31/10/10

La poesia della Domenica - Walt Whitman.


C’è questo in me – non so che cosa sia – ma so che è in
me

Contorto e sudato – il mio corpo poi diventa calmo e
fresco, ed io dormo – dormo a lungo.

Non lo conosco – non ha un nome – è una parola non
detta,non si trova in nessun dizionario, in nessun simbolo, in
nessuna espressione.

Qualcosa lo fa oscillare più che la terra dove oscillo io,
la creazione è la sua amica che mi sveglia con un
abbraccio.

Forse potrei dire anche di più. Abbozzi! Io tutelo i miei
fratelli e le mie sorelle.

Vedete, fratelli miei, sorelle mie?
Non è caos, non è morte – è forma, unione, piano, – è
vita eterna – è Felicità.

Walt Whitman da ‘Calamus’

27/10/10

La nostra cultura è inadeguata (Tarkovskij).



Sono soltanto due minuti di monologo. Ma racchiudono l'essenza del pensiero e dello spirito di quella grande anima che ha attraversato il nostro tempo, quella di Andrej Tarkovskij.

Tarkovskij ha incarnato nella sua vita - con l'esilio, la distanza, la sofferenza, la separazione dai suoi affetti, la coerenza, l'intelligenza, lo spirito - le difficoltà del vivere, in un mondo che appare sempre più lacerato dalla separazione tra ciò che conta davvero (che è dentro di noi, e che non sappiamo neppure più dire cosa sia) e tutto ciò che NON è necessario (quello che in termini spirituali si direbbe 'il peccato') e che invece sembra essere diventato il nostro unico scopo, la nostra unica finalità.

Tornare all'uomo. Era questa la più grande preoccupazione del grande maestro russo. La grande lezione che ci ha lasciato, e che dovremmo ricordare.

26/10/10

Cosa è il Dono.



Come nel finale di 'Luci della Città', il capolavoro chapliniano, a tutti noi è capitato nella vita di ricevere o di offrire un dono.

Charlot, il miserabile girovago ha regalato alla povera venditrice cieca, la vista. E in questa scena finale, ritrovandola sana, non può offrirle più nient'altro. Può soltanto ricevere da lei il fiore e la moneta che si offrono a un vagabondo.

Ma lei, che lo riconosce, sa. Sa che il dono non è mai SOLO una festa. Che il dono - ivi compresa la nostra vita, che ci è stata donata (dai nostri genitori, per chi non crede), da qualcun'Altro per chi crede) - comporta conseguenze, doveri, obblighi, responsabilità, prima fra tutte quelle di essere all'altezza del dono ricevuto.

Viviamo in un'epoca oggi, in cui tutto appare stemperato. Una persona uccide qualcuno, e neanche poche ore dopo si dichiara 'pentito'. Ma pentito di cosa ?

Il dono sappiamo dire cosa è, esattamente ? Dal dono nascono, possono nascere, cose molto diverse. Una - ed è una virtù molto umana (anche se poco praticata) - è la gratitudine.

Quella vera, che nasce dal cuore, vive di fatti e sguardi, e quasi sempre non necessita di parole.

Fabrizio Falconi

22/10/10

Dag Hammarskjold, un martire della Pace.


Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld(Jönköping, 29 luglio 1905 – Ndola, 18 settembre 1961) fu un diplomatico, economista, scrittore e pubblico funzionario svedese, presidente della Banca di Svezia e poi noto internazionalmente quale segretario generale delle Nazioni Unite per due mandati consecutivi, dal 1953 fino alla sua morte nel 1961 a causa di un incidente aereo occorsogli in Africa meridionale durante una missione di pace. Gli fu conferito postumo il premio Nobel per la pace per la sua attività umanitaria.

Ultimo di quattro figli maschi, trascorre gli anni della propria infanzia e adolescenza seguendo gli spostamenti del padre, uomo politico svedese: dapprima in Danimarca, poi a Uppsala, poi a Stoccolma - nei tre anni in cui il padre è Primo Ministro - poi ancora a Uppsala.

Compiuti gli studi universitari in economia, a Parigi, nel 1941 torna come presidente alla Banca Nazionale di Svezia, incarico che terrà fino al 1948, per entrare poi al Ministero degli Esteri.

In questa veste è vice-presidente della delegazione svedese alla VI Sessione dell'Assemblea generale dell'ONU a Parigi (1951-1952) e poi Presidente alla sessione successiva (New York 1952-1953). Il 7 aprile 1953 viene eletto all'unanimità per succedere al norvegese Trygve Lie nella carica di Segretario generale dell'ONU, carica nella quale viene riconfermato nel 1957 allo scadere del mandato.

Insignito della laurea honoris causa nelle principali università degli Stati Uniti, Canada e Inghilterra, nel dicembre 1954 succede al padre quale membro dell'Accademia Svedese. Muore nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 in un incidente aereo - le cui cause non saranno mai del tutto chiarite - a Ndola (nell'attuale Zambia) nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. L'ipotesi di un possibile attentato al suo aereo, pur non essendo dimostrabile, non è mai stata dissipata.

In quell'anno gli verrà attribuito il Premio Nobel per la Pace alla memoria, "in segno di gratitudine - come dirà la motivazione del Comitato per il Nobel - per tutto quello che ha fatto, per quello che ha ottenuto, per l'ideale per il quale ha combattuto: creare pace e magnanimità tra le nazioni e gli uomini"

Dopo la sua morte, nel suo appartamento di New York fu ritrovato un diario, contenente brevi pensieri non datati. Allegata agli scritti c'era una lettera, indirizzata a un amico, in cui spiegava come avesse iniziato ad appuntarsi certe riflessioni senza avere alcuna intenzione di pubblicarle; tuttavia, lo autorizzava a un'eventuale pubblicazione, che riteneva utile a dare un'idea della sua vera personalità. Il diario, pubblicato in Italia col titolo "Tracce di cammino", è oggi considerato uno dei testi spirituali più intensi del Novecento e fu definito dall'autore stesso "una sorta di libro bianco che narra i miei negoziati con me stesso e con Dio".

Riguardo la sua morte oggi sappiamo per certo che si tratto' di omicidio , voluto dalla compagnia franco-belga Unione Miniere.

« E ora, dopo quarantanni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l'Unione Miniere condanno' a morte (per "incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale dellOnu,colpevole di opporsi alla secessione del Katanga,preda avita dellUnione Miniere » (Luciano Canfora "Critica della retorica democratica". 2002) .

Su Hammarskjold e sui suoi meravigliosi diari torneremo presto qui, nel Mantello di Bartimeo.

21/10/10

Heidegger - Un rovesciamento del pensiero.



E' molto indicativo ascoltare e vedere questo piccolo video - poco più di 7 minuti - in cui è mirabilmente compressa, in termini anche comprensibili (il che non è poco) l'essenza del pensiero di Martin Heidegger, la sua sconvolgente novità nella storia del pensiero filosofico.

Il rovesciamento intuito e indicato da Heidegger è una sfida che non smette di dare i suoi frutti e che anche oggi - in tempi oscuri nei quali sembra tornare una specie di dittatura dell'osservato, di ciò che viene osservato, senza nessun pensiero oltre - appare un luminoso orizzonte.

Risuonano in questo pensiero l'onda e la forza della tradizione orientale - fino a Krishnamurti (l'abolizione della distanza tra osservatore e osservato), ma anche interi secoli di riflessione teologica cristiana, da Meister Eckhart a Berkeley, fino a quello straordinario libretto che è l'IO SONO, attribuito alla misteriosa figura del Conte di Saint-Germain.

Qualcosa pensa e vive con noi e attraverso di noi e svelle dalle basi la nostra presunzione di essere definiti e di definire.

Non ho colpe, l'Ombra - di Fabrizio Falconi





Non ho colpe, l'ombra
non mi possiede
del tutto. L'anemone rosa
mi attira
m'invoglia al passo deciso,
ma il frutto matura
al vento caldo di ortica,
o d'Africa australe:
laggiù prima o poi
m'inviteranno le rondini
a svernare.


Fabrizio Falconi - da Sub Specie Aeternitatis - Aletti, 2003.

20/10/10

Il tempo perduto - di Fabrizio Falconi.




IL TEMPO PERDUTO



Fermati un attimo
sospendi il corso inutile delle cose
sorprenditi, resta a sedere
a lungo finché la tua schiena non sarà
spezzata
sdràiati tra il bambù
e quel silenzio assordante
lascia fare
lascia a lei di fare
il compito
per cui sei nato,
fermati un attimo
fermati
ritrova il sorriso
che hai sotterrato
nel diluvio di lacrime,
rivendica la forza
smarrita delle tue mani
ritrova il tesoro
che ti fu donato,
fermati
non pensare più
alla tempesta che ha dissipato
i tuoi sogni
sulla spiaggia,
come animali morti
ti guardano,
fermati
senza più brama di conoscere,
senza vanto,
senza tutti gli inutili
muri che hai alzato,
arrenditi,
e fermati per un solo istante,
che durerà per sempre,
chiudi gli occhi.



Fabrizio Falconi - 30 maggio 2010

17/10/10

Le cose che il Cile ha insegnato (a noi e al mondo).


Avendo seguito la vicenda dei minatori cileni sin dall’inizio, anche per ragioni di lavoro, in modo approfondito, vorrei sottoporvi queste piccole riflessioni.

La vicenda, ha secondo me offerto insegnamenti importanti. Molto spesso mi è capitato di pensare a cosa sarebbe successo se questa storia fosse capitata in Italia, oggi.

Ed ecco ciò che ho notato:

1. Innanzitutto il Cile – un paese che per molti degli italiani esiste solo in quanto patria di calciatori o di vaghi ricordi legati a Pinochet – ha fornito una incredibile dimostrazione di efficienza. La macchina dei soccorsi è stata tempestiva, efficace e direi quasi miracolosa, ricordando che questo del disastro cileno è un caso UNICO nella storia, e sin dall’inizio si era compreso che era necessario ricorrere a tecnologie (macro e micro) del tutto nuove, primo per identificare il luogo dove i minatori si trovavano, se sopravvissuti alla catastrofe, secondo per tirarli fuori di lì. I cileni hanno bruciato i tempi. Si parlava di Natale, all’inizio: hanno tirato fuori tutti i minatori due mesi prima, con una operazione tecnicamente perfetta.

2. Il paese, il Cile, ha dimostrato in questi due mesi e mezzo, una compattezza straordinaria: dal momento in cui si è saputo che i minatori erano vivi, nessuno più si è messo di traverso. La politica ha smorzato i toni, il premier e il governo sono stati sostenuti in ogni modo (possiamo immaginare cosa sarebbe successo in Italia ?). I giornali hanno lavorato per i minatori. La gente, il popolo, si è stretto intorno ai minatori, facendoli sentire vivi e necessari.

3. Al momento del salvataggio vero e proprio, i 1700 giornalisti di tutto il mondo accreditati (più di quanti ce ne erano per la morte di Woytila) – ma non li avevano invitati i cileni, erano venuti loro perché si tratta di una storia unica – sono stati tenuti in considerazione, ma lontano dalla botola del pozzo.

4. Intorno a questa botola, c’erano pochissime persone. Il presidente era uno di loro, e non aveva un posto privilegiato. Aspettava il suo turno per abbracciare i minatori che uscivano.

5.I minatori hanno mantenuto per tutta la durata della loro prigionia sottoterra, una dignità spaventosa: pur collegati in diretta, con la video via cavo, hanno evitato sceneggiate, mai crisi di nervi, mai appelli, mai richieste inappropriate, non un litigio, non una prevaricazione. La solidarietà esistente tra di loro è stata anzi completa fino all’ultimo – ognuno di loro aveva espresso il desiderio di uscire per ultimo dal pozzo.

6.Anche una volta usciti, i minatori hanno manifestato una gioia contenuta, sobria, vera. Gli abbracci sotto le telecamere sono stati perfino pudichi. Nessuno di loro ha parlato a vanvera, nessuno di loro ha ‘esternato’. Uno solo, anzi, ha tenuto a precisare di voler essere considerato per quello che è, e cioè ‘un operaio’ e non un artista.

7. Si è detto che le mogli e i parenti erano stati agghindati per le telecamere: niente di più falso. Erano donne che si erano preparate per i loro uomini, per i loro mariti o fidanzati, la cosa più naturale del mondo. Avevano i capelli in ordine e un filo di trucco perché volevano essere belle per loro. E loro, si erano sbarbati e pettinati per venir fuori. Non lo hanno fatto certo per le telecamere.

8.La vicenda è entrata nel cuore dei telespettatori di tutto il mondo per questo: perché ha raccontato la vita vera, le persone vere, le situazioni vere. Il rischio, la morte, la paura, l’abisso, la speranza, la fede, la solidarietà, l’amicizia, la fraternità, la sopravvivenza, il riscatto. Un piccolo compendio di umanità. Di tutto ciò che è legato all’essere umano, alla sua vera essenza.

9. E’ per questo che ieri, seguendo le notizie sui siti e sui TG italiani sono rimasto davvero basito, e mi sono intristito, per l’ennesima volta. La notizia dei minatori cileni – prima notizia in tutti i siti del mondo, ieri, dalla CNN all’ultimo sperduto sito indiano – ha resistito da noi come prima notizia solo poche ore, fino al terzo o quarto salvato. Già a partire dalle undici del mattino, sui siti la notizia è scivolata al secondo posto, scalzata dalla notiziona degli incidenti tra tifosi alla partita Italia-Serbia. I tg della sera hanno aperto tutti con Italia-Serbia (anche Mentana, che ha dato la notizia dei minatori quasi in chiusura di edizione). Davvero una tristezza: ancora una volta la dimostrazione di quanta fatica faccia il bene – tutto ciò che ho riassunto nell’elenco precedente – a diventare notizia, specie nel nostro cortiletto italico. Per noi la notizia degli ennesimi scontri ad una partita di calcio, dell’energumeno serbo incappucciato (nessun morto, per fortuna, ma va bene lo stesso..) è più importante di una storia epica di disgrazia che diventa riscatto e salvezza grazie alla forza di un intero popolo, alla solidarietà di un intero popolo. No, no, per noi vale sempre di più, e meglio, il rosario delle nostre cattive notizie quotidiane.

Fabrizio Falconi

06/10/10

L'isola sommersa del domani - di Fabrizio Falconi


L'isola sommersa del domani


L'isola è lontana ed è gialla
come la terra inghiottita dall'acqua,
spingono i tuoi bambini
perché vorrebbero farla volare
con le capre, i letti di canne
e il bidone viola, nell'altrove
di altre terra dimenticate e distratte
ma più fortunate
che si ubriacano al sogno demente
di altre isole dove anime disperate
consumano giochi mentre il mondo va in rovina.

Spiegalo tu, ad Hassan, tuo figlio
che la vostra casa di Sukkur
era bella un giorno e gonfia di profumi
e di fiori, e lenta di luce
al tramonto, dorata e lucente
e vuota gaia e silenziosa
come ogni casa dove è entrato l'amore.

Ora non c'è più
e naviga nel limbo di un sogno
aspettando che qualcuno la racconti
che qualcuno, da Occidente
spalanchi gli occhi
per sussurrare le uniche parole
- quelle uniche parole vere -
che si possono sussurrare
alle orecchie di chi muore.


Fabrizio Falconi - 28 agosto 2010