27/07/12

'Per dirmi che sei fuoco' - Recensione di Anna Vasta.






Per dirmi che sei fuoco- romanzo di Fabrizio Falconi, scrittore e giornalista romano- Gaffi Editore (pgg. 287, €16, 50), è titolo di  vaghezza evocativa, oltre che di  suggestiva citazione-Giuseppe Ungaretti-poetica, e nello stesso tempo di forte impatto e incisività. Nella  metafora del fuoco che “consuma e riaccende” si concentra  il senso di un'opera narrativa che non si lascia inquadrare in un genere. Pur presentando i tratti ora del giallo, ora del romanzo d'inchiesta, di denuncia civile, per i temi di impellente, drammatica attualità che affronta- la fecondazione artificiale con  i suoi risvolti culturali, etici, umani, esistenziali; lo smaltimento clandestino, abusivo, criminoso dei rifiuti radioattivi, con quanto implica  di illegalità, di contiguità con le mafie locali e internazionali, di rischi ambientali e di degrado-, il libro non esaurisce nell'ambito di queste tipologie le potenzialità, gli intenti  espressivi e di racconto.

La vicenda personale del protagonista, Nico, giovane universitario studioso di Ungaretti, uno dei tanti figli della provetta, nato da una procreazione eterologa, il suo percorso biografico di ricostruzione di una identità  soggettiva attraverso la ricerca del padre biologico- che nello svolgersi della trama si scopre essere un uomo-contro, un uomo-lupo, in guerra contro le devastazioni dei boschi, delle montagne, delle valli, delle foreste, dei fiumi, ad opera dei suoi simili-si intrecciano con storie di crimine, di violenza, di affari sporchi e inchieste giudiziarie. Michele, temerario e solitario, ambiguo eroe di una lotta senza quartiere e senza speranze  contro forze che lo sovrastano e di cui resterà vittima, da inquietante fantasma, sfuggente e inafferrabile, diventerà figura di padre, nel momento della fine e in quello successivo del viaggio che il figlio intraprende insieme con la sorella naturale, Brigitte, alla scoperta di una appartenenza filiale in cui riconoscersi e ritrovarsi.

Il romanzo si muove su un doppio binario, come ogni accadimento della vita reale: quello del dentro, degli  eventi introspettivi del protagonista e l'altro del fuori, dei fatti esterni. Binari che si intersecano, si incrociano, si separano, si sdoppiano, per  reincrociarsi e procedere in parallelo in direzione di un'ultima stazione che viene a configurarsi come il punto di arrivo di un itinerario di formazione, di educazione ai sentimenti, ai grandi temi dell'uomo: l'amore, il dolore, la perdita, il male di vivere.
In una sorta di discesa agli Inferi alla ricerca di una paternità di sangue che sia anche consanguineità dello spirito, dove affondare radici e portare alla luce nascoste oscurità, il giovane Nico segue il fil rouge di un altro viaggio, di un altro tempo, di un'altra dimensione d'esistenza: il ritorno in Brasile del poeta dagli occhi cinesi e dalla barba da sciamano, Giuseppe Ungaretti, sulle tracce del figlioletto morto anni addietro, sepolto entro il recinto erboso del cimitero di San Paolo, e destinato a durare nei versi del padre come la forte, maestosa araucaria dai fiori viola.  Indefesso odisseo, piegato, non vinto dalle prove e dalle durezze della vita, è in prossimità della tomba di Antonietto che gli viene concessa un'ultima, estrema chance di opporsi alla fine: l'amore improvviso, imprevisto per la donna vestita di rosso, Bruna Bianco, che consuma e riaccende. Il viaggio al termine della notte, di Nico, figlio in cerca di un padre che gli sia stato padre pur nell'assenza, si conclude con il ritrovamento nella casa di Michele, di una foto di sé bambino in una vecchia polaroid. Anche la sua ricerca di Bruna, approda a una foto di lei in una cornice, mentre viene incontro al poeta, per dirmi che sei fuoco/che consuma e riaccende.

E  pure l'amore per Ungaretti è nato da ingiallite fotografie e “vecchi filmati conservati dalle Teche della Rai”. Come se la realtà, solo se incorniciata, fermata nell'  attimo fuggente di uno scatto, potesse dar fuoco a tutte le sue polveri, restituire intero il proprio segreto.

E quando Nico alla fine trova una ragione e  un sollievo  all'inquietudine che da sempre lo agita, nell'acceso, velletario idealismo del padre, un uomo grande e grosso come un totem-così gli appare in controluce , in cima alla collina e lo sguardo di un inerme, di uno sconfitto, al loro primo incontro-, prova una sensazione insolita, come se dentro di sé sentisse qualcosa rompersi definitivamente, come quando il braccio in bilico di un ghiacciaio si stacca dopo un'infinità di anni, senza preavviso e silenziosamente.

Allo stesso modo poter guardare la donna che sorride timidamente nella foto, dopo averla rintracciata nell'archivio  di un fotografo novantenne, ultimo custode dei ricordi di Ungaretti, gli fa venire in mente senza esitazione, senza nessuno sforzo  i versi del poeta : “Sei comparsa al portone/In un vestito rosso/Per dirmi che sei fuoco/Che consuma e riaccende” Ora finalmente Nico può ridare senso alla parola spenta, e questa  rivivere in un ultimo canto che restituisce vigore ed entusiasmo di giovinezza al  cuore stanco, ma indomabile del vecchio ossesso .

L'auto-consapevolezza di figlio di un padre in perenne esilio da se stesso, l'accettazione dell'ombra che da sempre gli ha offuscato l'innocenza dell'infanzia vengono a coincidere nell'itinerario  iniziatico di Nico con un precoce invecchiamento, una maturità prematura, nel segno di una irrevocabile vocazione poetica.

La storia di una paternità affannosamente cercata come un “ubi consistam” a cui ancorare gli ormeggi di una adolescenza erratica- condizione dello spirito, più che temporale-si fa romanzo, componendosi-per piani sovrapposti di narrazione e pause meditative, di tempi morti e falsi movimenti che si avvicendano secondo ritmi scanditi da quello interiore del protagonista-attorno a un centro. Serbatoio di affetti, di emozioni, di presenze, di visioni, dove far affluire le inquietudini, le ansie, i fermenti della contemporaneità, insieme coi vissuti esistenziali e poetici di un'affine temperie spirituale:"Ungaretti/uomo di pena/ti basta un'illusione/per darti coraggio.”

La stessa  pena di Nico e la sua illusione a darsi coraggio nell'addentrarsi in quel mondo sconosciuto, a lui estraneo, eppure così prossimo, di Michele e del  proprio tormentoso errare in prospettiva di traguardi che si rivelano draghi dell'anima, con fattezze di morte.

Anna Vasta  per Forum.

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