12/01/11

Hereafter - Un capolavoro spirituale.



Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.


In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.


In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.


La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.


Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.


La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:

pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.


Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.


E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.


E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.


E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).


Ma davvero ?


Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.


Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.


Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.


Fabrizio Falconi

6 commenti:

  1. Caro Fabrizio,
    come sempre sollevi argomenti e argomentazioni importanti e che sollecitano l'intelletto. Grazie per questo.
    Relativamente al tema penso che anche il passaggio sia un tipo di evoluzione dell'essere umano, un trapasso (passare attraverso) tramite qualcosa di indefinibile che trasforma, ma non distrugge. La capacità di sapersi sintonizzare con questi corpi in un'altra dimensione energetica e il coraggio di condividere queste esperienze e soprattutto di rispettarle, testimonia il nostro cammino verso, il nostro essere illimitati e in connessione con qualcosa di immensamente infinito, pre-esistente e perfettamente equilibrato. Riuscire a stabilire nuovamente il contatto non può far altro che apportare benessere e serenità alla società umana.

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  2. Sono convinta che coloro che non ci sono più fisicamente siano solo dei "diversamente vivi", vale a dire che sono sempre tra noi anche senza che riusciamo a percepirli. Solo alcune persone hanno questo grande dono di potere entrare in contatto con loro.
    La new age non c'entra nulla, si tratta della realtà in cui viviamo.
    margherita ferrero
    marghebianca@gmail.com

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  3. Cara Francesca, grazie.
    Sono d'accordo, sento la questione nello stesso modo in cui tu la descrivi. Credo che il contatto di cui parli - quello, in definitiva, con lo spirito che misteriosamente ci trascende in questa vita - sia ciò che vada indagato e ricercato e che arricchisca di senso le nostre vite, sempre.
    Fab.

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  4. Margherita, mi piace molto la definizione di 'diversamente vivi'.
    Il mio amico Robert Pogue Harrison ha scritto un meraviglioso libro su questo tema, dal titolo "Il dominio dei morti" (in Italia nelle edizioni Fazi) che raccomando e che apre squarci notevoli di riflessioni sul nostro rapporto con quelli che noi definiamo 'morti'.
    Grazie
    Fab

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  5. ...vi è la comunione dei Santi, l'unione mistica tra vivi e morti, il filo rosso che porta dalla creazione alla risurrezione...abbiamo paura della morte perché dimenticato che siamo entrati in questa vita facendo un esperienza di morte..ci facciamo mille domande sul dopo morte perché pensiamo che quella sia la fine della vita e per vita intendiamo solo quel che vediamo, palpiamo, odoriamo, sentiamo, misuriamo, pesiamo e quant'altro presumiamo ci consenta di conoscerla....confondiamo il mistero che è intravvedere quel che il nostro raziocinio non può contenere con il misterioso che è proiettare la nostra ragione nell'ignoto...basterebbe che ci diciamo come Canetti che è veramente insopportabile il pensare che questa vita debba finire....e riconoscere che non siamo padroni del nostro destino, non siamo artefici della nostra vita, non siamo autori della nostra identità....ma dipendiamo in tutto, per tutto dagli altri...vedrò sta settimana il film e so che mi piacerà perchè comunque esprime questo respiro dell'uomo verso l'invisibile....per dirla con _Guccini, in irano, tenetevi le ghiande lasciatemi le ali....

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  6. Caro Alessandro,
    spero che ti piaccia. poi, se ti va, scrivi le tue impressioni.
    Per il resto, sono completamente con te. In particolare nella tua sottolineatura che nessuno è mai padrone della sua vita, veramente. E che, come scriveva Jung nelle sue memorie, conviviamo con la sensazione di essere stati 'trasportati' qui da qualcosa di oltre, che ci precede e probabilmente ci trascende nel senso e nel significato in una parte che nessuna mente umana può veramente comprendere fino in fondo, e che probabilmente è possibile sentire interamente soltanto per brevi intermittenze del cuore, e solo con il cuore...
    Un abbraccio
    fab

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