15/01/10

Haiti: la morte che fa dimenticare il resto.


Una tragedia come quella dello spaventoso terremoto di Haiti ci costringe sempre a ripensare il nostro rapporto personale con il senso dell'esistenza, con la morte, e con quello che ci nascondiamo, ogni giorno.

Come ha fatto notare infatti Massimo Gramellini sulla Stampa, se si va "in cerca di informazioni per scoprire com'era la vita nell'isola, fino all'altro ieri, si apprende che l'ottanta per cento degli haitiani vive (viveva) con meno di un dollaro al giorno. Che il novanta per cento abita (abitava) in baracche senza acqua potabile né elettricità. Che l'aspettativa di vita è (era) di 50 anni. Che un bambino su tre non raggiunge (raggiungeva) i 5 anni. E che, degli altri due, uno ha (aveva) la certezza pressoché assoluta di essere venduto come schiavo."

Se questa è (era) la vita, si chiede Gramellini, è poi tanto peggio la morte? Ma soprattutto perché la loro morte ci sconvolge tanto, mentre della loro vita non ci è mai importato un granché?

Devo dire che personalmente, la situazione di Haiti non era sconosciuta, soltanto perché essendo affiliato da tempo con Save the Children, e avendo come zona di competenza proprio Haiti, mi arrivavano continui aggiornamenti su quello che è senza alcun dubbio uno dei paesi più poveri del mondo.

Ma quel che dice Gramellini è vero. Per me è stata fondamentale la lettura di un magnifico saggio del filosofo Henning Ritter, Sventura Lontana - pubblicato da Adelphi - che ha per oggetto proprio come la nostra percezione dell'altro - e dei guai dell'altro, dei problemi dell'altro, delle tragedie dell'altro - abbia una strettissima relazione con la vicinanza.

Vicinanza intesa proprio in senso fisico, terrestre.

Le cose che sono lontane, non ci toccano o ci toccano molto meno - anche se enormemente più gravi - di quelle che accadono vicino a noi.

C'è una specie di legge bio-fisica che distorce completamente la nostra percezione, e ci rende faticosa - a tratti impossibile - la realizzazione, la coscienza, e in definitiva, la comprensione di ciò che accade ed esiste lontano da noi.

In questo senso, proprio anche per il nostro crederci e professarci cristiani, dovremmo invece SEMPRE tenere aperto il cuore all'intero mondo, anche se è una impresa titanica, potenzialmente assurda. Ma è lo stesso Cristo che ci ha insegnato a pensare così. E dovremmo sempre ricordarcelo.

2 commenti:

  1. Qui in Occidente abbiamo fortemente ridotto la consapevolezza che, al di qua (cioè prima) delle differenze culturali, religiose, degli usi e costumi, quello che ci unisce a tutti gli esseri umani che vivono e abitano questa terra è la comune umanità. Ci arrabbiamo tutti allo stesso modo, ci intristiamo e amiamo per le medesime ragioni. La forma che prende questa umanità condivisa, nella sua dimensione psicologica e quotidiana è dovuta alle culture e alla stratificazione delle tradizioni. E’ in questo semplice principio la ragione per la quale la Chiesa ricorda sempre ai propri figli la dignità di ogni essere umano, la necessità di salvaguardarla e rispettarla sempre e comunque. Il Papa nell’ultima Enciclica ha sottolineato la necessità di un mondo più giusto, nel quale non avvenga che ogni trenta secondi un bambino sotto i cinque anni muoia per fame, violenza, guerra, mancanza di farmaci o di acqua.

    Siamo talmente assuefatti alle immagini di violenza e appagati del nostro benessere che fatichiamo a vedere dietro le tragedie rappresentate dai media esseri umani fatti della nostra stessa carne.

    Ma quando vi sono catastrofi come quella di Haiti o drammi come quelli di Rosarno siamo messi di fronte, drammaticamente, alla verità dell’uomo e dobbiamo decidere dove ci collochiamo, cosa ci unisce all’altro.

    I nostri fratelli di Haiti visti da vicino, quando arrivano in casa nostra, possono sembrare fastidiosi come i nostri fratelli di Rosarno, come tutti gli immigrati che attraversano le nostre strade. Preghiamo perché il Signore aiuti i nostri politici a costruire vere politiche di inclusione sociale finalizzate alla convivenza delle diversità e ci aiuti a guardare ogni situazione e persona con gli occhi dell’amore, per quella comune umanità con cui Dio ci ha pensati e voluti.

    La solidarietà che ci viene richiesta deve aiutarci ad aprire gli occhi e illuminare alla luce della fede tutti gli angoli bui delle società e interrogarci sulle nostre responsabilità e cercare di capire come rendere più giusto questo mondo a partire da quel pezzettino di realtà nella quale ognuno di noi è posto.

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  2. Caro Alessandro,
    prendo queste tue parole come un tesoro, e le condivido pienamente, insieme alla preghiera che invochi.

    Credo che veramente la consapevolezza - come ha ripetuto fino alla ossessione C.G.Jung - sia veramente tutto, nella nostra vita.

    E soltanto se riusciremo a diventare più consapevoli - di noi stessi e del mondo che abitiamo - potremo salvarci e costruire qualcosa degno di essere chiamato futuro.

    Grazie

    F.

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