28/04/10

La fiducia è una questione di Fede.


Per comprendere la vita, non abbiamo molti mezzi, se non affidarci agli altri.

Mi è venuto in mente, osservando una puntata del serial Lost, che ha tratti di genialità. Sembrerebbe che quasi tutta questa grande opera di fiction contemporanea sia basata sul concetto e sul sentimento della fiducia.

Quando è che posso fidarmi di qualcun'altro ? Quand'è che posso avere fiducia in lui ? Fiducia e fede hanno la stessa radice semantica.


La fede dei primi cristiani si basò su una conoscenza che derivava soltanto da coloro 'che avevano visto'. C'erano dei testimoni. Questi raccontarono quel che avevano visto. Ma tutto sarebbe finito lì, se qualcuno non avesse creduto al loro racconto, se non si fossero fidati di loro.

L'unica osservazione, conoscenza, sapienza che possiamo avere in questa vita, dipende dalla condivisione ( e dall'affidamento) che abbiamo negli/con gli altri. Il motto della intera serie di Lost è 'si vive insieme, si muore soli'.

Per un cristiano questo non è condivisibile, perché anche quando moriremo ci sarà Qualcuno con cui/ a cui affidarci. Ma se quello è un affidamento che potremo probabilmente rifiutare o accettare, l'affidamento in questa vita non è possibile per nessuno, evitarlo. Significherebbe vivere da esclusi o da esiliati su questa terra, che è meno grande di quel pensiamo, ed è popolata di tanti noi, che hanno molto da dire... a noi.


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23/04/10

Hans Kung - Papa Benedetto XVI ha fallito.


Penso ci siano molti, molti spunti di riflessione in questo articolo firmato da Hans Kung che ripercorre e sintetizza tutte le critiche mosse a questo papato, nella conduzione della Chiesa, da uno dei più grandi teologi contemporanei. Articolo che del resto ha già suscitato molte reazioni, anche da parte dello stesso Osservatore Romano.

Negli anni 1962-1965 Joseph Ratzinger - oggi Benedetto XVI - ed io eravamo i due più giovani teologi del Concilio. Oggi siamo i più anziani, e i soli ancora in piena attività. Ho sempre inteso il mio impegno teologico come un servizio alla Chiesa. Per questo, mosso da preoccupazione per la crisi di fiducia in cui versa questa nostra Chiesa, la più profonda che si ricordi dai tempi della Riforma ad oggi, mi rivolgo a voi, in occasione del quinto anniversario dell'elezione di papa Benedetto al soglio pontificio, con una lettera aperta. È questo infatti l'unico mezzo di cui dispongo per mettermi in contatto con voi.

Avevo apprezzato molto a suo tempo l'invito di papa Benedetto, che malgrado la mia posizione critica nei suoi riguardi mi accordò, poco dopo l'inizio del suo pontificato, un colloquio di quattro ore, che si svolse in modo amichevole. Ne avevo tratto la speranza che Joseph Ratzinger, già mio collega all'università di Tübingen, avrebbe trovato comunque la via verso un ulteriore rinnovamento della Chiesa e un'intesa ecumenica, nello spirito del Concilio Vaticano II. Purtroppo le mie speranze, così come quelle di tante e tanti credenti che vivono con impegno la fede cattolica, non si sono avverate; ho avuto modo di farlo sapere più di una volta a papa Benedetto nella corrispondenza che ho avuto con lui.

Indubbiamente egli non ha mai mancato di adempiere con scrupolo agli impegni quotidiani del papato, e inoltre ci ha fatto dono di tre giovevoli encicliche sulla fede, la speranza e l'amore. Ma a fronte della maggiore sfida del nostro tempo il suo pontificato si dimostra ogni giorno di più come un'ulteriore occasione perduta, per non aver saputo cogliere una serie di opportunità:



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19/04/10

Susanna Tamaro: Il femminismo non ha liberato le donne. Le ragazze oggi meno libere di 40 anni fa.


vi propongo l'articolo pubblicato ieri, domenica 18 aprile 2010 da Susanna Tamaro su Il Corriere della Sera.

Il femminismo non ha liberato le donne
Tutti i messaggi si concentrano sul corpo: siamo passati dall’angelo del focolare alla mistica della seduzione

Appartengo alla generazione che ha combattuto, negli anni della prima giovinezza, la battaglia per la libertà sessuale e per la legalizzazione dell’aborto. La generazione che nei tè pomeridiani, tra un effluvio di patchouli e una canna, imparava il metodo Karman, cioè come procurarsi un aborto domestico con la complicità di un gruppo di amiche. Quella generazione che organizzava dei voli collettivi a Londra per accompagnare ad abortire donne in uno stato così avanzato di gravidanza da sfiorare il parto prematuro. È difficile, per chi non li ha vissuti, capire l’eccitazione, l’esaltazione, la frenesia di quegli anni. La sensazione era quella di trovarsi sulla prua di una nave e guardare un orizzonte nuovo, aperto, illuminato dal sole di un progresso foriero di ogni felicità. Alle spalle avevamo l’oscurità, i tempi bui della repressione, della donna oggetto manipolata dai maschi e dai loro desideri, oppressa dal potere della Chiesa che, secondo gli slogan dell’epoca, vedeva in lei soltanto un docile strumento di riproduzione. Erano gli anni Settanta.

Personalmente, non sono mai stata un’attivista, ma lo erano le mie amiche più care e, per quanto capissi le loro ragioni, non posso negare di essere stata sempre profondamente turbata da questa pratica che, in quegli anni, si era trasformata in una sorta di moderno contraccettivo. Mi colpiva, in qualche modo, la leggerezza con cui tutto ciò avveniva, non perché fossi credente — allora non lo ero — né per qualche forma di moralismo imposto dall’alto, ma semplicemente perché mi sembrava che il manifestarsi della vita fosse un fatto così straordinariamente complesso e misterioso da meritare, come minimo, un po’ di timore e di rispetto. Come sono cambiate le cose in questi quarant’anni? Ho l’impressione che anche adesso il discorso sulla vita sia rimasto confinato tra due barriere ideologiche contrapposte. La difesa della vita sembra essere appannaggio, oggi come allora, solo della Chiesa, dei vescovi, di quella parte considerata più reazionaria e retriva della società, che continua a pretendere di influenzare la libera scelta dei cittadini. Chi è per il progresso, invece, pur riconoscendo la drammaticità dell’evento, non può che agire in contrapposizione a queste continue ingerenze oscurantiste. Naturalmente, un Paese civile deve avere una legge sull’aborto, ma questa necessaria tutela delle donne in un momento di fragilità non è mai una vittoria per nessuno. I dati sull’interruzione volontaria di gravidanza ci dicono che le principali categorie che si rivolgono agli ospedali sono le donne straniere, le adolescenti e le giovani. Le ragioni delle donne straniere sono purtroppo semplici da capire, si tratta di precarietà, di paura, di incertezza—ragioni che spingono spesso ormai anche madri di famiglia italiane a rinunciare a un figlio, ragioni a cui una buona politica in difesa della vita potrebbe naturalmente ovviare.
Ma le ragazze italiane? Queste figlie, e anche nipoti delle femministe, come mai si trovano in queste condizioni? Sono ragazze nate negli anni 90, ragazze cresciute in un mondo permissivo, a cui certo non sono mancate le possibilità di informarsi. Possibile che non sappiano come nascono i bambini? Possibile che non si siano accorte che i profilattici sono in vendita ovunque, perfino nei distributori automatici notturni? Per quale ragione accettano rapporti non protetti? Si rendono conto della straordinaria ferita cui vanno incontro o forse pensano che, in fondo, l’aborto non sia che un mezzo anticoncezionale come un altro? Se hai fortuna, ti va tutto bene, se hai sfortuna, te ne sbarazzi, pazienza. Non sarà che una seccatura in più. Qualcuno ha spiegato loro che cos’è la vita, il rispetto per il loro corpo? Qualcuno ha mai detto loro che si può anche dire di no, che la felicità non passa necessariamente attraverso tutti i rapporti sessuali possibili? Chi conosce il mondo degli adolescenti di oggi sa che la promiscuità è una realtà piuttosto diffusa. Ci si piace, si passa la notte insieme, tra una settimana forse ci piacerà qualcun altro. I corpi sono interscambiabili, così come i piaceri. Come da bambine hanno accumulato sempre nuovi modelli di Barbie, così accumulano, spinte dal vuoto che le circonda, partner sempre diversi. Naturalmente non tutte le ragazze sono così, per fortuna, ma non si può negare che questo sia un fenomeno in costante crescita.

Sono più felici, mi chiedo, sono più libere le ragazze di adesso rispetto a quarant’anni fa? Non mi pare. Le grandi battaglie per la liberazione femminile sembrano purtroppo aver portato le donne ad essere soltanto oggetti in modo diverso. Non occorre essere sociologi né fini pensatori per accorgersi che ai giorni nostri tutti i messaggi rivolti alle bambine si concentrano esclusivamente sul loro corpo, sul modo di offrirsi agli altri. Si vedono bambine di cinque anni vestite come cocotte e già a otto anni le ragazzine vivono in uno stato di semi anoressia, terrorizzate di mangiare qualsiasi cosa in grado di attentare alla loro linea. Bisogna essere magre, coscienti che la cosa che abbiamo da offrire, quella che ci renderà felici o infelici, è solo il nostro corpo. Il fiorire della chirurgia plastica non è che una tristissima conferma di questa realtà. Pare che molte ragazze, per i loro diciotto anni, chiedano dei ritocchi estetici in regalo. Un seno un po’ più voluminoso, un naso meno prominente, labbra più sensuali, orecchie meno a vela. Il risultato di questa chirurgia di massa è già sotto ai nostri occhi: siamo circondate da Barbie perfette, tutte uguali, tutte felicemente soddisfatte di questa uguaglianza, tutte apparentemente disponibili ai desideri maschili. Sembra che nessuno abbia mai detto a queste adolescenti che la cosa più importante non è visibile agli occhi e che l’amore non nasce dalle misure del corpo ma da qualcosa di inesprimibile che appartiene soprattutto allo sguardo.

Siamo passati così dalla falsa immagine della donna come angelo del focolare, che si realizza soltanto nella maternità, alla mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione. Più fai sesso, più sei in gamba, più sei ammirata dal gruppo. Nella latitanza della famiglia, della chiesa, della scuola, la realtà educativa è dominata dai media e i media hanno una sola legge. Omologare. Ma questo lato apparentemente così comprensibile, così frivolo — voler essere carine o anche voler mitigare i segni del tempo — che cosa nasconde? Il corpo è l’espressione della nostra unicità ed è la storia delle generazioni che ci hanno preceduti. Quel naso così importante, quei denti storti vengono da un bisnonno, da una trisavola, persone che avevano un’origine, una storia e che, con la loro origine e la loro storia, hanno contribuito a costruire la nostra. Rendere anonimo il volto vuol dire cancellare l’idea che l’essere umano è una creatura che si esprime nel tempo e che il senso della vita è essere consapevoli di questo. La persona è l’unicità del volto. L’omologazione imposta dalla società consumista—e purtroppo sempre più volgarmente maschilista — ha cancellato il patto tra le generazioni, quel legame che da sempre ha permesso alla società umana di definirsi tale. Noi siamo la somma di tutti i nostri antenati ma siamo, al tempo stesso, qualcosa di straordinariamente nuovo e irripetibile. Cancellare il volto vuol dire cancellare la memoria, e cancellare la memoria, vuol dire cancellare la complessità dell’essere umano. Consumare i corpi, umiliare la forza creativa della vita per superficialità e inesperienza, vuol dire essere estranei dall’idea dell’esistenza come percorso, vuol dire vivere in un eterno presente, costantemente intrattenuti, in balia dei propri capricci e degli altrui desideri. Senza il senso del tempo non abbiamo né passato né futuro, l’unico orizzonte che si pone davanti ai nostri occhi è quello di una specchio in cui ci riflettiamo infinite volte, come nei labirinti dei luna park. Procediamo senza senso da una parte, dall’altra, vedendo sempre e soltanto noi stessi, più magri, più grassi, più alti, più bassi. All’inizio quel girare in tondo ci fa ridere, poi col tempo, nasce l’angoscia. Dove sarà l’uscita, a chi chiedere aiuto? Battiamo su uno specchio e nessuno ci risponde. Siamo in mille, ma siamo sole.

Susanna Tamaro


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11/04/10

Il perdono, l'auto-assoluzione, le parole di Cristo.


Le parole di Gesù Cristo sono sempre di fuoco, sono sempre nette, e sempre precise, e sempre chiare e vanno dritte ai cuori, e a quelle bisogna ritornare, sempre.

Ed è così che mi hanno fatto molto riflettere quelle parole che Gesù appena risorto indirizza ai suoi apostoli che sono sconcertati dalla sua presenza viva. Gesù, dopo aver detto 'Pace a voi' e dopo aver mostrato le mani e il fianco con le piaghe ancora fresche, impone quel famoso e tremendo mandato (in base al quale molti di loro andranno dritti incontro al martirio): "come il Padre ha mandato me, io ho mando voi."

Ma subito dopo aggiunge: " Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati." (Giovanni 20,19-31).

Sono parole che fanno molto riflettere, e che non ammettono equivoci. Ci dicono che il perdono - il vero perdono - non è mai scontato, non è mai gratuito, non è mai incondizionato, non è mai per tutti, sempre.

E' una cosa che nella mentalità del cattolicesimo moderno sembra del tutto dimenticata. L'introduzione del sacramento della confessione ha fatto ritenere, fa ritenere, che TUTTO possa/debba essere perdonato.

Non è così. Il facile perdono è più dannoso del male originario, a quanto pare. Perdonare troppo facilmente - senza che vi sia un vero, autentico pentimento - o peggio ancora auto-perdonarsi, auto-assolversi è qualcosa che è molto difficile giustificare nell'ottica del Cristo.

Bisognerebbe ricordarlo, ricordarselo sempre, quando - in presenza di omissioni e peccati, anche molto gravi - la prima cosa che si fa è scaricare la colpa sugli altri, su presunti o veri nemici, e pretendere o, peggio ancora, concedersi un facile e immediato perdono auto-assolutorio.


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09/04/10

Ci mancava solo lui, il pastore ateo, e fiero di esserlo.


Cari amici de Il Mantello,

vorrei commentare con voi, se ne avete voglia, questa notizia, che qui in Italia abbiamo appreso qualche giorno fa, e che riguarda un certo Klaas Hendrikse, un pastore protestante olandese di 63 anni che si dichiara fieramente ateo e che però non solo non rinuncia a fare il pastore, ma proclama anche di avere la sua chiesa piena di 'fedeli' (fedeli ??).


Mi sembra davvero un caso di schizofrenia eclatante della nostra epoca, ma sarei curioso di sapere cosa, la notizia, vi suscita.


04/04/10

Domenica di Pasqua - Notturno di Margherita Guidacci




Col viso vòlto ad Oriente
per aspettare l'alba
e il cuore vòlto ad un più chiaro Oriente
da cui verrà la risurrezione,

io mi sono coricata. Che importa
se per una sola notte o per tutte ?
Uno stesso Signore mi è guida
verso l'alba e la risurrezione !



Margherita Guidacci (1921-1992)
La preghiera nella poesia italiana, Caltanissetta-Roma 1969, p.515



E Buona Santa Pasqua di Resurrezione a tutti da Il Mantello di Bartimeo !