10

La morte di un grande Maestro: Mario Monicelli.



'Beat' a iss..' : è la magnifica 'chiosa' del povero ignorante alla morte di 'Abacucco', uno degli straordinari personaggi inventati da Mario Monicelli in quel capolavoro assoluto che è 'L'armata Brancaleone,' del 1966, scritto insieme ad Age e Scarpelli (che vale da solo più di un centinaio di pesantissimi saggi di politica culturale, per comprendere l'antropologia storica dell'homo italicus) uno dei moltissimi film che il grande maestro viareggino ha lasciato in eredità al cinema e alla cultura italiana.

In questa scena c'è tutta la filosofia di vita del 'pessimista' Monicelli (la vita come una condanna, una croce da portare): sembrava anzi, nel suo consolidato scetticismo toscano, che nessun altro approccio che il pessimismo fosse consentito di fronte alla vita.

Eppure, tutto il suo cinema è uno straordinario inno alla vita. La vita in tutti i suoi aspetti più folgoranti e grotteschi, in tutte le sue misere e grandi esaltazioni e in tutte le sue rovinose cadute.

Se c'è stato un innamorato della vita, questi era Monicelli. Che nel suo cinema non si è limitato a descrivere - forse come meglio non si poteva - l'italia e gli italiani (ai quali era legato da un sentimento di amore/odio che 'Brancaleone' massimamente esprime), ma ha fornito una visione autentica dei fatti della vita, dei contenuti della vita per quello che è. Non a caso i suoi film, privilegio della vera arte, si sono rivolti e sono stati compresi da ogni tipo di pubblico, di ogni età, di ogni censo, di ogni nazionalità.

Il suicidio del novantacinquenne Monicelli è l'ultimo disperato atto di appropriazione del proprio destino: la vita, anche nel distacco finale, ha voluto come sempre dirigerla lui, fino all'ultimo.

29/11/10

La poesia della Domenica - 'Solo te' di Else Lasker-Schüler


Solo te

Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.

Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.

Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.

Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.

Stregato
Giace sul mio fondo.

Forse il mio cuore è il mondo,
Batte –

E cerca ancora te –
Come ti devo invocare?



Else Lasker-Schüler (Elberfeld, 11 febbraio 1869 – Gerusalemme, 22 gennaio 1945)

26/11/10

Maupassant - La passività, la mancanza di coraggio: un tema moderno.



Ho finito da poco di rileggere 'Una vita', di Guy de Maupassant. E, ancora una volta, ho avuto conferma che da un romanzo classico si possono trarre utili insegnamenti per la nostra vita, la vita di oggi.

Una vita scuote nel profondo, perché mette a confronto i disastri che sorgono tra una vita immaginata e idealizzata (quella di Giovanna, la protagonista, 'prima' di entrare nella vita, e cioè quando è chiusa in convento, dove i genitori l'hanno chiusa per preservarla e prepararla al futuro) e la vita reale. L'isolamento di Giovanna, la sua 'preparazione' nel convento, ne ha fatto una impreparata alla vita. Ella è convinta che un destino solare l'attenda: non può essere altrimenti. E il viaggio verso 'il Castello' - la casa avita - in quella terribile giornata di pioggia (che pure sembra un presagio) è per lei tutto un incantamento.

Da qui, nasce il suo lungo calvario di disillusioni, una più amara dell'altra.

Ma Giovanna, non è per me innocente. Per tutto il romanzo si aspetta la 'reazione' di Giovanna (è esattamente lo stato d'animo in cui Maupassant mette il lettore), ma la reazione di Giovanna, per l'appunto, NON ARRIVA MAI.

Giovanna è una passiva. Il suo atteggiamento ai limiti dell'ignavia, genera e amplifica tutte le disgrazie che le arrivano: accetta Giuliano senza nemmeno conoscerlo, passivamente. Passivamente si fa trasportare da una idea di amore coniugale (che del resto subito si dimostra falsissima). Passivamente accetta il tradimento con la serva (con tanto di figlio illegittimo) subito convinta dal pistolotto del curato (quello 'buono' è quasi più insopportabile e odioso dell'esaltato Tobiac). Passivamente accetta il nuovo tradimento con la contessa che avviene sotto i suoi occhi e che finge di non vedere, consolata dall'arrivo del figlio. Passivamente si concede perfino per un secondo figlio, nonostante la conclamazione del tradimento ! Passivamente accetta che sia l'energumeno marito della contessa a togliere di mezzo i due fedifraghi. Passivamente giunge perfino a rimpiangere il marito (un essere totalmente meschino). Passivamente riversa ogni sua frustrazione sull'unico bene rimastole del figlio, viziandolo in ogni modo.

Passivamente accetta che anche il figlio si dimentichi di lei (aspetta un tempo immemorabile prima di metterlo di fronte a quello che ha combinato). E passivamente accetta il risarcimento tardivo della sorte, con quel fagotto che le piove dal cielo.

Giovanna non può lamentarsi: ha avuto dalla vita quel che ha dato, cioè NULLA.
Rosalia, la serva, è l'esempio, opposto, di chi, pur segnato dalla vita, la prende per mano, la affronta: non si bea delle avversità, non si piange addosso, non si sente vittima perché ha troppo idealizzato la vita. Come enuncia alla fine, la vita per lei "non è nè bella, nè brutta". E' la vita, appunto. E va vissuta.

Non c'è niente di peggio, che prendere la propria vita e chiuderla in un cassetto. E' forse il peccato più grande che possiamo fare, di fronte alla vita che abbiamo ricevuto.

Il difetto più grande di Giovanna è dunque proprio quello che appare, anche nella nostra contemporaneità, un limite im-perdonabile: la mancanza di CORAGGIO.

22/11/10

La poesia della Domenica - "Sonetto" di Giovanni Raboni





Invecchiando un corpo vorrebbe un'anima
diversa, ma come si fa? Non serve
prendere calmanti, stordire i nervi
e la mente, il problema è proprio l'anima,

l'anima che non vuole pace, l'anima
insaziabile, ostinata che ferve
per sempre più comicamente impervi
labirinti o abissi e si sa che l'anima

non solo è immortale, ma immortalmente
immatura. Così, temo, non resta
che rassegnarsi, finchè non s'arresta

la fontanella del respiro niente
può cambiare, non è di questo fuoco
spegnersi come gli altri a poco a poco.

Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Parma, 16 settembre 2004) - da 'Ogni Terzo pensiero' - Mondadori 1993.

17/11/10

Corpo Morto





Corpo morto

è avvelenato e celebrato morto
anche se il vento ancora non ha chiuso
la porta, riprende a parlare col fiato corto
l’anatomopatologo dice che è un delitto
e non un semplice torto,
lasciarlo lì a marcire come muffa nel parco
bisogna svellerlo e toglierlo
portarlo a posto
chiuderlo all’istante, riporlo
celebrarne le esequie
e seppellirlo,
il tuo cervello si dispone all’ascolto
ma non ancora per molto
germoglia del pensiero
il fiore non ancora colto,
e subito svanisce insieme al corpo caldo
bisognoso di cura e composizione
come la nave che affonda nel porto
a un passo dalla riva,
nel freddo del fiordo
compensa con calma il trapasso
finale, la presentazione
del conto,
riunisce le forze, disattiva il contatto
e cade finalmente nel pozzo,
cade e nessuno ci penserà più,
cade come una storia che cade,
come un corpo corrotto
come una cosa che si rompe
e succede, come una ferita grave
o un gioco senza scopo e senza morale,
come un semplice corpo morto, cade.


Fabrizio Falconi - 16 novembre 2010
-tutti i diritti riservati-

15/11/10

I rassegnati e i resistenti.




Come atteggiamento complessivo di fronte alla vita, gli esseri umani potrebbero essere divisi in due grandi categorie: i rassegnati e i resistenti.

I rassegnati sono quelli che hanno (o avrebbero) una decisa opinione della vita, frutto di idealizzazione e, di conseguenza, grosse aspettative. La vita, perciò, non è mai – o quasi mai – ‘all’altezza’ di queste aspettative. E di conseguenza i rassegnati vivono la loro frustrazione aspettando continue conferme al fatto che la vita ‘reale’ non può e non potrà mai essere congrua alle aspettative che si nutrono, in forma del tutto ideale.

I resistenti invece sono coloro che privilegiano la vita reale, così com’è, che idealizzano poco e che affrontano i problemi uno alla volta, senza trarre conclusioni definitive, e senza perdere definitivamente la speranza. Ma capaci anche di godere del frutto del proprio lavoro. Il loro atteggiamento è quello di considerare la vita per quel che è: come fa un contadino quando la mattina esce di casa. Piove, bisognerà portare l’ombrello. C’è il sole, si potrà mangiare frutta all’aperto.

L’atteggiamento di fronte alla vita è importante, è anzi tutto. I rassegnati corrono il rischio di rinchiudersi nella fatalità e nel senso di impotenza, e di imbucare le loro vite nel cassetto. I resistenti rischiano ugualmente di soccombere alle avversità, ma vogliono farlo lo stesso.

La vita, però, indipendentemente dai risultati raggiunti, non è – bisognerebbe esserne coscienti – mai qualcosa di ‘separato da noi.’
Qualcosa che ‘ci’ succede.

La vita è una continua e dinamica interazione tra quello che succede e quello che noi facciamo succedere.

In questo senso ha ragione chi dice che il destino è quello che è in noi, e che noi facciamo esistere, ogni giorno, adattandoci e cambiando – con la nostra presenza di resistenti e non di spettatori – il destino pre-dato della realtà esistente. Un destino che noi – unico elemento cosciente di questa creazione e di questa realtà – possiamo e dobbiamo interpretare. Compito coraggioso, molto più alto di quello che siamo soliti immaginare.

14/11/10

La poesia della Domenica - 'Veramente io dovrò dunque morire' di Giovanna Bemporad.



Veramente io dovrò dunque morire

come un insetto effimero del maggio

e sentirò nell’aria calda e piena

gelare a poco a poco la mia guancia?

Più vera morte è separarsi in pianto

da amate compagnie, per non tornare,

e accomiatarsi a forza della celia

giovanile e del riso, mentre indora

con tenerezza il paesaggio aprile.

O per me non sarebbe male, quando

fosse il mio cuore interamente morto,

smarrirmi in questa dolce alba lunare

come s’infrange un’onda nella calma.



DaEsercizi”, Garzanti, 1980

08/11/10

Non sarà così lasciare questa vita ?



Proprio ieri riecheggiavano in me quelle parole: "Dio non è dei morti, ma dei viventi." Una delle pagine più oscure del Vangelo, tra le parole più oscure che Cristo pronuncia di fronte ai sadducèi i quali, come molti oggi, sono increduli sul contenuto stesso della resurrezione. Che significa risorgere?

Gesù non offre una risposta chiara. Sembra anzi, voler restare nell'ambiguo. Dio non è dei morti, ma dei viventi. Sembra dunque che quel qualcosa che ci attende - per chi crede - è qualcosa che non è 'dominio della morte', come scriveva Dylan Thomas.

Nell'aldilà, nell'oltremorte, non sarà la morte a dettare il suo dominio. I viventi non sono i viventi di questa terra. Sono i nuovi viventi, quelli che attraverseranno la morte, e saranno perdonati dal Padre, o accolti direttamente nel suo Regno.

L'incomprensibilità di cosa sia la resurrezione - di come essa si manifesti - è stato sempre un problema per chi crede. E ancora oggi sono pochissimi i cristiani (specie i cattolici) che credono effettivamente alla resurrezione dei corpi.

Eppure, costoro dovrebbero ricordare che dichiarano di credere proprio ad una religione che si basa, che è edificata sulla resurrezione del suo fondatore, resurrezione avvenuta e raccontata dai Vangeli, con il suo vero corpo reale, con le sembianze conosciute e addirittura con le ferite della morte ancora visibili e fresche.

Come sarà dunque risorgere ? Qualcosa di suggestivo per noi, è immaginare un seme. Un piccolo seme di sicomoro. Cosa ha a che vedere l'albero gigantesco di sicomoro con il seme da cui è generato ?? E' la stessa cosa ? Non è vero che il seme deve morire per far nascere il germoglio, che è cosa diversissima (apparentemente) dal seme ?

Oppure provare ad immaginare il confronto tra vita intrauterina e vita extrauterina. Che rapporto ha il bambino prima della nascita con quello che vivrà dopo ? Sono indubbiamente la stessa cosa, ma non sono anche due cose diversissime ? la vita intrauterina non è completamente DIVERSA ? Non è proprio un'altra dimensione ? Che ne sa il bambino nell'utero di cosa esiste dopo ?? Non è per quel bambino nell'utero, il parto una specie di MORTE a tutti gli effetti ? E la nascita al mondo una SECONDA nascita ?

Non sarà così lasciare questa vita ?


07/11/10

La poesia della Domenica - 'Francesca' di Ezra Pound.


Francesca

...Venivi innanzi uscendo dalla notte
recavi fiori in mano
ora uscirai fuori da una folla confusa,
da un tumulto di parole intorno a te.
Io che ti avevo veduta fra le cose prime
mi adirai quando sentii dire il tuo nome
in luoghi volgari.
Avrei voluto che le onde fredde sulla mia mente fluttuassero
e che il mondo inaridisse come una foglia morta,
o vuota bacca di dente di leone, e fosse spazzato via,
per poterti ritrovare,
sola.


...You came in out of the night
and there were flowers in your hands,
now you will come out of a confusion of people,
out of a turmoil of speech about you.

I who have seen you amis the primal things
was angry when they spoke your name
in ordinary places.
I would that the cool waves might flow over my mind,
and that the world should dry as a dead leaf,
or as a dandelion seed-pod and be swept away,
so that I might find you again,
alone...


Ezra Pound, nome completo Ezra Weston Loomis Pound (Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972).

04/11/10

Perché ci concentriamo con tanta intensità sui nostri problemi ?



Viviamo giorni difficili. Mi piace andare in giro ed annusare gli stati d'animo della gente, ascoltare le chiacchiere da bar. Lo spaesamento collettivo è anche sintomo di un disorientamento personale, singolo, individuale.

Il malessere che si avverte, personale, è grave e complesso. Molte persone sono oppresse da problemi concreti molto seri. Molte altre persone, sono alle prese con problemi di carattere personale-psicologico, relazionale, amoroso, e tendono ad essere totalmente assorbite da se stesse.

Scrive J. Hillman: Perché ci concentriamo con tanta intensità sui nostri problemi ? Che cosa ci attira verso di essi ? Perché ci affascinano tanto? Perché posseggono la forza magnetica dell'amore: in un certo senso ne siamo innamorati nella stessa misura in cui vorremmo liberarcene e si direbbe che essi esistano a priori, prima che inizi un rapporto, prima che inizi un'analisi.
I problemi ci tengono in vita; per questo forse non se ne vanno mai. Che cosa sarebbe la vita senza di essi ? Totalmente sedata e senza amore. Dentro ciascun problema è nascosto un amore segreto.

E' un rovesciamento sorprendente, ma suggestivo: i problemi sono come l'amore. Come l'amore, i problemi pretendono da noi una risposta, e in questo senso sono la vita.
Un problema vissuto e liberato è come un amore realizzato. Un problema non autentico e vissuto come un'abitudine è come un amore incompiuto, una passione che non consuma e non lascia traccia.

Per questo, tutti noi dovremmo lavorare, nelle nostre vite, per dare un posto ai problemi, e scegliere di dare loro un peso e un corpo, non lasciarli a galleggiare vagamente nella testa come una consolante abitudine fine a se stessa.

Scegliere significa fare, scriveva John Donne. Scegliere di dare un teatro effettivo ai problemi, ascoltare la sofferenza vera e fare a meno di quella non autentica, è già un passo avanti verso la maturità interiore: che è il fine ultimo per il quale siamo nati.


Fabrizio Falconi

in testa: fotogramma da Stromboli, Roberto Rossellini (1950) 

01/11/10

I morti non sono soltanto ossa.


Sono personalmente convinto che il luogo di sepoltura di un uomo, non sia soltanto il luogo dove riposano le sue ossa.

Non è una mia idea, ovviamente, ma una idea sulla quale è stata edificata l'intera storia della civiltà umana, come sa bene l'antropologia. Maya e Romani, ad esempio, edificavano addirittura le loro case sui luoghi di sepoltura dei cari estinti. E questo non certo come gesto simbolico, ma perché si credeva che l'anima dei defunti continuasse a vivere e fosse importante rimanervi in contatto, attraverso il corpo che quelle anime aveva ospitato.

Oggi il 'sentire comune' dominante viaggia in tutt'altra direzione: la rimozione collettiva della morte, sulla quale si basa la civiltà contemporanea, impone che anche i luoghi di sepoltura degli uomini abbiano poco significato. I cimiteri sono ormai luoghi quasi del tutto abbandonati. Vige anche il pensiero dominante che 'per ricordare o pensare ad una persona cara', non c'è bisogno di recarsi sulla sua tomba.

Io invece continuo a pensare che questi luoghi abbiano un senso e abbiano un significato. Ne abbiamo testimonianza quando visitiamo la tomba di un grande uomo, di una grande anima, come la tomba di Ezra Pound nel cimitero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, che vediamo nel video commentato da Massimo Cacciari.

Domani è il giorno dei morti. Forse hanno ancora da sussurrarci qualcosa. Se soltanto abbiamo la bontà e la pazienza di fare almeno un poco di silenzio.


31/10/10

La poesia della Domenica - Walt Whitman.


C’è questo in me – non so che cosa sia – ma so che è in
me

Contorto e sudato – il mio corpo poi diventa calmo e
fresco, ed io dormo – dormo a lungo.

Non lo conosco – non ha un nome – è una parola non
detta,non si trova in nessun dizionario, in nessun simbolo, in
nessuna espressione.

Qualcosa lo fa oscillare più che la terra dove oscillo io,
la creazione è la sua amica che mi sveglia con un
abbraccio.

Forse potrei dire anche di più. Abbozzi! Io tutelo i miei
fratelli e le mie sorelle.

Vedete, fratelli miei, sorelle mie?
Non è caos, non è morte – è forma, unione, piano, – è
vita eterna – è Felicità.

Walt Whitman da ‘Calamus’

27/10/10

La nostra cultura è inadeguata (Tarkovskij).



Sono soltanto due minuti di monologo. Ma racchiudono l'essenza del pensiero e dello spirito di quella grande anima che ha attraversato il nostro tempo, quella di Andrej Tarkovskij.

Tarkovskij ha incarnato nella sua vita - con l'esilio, la distanza, la sofferenza, la separazione dai suoi affetti, la coerenza, l'intelligenza, lo spirito - le difficoltà del vivere, in un mondo che appare sempre più lacerato dalla separazione tra ciò che conta davvero (che è dentro di noi, e che non sappiamo neppure più dire cosa sia) e tutto ciò che NON è necessario (quello che in termini spirituali si direbbe 'il peccato') e che invece sembra essere diventato il nostro unico scopo, la nostra unica finalità.

Tornare all'uomo. Era questa la più grande preoccupazione del grande maestro russo. La grande lezione che ci ha lasciato, e che dovremmo ricordare.

26/10/10

Cosa è il Dono.



Come nel finale di 'Luci della Città', il capolavoro chapliniano, a tutti noi è capitato nella vita di ricevere o di offrire un dono.

Charlot, il miserabile girovago ha regalato alla povera venditrice cieca, la vista. E in questa scena finale, ritrovandola sana, non può offrirle più nient'altro. Può soltanto ricevere da lei il fiore e la moneta che si offrono a un vagabondo.

Ma lei, che lo riconosce, sa. Sa che il dono non è mai SOLO una festa. Che il dono - ivi compresa la nostra vita, che ci è stata donata (dai nostri genitori, per chi non crede), da qualcun'Altro per chi crede) - comporta conseguenze, doveri, obblighi, responsabilità, prima fra tutte quelle di essere all'altezza del dono ricevuto.

Viviamo in un'epoca oggi, in cui tutto appare stemperato. Una persona uccide qualcuno, e neanche poche ore dopo si dichiara 'pentito'. Ma pentito di cosa ?

Il dono sappiamo dire cosa è, esattamente ? Dal dono nascono, possono nascere, cose molto diverse. Una - ed è una virtù molto umana (anche se poco praticata) - è la gratitudine.

Quella vera, che nasce dal cuore, vive di fatti e sguardi, e quasi sempre non necessita di parole.

Fabrizio Falconi

22/10/10

Dag Hammarskjold, un martire della Pace.


Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld(Jönköping, 29 luglio 1905 – Ndola, 18 settembre 1961) fu un diplomatico, economista, scrittore e pubblico funzionario svedese, presidente della Banca di Svezia e poi noto internazionalmente quale segretario generale delle Nazioni Unite per due mandati consecutivi, dal 1953 fino alla sua morte nel 1961 a causa di un incidente aereo occorsogli in Africa meridionale durante una missione di pace. Gli fu conferito postumo il premio Nobel per la pace per la sua attività umanitaria.

Ultimo di quattro figli maschi, trascorre gli anni della propria infanzia e adolescenza seguendo gli spostamenti del padre, uomo politico svedese: dapprima in Danimarca, poi a Uppsala, poi a Stoccolma - nei tre anni in cui il padre è Primo Ministro - poi ancora a Uppsala.

Compiuti gli studi universitari in economia, a Parigi, nel 1941 torna come presidente alla Banca Nazionale di Svezia, incarico che terrà fino al 1948, per entrare poi al Ministero degli Esteri.

In questa veste è vice-presidente della delegazione svedese alla VI Sessione dell'Assemblea generale dell'ONU a Parigi (1951-1952) e poi Presidente alla sessione successiva (New York 1952-1953). Il 7 aprile 1953 viene eletto all'unanimità per succedere al norvegese Trygve Lie nella carica di Segretario generale dell'ONU, carica nella quale viene riconfermato nel 1957 allo scadere del mandato.

Insignito della laurea honoris causa nelle principali università degli Stati Uniti, Canada e Inghilterra, nel dicembre 1954 succede al padre quale membro dell'Accademia Svedese. Muore nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 in un incidente aereo - le cui cause non saranno mai del tutto chiarite - a Ndola (nell'attuale Zambia) nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. L'ipotesi di un possibile attentato al suo aereo, pur non essendo dimostrabile, non è mai stata dissipata.

In quell'anno gli verrà attribuito il Premio Nobel per la Pace alla memoria, "in segno di gratitudine - come dirà la motivazione del Comitato per il Nobel - per tutto quello che ha fatto, per quello che ha ottenuto, per l'ideale per il quale ha combattuto: creare pace e magnanimità tra le nazioni e gli uomini"

Dopo la sua morte, nel suo appartamento di New York fu ritrovato un diario, contenente brevi pensieri non datati. Allegata agli scritti c'era una lettera, indirizzata a un amico, in cui spiegava come avesse iniziato ad appuntarsi certe riflessioni senza avere alcuna intenzione di pubblicarle; tuttavia, lo autorizzava a un'eventuale pubblicazione, che riteneva utile a dare un'idea della sua vera personalità. Il diario, pubblicato in Italia col titolo "Tracce di cammino", è oggi considerato uno dei testi spirituali più intensi del Novecento e fu definito dall'autore stesso "una sorta di libro bianco che narra i miei negoziati con me stesso e con Dio".

Riguardo la sua morte oggi sappiamo per certo che si tratto' di omicidio , voluto dalla compagnia franco-belga Unione Miniere.

« E ora, dopo quarantanni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l'Unione Miniere condanno' a morte (per "incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale dellOnu,colpevole di opporsi alla secessione del Katanga,preda avita dellUnione Miniere » (Luciano Canfora "Critica della retorica democratica". 2002) .

Su Hammarskjold e sui suoi meravigliosi diari torneremo presto qui, nel Mantello di Bartimeo.

21/10/10

Heidegger - Un rovesciamento del pensiero.



E' molto indicativo ascoltare e vedere questo piccolo video - poco più di 7 minuti - in cui è mirabilmente compressa, in termini anche comprensibili (il che non è poco) l'essenza del pensiero di Martin Heidegger, la sua sconvolgente novità nella storia del pensiero filosofico.

Il rovesciamento intuito e indicato da Heidegger è una sfida che non smette di dare i suoi frutti e che anche oggi - in tempi oscuri nei quali sembra tornare una specie di dittatura dell'osservato, di ciò che viene osservato, senza nessun pensiero oltre - appare un luminoso orizzonte.

Risuonano in questo pensiero l'onda e la forza della tradizione orientale - fino a Krishnamurti (l'abolizione della distanza tra osservatore e osservato), ma anche interi secoli di riflessione teologica cristiana, da Meister Eckhart a Berkeley, fino a quello straordinario libretto che è l'IO SONO, attribuito alla misteriosa figura del Conte di Saint-Germain.

Qualcosa pensa e vive con noi e attraverso di noi e svelle dalle basi la nostra presunzione di essere definiti e di definire.

Non ho colpe, l'Ombra - di Fabrizio Falconi





Non ho colpe, l'ombra
non mi possiede
del tutto. L'anemone rosa
mi attira
m'invoglia al passo deciso,
ma il frutto matura
al vento caldo di ortica,
o d'Africa australe:
laggiù prima o poi
m'inviteranno le rondini
a svernare.


Fabrizio Falconi - da Sub Specie Aeternitatis - Aletti, 2003.

20/10/10

Il tempo perduto - di Fabrizio Falconi.




IL TEMPO PERDUTO



Fermati un attimo
sospendi il corso inutile delle cose
sorprenditi, resta a sedere
a lungo finché la tua schiena non sarà
spezzata
sdràiati tra il bambù
e quel silenzio assordante
lascia fare
lascia a lei di fare
il compito
per cui sei nato,
fermati un attimo
fermati
ritrova il sorriso
che hai sotterrato
nel diluvio di lacrime,
rivendica la forza
smarrita delle tue mani
ritrova il tesoro
che ti fu donato,
fermati
non pensare più
alla tempesta che ha dissipato
i tuoi sogni
sulla spiaggia,
come animali morti
ti guardano,
fermati
senza più brama di conoscere,
senza vanto,
senza tutti gli inutili
muri che hai alzato,
arrenditi,
e fermati per un solo istante,
che durerà per sempre,
chiudi gli occhi.



Fabrizio Falconi - 30 maggio 2010

17/10/10

Le cose che il Cile ha insegnato (a noi e al mondo).


Avendo seguito la vicenda dei minatori cileni sin dall’inizio, anche per ragioni di lavoro, in modo approfondito, vorrei sottoporvi queste piccole riflessioni.

La vicenda, ha secondo me offerto insegnamenti importanti. Molto spesso mi è capitato di pensare a cosa sarebbe successo se questa storia fosse capitata in Italia, oggi.

Ed ecco ciò che ho notato:

1. Innanzitutto il Cile – un paese che per molti degli italiani esiste solo in quanto patria di calciatori o di vaghi ricordi legati a Pinochet – ha fornito una incredibile dimostrazione di efficienza. La macchina dei soccorsi è stata tempestiva, efficace e direi quasi miracolosa, ricordando che questo del disastro cileno è un caso UNICO nella storia, e sin dall’inizio si era compreso che era necessario ricorrere a tecnologie (macro e micro) del tutto nuove, primo per identificare il luogo dove i minatori si trovavano, se sopravvissuti alla catastrofe, secondo per tirarli fuori di lì. I cileni hanno bruciato i tempi. Si parlava di Natale, all’inizio: hanno tirato fuori tutti i minatori due mesi prima, con una operazione tecnicamente perfetta.

2. Il paese, il Cile, ha dimostrato in questi due mesi e mezzo, una compattezza straordinaria: dal momento in cui si è saputo che i minatori erano vivi, nessuno più si è messo di traverso. La politica ha smorzato i toni, il premier e il governo sono stati sostenuti in ogni modo (possiamo immaginare cosa sarebbe successo in Italia ?). I giornali hanno lavorato per i minatori. La gente, il popolo, si è stretto intorno ai minatori, facendoli sentire vivi e necessari.

3. Al momento del salvataggio vero e proprio, i 1700 giornalisti di tutto il mondo accreditati (più di quanti ce ne erano per la morte di Woytila) – ma non li avevano invitati i cileni, erano venuti loro perché si tratta di una storia unica – sono stati tenuti in considerazione, ma lontano dalla botola del pozzo.

4. Intorno a questa botola, c’erano pochissime persone. Il presidente era uno di loro, e non aveva un posto privilegiato. Aspettava il suo turno per abbracciare i minatori che uscivano.

5.I minatori hanno mantenuto per tutta la durata della loro prigionia sottoterra, una dignità spaventosa: pur collegati in diretta, con la video via cavo, hanno evitato sceneggiate, mai crisi di nervi, mai appelli, mai richieste inappropriate, non un litigio, non una prevaricazione. La solidarietà esistente tra di loro è stata anzi completa fino all’ultimo – ognuno di loro aveva espresso il desiderio di uscire per ultimo dal pozzo.

6.Anche una volta usciti, i minatori hanno manifestato una gioia contenuta, sobria, vera. Gli abbracci sotto le telecamere sono stati perfino pudichi. Nessuno di loro ha parlato a vanvera, nessuno di loro ha ‘esternato’. Uno solo, anzi, ha tenuto a precisare di voler essere considerato per quello che è, e cioè ‘un operaio’ e non un artista.

7. Si è detto che le mogli e i parenti erano stati agghindati per le telecamere: niente di più falso. Erano donne che si erano preparate per i loro uomini, per i loro mariti o fidanzati, la cosa più naturale del mondo. Avevano i capelli in ordine e un filo di trucco perché volevano essere belle per loro. E loro, si erano sbarbati e pettinati per venir fuori. Non lo hanno fatto certo per le telecamere.

8.La vicenda è entrata nel cuore dei telespettatori di tutto il mondo per questo: perché ha raccontato la vita vera, le persone vere, le situazioni vere. Il rischio, la morte, la paura, l’abisso, la speranza, la fede, la solidarietà, l’amicizia, la fraternità, la sopravvivenza, il riscatto. Un piccolo compendio di umanità. Di tutto ciò che è legato all’essere umano, alla sua vera essenza.

9. E’ per questo che ieri, seguendo le notizie sui siti e sui TG italiani sono rimasto davvero basito, e mi sono intristito, per l’ennesima volta. La notizia dei minatori cileni – prima notizia in tutti i siti del mondo, ieri, dalla CNN all’ultimo sperduto sito indiano – ha resistito da noi come prima notizia solo poche ore, fino al terzo o quarto salvato. Già a partire dalle undici del mattino, sui siti la notizia è scivolata al secondo posto, scalzata dalla notiziona degli incidenti tra tifosi alla partita Italia-Serbia. I tg della sera hanno aperto tutti con Italia-Serbia (anche Mentana, che ha dato la notizia dei minatori quasi in chiusura di edizione). Davvero una tristezza: ancora una volta la dimostrazione di quanta fatica faccia il bene – tutto ciò che ho riassunto nell’elenco precedente – a diventare notizia, specie nel nostro cortiletto italico. Per noi la notizia degli ennesimi scontri ad una partita di calcio, dell’energumeno serbo incappucciato (nessun morto, per fortuna, ma va bene lo stesso..) è più importante di una storia epica di disgrazia che diventa riscatto e salvezza grazie alla forza di un intero popolo, alla solidarietà di un intero popolo. No, no, per noi vale sempre di più, e meglio, il rosario delle nostre cattive notizie quotidiane.

Fabrizio Falconi

06/10/10

L'isola sommersa del domani - di Fabrizio Falconi


L'isola sommersa del domani


L'isola è lontana ed è gialla
come la terra inghiottita dall'acqua,
spingono i tuoi bambini
perché vorrebbero farla volare
con le capre, i letti di canne
e il bidone viola, nell'altrove
di altre terra dimenticate e distratte
ma più fortunate
che si ubriacano al sogno demente
di altre isole dove anime disperate
consumano giochi mentre il mondo va in rovina.

Spiegalo tu, ad Hassan, tuo figlio
che la vostra casa di Sukkur
era bella un giorno e gonfia di profumi
e di fiori, e lenta di luce
al tramonto, dorata e lucente
e vuota gaia e silenziosa
come ogni casa dove è entrato l'amore.

Ora non c'è più
e naviga nel limbo di un sogno
aspettando che qualcuno la racconti
che qualcuno, da Occidente
spalanchi gli occhi
per sussurrare le uniche parole
- quelle uniche parole vere -
che si possono sussurrare
alle orecchie di chi muore.


Fabrizio Falconi - 28 agosto 2010

13/08/10

"E Voi, Amatevi di più !" un testo da meditare a lungo, di Lev Tolstoj.

Nella sterminata produzione tolstojana c'è sempre qualche piccola gemma da scoprire o riscoprire. Questo testo, quasi del tutto sconosciuto in Italia, è una sorta di breve testamento spirituale, lasciato dal grande scrittore tre anni prima di morire. E' un testo straordinario, che meriterebbe di essere scolpito nel cuore di ognuno, e di essere condiviso il più possibile e meditato. E' un piccolo regalo de 'Il mantello di Bartimeo' per la vostra vacanza.


Prima di dirvi addio (e alla mia età ogni incontro è un addio) vorrei dirvi in breve come, secondo me, gli uomini dovrebbero organizzare la loro esistenza, affinché essa cessi di essere miserabile e sventurata, come è oggi per i più, e divenga invece quale dovrebbe essere, quale Dio la desidera e tutti noi la desideriamo e cioè buona e lieta.

Tutto dipende da come uno concepisce la propria esistenza. Se uno pensa: tutta la vita è nel mio corpo, cioè il corpo di Ivan, Pietro, Maria e lo scopo della vita consiste nel procurare la maggior quantità di piaceri e soddisfazioni a questo mio io, cioè a Ivan, Pietro, Maria, allora la vita sarà sempre e per tutti infelice e amara.

Essa sarà infelice e amara, perché tutto quello che ciascuno vuole per sé, lo vogliono anche tutti gli altri per loro. Se ciascuno vuole ogni genere di beni materiali per sé e nella maggior quantità possibile, siccome questi beni sono limitati, essi non saranno mai sufficienti per tutti. E perciò quando gli uomini vivono, pensando ciascuno solo a se stesso, non possono fare a meno di portarsi via l’un l’altro questi beni, di lottare ed essere nemici tra loro: per questo la loro vita diviene infelice. La vita ci è stata data perché sia per noi un bene e noi questo ci attendiamo da lei. Ma perché sia così, dobbiamo capire che la vera vita non è nel corpo, ma in quello spirito che abita dentro il nostro corpo, dobbiamo capire che il nostro bene non consiste nei piaceri del corpo e nel fare ciò che chiede il corpo, ma nel fare ciò che esige quell’unico spirito, che abita in tutti noi.

Questo spirito vuole il suo proprio bene, cioè il bene dello spirito, e poiché questo spirito è il medesimo in tutti, esso vuole il bene di tutti gli uomini. Desiderare il bene degli altri, significa amarli. E nulla può impedirci di amare e più si ama, più la vita diviene libera e felice.

Di conseguenza gli uomini, per quanto facciano, non sono mai in grado di soddisfare i loro desideri materiali, perché ciò che serve al corpo non sempre è possibile procurarselo e per procurarselo bisogna lottare contro gli altri; al contrario, l’anima, che ha bisogno solo d’amore, può essere soddisfatta facilmente: per amare non dobbiamo lottare contro nessuno, anzi più amiamo, più andiamo d’accordo con gli altri.

Nulla poi ostacola l’amore e più uno ama, più diventa felice e allegro, non solo, ma rende felici e allegri anche gli altri. Ecco, cari fratelli, quello che volevo dirvi, prima di lasciare questa terra.

Al giorno d’oggi si sente dire da ogni parte che la nostra vita è amara e infelice perché mal organizzata, dobbiamo trasformare le strutture sociali e la nostra vita diverrà felice. Non credete assolutamente a ciò, cari fratelli !

Non illudetevi che l’una o l’altra struttura sociale migliorerà la nostra vita. Intanto, tutte queste persone, che si stanno impegnando per migliorare l’organizzazione della società, non sono d’accordo fra loro. Gli uni propongono un progetto come il più adatto, gli altri affermano che quello è pessimo e che solo il loro va bene, i terzi bocciano anche questo e ne propongono uno ancora migliore.

Poi, anche ammettendo che si trovasse l’organizzazione sociale ideale, come farla accettare da tutti, e come realizzarla, se la gente è piena di vizi ?

Per costruire una vita migliore, devono divenire migliori i singoli individui.


Lev Tolstoj – ‘Amatevi gli uni gli altri’ – scritto nel 1907, tre anni prima della morte.




08/07/10

Non voglio sprecare niente del tempo che resta.



Che cosa facciamo del nostro tempo ?
E’ deprimente constatare lo scialo che spesso riusciamo a farne.
Sembra, anzi, che l’alibi del nostro tempo sia questa frase: “non ho tempo.”

“Non ho tempo” ci permette di restare inchiodati, al punto che ci conviene. “Non ho tempo” ci permette di non metterci mai in discussione, in gioco veramente.

Facciamo mille cose, la gran parte inutili.

Siamo impegnati, ci dedichiamo anima e corpo a lavori inutili, a servire gente inutile, a fare turni inutili, a partecipare a riunioni inutili, a studiare organigrammi inutili, strategie inutili, pianificazioni inutili. Siamo impegnati a fare più soldi inutili che spenderemo per cose inutili.

Perciò “non ho tempo” per vedere un amico, per leggergli negli occhi, per fare con lui una bella conversazione, per vedere le nuvole passare, per ascoltare il rumore del vento, per godere la pioggia, per sentire cosa ho dentro, per capire cosa è questo vuoto apparente che abbiamo intorno, per immaginare lo straordinario universo.

“Non avere tempo” vuol dire essere eternamente sospesi tra il rimpianto e il ricordo del passato, e l’aspettativa frenetica di un sempre nuovo futuro, che magari non arriva mai.

“Non avere tempo” vuol dire cancellare il presente, che è l’unica condizione che conta veramente. L’unica condizione che ci è dato abitare.

Scrive Schopenhauer: “ La forma dell’apparizione della volontà è solo il presente, non il passato né il futuro. Nessuno ha vissuto nel passato, nessuno vivrà nel futuro: il presente è la forma di ogni vita, è un possesso che nessun male può strapparle… “

Invece, sembra spesso che abbiamo abdicato al nostro presente.

Cerchiamo distrazioni virtuali, vie di fuga parallele, oppure avanti o indietro. E tutto il bello che la vita offre, ci sfugge – mentre siamo occupati a fare altro – come grani di sabbia tra le dita.

Il tempo, però, ha sempre l’ultima parola. Perché il tempo è reale. Ogni ‘confutazione’ del tempo, infatti, non regge alla prova.

Anche il grande J.L. Borges, che provò a confutarlo, dovette alla fine del suo saggio ammettere: “ Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume.; è una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; è un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. “
Il tempo è la sostanza di cui sono fatto.

Riprendiamoci il tempo. In questo tempo propizio d'estate, riprendiamoci il nostro tempo.

Da qui inizia ogni rivoluzione possibile delle nostre vite.


24/06/10

Saramago, un grande maestro, e il cattivo trattamento dell'Osservatore Romano.


Davvero sono rimasto piuttosto basito nel leggere il commento che l'Osservatore Romano ha dedicato alla scomparsa di José Saramago, quello che secondo molti - compreso chi vi scrive - era il più grande scrittore contemporaneo.

Con il titolo L'onnipotenza (presunta) del narratore, il quotidiano vaticano ha dedicato un duro pezzo di commiato - completamente privo fra l'altro di qualunque pìetas - al grande scrittore, premio Nobel, nel quale si legge fra l'altro: un uomo e un intellettuale di nessuna ammissione metafisica, fino all'ultimo inchiodato in una sua pervicace fiducia nel materialismo storico, alias marxismo. Lucidamente autocollocatosi dalla parte della zizzania nell'evangelico campo di grano, si dichiarava insonne al solo pensiero delle crociate, o dell'inquisizione, dimenticando il ricordo dei gulag, delle 'purghe', dei genocidi, dei samizdat culturali e religiosi.

Ora io dico: ma come si fa ad essere così ciechi ? Davvero quelli dell'Osservatore sembrano usciti dal romanzo-capolavoro di Saramago: Cecità.

Chi minimamente conosca l'opera (e anche la vita) di Saramago, sa che - pur dichiarandosi e professandosi ateo - egli ha sempre avvicinato e attraversato il mistero metafisico, in ogni opera. Anche Cecità è un grande affresco metafisico, dove tutto ciò che accade può essere letto come una grande parabola sulla verità e sulla presunzione umana di credere soltanto a ciò che si vede.

Ma poi come non ricordare tutte le grandi opere nelle quali Saramago ha affrontato a suo modo la figura di Cristo, o di Maria. Tutta la sua opera letteraria non esisterebbe se non fosse esistito il cristianesimo: tutta la sua opera è un dialogo - a tratti sfrontato, assoluto, provocatorio, ma anche rispettoso, mai volgare, mai pretestuoso - con il cristianesimo.

L'Osservatore, invece di scagliare il suo anatema contro i grandi dissolutori di princìpi che scorrazzano liberamente nel confuso mondo di oggi, spesso mascherandosi proprio dietro le sembianze di attributi pii, sbaglia ancora una volta obiettivo, e spara a zero, nel giorno della sua morte, contro un grande spirito libero che forse - più di ogni altro - aveva davvero nostalgia di Dio.