24/03/12

L'orrore di Tolosa e Dostoevskij.






L'orrore dei fatti di Tolosa  e del killer Mohamed Mera che ha ucciso a freddo 7 persone, tra cui 3 bambini, ripropone ancora una volta le eterne domande sul male umano.  Di dove venga questa brutalità, questo orrore, questa mancanza di qualsiasi senso di pietà. 

Nessuno, meglio di Fedor Dostoevskij (1821 -1881), ha messo a nudo il cuore umano. Dostoevskij è un filosofo, prima che uno scrittore. In Russia lo sanno, e lo studiano come un filosofo.

Fedor Dostoevskij scrive ‘Ricordi dal sottosuolo nel 1864. Freud ha otto anni. Eppure, quel “sottosuolo” non è altro che l’inconscio. Dostoevskij lo scopre molto prima di Freud, lo descrive così bene, che se oggi si rimette mano a quel libretto, si resta senza parole. 

Dostoevskij scrive I Demoni nel 1871 e I Fratelli Karamazov nel 1879. Nietzsche completerà Così parlò Zarathustra e Al di là del Bene e del Male alcuni anni più tardi nel 1885 e nel 1886. Eppure in quei due romanzi di Dostoevskij c’è già tutta la filosofia del nichilismo ( si pensi al personaggio di Ivan, nei Karamazov). 

Cosa è il ‘sottosuolo’ ? E’, secondo D. , la sede di quel ‘male’ che avvelena la nostra vita, e ci tarpa le ali. Un male che non è sempre ‘male’, ma che noi percepiamo come ‘male’. 

Ma che cosa è il male ? 


- Il male, secondo Dostoevskij non è in principio una realtà sostanziale (in senso manicheo). Ma non è neppure solo una «privazione del bene», ossia la scelta di un bene inferiore in luogo di un bene superiore (come voleva Agostino). Il male nasce nell’animo dell’uomo: è una volizione negativa, che, proprio respingendo il bene superiore, si impone come una forza distruttiva che produce il male nella sua reale dimensione.

- Secondo Dostoevskij la libertà consiste nel riconoscimento e nella volizione del Principio supremo dell’Essere e del Bene, oppure nel rifiuto di esso, con tutto ciò che ne consegue. E quindi è una forza che si distingue dal bene e dal male, i quali si realizzano, in quanto tali, proprio in conseguenza della libertà. Dostoevskij è giunto alla fede passando attraverso il nichilismo, e indagando la autodistruzione di esso.

- La fede presuppone il dubbio, ed è vera fede solamente se è un continuo e dinamico superamento del dubbio stesso. In risposta ai critici che gli rimproveravano la sua fede in Cristo, diceva: «In fatto di dubbio nessuno mi vince. Non è come un fanciullo che io professo Cristo. Il mio osanna è passato attraverso un crogiolo di dubbi». E in una lettera del 1854 esprimeva la forza veramente dirompente della sua fede: «Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità». 

In questi tre passi – evidenziati con rara chiarezza in un recente bellissimoarticolo di Giovanni Reale, sul Corriere – c’è tutta l’essenza dell’esperienza di Dostoevskij. Che ci riguarda tutti da vicino. 
Perché l’Uomo, ogni uomo, è sempre e ancora a questo punto. E con questi punti che deve fare – ancora e sempre – i conti, nella propria vita. 

Se ha interesse, almeno, a cercare un senso. E si rifiuta di vivere, alla stregua di un animale, seguendo semplicemente il corso dei propri istinti, del proprio"sottosuolo". 


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