30/12/12

Le tre risposte meravigliose - Tolstoj.




Tolstoj scrisse un racconto bellissimo, che forse pochi conoscono e che è il mio modo per augurarvi un buon anno nuovo, il 2013.

In questo racconto c'è un imperatore che un giorno pensò che se avesse avuto la risposta a tre domande, avrebbe avuto la chiave per risolvere qualsiasi problema:

Qual'è il momento migliore per intraprendere qualcosa ?
Quali sono le persone più importanti con cui collaborare ?
Qual è la cosa che più conta sopra tutte ?

L'imperatore emanò un bando per tutto il regno annunciando una lauta ricompensa per chi avesse saputo rispondere alle tre domande.

Ma le risposte che i centinaia di avventori gli diedero, non lo convinsero in nessun modo.

Per la prima domanda risposero nei modi più vari. La cosa migliore era secondo alcuni la costituzione di un Consiglio di esperti, per altri era rivolgersi a maghi e indovini.

Per la seconda domanda, gli consigliarono di riporre la sua fiducia negli amministratori, un altro gli consigliò di affidarsi al clero o ai monaci.

Per la terza domanda, qualcuno disse che l'attività più importante era la scienza, altri dissero l'arte militare, o la religione.

Insoddisfatto, l'imperatore decise di rivolgersi a un eremita, un sant'uomo che si riteneva molto saggio,  che la mattina dopo decise di andare a trovare, scalando la montagna sulla quale si era ritirato a vivere.

Ma giunto al cospetto dell'eremita, questi non rispose a nessuna delle sue domande. Era intento a vangare il suo orto.  "Devi essere stanco, " disse l'imperatore, "lascia che ti aiuti".  L'eremita lo ringraziò , gli diede la vanga e si sedette per terra a riposare.

L'imperatore vangò per due ore, poi mise giù l'attrezzo, e disse all'eremita: "Sono venuto per rivolgerti tre domande. Ma se non sai darmi la risposta, ti prego di dirmelo, così me ne torno a casa mia."  

Ma l'eremita alzò la testa e disse: " Non senti qualcuno che corre verso di noi ?" L'imperatore si voltò di scatto e vide un uomo insanguinato che correva verso di loro, e che si accasciò a terra, a pochi metri.

28/12/12

Affidarsi - The Blind Girl, John Everett Millais.





Amo da sempre questo quadro. 

Lo ha dipinto John Everett Millais nel 1854, e si intitola The blind girl, La ragazza cieca.    

E' un'opera misteriosa, che interroga l'osservatore. 

Al centro, una ragazza cieca. I suoi occhi sono dolcemente chiusi. Su di lei è adagiata una giovane fanciulla (una sorella ?) 

Sono seduti entrambe in un campo di grano, d'estate. Intorno a loro la natura è meravigliosa. E sullo sfondo si staglia nel cielo un doppio arcobaleno.

La ragazza cieca non può vedere. Ha deposto l'organetto, e si è disposta - come pensiamo anche dal dettaglio della mano che sfiora l'erba - ad ascoltare quel che non può vedere, e che forse la fanciulla racconta, vede per lei.

In questo quadro c'è molto della nostra vita. E molto, sul senso del visibile e dell'invisibile.   

La ragazza cieca è costretta (per vedere) ad affidarsi a qualcuno.

Come diciamo spesso: affidarsi ciecamente.

Stringersi nel suo abbraccio, fidarsi, fidandosi anche di ciò che non vede. 

E' una cosa difficile, sempre più difficile. Prendiamolo come un augurio per un nuovo anno che viene. 

Fabrizio Falconi

27/12/12

Don Corsi, il prete di Lerici, il "femminicidio" e gli omosessuali.




Credo che la vicenda dell'incontinente parroco Don Corsi e del volantino affisso sulla sua chiesa a Lerici che ha scatenato un pandemonio, sia una delle più tristi degli ultimi anni. 

Ancor più grave del volantino è stata secondo me l'orrenda telefonata carpita da un giornalista, con l'incredibile domanda stizzita di Don Corsi, rivolta al suo intervistatore: "ma perché, anche lei è frocio ?" 

Questo argomento, come si può constatare semplicemente leggendo i commenti in rete sui vari siti o socials,  dimostra che ciascuno in vicende come queste è indotto a tirare fuori il peggio di sé. 

Siamo un paese veramente tristissimo, ancora alle prese con un maschilismo e un bigottismo vecchissimo (forse da questo punto di vista siamo davvero il paese più arretrato tra quelli occidentali) nel quale c'entrano anche certi comportamenti sciagurati e folli come questo di Don Corsi, delle sue affermazioni e dei media che, sguazzandoci, hanno fatto il resto. 

Dire che una donna rischia di essere violentata o uccisa se si scopre, è roba da paese del terzo mondo fondamentalista - e fra l'altro il termine femminicidio è un orrore nell'orrore - ed è una offesa per le donne e per gli uomini (sani). 

Dire e concludere poi che un uomo che non si sente infoiato da un manifesto provocatorio è "un frocio", vuol dire offendere tutti gli uomini (sani, non le bestie che si infoiano anche per un numero pecoreccio di alvaro vitali), vuol dire offendere nuovamente le donne e vuol dire offendere molto pesantemente anche gli omosessuali. 

Il fatto poi che queste tre offese arrivino da un prete, da un sacerdote che dovrebbe amministrare e propalare misericordia umana - e non anatemi - è ancora più tragicamente triste.

Fabrizio Falconi 

25/12/12

Buon Natale .




Appena qualche giorno fa è trascorsa la notte più lunga dell'anno.

Il solstizio d'inverno ha rappresentato per millenni, per l'uomo, qualcosa di oscuro e di temibile: il sole, durante l'autunno cominciava a brillare sempre meno, e poi sempre meno, e le giornate sempre più corte, finché il sole a dicembre, non riusciva nemmeno ad alzarsi, e andava a morire nel primo pomeriggio.

Il solstizio d'inverno è il punto di non ritorno: il momento in cui il sole - e la vita - sembrano abbandonare la Terra. Ma, invece, da quel buio, da quell'oscurità, ecco: il sole rinasce, ricomincia a crescere. Le giornate, una dopo l'altra, tornano ad allungarsi, la luce ritorna.

Tutte le civiltà del passato avevano una grande festa - piena di implicazioni simboliche - legate al solstizio d'inverno. I romani, come è noto, la celebravano con il rito del  Sol Invictus.

E non è un caso che anche la festa del Natale Cristiano sia stata posizionata nel calendario, in questo periodo: simbolo di rinascita, di rinnovamento, di speranza, e di luce.

Nel Natale cristiano non si celebra soltanto la nascita di un simbolo (tanto per tornare a ieri), ma la nascita di un corpo.  

Il Cristianesimo è l'unica religione che si identifica  totalmente con una persona: la persona di Gesù di Nazareth.

Dal Monastero di Bose, la Comunità fondata, vicino a Biella, da Enzo Bianchi, arrivano i preziosi libri delle edizioni Qiqajon.

Da Brucia, invisibile fiamma, antologia poetica pubblicata nel 1998, ecco Nascita di Cristo  di Rainer Maria Rilke.

Non avessi tu il candore, come potrebbe
accadere a te ciò che rischiara ora la notte ?
Guarda il Dio dell'ira sopra i popoli
si fa mite, e viene in te nel mondo.
Vedi, questi re sono grandi,
ed innanzi al tuo grembo a te trascinano
tesori, quelli che ritengono i più grandi,
e tu stupisci forse a questi doni:
ma guarda, tra le falde del tuo panno,
come ora lui su tutto passa oltre.
Tutta l'ambra che lontano in mare, si trasporta,
ogni gioia d'oro e quell'aereo aroma che bruciando
si disperde nei sensi e si consuma:
di fulminea brevità fu tutto questo,
e alla fine fu solo rimpianto.
Ma (lo vedrai): Egli dà gioia.



Buon Natale


Fabrizio Falconi

23/12/12

Andrej Tarkovskij - "Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj".



Difendere tutto ciò che è spirituale. 

E’ il compito che Andrej Tarkovskij si era dato e che cercò di fare strenuamente, finché fu in grado, con i suoi film. 

Il più misterioso dei quali, forse resta proprio Lo Specchio (titolo originale Zerkalo), girato nel 1975, e infarcito di immagini simboliche e di citazioni di versi del padre del regista, il poeta Arsenij.

Nei Diari del periodo, Tarkovskij, riferisce anche delle critiche e degli insulti ricevuti (come gli capitava spesso per ogni nuovo film) e commenta: 

Lo specchio è un film antiborghese e perciò non può non avere una gran quantità di nemici. Lo specchio è un film religioso. Naturalmente quindi, incomprensibile per la massa, abituata al cinema da quattro soldi e incapace di leggere libri, di ascoltare musica, di osservare un dipinto. Alle masse in genere serve qualcosa di divertente, di distensivo, di spettacolare, sullo sfondo di una “storiella” edificante… il mio compito è di occuparmi di quello che Dio mi ha dato senza badare alla invettive di chicchessia. Non è che io pensi di me cose molto esaltanti, è solo che ognuno deve portare la sua croce. E sarà il tempo a dire se è stata una meritata beffa, o se avevo ragione io. Una persona egoista non può leggere e amare Tolstoj.


(In testa: video elaborazione di alcune immagini del film Lo Specchio). 

22/12/12

Martin Buber: Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.




Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Martin Buber, Il cammino dell'uomo.


19/12/12

Dieci luoghi dell'Anima, dal Negev a Taizé - Una intervista a Fabrizio Falconi di Eleonora Bianchini




L'unica funzione della nostra coscienza è quella di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall'anima. Fabrizio Falconi raccoglie l'eredità di Andrej Tarkovskij nel suo "Dieci luoghi dell'anima - dieci itinerari dieci storie" (Cantagalli, pagg. 114, euro 13.90) per raccontare con l'armonia delle parole la manifestazione della spiritualità, passando dal Monastero del Monte delle Tentazioni di Jericho fino a Taizè. 

Perchè hai deciso di scrivere questo libro? 
Dopo tanti viaggi volevo fare i conti con alcuni luoghi che si erano sedimentati nella coscienza e anche nell'in-coscienza - nei sogni per esempio. Ci sono posti al mondo che non ci lasciano indifferenti e che continuano a parlarci anche a distanza di molto tempo. 

La fede è una conditio sine qua non per apprezzare la bellezza dei luoghi che descrivi? 
No. Chiunque capiti su queste strade, a prescindere dal suo percorso personale e dalla fede può goderne l'incanto e la bellezza. 

Eppure i tuoi Luoghi dell'anima sono sempre legati a un sentimento di religiosità cristiana. 
Hanno storie vecchie di anni, secoli e millenni, che solo in parte si intersecano con la storia cristiana. Però, i dieci che ho scelto possiedono anche un forte legame con eventi legati alla tradizione e alla fede cristiana. Ed è ovvio che da questo punto di vista se si leggono, se si vivono in una prospettiva di fede, hanno ancora più cose da raccontarci. 

In che modo chi non ha fede può gustare la dimensione spirituale dei luoghi che descrivi? 
Con il rispetto della loro storia e delle voci dei morti che li abitano. E in ciascuno di noi convivono parti diverse: in ogni credente esiste un potenziale non credente, messo a tacere dal conforto della fede. In ogni ateo può esistere una disponibilità - se non altro teorica - all'ascolto di quello che la fede ha da dire.

Qual è il luogo a cui sei più legato?
Difficile scegliere. In questi ultimi anni ho sentito una forte attrazione verso l'Arco di Malborghetto, alle porte di Roma, quasi totalmente sconosciuto ai romani. Ha una storia meravigliosa, lunga diciassette secoli, e probabilmente è il luogo dove Costantino Imperatore ebbe quella celebre visione che cambiò l'intera storia dell'Occidente. Poi è un luogo bellissimo, immerso in una campagna lussureggiante, in un silenzio straordinario.

Ti identifichi in "un uomo cresciuto dentro una tradizione occidentale e cristiana lunga due millenni". Credi che esistano luoghi spirituali che possano accomunare tutti i popoli oltre le religioni? Quali?
Penso ce ne siano in tutto il mondo, a prescindere dal credo. Alcuni di questi luoghi che cito, come la statua del Redentor di Rio de Janeiro, o il deserto del Negev in Israele, accomunano uomini e donne aldilà della provenienza e della fede. E penso valga anche per Stonehenge, Machu Picchu o il Taj Mahal, luoghi simbolo del cammino spirituale dell'uomo per cercare di decifrare il mistero della nostra presenza sulla terra.

In Occidente i monasteri e le comunità sono luoghi di beatitudine spirituale e centri di interesse anche per i non credenti, come abbiamo visto al cinema con il successo de Il grande silenzio o con i numerosi pellegrini nella Comunità di Bose di Enzo Bianchi. Perchè anche chi non crede è spinto verso questi luoghi?
Oggi chi non crede si sente terribilmente inquieto. Sono cadute le vecchie certezze. Ci sentiamo un po' come i naufraghi di Lost, sperduti su un'isola sconosciuta e minacciosa, senza i nostri padri che ci possano aiutare, confortare, salvare.
In questa situazione, dove si decidono i destini di un nuovo cominciamento, o di una definitiva auto-distruzione (pensiamo alla situazione del pianeta) è naturale che si senta il bisogno di voltarsi indietro, di fare silenzio, di capire qualcosa della nostra storia, di chi siamo, del perché siamo arrivati a questo punto, del come siamo arrivati fino a qui.
In questo senso, alcuni di questi luoghi, come Bose o Taizè, permettono di fare silenzio e di ascoltare la voce più autentica che parla dentro di noi.

L'ultimo luogo è appunto Taizè, la comunità fondata da frère Roger, che esprime una Chiesa aperta e protesa all'ascolto del prossimo, ben oltre le differenze delle singole confessioni.
A Taizè sono arrivato con mille piccole diffidenze e con molta ritrosia. Eppure, quel luogo mi ha subito parlato. Ha parlato alla mia anima. Lì non c'è costrizione o condizionamento, si respira una fede libera e sincera, senza artifici o sovrastrutture. E questa, io credo, è l'unica fede che può parlare all'uomo di oggi.

Eleonora Bianchini -  tratto da La poesia e lo Spirito.

17/12/12

Meister Eckhart - Un mistico nel silenzio di Dio - di Giorgio Montefoschi.




Eckhart, un mistico nel vuoto di Dio
Per il «Meister» della Turingia il silenzio conduce alla Verità

Meister Eckhart - scrive Marco Vannini, il suo massimo studioso, nell'introduzione al «Commento alla Sapienza» contenuto nel volume in cui sono raccolti i Commenti all'antico Testamento (Bompiani, pp. 1548, € 35) - non ha mai pensato alla mistica, né tanto meno di essere un mistico, laddove per misticismo si intende un'esperienza intuitiva, segreta, del divino. Il padre domenicano nato attorno al 1260 in Turingia, priore nel convento di Erfurt, professore di teologia a Parigi, processato per eresia nel 1326, morto presumibilmente nel 1328, pensava che l'unico cammino possibile dell'uomo verso la verità che è Dio fosse il cammino della ragione. La ragione: l'intelletto è l'universale che è nell'uomo; il Logos generato da Dio che è nel mondo e all'interno di ogni uomo: di un pagano come di un cristiano, di un musulmano come di un ebreo.

Per poterlo conoscere, l'uomo giusto deve distaccarsi dal determinato, da quello che vede con i suoi occhi, pensa con il suo pensiero, ama con la sua volontà e insegue con il suo desiderio. Deve distaccarsi dal tempo e dal proprio io e pervenire a quel «fondo dell'anima» dove è assoluto silenzio e nulla, ma dove finalmente zampilla ciò che abbiamo di più profondo. «A stento valutiamo le cose terrestri, a fatica scopriamo quelle davanti agli occhi? Ma chi può rintracciare le cose del cielo?», recita la Sapienza in uno dei suoi versetti più sublimi. Le «cose del cielo», risponde Eckhart, ci appaiono quando un silenzio le avvolge; quando l'anima riposa dal tumulto delle passioni e dalle occupazioni mondane, tutte le cose per essa tacciono ed essa tace per tutte. «Lì», dice Agostino, il più citato da Eckhart, «è il luogo della quiete che non conosce turbamento», ed è lì che l'uomo deve porre la sua dimora. Dice Giobbe: «In visione notturna, quando cade il sopore sugli uomini e si addormentano sul giaciglio, allora apre i loro occhi e li ammaestra». Se vuole le «cose del cielo», e sentire la piena unione con Dio che vive nel nostro cuore, l'uomo deve annullarsi al di là di ogni possibile concezione umana dell'annullamento. Non si tratta soltanto di non invocare Dio con immagini terrene e del tempo; anche la sola invocazione muta, il solo desiderio di essere in comunione con Dio ci fa piombare nella determinazione e nelle cose finite. Dio, invece, è indeterminabile, non numerabile, Uno. Epperò è nel nostro cuore: è in noi. Quindi, come Lui genera e crea la Parola che prende forma nel mondo, anche noi generiamo e creiamo, continuamente - una idea immensa - purché ogni sapere umano sia rimosso. È un punto fondamentale. 

Se si domanda perché Dio abbia creato tutto, cioè l'universo - dice Eckhart - bisogna rispondere: «Perché fosse». Dio fece tutte le cose perché fossero, cioè perché avessero l'essere all'esterno, nella realtà naturale, sebbene fossero in lui (come le idee di Platone) dall'eternità. Dunque, il fine è l'essere. E la generazione - ne consegue - è amore. Quindi noi proseguiamo l'amore.

16/12/12

Rainer Maria Rilke - Lettera di Natale alla madre.






Castello di Berg am Irchel Cantone di Zurigo, Svizzera 17 dicembre 1920 


Mia cara Mamma, 

ancora una volta, alla nostra ora benedetta, la più amorevole memoria dei Natali passati e il desiderio che ogni anno, dopo tempi tanto malvagi, Ti possano essere concesse feste più quiete e pacifiche e, finalmente, anche in una casetta tutta Tua! 

Detto questo detto tutto; e ora non c'è tanto da leggere quanto entrare in se stessi, e preparare per la celebrazione più santa dell'anno un presepio nel nostro cuore, affinché esso e il Salvatore in lui possano davvero tornare al mondo col giusto fervore! 

Quel che Ti auguro, cara mamma, è che in questa santa sera la memoria di tutta l'emergenza e, anzi, la consapevolezza dei problemi incombenti e dell'insicurezza dilagante possano essere del tutto sollevate e in certo qual modo dissolte in quell'intimissima sapienza della grazia per la quale nessun tempo è troppo pregno di fatalità e nessuna angoscia è tanto serrata che essa non sappia al tempo suo -che non è il nostro!- entrare e penetrare con la sua mite vittoria quanto sembrava insuperabile. 

Non c'è nessun momento in un lungo anno in cui possiamo richiamare nel nostro animo la sua sempre possibile manifestazione e onnipresenza così vividamente come in questa notte invernale da secoli indipendente, che con l'incomparabile arrivo di questo bimbo capace di trasformare tutti gli esseri viventi ha raggiunto e superato con un colpo solo la somma di tutte le altre potenze terrene. 

Per quanto la lieve estate, quando l'esistenza sembra considerevolmente più sopportabile e meno faticosa, quando non dobbiamo difenderci da aggressioni così immediate da parte dell'aria e della natura serenamente impegnata... per quanto la più felice delle estati possa viziarci con le sue consolazioni, cosa sono esse di fronte agli incommensurabili tesori di conforto di questa notte dall'apparenza insignificante e anche povera che d'un tratto si apre verso l'interno come un cuore che tutti abbraccia e scalda e che davvero con i battiti del suo cuore, quasi rintocchi di campane, risponde a noi che tendiamo l'orecchio con la più fervida attenzione! 

Tutte le premonizioni dei tempi andati non sono bastate ad annunziare questa notte, tutti gli inni che sono stati cantati in suo onore mai hanno sfiorato il silenzio e la tensione in cui si inginocchiano pastori e Re Magi: e così anche per noi, poiché mai nessuno di noi è stato in grado, mentre passa su di noi questa notte di prodigio, di segnare i confini della propria vita. 

Proprio questo è il mistero dell'uomo inginocchiato, dell'uomo profondamente inginocchiato: che è più grande, secondo la sua natura spirituale, di quello in piedi! Il mistero che si celebra questa notte! L'uomo inginocchiato, che si abbandona del tutto sulle ginocchia, smarrisce tuttavia le proporzioni del suo ambiente, persino alzando gli occhi non saprebbe più dire cosa è grosso e cosa è piccino. Ma per quanto così piegato raggiunga a malapena l'altezza di un bambino, tuttavia egli, quest'uomo inginocchiato, non può certo essere detto piccolo. 

Con lui si sposta la scala ed egli, seguendo nelle sue ginocchia la gravità e la forza che gli sono proprie e prendendo il posto che loro compete, appartiene già a quel mondo in cui l'altezza è profondità e, se già l'altezza rimane incommensurabile al nostro sguardo e alle nostre possibilità, chi potrebbe mai misurare la profondità? Questa però è la notte della profondità spalancata e radiosa: possa, cara mamma, essere a Te consacrata e benedetta. 

Amen. 

Le sei di sera del Natale 1920 René* 


15/12/12

Strage del Connecticut




Strage del Connecticut



Le ossa spezzate
il sangue degli innocenti
la testa rovesciata
nel cumulo insensato degli orrori
l'onta criminale
di chi non arresta la piena

non è solo follia

l'alibi più grande e confortevole


vanno in processione
                                                                       i piccoli nel mondo
morti
senza un vaneggiamento ognuno li segue
chiedendo conto al ciclo infinito
di farli tornare
di consegnare un'altra possibilità
                                                                       non rispondono

hanno troppo da fare
vogliono liberarsi
cavalcare i prati delle colline eterne
rompere gli indugi
prepararci il terreno
farci dimenticare
curare il nulla
che abita i nostri cuori.



Fabrizio Falconi - per la strage di bambini del Connecticut, 14 dicembre 2012

14/12/12

La saggezza di Tancredi.




C'era un vecchio, al paese, che non aveva fatto altro, nella sua vita che riparare e vendere scarpe. 

Si chiamava Tancredi.  E il mio ricordo gli assegna un cappello di paglia per l'estate con larghe tese e di feltro d'inverno che sfoggiava immancabilmente mentre sedeva lunghe ore, quando era ormai vecchio e lavorava poco, fuori dal negozio sul Corso. 

Guardava la gente passare.  Scambiava parole, sorrideva ai bambini, si sgranchiva, tornava a sedersi. Controllava che nel negozio tutto andasse bene. 

E' morto in pace, è morto amato. 

Io amo a mia volta queste persone che sono state e sono capaci di realizzare vite semplici, dedicandosi ad una sola cosa, alla cura di una cosa, che diventa il senso compiuto di una vita. 

E' questo che dovrebbe essere il compito di ogni uomo: fare ciascuno il proprio - senza nuocere agli altri, senza realizzare il male - compiere la propria opera.

Tutti sappiamo che ogni cosa umana, raffrontata all'eterno e alla bizzarria della nostra esperienza terrestre mortale, appare - se appena guardata con obiettività - inutile, insensata o folle. 

Ma la rotondità di una vita spesa per un fine, coltivando il proprio talento - qualunque esso sia -  è quello che spezza anche le ruote dell'eterno, mette insieme nascita e morte, intelligenza e sentimento, prolungamento, inizio e fine, destino e origine. 


Fabrizio Falconi



13/12/12

Prima conosci te stesso.





Molte persone non fanno altro che interrogarsi sul destino: vogliono sapere del futuro, di come e se verrà realizzato il proprio talento, di come e se si riceveranno amore o doni dalla vita. 

Sono sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che sappia divinare, gettare un lume di chiarezza sul proprio destino, sul perché - fondamentalmente - si è venuti al mondo. 

Molti non sono nemmeno coscienti di avere un qualsivoglia talento (non si parla qui di talento solamente creativo, si parla di tutti i talenti della vita, quello per esempio di saper amare, o di essere generosi o di saper comunicare..).   

Eppure ciascuno ne possiede uno, si tratta di conoscerlo. E soprattutto di farlo fruttare come indica anche il racconto evangelico (Mt 25, 14-30)

Ciò che però spesso sfugge è l'esistenza di una premessa importante senza la quale nessun destino (o daimon o vocazione) può mai essere raggiunto o intra-visto.

Si dovrebbe sapere che proprio al di sotto dell'Omphalos del più famoso oracolo dell'antichità, a Delfi, era scritto a chiare lettere: Γνῶθι σεαυτόν, ovvero:  'Conosci te stesso'.

Nessun responso sul futuro, nessuna conferma o smentita mai arriverà a nessuno, se prima non si lavora su se stessi, duramente, se prima non si conosce veramente chi si è.

Questo vale per ogni campo della vita, da quello affettivo a quello delle relazioni umane, del lavoro, della creatività.

Ad un giovane scrittore che ardeva dal desiderio di raccontare, di diventare poeta e narratore e che al medesimo tempo, si sentiva indeciso su cosa scrivere, cosa raccontare, Aleksandr Sergeevič Puškin rispose con una lapidaria sentenza:  prima conosci te stesso. 


Fabrizio Falconi

Foto in testa: Omphalos di Delfi (copia ellenistica-romana dell'originale andato perduto), conservata nel Museo Archeologico di Delfi. 


12/12/12

75.000 visite per il Blog di Fabrizio Falconi.






Vorrei ringraziarvi tutti, per aver raggiunto - in così poco tempo - la cifra ragguardevole di 75.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio mira a rivolgersi, con umiltà, dal basso, alle cose vere e importanti delle quali spesso non ci occupiamo, troppo presi a fare altro

Ma sempre più è diventato anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno, insieme alla vita che viviamo.

Grazie.

Fabrizio

11/12/12

Kafka: dopo 95 anni riappare una lettera sul terrore per i Topi.





Una lettera autografa di FranzKafka (1883-1925), in cui rivelava all'amico Max Brod il suo terrore per i topi, e' stata acquistata dal Deutsches Literaturarchiv, l'Archivo tedesco di letteratura che ha sede a Marbach am Neckar, per 96 mila euro ad un'asta della casa Kaupp. 


La lettera fu scritta nel dicembre 1917, mentre l'autore praghese si trovava nella fattoria della sorella Ottla per curarsi dalla tubercolosi, in Boemia. 

Il contenuto della missiva era gia' noto agli studiosi ma non si sapeva dove si trovasse l'originale, che ora e' saltato fuori con l'asta dopo 95 anni. 

Sembra che la lettera abbia cambiato almeno tre proprietari negli ultimi trent'anni. Il Deutsches Literaturarchiv mettera' in mostra l'autografo appena acquistato con altre carte di Kakfa nella prossima primavera.

Nella lettera Kafka racconta di vivere nel terrore a causa dei topi presenti nella sua stanza, di essere paralizzato da questa idea, tanto da pensare a trappole ma anche ad un gatto. 

Ma alla fine pensa che forse sarebbe meglio ricorrere alle cure di uno psicanalista per guarire da quella fobia.

La lettera di Kafa fa quasi certamente parte di quelle carte originali dello scrittore boemo che Max Brod porto' con se' in Palestina prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, nonostante l'amico gli avesse chiesto di bruciarle. 

Da allora la proprietà di quei documenti, tra cui inediti di Kakfa, è al centro di una complessa vicenda legale tra Israele, la Germania e gli eredi dell'ex segretaria di Brod. 

Una recentissima sentenza del tribunale di Tel Aviv ha stabilito che tutte le carte di Kafka affidate a Brod sono di proprieta' dello Stato di Israele. Non e' escluso che l'acquisto di questa lettera da parte della Germania apra un nuovo caso legale. 

10/12/12

Charles Dickens: riapre oggi a Londra la sua casa-museo .



A conclusione delle solenni celebrazioni per il bicentenario della nascita, riapre a Londra in pompa magna il Charles Dickens Museum, l'unica casa-museo dello scrittore che si puo' ancora ammirare nella capitale inglese. 

Dopo otto mesi di lavori di ristrutturazione, da oggi, lunedi' 10 dicembre, i visitatori potranno entrare di nuovo in quella che fu la casa abitata da uno dei maggiori romanzieri inglesi, vissuto tra il 1812 e il 1870. 

Il restauro dell'edificio in stile vittoriano e' costato 3,1 milioni di sterline, in gran parte pagato grazie ai proventi dell'Heritage Lottery, la lotteria nazionale britannica che raccoglie fondi per i beni storico-artistici. 

Il Charles Dickens Museum, al numero 48 di Doughty Street, nel quartiere di Bloomsbury, riapre dunque con nuove sale espositive e postazioni multimediali, con una sala conferenze, un caffe' e un bookshop. 

I visitatori durante il loro tour potranno anche ascoltare l'attore Simon Callow che recita alcuni passi dello scrittore. 

Nella casa di Doughty Street, dove visse tra il 1837 e il 1840, Dickens concepi' e scrisse alcuni dei romanzi piu' amati della letteratura inglese, come "Oliver Twist" e "David Copperfield". 

Il museo e' stato arredato con molti oggetti e mobili appartenuti a Dickens, tra i quali spicca sua scrivania personale. 

Sono esposti quadri, numerose fotografie della sua famiglia, molte delle quali inedite, e numerose lettere autografe. I visitatori potranno ammirare anche la ricostruzione della sala da pranzo originale. 

Il museo, riferisce la stampa inglese, sara' l'unico aperto a Londra nel giorno di Natale come omaggio a Dickens, considerato il 'padre' del Natale vittoriano. 

09/12/12

La poesia della Domenica: 'La madre di Dio' di William Butler Yeats.




La Madre di Dio 

Triplice sgomento dell'amore:
un bagliore di fiamma nel cavo di un orecchio,
ali che battono in giro per la stanza;
sgomento d'ogni sgomento,
recare i cieli nel mio grembo.

Non ero forse contenta nella scena
che ogni donna comune conosce,
il camino, il vialetto del giardino,
la cisterna di pietra dove battiamo i panni
e raccogliamo le chiacchere?

Che cos'è questa carne che acquistai con dolore,
questa stella caduta che il mio latte sostenta,
questo amore che arresta il mio sangue nel cuore
o mette un freddo improvviso nelle ossa
e fa rizzare i capelli?

William Butler Yeats (1865 - 1939) in Poesia 64 (1993) pag.9, tr. di A.Marianni.

03/12/12

"Cosa perdono quelli che non vogliono figli" - un intervento di Ferdinando Camon.




Cosa perdono quelli che non vogliono figli 
di Ferdinando Camon.

Si sta diffondendo il pensiero che è bello non avere figli: i figli sono una disgrazia, rovinano la vita e il pianeta. Il pensiero diventa un movimento, il de-natalismo, e prende piede in Francia, Italia e soprattutto in Belgio. Qui i de-natalisti hanno inventato una festa annuale, a Bruxelles, dove si trovano, cantano canzoni e alzano boccali di birra. E citano uomini illustri senza figli. Ma citano male. Moravia non era un senza-figli. Era un mancato-padre circondato da mancati-figli.

Quando andavano a trovarlo, Dario Bellezza, Achille Serrao e gli altri, toccavano tutto, spostavano tutto, come fanno i cattivi figli di un padre scrittore. Uno sgattaiolava fuori dalla porta, Alberto lo inseguiva col bastone: “Cos’hai preso?”, “Ma niente Alberto, poi te lo riporto”. Sono gli aspetti vischiosi e fastidiosi della famiglia, che fanno una falsa famiglia. Pasolini dice in una poesia di aver amato una prostituta ma non è nato un figlio, e di questo era contento. Non ha mai affrontato il problema se la sua omosessualità fosse una fuga dalla paternità. Quando esplose la domanda, era in analisi da Musatti. Smise subito. Troppa angoscia. 

Sì, certo, senza figli si lavora meglio. “Tu hai dato degli ostaggi alla vita”, mi ammoniva Meneghello, qui nello studio dove sto scrivendo. L’aveva già detto Bacone: “Se hai dei figli, non farai più grandi azioni, né virtuose né vituperose”. I figli ti bloccano nella mediocrità. Sono ostaggi del nemico, in una vita che è guerra. Ma se noi, padri, siamo un esercito in guerra, i figli sono l’avanguardia e la retroguardia: la protezione. Riempiono i vuoti del passato e vanno in avanscoperta sul futuro che non vivremo. 

Io non so come ho capito i primi film che vedevo, da bambino. Ma mi si spalanca una luce quando vedo la nipotina che guarda incantata il risveglio di Biancaneve, poi Biancaneve sparisce ed appare la matrigna, la piccola osserva in giro sbalordita e domanda: “Dov’è Biancaneve?”. È convinta che, se non è più nel televisore, è uscita dal televisore e cammina nella stanza. Qualcosa del genere dev’essere capitato al mio cervello, quand’ero piccolo, perché a questa ri-scoperta si eccita. Senza figli e nipoti avrei un cervello non eccitato, che vuol dire piatto. 

A 6 anni il primo dei miei figli fece un sogno: “I monti mi dicevano: quando morirai, crescerai”. Significa che ogni conquista passa attraverso una morte? Al fondo del mio cervello c’era questo concetto, non ero sicuro che fosse la verità, ma il sogno del figlio me lo confermava. Lui amava il cinema. Un giornale mi mandava un tesserino perché andassi alla Biennale, lui me lo rubava e ci andava lui. Sul tesserino c’era la mia foto, lo lasciavano passare perché lui era identico a me. 

Questo resta in me l’esempio di cosa vuol dire rinascere in un altro: quando la burocrazia controlla quell’altro e lo scambia per te. A volte mi càpita di cercare un libro che non ho mai letto, lo apro e lo vedo pieno di segni a matita. Sono segnate le frasi giuste con i giusti segni, asterischi, cerchi, punti interrogativi o esclamativi. Ma se non ho mai letto quel libro, chi ha fatto quei segni? Un figlio. Dunque, io ho letto quel libro non come io, ma come figlio. E allora, continuerò a leggere libri, segnandoli con i miei simboli, anche quando non ci sarò. 

I bambini si ammalano, come tutti, e finiscono in Pediatria. L’ospedale vuole che di notte stiano soli, se c’è bisogno ci sono gl’infermieri. Ma le madri non vogliono lasciarli, e si nascondono negli armadi. Il primario prima di andarsene apre gli armadi e scaccia le madri, allora queste si nascondono nei bagni. Le ho viste. I figli sono il sancta sanctorum della famiglia, non possono restare senza sentinelle. 

Quando andavo a prendere un figlio all’asilo, o adesso una nipotina, la maestra lo chiama e gli chiede: “Chi è questo signore per te?”, perché ci sono i ladri di bambini, i bambini sono un valore. Diciamo sempre che non ci sono più valori: eccolo, un valore. 

Ho sentito una madre raccontare: “Passeggio con la figlioletta, questa si nasconde, non la vedo più, e mi son detta: Mi uccido”. Ho sentito una madre friulana cantare una canzone al figlio ricoverato in ospedale: “Signor del Cielo ascoltami, / non farlo mai soffrire, / se c’è dolor per lui, / ti prego dallo a me”: voleva soffrire e morire al posto del figlio. 

È difficile che chi non ha figli attraversi quest’esperienza, voler morire al posto di un altro. Per chi li ha, è un’esperienza perenne. Essere umani vuol dire questo. A Bruxelles alzano boccali di birra per la gioia di non avere figli? Avranno, come tutti, disgrazie nella vita, ma nessuna più grave di questa.

Ferdinando Camon  La Stampa, 2 dicembre 2012.

(foto in testa di Elliot Erwitt)

02/12/12

La poesia della domenica - 'Dare e avere' di Salvatore Quasimodo.





Dare e avere

Nulla mi dai, non dai nulla
tu che mi ascolti. Il sangue
delle guerre s'è asciugato,
il disprezzo è un desiderio puro
  non provoca un gesto
da un pensiero umano,
fuori dall'ora della pietà.
Dare e avere. Nella mia voce
c'è almeno un segno
di geometria viva,
nella tua, una conchiglia
morta con lamenti funebri.


Salvatore Quasimodo, da Dare e Avere (1959-1965) - Tutte le poesie, introduz. di Gilberto Finzi, Mondadori 1965, pag. 255.



28/11/12

Caproni: domani a Roma un'antologia e un convegno.




In occasione del centenario dalla nascita del poeta Giorgio Caproni (Livorno, 7 gennaio 1912 - Roma, 22 gennaio 1990) la 'Dante Alighieri' pubblica un'antologia degli scritti del poeta e promuove un convegno nazionale di studi, giovedi' alle 16,30, al Palazzo Firenze di Roma. 

L'antologia 'Giorgio Caproni' propone una quarantina delle sue più note poesie, alcuni brani in prosa e lettere a parenti e ad altri scrittori. Tutti i testi sono introdotti e annotati da Francesco De Nicola, professore di Letteratura Italiana Contemporanea, e Maria Teresa Caprile, che insegna Letteratura e cultura italiana a stranieri, entrambi dell'Universita' di genova. 

Durante il convegno, dal titolo desunto da una sua poesia, 'Caproni, vivo tra i vivi', verra' presentato il libro e i tre docenti universitari Alfonso Belardinelli, Ermanno Paccagnini e Marcello Carlino, illustreranno la vita e l'attivita' letteraria di Caproni. 

26/11/12

Pietro Citati: Flaubert, ritratto d'artista da giovane solitario.




Riporto qui una anticipazione del bellissimo articolo comparso il 20 novembre 2012 sul Corriere della Sera, su Gustave Flaubert, firmato da Pietro Citati. 


Flaubert, ritratto d'artista da giovane solitario Era nato per il riso, il grottesco e la buffoneria ma con la malattia scoprì il senso della rinuncia

A ventun anni Gustave Flaubert era bellissimo: di una bellezza eroica, scrisse Maxime du Camp. Aveva una pelle bianca leggermente rosata sulle guance, lunghi capelli fini e ondeggianti, era alto e largo di spalle, aveva la barba abbondante e di un biondo dorato, gli occhi enormi, color verde mare, protetti da sopracciglia nere: mentre una voce echeggiante come un suono di tromba, i gesti eccessivi e un riso squillante ricordavano i giovani condottieri galli che avevano lottato contro le armate romane. Salmodiava la prosa, urlava i versi, s'infatuava di una parola che ripeteva sino alla sazietà, riempiva tutto col suo rumore, sdegnava le donne attratte dalla sua bellezza, svegliava gli amici alle tre del mattino per portarli a vedere un effetto di chiaro di luna sulla Senna. Aveva un'immensa vitalità fisica. Sembra che solo il mare potesse fronteggiarlo. La primavera e l'estate era sempre nell'acqua, nella Manica e nella Senna, nuotando e vogando su un canotto, che il padre gli aveva acquistato.

Il padre gli aveva imposto di studiare legge, abbandonando la letteratura; e il 10 novembre 1841 si iscrisse alla facoltà di Diritto di Parigi, sebbene continuasse ad abitare a Rouen. L'8 gennaio 1842 era a Parigi. Discese all'Hôtel de l'Europe, rue Le Pelletier, e scrisse alla madre. «Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile, come dice Candide»: poi si informò sul programma e gli orari del corso del primo anno. Ma il diritto non era, per Flaubert, «il migliore dei mondi possibili». «La giustizia umana», scrisse qualche mese dopo a un amico, «è per me quello che c'è di più buffonesco al mondo, un uomo che ne giudica un altro è uno spettacolo che mi farebbe crepare dal ridere, se non mi facesse pietà... Non vedo nulla di più idiota del diritto, se non lo studio del diritto. Ci lavoro con un estremo disgusto».

Malgrado queste dichiarazioni, cominciò a studiare legge, a Rouen e nell'appartamento che aveva affittato a Parigi al numero 19 della rue de l'Est. Era furibondo. «Il diritto mi uccide - scriveva il 25 giugno 1842 a Ernest Chevalier -, mi abbrutisce, mi sconnette, mi è impossibile lavorarci. Quando sono rimasto tre ore con il naso sul Codice, durante le quali non ho capito nulla, mi è impossibile andare oltre, mi suiciderei». «Voglio finirla prima possibile - ripeteva il 10 dicembre alla sorella Caroline -, perché non può durare più a lungo così, finirei per cadere in una condizione di idiotismo o di furore. Questa sera, per esempio, sento simultaneamente queste due piacevoli condizioni di spirito». «Sono così irritato, così infastidito, così furioso - continuava 5 mesi dopo -. Qualche volta ho voglia di dare dei pugni al mio tavolo e di far volare tutto a pezzi: poi, quando l'accesso è passato, mi accorgo dalla mia pendola che ho perso mezz'ora in geremiadi, e mi rimetto ad annerire della carta e a voltare le pagine più velocemente di prima». Bestemmiava spaventosamente, alternava ruggiti e sbadigli, pestava i piedi, gettava grida di desolazione.

Quando lo studio del diritto non gli offuscava la mente, faceva la parte del Garçon: un ruolo ilare, grottesco, rabelaisiano, che derideva l'immensa idiozia del mondo, e insieme se stesso. Se entrava in questa parte, non poteva uscirne. Diceva e ripeteva levando le braccia in un gesto di ammirazione: «Non so se tu capisci la grandezza di questo: quanto a me, lo trovo enorme (anzi: hénaurme)». E gridava. «È enorme! Enorme!». Quando gli amici non condividevano il suo entusiasmo, li trattava da bourgeois, che era la sua massima ingiuria. A Parigi, cenava frequentemente da Dagneau, rue de l'Ancienne Comédie, insieme a Louis de Cormenin, Maxime du Camp e Alfred Le Poittevin. Restavano sino all'ora della chiusura, chiacchierando con i gomiti sul tavolo. Parlavano di tutto, tranne che di politica. Dalla personalità di Dio e dall'identità dell'io fino alle buffonerie dei piccoli teatri, tutto era buono per gettarsi in teorie a perdita d'occhio. «Saltavamo - continua Maxime du Camp - da un soggetto all'altro senza preoccuparci troppo delle transizioni. Mi ricordo una conversazione a proposito di una farsa recitata allora al Palais-Royal, che continuò con l'analisi del libro di Gioberti sull'estetica, e finì con l'esposizione delle Idee ebraiche di Herder».

Malgrado la compagnia degli amici, aveva una profondissima nostalgia per la famiglia. Scriveva a Caroline: «Ora sono tutto solo che penso a voi, immaginando quello che fate. Siete là tutti accanto al fuoco, dove io solo manco. Si gioca al domino, si grida, si ride, si è tutti insieme, mentre io sono qui come un imbecille, con i due gomiti sulla tavola a non sapere che fare... Amo la mia vecchia stanza di Rouen, dove ho passato delle ore così tranquille e così dolci, quando sentivo attorno a me tutta la casa muoversi, quando tu venivi alle quattro per fare della storia o dell'inglese, e invece di storia e inglese parlavi con me fino a cena. Per amar vivere in qualche luogo, bisogna viverci da molto tempo. Non è in un giorno che si scalda il proprio nido». «Quando penso a voi altri, qualcosa di buono e di dolce mi rianima e mi rinfresca, mille tenerezze gaie mi tornano al cuore, e vado dall'uno all'altro guardandovi tutti andare, venire, parlare col suono della vostra voce».

A Rouen, amava soprattutto Caroline, il suo «topo», il suo «topolino»: «Se mi ami molto è giusto, perché io ti 
ho molto amata». A Caroline era legato da una strettissima complicità: insieme condividevano la letteratura e il riso - le due divinità di Gustave. «Ho nelle orecchie il tuo riso sonoro e dolce, quel riso per il quale mi farei crepare in buffonerie, per il quale darei la mia ultima facezia, persino la mia ultima goccia di saliva». A volte, solo, nella camera di Parigi, faceva smorfie nello specchio, o gettava il grido del Garçon, come se la sorella fosse là per vederlo e ammirarlo. «Che sciocchezze dirò e farò nella carrozza con te! Quali smorfie e quali buffonerie! Ti prometto un riso come non ne hai mai sentito». Intanto, Caroline era a Rouen: disegnava, dipingeva, suonava il piano; e pensava al fratello, desiderava vederlo e parlargli. Senza il fratello la casa era vuota e triste: anzi, faceva «vomitare di noia».

25/11/12

La poesia della Domenica - 'Cosa che non trovo' di Giulio Marzaioli.






Cosa che non trovo, che ne so il nome
e il suono, ma non dove. Qualche cosa
e la parola sua che smuove l'aria
ma non si trova anch'essa, non si posa.



Giulio Marzaioli, da La Lente, I Quaderni di Orfeo, Milano 2005.


23/11/12

Scrittori: nel 2013 per C. S. Lewis un posto d'onore nella Westminster Abbey.


Lo scrittore britannico CliveStaples Lewis (1898-1963) conquisterà un posto d'onore nella Westminster Abbey nel 2013. 

Un memoriale di marmo sara' inaugurato nella storica abbazia di Londra il 22 novembre dell'anno prossimo, giorno esatto del cinquantesimo anniversario della morte dell'autore del ciclo di romanzi "Le cronache di Narnia" (con 100 milioni di copie vendute nel mondo) e segnera' il culmine delle celebrazioni commemorative che si svolgeranno in suo onore in Gran Bretagna durante tutto il 2013. 

Il nome di Lewis sara' scolpito in un monumento nel Poets'Corner, il mitico 'angolo dei poeti' di Westminster dove si trovano le iscrizioni marmoree e le tombe in ricordo di grandi nomi della letteratura inglese come William Shakespeare, Geoffrey Chaucher, John Keats, William Blake, Charle Dickens e T.S. Eliot, grazie ad una tradizione che va avanti da quasi 600 anni. 

L'annuncio dell'ingresso dell'autore di "Lettere a Berlicche" nel Poets' Corner e' stato dato dal reverendo Vernon White, canonico e teologo della Westminster Abbey. "C.S. Lewis e' stato uno straordinario, immaginifico e rigoroso scrittore e pensatore", ha detto White parlando con la Bbc, "e soprattutto e' stato un convinto sostenitore della fede cristiana e della sua capacita' di essere credibile e attrattiva". 

Lo scrittore, ha aggiunto il teologo di Westminster, ha avuto ed ha ancora "una durevole influenza sulla nostra vita culturale". 

L'ultimo scrittore a fare il suo ingresso nell"angolo dei poeti' dell'abbazia e' stato nello scorso dicembre Ted Hughes. 

21/11/12

Poesia: scoperti versi inediti di Umberto Saba.




Del tanto che l'anno passato 
soffrimmo, del freddo, del vento, 
i brividi a volte risento
qui, ne la mia pace, se fuori 
odo con gli interminabili 
fili garrire la bora, 
Giorgio, quel freddo di allora 
certo tu l'hai obliato. 

Sono i primi versi di una poesia inedita diUmberto Saba, trovata fra le carte degli archivi di Anita Pittoni, nel fondo che doveva costituire il nucleo portante del Centro di Studi Triestini. 

Il Centro fu ideato dalla Pittoni nel 1966 con lo scopo di raccogliere il meglio della produzione manoscritta degli scrittori triestini, da Giotti a Saba a Svevo. 

La Pittoni non trovò però il sostegno per il suo progetto ma, ciononostante, continuò a raccogliere materiali, documenti, manoscritti da tutti gli artisti e gli scrittori che frequentava.

Un fondo, insomma, in parte di proprietà del Comune e in parte dell'editore Simone Volpato. 

La poesia inedita, senza data, è della parte di proprietà di Volpato, che la esporrà nella mostra alla Biblioteca Statale 'Stelio Crise' intitolata 'Anita Pittoni: carte private'. 

20/11/12

Intervista a Zygmunt Bauman, oggi: "L'amore, la routine, il tradimento, la fedeltà."



Amarsi e rimanere insieme tutta la vita. Un tempo, qualche generazione fa, non solo era possibile, ma era la norma. Oggi, invece, è diventato una rarità, una scelta invidiabile o folle, a seconda dei punti di vista. Zygmunt Bauman sull`argomento è tornato più volte (lo fa anche nel suo ultimo libro: Cose che abbiamo in comune, pubblicato da Laterza). I suoi lavori sono ricchi di considerazioni sul modo di vivere le relazioni: oggi siamo esposti a mille tentazioni e rimanere fedeli certo non è più scontato, ma diventa una maniera per sottrarre almeno i sentimenti al dissipamento rapido del consumo. Amore liquido, uscito nel 2003, partiva proprio da qui, dalla nostra lacerazione tra la voglia di provare nuove emozioni e il bisogno di un amore autentico.

Cos'è che ci spinge a cercare sempre nuove storie?

«Il bisogno di amare ed essere amati, in una continua ricerca di appagamento, senza essere mai sicuri di essere stati soddisfatti abbastanza. L`amore liquido è proprio questo: un amore diviso tra il desiderio di emozioni e la paura del legame».

Dunque siamo condannati a vivere relazioni brevi o all`infedeltà... 

«Nessuno è "condannato". Di fronte a diverse possibilità sta anoi scegliere. Alcune scelte sono più facili e altre più rischiose. Quelle apparentemente meno impegnative sono più semplici rispetto a quelle che richiedono sforzo e sacrificio». 

Eppure lei ha vissuto un amore duraturo, quello con sua moglie Janina, scomparsa due anni fa.
«L`amore non è un oggetto preconfezionato e pronto per l`uso. È affidato alle nostre cure, ha bisogno di un impegno costante, di essere rigenerato, ricreato e resuscitato ogni giorno. Mi creda, l`amore ripaga quest`attenzione meravigliosamente. Per quanto mi riguarda (e spero sia stato così anche per Janina) posso dirle: come il vino, il sapore del nostro amore è migliorato negli anni».

Oggi viviamo più relazioni nell`arco di una vita. Siamo più liberi o solo più impauriti?

«Libertà e sicurezza sono valori entrambi necessari,ma sono in conflitto tra loro. Il prezzo da pagare per una maggiore sicurezza è una minore libertà il prezzo di una maggiore libertà è una minore sicurezza. La maggior parte delle persone cerca di trovare un equilibrio, quasi sempre invano».

Lei però è invecchiato insieme a sua moglie: come avete affrontato la noia della quotidianità? Invecchiare insieme è diventato fuori moda? 

«E' la prospettiva dell`invecchiare ad essere ormai fuori moda, identificata con una diminuzione delle possibilità di scelta e con l`assenza di"novità". Quella"novità" che in una società di consumatori è stata elevata al più alto grado della gerarchia dei valori e considerata la chiave della felicità. Tendiamo a non tollerare la routine, perché fin dall`infanzia siamo stati abituati a rincorrere oggetti "usa e getta", da rimpiazzare velocemente. Non conosciamo più la gioia delle cose durevoli, frutto dello sforzo e di un lavoro scrupoloso.

Abbiamo finito per trasformare i sentimenti in merci. Come possiamo ridare all`altro la sua unicità? 

«Il mercato ha fiutato nel nostro bisogno disperato di amore l`opportunità di enormi profitti. E ci alletta conia promessa di poter avere tutto senza fatica: soddisfazione senza lavoro, guadagno senza sacrificio, risultati senza sforzo, conoscenza senza un processo di apprendimento. L`amore richiede tempo ed energia. Ma oggi ascoltare chi amiamo, dedicare il nostro tempo ad aiutare l`altro nei momenti difficili, andare incontro ai suoi bisogni e desideri più che ai nostri, è diventato superfluo: comprare regali in un negozio è più che sufficiente a ricompensare la nostra mancanza di compassione, amicizia e attenzione. Ma possiamo comprare tutto, non l`amore. Non troveremo l`amore in un negozio. L`amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana».

Forse accumuliamo relazioni per evitare i rischi dell`amore, come se la "quantità" ci rendesse immuni dell`esclusività dolorosa dei rapporti. 

«É così. Quando ciò che ci circonda diventa incerto, l`illusione di avere tante "seconde scelte", che ci ricompensino dalla sofferenza della precarietà, è invitante. Muoversi da un luogo all`altro (più promettente perché non ancora sperimentato) sembra più facile e allettante che impegnarsi in un lungo sforzo di riparazione delle imperfezioni della dimora attuale, per trasformarla in una vera e propria casa e non solo in un posto in cui vivere. "L`amore esclusivo" non è quasi mai esente da dolori e problemi- ma la gioia è nello sforzo comune per superarli».

In un mondo pieno di tentazioni, possiamo resistere? E perché? 

«È richiesta una volontà molto forte per resistere. Emmanuel Lévinas ha parlato della "tentazione della tentazione". E' lo stato dell`"essere tentati" ciò che in realtà desideriamo, non l`oggetto che la tentazione promette di consegnarci. Desideriamo quello stato, perché è un`apertura nella routine. Nel momento in cui siamo tentati ci sembra di essere liberi: stiamo già guardando oltre la routine, ma non abbiamo ancora ceduto alla tentazione, non abbiamo ancora raggiunto il punto di non ritorno. Un attimo più tardi, se cediamo, la libertà svanisce e viene sostituita da una nuova routine. La tentazione è un`imboscata nella quale tendiamo a cadere gioiosamente e volontariamente».

Lei però scrive: «Nessuno p uò sperimentare due volte lo stesso amore e la stessa morte». Ci si innamora una sola volta nella vita? 

«Non esiste una regola. Il punto è che ogni singolo amore, come ogni morte, è unico. Per questa ragione, nessuno può "imparare ad amare", come nessuno può "imparare a morire". Benché molti di noi sognino di farlo e non manca chi provi a insegnarlo a pagamento».

Nel `68 si diceva: «Vogliamo tutto e subito». Il nostro desiderio di appagamento immediato è anche figlio di quella stagione? 

«Il 1968 potrebbe essere stato un punto d`inizio, ma la nostra dedizione alla gratificazione istantanea e senza legami è il prodotto del mercato, che ha saputo capitalizzare la nostra attitudine a vivere il presente». 

I "legami umani" in un mondo che consuma tutto sono un intralcio? 

«Sono stati sostituiti dalle "connessioni". Mentre i legami richiedono impegno, "connettere" e "disconnettere" è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici offline è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza».

Lei e Janina avete mai attraversato una crisi? 

«Come potrebbe essere diversamente? Ma fin dall`inizio abbiamo deciso che lo stare insieme, anche se difficile, è incomparabilmente meglio della sua alternativa. Una volta presa questa decisione, si guarda anche alla più terribile crisi coniugale come a una sfida da affrontare. L`esatto contrario della dichiarazione meno rischiosa: "Viviamo insieme e vediamo come va...". In questo caso, anche un`incomprensione prende la dimensione di una catastrofe seguita dalla tentazione di porre termine alla storia, abbandonare l`oggetto difettoso, cercare soddisfazione da un`altra parte».

Il vostro è stato un amore a prima vista? 

«Sì, le feci una proposta di matrimonio e, nove giorni dopo il nostro primo incontro, lei accetti). Ma c`è voluto molto di più per far durare il nostro amore, e farlo crescere, per 62 anni».

fonte Raffaella De Santis - Repubblica.it pubblicata il 20 novembre 2012. 

18/11/12

Poesia della domenica - 'In albis' di Fabrizio Falconi.







In albis 


Come profezia
i giorni lunghi di novembre
sono arrivati. E' quieta
la danza dei propositi,
e stupefacente
la conta degli assenti.
Nube bianca si srotola dai monti
ogni alba prepara
la sua santa ribellione.





Fabrizio Falconi -  da Candomblé (1997) - tratto da Sub specie aeternitatis, Roma, 2003, Aletti.

16/11/12

Musica - Ramin Bahrami: "Bach mi ha salvato la vita".




'Mamma Decca', come la chiama Ramin Bahrami, lancia il suo specialista bachiano di punta con una biografia veloce in contemporanea con l'uscita delle Suite Inglesi.

Ramin ci racconta la sua storia come fosse Le mille e una notte: una favola triste con un lieto fine.

Dalla famiglia agiata (il nonno era il piu' importante archeologo persiano) alla morte del papa' per mano dei fondamentalisti di Khomeini, al viaggio-fuga in Italia con la mamma per continuare l'itinerario artistico, tra molte difficolta' anche economiche, Ramin recita un mantra che nasce dalle ultime parole di suo padre: suona Bach e non sarai mai solo, le tue ferite saranno sanate, la tua via sara' luminosa.

Ramin conosce i piu' eminenti solisti del Kantor, da Rosalyn Tureck ad Alexis Weissemberg, fino ad Andras Schiff, studia con loro ed assimila ma non rinuncia ad una visione personale, fortemente influenzata da Glenn Gould. In Italia, Bahrami e' una star: e' ospite regolare dell'Infedele di Gad Lerner, anche se sulle sue esibizioni il popolo del web si divide in detrattori ed entusiasti (ma la sua interpretazione dell'Arte della Fuga del 2006 ha realizzato un 'five stars' su All Music).

Ha già al suo attivo l'organizzazione di un Bach Festival svoltosi per la prima volta a Firenze a marzo e ha suonato per il Papa. A 36 anni il folletto iraniano sembra aver capito molto bene soprattutto una cosa: suonare e' importante ma comunicare e' fondamentale.