30/10/12

L'Egoismo è finito, serve la civiltà dello stare insieme. Un nuovo libro.





"Non si puo' essere felici da soli": cosi' ragionava Aristotele, anche se il suo insegnamento e' stato presto rimosso dall'uomo globalizzato. Piu' soli, piu' fragili, piu' lontani: ecco il buio del tunnel dove siamo finiti. Ma l'egoismo, per quanto radicato nei cromosomi, non può funzionare come bussola di civiltà, tanto piu' in tempi di crisi.

E' un vero e proprio manuale della felicita' quello di Antonio Galdo, giornalista e scrittore, autore di "L'egoismo e'finito" (Einaudi, 114 pagg., 12 euro). 

Un libro sull'amore, innanzitutto, come precisa lo stesso Galdo, "su quella parte di noi, di ciascuno di noi, che ha bisogno dell'altro, di una relazione che unisce laddove la solitudine separa". Ma anche un testo - interessante e originale - alla scoperta di nuovi modelli gia' in atto.

"La Grande Crisi marca la fine di un paradigma, di un pensiero unico, e ci spinge alla ricerca di nuovi fondamentali, non solo economici", annota l'autore, che parte dai ricordi della sua infanzia per riannodare un discorso sul se' e gli altri. 

A partire da "mia madre", "sempre lei" a "trasmettere nel silenzio delle sue scelte di vita la componente genetica della natura umana che contrasta, in una misteriosa e oscura lotta, l'egoismo: l'altruismo".

Del resto, osserva Galdo, persino la scienza sta sfatando il mito: egoisti non si nasce, hanno scoperto alcuni scienziati, individuando un gene dell'altruismo (si chiama AVPR1A) che regola un ormone del nostro cervello. Ad ogni gesto di altruismo, hanno verificato gli esperti, corrisponde una vera e propria sensazione di benessere fisico, e persino di gioia. 

Ma il 'viaggio' di Galdo non finisce qui perche' il cambio di paradigma e' non solo un'aspettativa del futuro; e' gia' in atto. Lo dimostrano le molte storie contenute nel volume e che insegnano la 'declinazione del noi', piccoli grandi pilastri della civilta' dello stare insieme. Storie di citta' pensate per condividere i luoghi, i trasporti e gli spazi, come lo 'shared space' della pioniera Zurigo. Concezioni nuove dell'abitare, attraverso le nuove frontiere del co-housing o dell'housing sociale. 

O, ancora, la riscoperta degli orti urbani e il lancio di quelli verticali, gli avveniristici 'grattaverdi' di New York. Per non parlare del fascino del baratto, tornato alla ribalta grazie a internet e ai moltissimi siti su e' possibile scambiare di tutto, dagli elettrodomestici ai vestiti, dalla musica agli appartamenti.

"Il benessere costruito attorno al moltiplicarsi di pulsioni individuali non garantisce stabilita'", avverte l'autore, che pero' confida in una nuova svolta epocale: dopo la 'febbre dell'abbondanza', "la necessita' del ritorno a stili di vita piu' sostenibili che la natura umana ci impone se non vogliamo arrenderci a un autodistruttivo delirio di onnipotenza". 

"Sono nato in una Paese, l'Italia, che ha compiuto il suo salto nella modernita' attraverso un'idea forte di comunita', in grado di comporre l'innato individualismo di un popolo - scrive Galdo - La famiglia, la fabbrica, la parrocchia, il partito, il sindacato, ma anche la piazza, il bar, il villaggio: tutti luoghi dello stare insieme. Entrati in cortocircuito sotto i colpi della civilta' dell'egoismo, e adesso riscoperti nella tempesta della Grande Crisi e nella consapevolezza che da soli e' tutto piu' difficile, forse impossibile". 

29/10/12

Nietzsche e la vita.




La vita consiste in rari momenti singoli di altissimo significato e in innumerevoli intervalli in cui nel miglior caso ci si aggirano intorno le ombre di quei momenti. L'amore, la primavera, ogni bella melodia, la montagna, la luna, il mare – tutto parla una sola volta veramente al cuore: seppure giunge mai a parlare. Giacché molti uomini non hanno affatto quei momenti e sono essi stessi intervalli e pause nella sinfonia della vita reale.

Friedrich Nietzsche, Umano Troppo Umano, Adelphi 2011, tomo I, pag.586


28/10/12

La poesia della domenica - 'Il cielo diviso in particelle' di Francesca Vitale.



15.

Il cielo diviso in particelle
ma il mare attrae di più
perderti poi staccarti.
Era l'incanto, il sogno
libero dai numeri
a resa scomparsa.

24.

Qualcosa che ci salvi
che dica ancora : vita è
un minimo consenso.



Francesca Vitale, da Microscritture, La camera verde, 2007.

26/10/12

31 ottobre: La Cappella Sistina compie 500 anni




Capolavoro assoluto di tutti i tempi, "lucerna dell'arte nostra", come la defini' Giorgio Vasari, ancora oggi meta (ogni anno) di 5 milioni di visitatori provenienti da ogni parte del mondo (e che ne mettono a rischio l'integrita'), la Cappella Sistina  (QUI IL SITO CON LA VISITA VIRTUALE), celebra il 31 ottobre i 500 anni dallo svelamento degli affreschi della volta. Il pontefice Giulio II della Rovere, che l'aveva commissionata a Michelangelo Buonarroti nel 1508, dovette aspettare ben 4 anni prima di ammirare quell'immane, insuperata opera popolata di centinaia di figure e scene delle Scritture, capaci di rivoluzionare la storia dell'arte influenzandola per secoli.

Solo nell'agosto del 1511, il 'papa guerriero' era riuscito a compiere una parziale visione degli affreschi, che andavano a sostituire nella volta della Sistina il magnifico cielo stellato dipinto da Pier Matteo d'Amelia, di certo ispirato dalla padovana Cappella degli Scrovegni. Una meraviglia che perfettamente si armonizzava con le decorazioni volute Sisto IV, anche lui un della Rovere, che aveva fatto edificare tra il 1477 e il 1483 la Cappella. A tal scopo erano stati chiamati i maestri indiscussi del '400 italiano da Botticelli al Ghirlandaio, da Signorelli a Perugino, il quale coordino' il lavoro dei ponteggi e realizzo' per la parete dell'altare 'La Nativita' di Cristo' e 'Mose' salvato dalle acque', nonche' la pala dell'Assunta.

La nuova commessa di Giulio II si rese necessaria per la grande crepa che si era prodotta sulla volta per un inclinamento della parete meridionale. Vasari racconta che fu proprio il Bramante, uno dei maggiori sostenitori di Raffaello Sanzio, a suggerire al pontefice il nome di Michelangelo, conosciuto soprattutto come scultore. Tra il Buonarroti e il genio urbinate si stava consumando un'aperta rivalita', e il primo architetto del papa, sicuro che Michelangelo non sarebbe stato in grado di eguagliare i capolavori di Raffaello, secondo l'autore delle Vite trovo' questo espediente per "levarselo dinanzi".

Anche per la soluzione di mettere a punto dei ponteggi idonei a quell'impresa (la volta e' a 20 metri da terra), Bramante elargi' consigli dubbi, tali da danneggiare lo stesso edificio. Capita l'antifona, prosegue il Vasari, l'artista fiorentino decise di costruirsi da solo l'impalcatura e affronto' quell'immane lavoro con pochi collaboratori fidatissimi. I problemi arrivarono subito con lo strato di intonaco steso sulla volta, che comincio' ad ammuffire perche' troppo bagnato. Michelangelo dovette rimuoverlo e ricominciare da capo, ma provo' una nuova miscela creata da uno dei suoi assistenti, Jacopo l'Indaco. Questa non solo resistette alla muffa, ma entro' anche nella tradizione costruttiva italiana.

Inizialmente il Buonarroti era stato incaricato di dipingere solo dodici figure, gli Apostoli, ma presto l'impegno cambio'. Su sua richiesta, ritenendo il progetto iniziale "cosa povera", ricevette da Giulio II un secondo incarico che lasciava all'artista la piena ideazione del programma. In solitudine Michelangelo si mise all'opera e concepi' una possente architettura in cui inseri' nove Storie centrali, raffiguranti episodi della Genesi, con ai lati figure di Ignudi, a sostenere medaglioni con scene tratte dal Libro dei Re. Alla base della struttura architettonica, ecco i dodici Veggenti, Profeti e Sibille, assisi su troni monumentali contrapposti piu' in basso agli Antenati di Cristo, raffigurati nelle Vele e nelle Lunette. Nei quattro Pennacchi angolari, l'artista rappresento' infine alcuni episodi della salvazione miracolosa del popolo d'Israele.

Durante l'impresa, Michelangelo pretese che nessuno vedesse il suo capolavoro, rifiutando regolarmente le richieste di Giulio II di ammirare, insieme alla sua corte, lo stato dei lavori. Il rivale Raffaello, che in realta' ne comprendeva il genio, riusci' nel 1510 a contemplare parzialmente la prima parte degli affreschi e ne rimase cosi' colpito da inserire un ritratto di Michelangelo (l'Eraclito) nella Scuola d'Atene. E quando fu necessario smontare parte dei ponteggi, anche il papa e il suo seguito videro quello che il Buonarroti stava realizzando. 

L'artista stesso si rese conto che doveva portare delle modifiche al suo modo di dipingere.

Nelle scene del Peccato originale e della Cacciata dal Paradiso Terrestre e nella Creazione di Eva la raffigurazione divenne quindi piu' spoglia, con corpi piu' grandi e massicci, accentuando la grandiosita' delle immagini. Ma non cedette mai alle pressioni del pontefice per aggiungere piu' oro e decorazioni. Nel tardo pomeriggio del 31 ottobre 1512, Giulio II inauguro' la conclusione della volta della Cappella Sistina celebrando la liturgia dei Vespri alla vigilia di Ognissanti. Lo stesso gesto che per omaggio al capolavoro assoluto di Michelangelo ripetera' a 500 anni di distanza esatti papa Benedetto XVI.

25/10/12

Tutto quello che un genitore può sbagliare - La 'Lettera al Padre' di Franz Kafka.




E' ancora oggi arduo giungere fino alla fine della lettura della 'Lettera al Padre', scritta da Franz Kafka - e mai consegnata al suo destinatario - nel 1919. 

Sono soltanto una cinquantina di pagine nelle quali lo scrittore praghese - all'epoca 36 enne - esprime lucidamente e ferocemente (ma con estrema pacatezza e perfino con molta compassione)  i suoi sentimenti al padre, quell'Hermann Kafka, morto pochi anni dopo, nel 1931 (sette anni dopo il figlio), ricco commerciante ebreo, padre dello scrittore. 

Sono pagine terribili perché - con lo strumento della sua grandezza di scrittore e con la sua perspicacia analitica - Franz traccia il profilo di una educazione devastante, di una figura di riferimento, autoritaria, tracotante e onnisciente che produrrà effetti nefasti sul bambino prima e sull'adolescente poi impedendogli di giungere ad una maturazione adulta, al compimento della propria personalità. 

E' una lettura, dicevo, impressionante, che pure ognuno, ognuno che si appresta a diventare padre o che è già, dovrebbe leggere con attenzione e meditare a lungo. 

Questo uomo, Hermann, così risoluto nelle sue certezze e così insensibile ai danni che procura alla formazione del carattere del figlio - per sempre minato nelle sue convinzioni, nella fiducia in sé, nello spirito con cui affronterà la vita e il mondo - viene così descritto nelle ultimissime pagine della lettera:  tutto ciò che io ho individuato in te, e tutto insieme, buono e cattivo, come è fisiologicamente riunito in te, quindi forza e disprezzo del prossimo, buona salute e una certa smodatezza, talento oratorio e inadeguatezza, fiducia in sè e insoddisfazione verso gli altri, senso del dominio e tirannia, conoscenza degli uomini e diffidenza verso la maggior parte di essi...  

Hermann demolisce ogni certezza o attitudine del figlio, individuandone i macroscopici e imperdonabili difetti nella sua inadeguatezza fisica, nel suo scarso impegno, nella sua incapacità materiale nel fare le cose, nella astrusa propensione per lo scrivere, nella incapacità totale di scegliersi una donna e di formare una famiglia. 

In fondo Hermann, senza saperlo, mette in scena un intero catalogo di tutto quello che si può sbagliare nella educazione di un figlio. 

Questo, paradossalmente, incoraggerà il talento del giovane Franz che diverrà - quasi senza volerlo, lasciando perfino scritto di "bruciare" tutti gli scritti dopo la morte (disposizione per fortuna non eseguita dall'amico Max Brod)  - uno dei più grandi scrittori del Novecento. 

E questa è una grande lezione. Anche dalla terra arida, dal deserto individuale nel quale si è costretti a vivere e a svilupparsi, anche senza nessuna cura spirituale o solidale (prima ancora che parentale), possono sorgere fiori duraturi e meravigliosi. 

Fabrizio Falconi


   



24/10/12

Crisi delle religioni e isolamento individuale (nelle questioni ultime).




Nessuno più parla del termine alienazione - così in voga nel Novecento - corollario che sembrava quasi indistinguibile da quello di modernità.

Eppure sintomi diversi di alienazione - il disagio dell'uomo nell'età moderna, ormai lontano dalle radici e dal contesto naturale - continuano a manifestarsi e riguardano l'essenza stessa dell'umano: le domande fondamentali alla base di ogni coscienza.  

La crisi delle religioni - soprattutto nell'aspetto della pratica collettiva - sta portando e porta infatti come effetto collaterale anche quello di sospingere ogni tema meta-fisico - la percezione di esso, nell'ambito strettamente individuale.

Ciascuno è incoraggiato, invitato - dal mondo in cui vive - e in certi casi perfino costretto a sbrigare questo radicale confronto nell'appartato mondo del proprio sé.  

Ciò comporta che di temi metafisici - che in definitiva sono quelli che più ci occupano mentalmente durante la vita (chi siamo, perché siamo qui, dove andiamo a finire, esiste dio) non è più conveniente parlare in pubblico. Anzi, questi temi sono caldamente banditi da ogni consesso pubblico e il nuovo conformismo prevede che debbano essere vissuti interiormente e individualmente.

Tale tendenza - è appena il caso di sottolineare che per molti secoli non è stato così, i temi metafisici venivano con-divisi socialmente - porta ad un sempre crescente isolamento e in definitiva ad una sempre crescente infelicità, perché ogni uomo è lasciato solo a ruminare i suoi dubbi, i suoi scoramenti, la sua inadeguatezza di fronte all'incomprensibile e all'infinito.

La nuova umanità - vagheggiata -  comincerebbe da qui: da una nuova possibilità che su queste vicende ultime, e essenziali, ogni uomo possa ritornare ad aprire - senza paura - il suo cuore (oltre che la sua mente) e la sua bocca. 

Fabrizio Falconi

22/10/12

Creare sotto le bombe.






Questo è dedicato a tutti coloro che pensano e sono convinti che per esprimere la propria creatività - qualunque essa sia - bisogna necessariamente rifugiarsi in un eremo, stare tranquilli, trovare il tempo, isolarsi da tutto e da tutti:

Ludwig Wittgenstein cominciò a scrivere la prima pagina del suo diario, nel 1914, appena entrato in trincea. Lo terminò alla fine della guerra.

Era il Tractatus logico-philosophicus, l'opera filosofica più importante del Novecento. Nel dicembre del 1914, imbarcato su un cargo militare, egli annotò: 

di notte i cannoni hanno fatto fuoco talmente vicino a noi, che la nave traballava. Ho lavorato molto e con successo.

Allora, forza: un po' di coraggio..  Coraggio: sembra essere quel che manca in questi tempi confusi e adagiati.  Qui le bombe non le abbiamo, ma ogni giorno ciascuno si carica di mille alibi per non fare nulla.



foto in testa: manoscritto originale del Tractatus, 1915.

21/10/12

Poesia della domenica - "Un'acre nostalgia" di Yehuda Amicai.






 Mi ha assalito un’acre nostalgia,
come la gente d’una vecchia foto che vorrebbe
tornare con chi la guarda, nella buona luce
della lampada.

In questa casa, penso a come l’amore
in amicizia muta nella chimica
della nostra vita, e all’amicizia che ci rasserena
vicini alla morte.
E quanto è simile ai fili sparsi la nostra vita
che piú non sperano di tessersi in altro ordito.

Giungono dal deserto voci impenetrabili.
Polvere che profetizza polvere. Passa un aereo
e ci chiude
sotto la lampo di un grosso sacco di destino.

E il ricordo di un viso amato di ragazza
trascorre per la valle, come quest’autobus
notturno: molti
finestrini illuminati, molto viso di lei.


Traduzione di Ariel Rathaus


da: Yehuda Amichai,  Poesie,  introduzione di Ted Hughes, traduzione di Ariel Rathaus, Crocetti Editore 1993, 2001

20/10/12

Pessoa, esoterismo e astrologia: fece "le stelle" perfino a Mussolini.




Esoterismo e astrologia non erano solo una passione per Fernando Pessoa ma un modo di guardare al mondo che ha influenzato la sua opera e la poesia dei suoi eteronimi, oltre che una fonte di guadagno per il poeta portoghese. 

E' quanto sostengono Jeronimo Pizarro, fra i massimi esperti di Pessoa, e l'astrologo Paulo Cardoso, autore di saggi sugli aspetti esoterici del poeta, ora curatori del libro, 'Fernando Pessoa. L'astrologo', che sara' pubblicato, con illustrazioni, il 15 novembre da Cavallo di Ferro. 

Finora totalmente inedito, il libro riunisce e interpreta per la prima volta le piu' significative carte astrologiche che Fernando Pessoa ha fatto su se stesso, sui suoi eteronimi e sui grandi personaggi della storia della letteratura, della cultura e della politica dell'epoca, tra cui il Re d'Italia e Mussolini. 

Poeta, saggista, narratore, drammaturgo, scrittore di gialli, filosofo, Pessoa sotto lo pseudonimo di Raphael Baldaya ha fatto dell'astrologia un'insolita professione e fonte di guadagno, secondo recenti scoperte biografiche sulle quali e' basato il libro di Pizarro e Cardoso. 

Grande studioso di stelle e astri - ai quali ha dedicato anche un trattato teorico - e' proprio a Pessoa e alle sue ricerche, spiegano i curatori del libro, che si deve l'introduzione del pianeta Plutone, scoperto nel 1930, nelle carte astrologiche. 

Nei suoi quaderni, il poeta ha addirittura calcolato, con una certa precisione, anche la data della sua morte, che era un'ossessione alla quale ha dedicato moltissime riflessioni, e previsto avvenimenti futuri come la Rivoluzione dei Garofani. 

fonte ANSA

18/10/12

1700 anni dalla Battaglia di Ponte Milvio - Celebrazioni in tutto il mondo.






  C’è una ragione che appare evidente a tutti del motivo per cui la Battaglia di Ponte Milvio è unanimemente considerata una delle più importanti della storia moderna: già dalle lezioni mandate a memoria sui banchi scolastici si è imparato a comprendere che la vittoria dell’esercito di Costantino I il Grande, il 28 ottobre del 312 d.C. contro le truppe rivali di Massenzio, segnò i destini non solo dell’Impero Romano, ma dell’Occidente intero, visto che già dall’anno seguente la Battaglia, nel 313, lo stesso Costantino promulgò il celebre Editto di Tolleranza o Editto di Milano, primo passo del rapido processo di cristianizzazione che contrassegnò la storia dell’Europa prima e dell’Occidente poi.

  Quella battaglia ha rappresentato a lungo un rompicapo per gli storici. Non ci sono infatti motivi razionali sufficienti per spiegare le ragioni per cui Massenzio, “l’usurpatore” – colui che aveva occupato, nel difficile periodo della tetrarchia nel quale il potere nell’Impero era massimamente frazionato – pur disponendo di forze superiori e comodamente asserragliato nelle mura mai violate della città di Roma, decise di affrontare il nemico, Costantino, in  campo aperto, andando così incontro ad una delle più cocenti sconfitte della antica storia bellica.

  Costantino arrivò alle porte di Roma dopo una dispendiosa campagna militare nel nord Italia contro le truppe avversarie e dopo aver attraversato l’Italia centrale discendendo lungo l’antico tracciato della Via Flaminia. Giunto in prossimità dell’Urbe, Costantino, il grande condottiero nato e cresciuto sui campi di battaglia, si accampò subito prima della collina di Prima Porta, ultimo rilievo prima della valle del Tevere che conduce a Roma.

  Ed è proprio in quel luogo – là dove sorge l’Arco di Malborghetto, un monumento che pochi romani ancora conoscono – che sarebbe stato testimone di quella visione dai  contorni leggendari: nella notte prima della battaglia, riferiscono due diverse fonti,  lo scrittore latino Lattanzio e il vescovo Eusebio di Cesareo, l’Imperatore avrebbe visto nel cielo notturno quel segno – la Croce – insieme al volto di Cristo, che gli assicurava protezione e vittoria contro l’avversario pagano.

 Sui contenuti di questa Visione si è molto discusso, nei secoli. Illusione, suggestione, realtà, abile strategia ? Insieme a Bruno Carboniero in un recente saggio pubblicato per Edizioni Mediterrenee (‘In Hoc vinces’, 2011) abbiamo fornito i risultati di una sorprendente scoperta (che ha già avuto risonanza in ambito scientifico e accademico) che legherebbe la visione  ad un preciso ed eloquente fenomeno astronomico visibile proprio in quella notte.

 Il resto della storia è noto: Costantino, persuaso dalla visione – che tutto il mondo conosce con la sigla ‘In hoc signo vinces’ – fece iscrivere il segno della Croce criptato nel simbolo del Labarum sulle insegne del suo esercito e il giorno dopo la clamorosa vittoria gli arrise: le truppe di Massenzio, fuoriuscite dalla città affrontarono quelle di Costantino nella piana di Saxa Rubra. Con una manovra a tenaglia le seconde ebbero subito il sopravvento, costringendo l’esercito di Massenzio ad indietreggiare fino all’argine naturale del Tevere, nelle cui acque l’usurpatore stesso finì per annegare insieme al suo cavallo.

  Costantino, con questa schiacciante vittoria, divenne il più importante pretendente al potere assoluto imperiale, che assunse di lì a poco, nel 324 d.C., dopo la morte di Licinio,  restando l’unico regnante fino alla morte che avvenne nel 337.

  Nel giro di soli due decenni dunque, l’Impero Romano cambiò totalmente pelle, diventando cristiano, nacquero le prime grandi basiliche romane, il culto fu istituzionalizzato, l’Impero conobbe una nuova stagione di enorme e stabile prosperità.
  Di tutto questo Flavio Valerio Costantino fu il fautore, e a coloro che oggi vivono a Roma questa vecchia storia millenaria dovrebbe comunque essere molto familiare, se non altro per la stessa etimologia dei luoghi che si attraversano, in particolare nel territorio del XXmo Municipio:  Labaro, Malborghetto, Saxa Rubra, Ponte Milvio.

  Luoghi costantiniani che parlano ancora oggi, di una storia vera e concreta che ci riguarda da vicino e che racconta non solo dei nostri padri ma anche di  noi, per capire chi siamo e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.


Fabrizio Falconi 

in testa: Piero della Francesca, Vittoria di Costantino su Massenzio, ciclo della Leggenda della Vera Croce, Basilica di San Francesco, Arezzo.

16/10/12

Fellini e il finale di Otto e mezzo - Un inedito.




Forse questa è solo la storia di un film che non ho fatto.  

Mi ricordo che all'inizio, parlo almeno di un anno e mezzo fa, volevo mettere insieme un ritratto a più dimensioni di un personaggio sui quarantacinque anni che, in un momento di sosta forzata (il fegato, una cura termale in un posto tipo Chianciano, la giornata scandita da orari nuovi e precisi, il riposo, il silenzio, e intorno una folla insolita e malata, sovrani nordici e contadine, vecchi cardinali e mantenute un po' acciaccate), sprofonda pigramente in una specie di verifica intima. 

Quasi inevitabilmente gli passano davanti fantasie e ricordi, sogni e presentimenti.  Non riuscivo, all'inizio, a dargli una carta d'identità, al protagonista.  Restava un personaggio generico, piombato in una certa situazione, e credevo che non fosse necessario definirlo meglio.  

Ma il film non riusciva a fare un passo avanti. Per quanto se ne discutesse con gli sceneggiatori, Flaiano, Pinelli e Rondi, non restava altro che l'idea del film.  Poi il personaggio è diventato finalmente un regista che tenta di riunire i brandelli della sua vita passata per ricavarne un senso e per tentare di capire. Anche lui ha un film da fare, che non riesce a fare.

A un certo punto lo troviamo perfino ai piedi di una gigantesca rampa per missili: da quella rampa, nel suo film, dovrebbe partire un'astronave, con il compito di portare in salvo, verso chissà quale altro pianeta, i resti dell'umanità distrutta dalla peste atomica.    Proprio lì, sotto il castello di tubi e di pedane, il mio protagonista dice a se stesso: 

"Mi sembrava di avere le idee chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi sembrava di avere qualcosa di molto semplice da dire: un film che servisse, un po' a tutti, a seppellire quello che di morto ci portiamo dentro. Invece sono io il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio un bel niente.  E adesso mi trovo qui con questa torre tra i piedi e una gran confusione nella testa. Chissà a che punto avrò sbagliato strada." 

Federico Fellini descrive così - su invito del settimanale - le immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963, pag.38.


15/10/12

Louise Favreau, una poetessa 17enne delle indie occidentali ispirò una delle più belle tombe di Santa Croce a Firenze. Ora il restauro.



Il mecenatismo americano a Firenze, organizzato nell'Advancing Women Artists Foundation, restaura il monumento sepolcrale in marmo della poetessa Louise Favreau, realizzato dalla scultrice francese ottocentesca Felicie De Fauveau nella basilica di Santa Croce. 

L'iniziativa sara' illustrata oggi alle ore 12, nella Sala del Cenacolo di SantaCroce, dove interverranno le autrici del volume "L'arte delle donne a Firenze: una guida attraverso cinque secoli", Jane Fortune, presidente e fondatrice della Awa Foundation, e Linda Falcone, direttrice della stessa Awa. 

Conduce l'incontro Alessio Assonitis, direttore del Medici Archives Project. Per l'occasione sara' possibile visitare il cantiere dell'ultimo intervento tuttora in corso della Advancing Women Artists Foundation: il mantenimento del monumento eseguito da Felicie De Fauveau. 

Il monumento sepolcrale De Fauveau a Santa Croce commemora Louise Favreau, una poetessa diciassettenne delle Indie occidentali, ed e' stato ispirato da una poesia scritta da quest'ultima. Originariamente creato per la Cappella Medicea della basilica nel 1854, il monumento si fregia di elaborate tecniche di incisione e i suoi motivi decorativi in altorilievo ricordano l'opera di un maestro orafo. 

Il progetto di manutenzione, sponsorizzato dalla Advancing WomenArtists Foundation e dalla sua fondatrice Jane Fortune, e' stato programmato e realizzato da Nike Restauro Opere d'Arte utilizzando trattamenti protettivi e di pulizia volti a migliorare l'equilibrio cromatico e l'appeal estetico della scultura. 

Il volume "Art by Women in Florence: A Guide through Five Hundred Years" (L'arte delle donne a Firenze: una guida attraverso cinque secoli) aspira a illuminare le figure di numerose artiste dall'eccezionale quanto misconosciuto valore, le cui vite e opere continuano a essere una parte non rivelata e dell'identità culturale di Firenze. 

I proventi del libro, pubblicato in inglese da The FlorentinePress, saranno impiegati per sostenere i progetti di restauro a favore delle opere di donne artiste a Firenze organizzati e patrocinati dalla Advancing Women Artists Foundation, operante dal 2006. Il volume sara' disponibile nelle librerie di Firenze a partire dal 20 ottobre. 

14/10/12

La poesia della domenica - "Wittgenstein" di Fabrizio Falconi.






Wittgenstein



Di niente o cosa
è fatto il fiume prossimo
che ci  attraversa
e insieme, il vento le voci
ed ogni cosa,
succede ogni giorno la vita
come una regola che scotta
nel conto delle foglie delle pietre
dei rimorsi.
Ogni cosa al suo centro ritorna
sempre uguale e sempre silenziosa
diversa e mossa da passi senza tempo.




Fabrizio Falconi © - (inedita)  Monte Pana, luglio 2005

12/10/12

Tornare ad essere come i bambini: il motivo per cui si vive.




Il motivo per cui si vive non è una crescita uni-direzionale. 

La vita umana è un ciclo - come avevano capito tutti i grandi popoli del passato - somiglia certamente più ad un cerchio che a una linea retta: il ritorno delle stesse cose, trasformate, è lo scopo del vivere.

Se a un essere umano è dato di vivere a lungo, è certo che egli - sul finire dei suoi giorni - si sarà trasformato in una sorta di se stesso bambino:  riemergeranno le stesse caratteristiche di quando si è stati bambini. Si sarà deboli, dipendenti dagli altri, meno disposti ad affermare se stessi e più disposti ad ascoltare e - se si è vissuto pienamente, elaborando il conto dei propri giorni passati senza abbandonarsi al rancore, all'odio e a tutti gli altri sentimenti negativi - meno cinici, di nuovo ingenui (e innocenti) come lo sono i bambini.

Questo senso dell'esistenza è inscritto in molte tradizioni, in molta antropologia, e incardinata nelle stesse parole, più che eloquenti, pronunciate dal fondatore del Cristianesimo riportate nei Vangeli, il quale così formula l'unica ricetta per guadagnarsi il regno: In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.

E' significativo che Cristo dica: non sarete come i bambini, ma diventerete come i bambini.

Bisogna dunque diventare come i bambini.  E' questo lo scopo della vita.

Non si tratta di essere bambini per tutta la vita, come invece oggi tutto sembra incline ad incoraggiare: una vita di solo divertimento, di sola de-responsabilità, di solo gioco.   No, non è questo.  Il puer aeternus a nulla serve, se non a se stesso.  E non sembra essere questo lo scopo per cui si è venuti al mondo.

Diventare come i bambini, tornare ad essere come eravamo è un compito, anche molto faticoso.   Riscoprire volta a volta lo stupore e lo sguardo nostro primigenio (e innato) sembra molto spesso un'opera impossibile. Innumerevoli sono gli ostacoli che ciascuno di noi incontra nel cammino. Amiamo ribadire, ridirci che tutto basta, che ogni risposta è alla portata del mio essere adulto, che il cammino scritto è una linea retta (che non si sa dove porta, probabilmente da nessuna parte).

E basta scorrere le notizie quotidiane per capire cosa abbiamo fatto e cosa stiamo facendo alla nostra parte bambina, ai nostri bambini che sembrano certe volte non avere più diritto di cittadinanza in questo mondo, soffocati dalle esigenze e dalle volontà di chi "ne sa più di loro".

Eppure ogni cosa su questa terra ci insegna che la fine torna all'inizio.

E che senza comporre questo cerchio perfetto, nessuna esistenza, nessuna vita trova o può trovare il suo significato. 

Fabrizio Falconi

11/10/12

Il neurochirurgo si risveglia dopo 7 giorni dal coma e racconta "quello che ha visto."



Il professor Eben Alexander era sempre stato scettico a proposito di vita ultraterrena e dei racconti di esperienze extracorporee che gli venivano fatti dai suoi pazienti. Ma da quando nel 2008 rimase in coma sette giorni a causa di una rara forma di meningite la sua opinione è parecchio cambiata. La sua storia è finita sulla copertina di Newsweek, ma anche in un libro intitolato significativamente "Proof of Heaven" ("La prova del paradiso", che uscirà il 23 ottobre), e racconta di un'esperienza durante la quale il medico cinquantottenne ha visitato quello che lui stesso definisce un luogo «incommensurabilmente più in alto delle nuvole, popolato di esseri trasparenti e scintillanti».

TRA LA VITA E LA MORTE - Una mattina dell'autunno del 2008 Alexander si svegliò con un feroce mal di testa e di lì a poco venne ricoverato d'urgenza in uno degli ospedali dove aveva lavorato, il Lynchburg General Hospital in Virginia. Qui gli venne diagnosticata una meningite batterica da Escherichia Coli, una patologia tipica dei neonati, che in poche ore lo condusse al coma. Per sette giorni il neurochirurgo statunitense rimase tra la vita e la morte e le frequenti TAC cerebrali e le accurate visite neurologiche dimostrarono una totale inattività della sua neocorteccia (nell'uomo rappresenta circa il 90 per cento della superficie cerebrale e viene considerata la sede delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria).

LA PROVA DEL PARADISO - Ma mentre Eben Alexander giaceva immobile e privo di conoscenza, sperimentava anche un vivido e incredibile viaggio destinato a cambiare la sua esistenza. Tutto ha avuto inizio «in un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte e stormi di esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia altrettanto lucente». Secondo Alexander catalogarli come uccelli o addirittura angeli non renderebbe giustizia a questi esseri che definisce forme di vita superiore. In questa dimensione, arricchita da un canto glorioso, l'udito e la vista sono diventate un tutt'uno. Come ha raccontato a Newsweek il medico americano: «potevo ascoltare la bellezza di questi esseri straordinari e contemporaneamente vedere la gioia e la perfezione di ciò che stavano cantando».

MILIONI DI FARFALLE - Per buona parte del suo viaggio Alexander è stato accompagnato da una misteriosa ragazza bionda dagli occhi blu, che l'uomo racconta di avere incontrato per la prima volta camminando su un tappeto costituito da milioni di farfalle dai colori sgargianti. Nella memoria del neurochirurgo la giovane aveva uno sguardo che esprimeva amore assoluto, ben al di sopra di quello sperimentabile nella vita reale, e parlava con lui senza usare le parole, inviando messaggi «che gli entravano dentro come un dolce vento». Eben Alexander ne ricorda tre in particolare. Il primo era «tu sei amato e accudito», poi «non c'è niente di cui avere paura» e infine «non c'è niente che tu possa sbagliare». Ma l'accompagnatrice del medico aggiungeva anche: «Ti faremo vedere molte cose qui. Ma alla fine tornerai indietro».

UN UTERO COSMICO - Proseguendo il cammino l'autore di Proof of Heaven è infine giunto in un vuoto immenso, completamente buio, infinitamente esteso e confortevole, illuminato solo da una sfera brillante, «una sorta di interprete tra me e l'enorme presenza che mi circondava. È stato come nascere in un mondo più grande e come se l'universo stesso fosse un gigantesco utero cosmico. La sfera mi guidava attraverso questo spazio sterminato». Non si tratta certamente del primo caso di quello che gli anglosassoni chiamano Near Death Experience (esperienze ai confini della morte), ma di certo turba il fatto che a raccontarla sia un affermato docente di neurochirurgia, da sempre dichiaratosi scettico al proposito. 
«Mi rendo conto di quanto il mio racconto suoni straordinario, e francamente incredibile - ha dichiarato Eben Alexander -; se qualcuno, persino un medico, avesse raccontato questa storia al vecchio me stesso, sarei stato sicuro che fosse preda di illusioni. Ma quanto mi è capitato è reale quanto e più dei fatti più importanti della mia vita, come il mio matrimonio o la nascita dei miei due figli».


09/10/12

Sagittario - dalla mostra "Zodiac" di Justin Bradshaw e Fabrizio Falconi.





tratto dalla mostra Zodiac (Tuscania, ex Chiesa di Santa Croce, 2007), dipinti di Justin Bradshaw, testi di Fabrizio Falconi da Il canto dei segni.



Sagittario. 

Che incanto, che bellezza a perdifiato. Mi fermo, seduta sulla roccia, ad aspettare gli uccelli. Non mancheranno, vengono in processione luminosa, come una scia, da est, seguono il sole. 
Ho il corpo dolente, ma lo sguardo non si è offuscato. E dentro di me vive ancora una nuova stagione. Le luci d’inverno, il lento avanzare delle nuvole sono di fronte a me. Se mi guardo dentro, a questo punto del viaggio, scopro di essere debole, e forte allo stesso tempo. Forte, è la mia natura divina. Debole, è la mia natura umana. Donna duplice, doppia vita.
Essere umano che teme, e quasi non sa più scegliere la via, tra le molte.
Essere divino, che è in me, e conduce al culmine della Via Lattea. 
In fondo, la notte è vicina. Così, il nuovo giorno.



In testa: Sagittario, Justin Bradshaw da Zodiac.

08/10/12

Fellini e la Saraghina - un inedito.





Questa è la Saraghina. L'ho conosciuta davvero: un donnone monumentale che abitava in una strana tana, un fortino semidistrutto che risaliva all'altra guerra, sulla costa adriatica.   

Dalle mie parti le "saraghine" sono i pesci che mangiano i poveri, quello che resta in fondo ai cesti delle paranze e che si dà via per niente. 

Quel donnone, i pescatori lo pagavano così.

Avrò avuto nove anni, un giorno rimediai qualche soldo e con degli altri ragazzotti andai a trovare la Saraghina. Mi ricordo che a un certo momento si mise a ballare muovendo il gran pancione con sussulti da terremoto che ci turbavano e ci spaventavano. 

Ora nell'harem ho messo anche lei.  E' difficile da credere, con quel trucco in faccia, ma l'interpreta una soave signora che nella vita fa la professoressa di tedesco, a Milano.  

Detto questo, però non vorrei far pensare che il film è la storia segreta di un erotomane. Assolutamente no. Ma allora, che cosa è, questo 8 e 1/2 ?


Federico Fellini descrive così - su invito del settimanale - le immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963, pag.36.


 

07/10/12

La Poesia della Domenica - 'Lo strumento' di Les Murray.





Lo strumento


Tra le strofe ferine molte per incarnarsi
vogliono la tua carne. Solo l'arte compiuta
scevra d'obbedienza al suo tempo può piroettarti
attraverso i poemi più vasti che stai vivendo.
Star fuori d'ogni poesia è un vuoto irraggiungibile.

Perché scrivere poesia? per essere stranamente
disoccupati. per i mal di testa indolori da sfruttare
per colpire al momento maturo giù dal braccio che scrive.
Per i successivi aggiustamenti, calibrare un verbo
prima che la trance ti lasci. per lavorare sempre oltre

il limite della tua intelligenza. Per non aver da salire
e tradire i poveri nel farlo. Per una non vorace fama.



Les Murray (1938 - ) - The Instrument (qui il testo completo in inglese).


06/10/12

I-Ching, Jung, il Caso e il Caos.




Parliamo di Caso, di quello che gli uomini chiamano caso, e sarà bene richiamare l'etimologia della parola, che deriva dal latino: casus, dal verbo cadere.

Ed è solo il 'caso' di ricordare che in italiano caso è anagramma di caos, il quale deriva a sua volta dal greco chàos, ovvero abisso.

In tutte e due le parole, quindi, c'è un richiamo al cadere giù, alla profondità: il Caos e il Caso sono forze che ci trattengono giù mentre noi - la volontà umana - cerca di andare su, erigendo costruzioni di ordine e di senso, anche laddove Caos e Caso sembrano regnare sovrani.

In Oriente l'approccio a questo ordine di problema, nel corso dei secoli è stato significativamente diverso da quello occidentale, dove hanno predominato il razionalismo aristotelico e il rigore del metodo empirico.

Il massimo tentativo di ordinamento, di dare ordine ad una linea casuale, in Oriente, è quello rappresentato  dai famosissimi I-Ching. Anche detto Libro dei Mutamenti, uno tra i più vecchi testi cinesi, risalente secondo alcuni a 2.000 anni prima di Cristo.

L'I-Ching è basato su 64 esagrammi, ciascuno composto da sei linee spezzate (energia yin) o intere (energia yang).

Attraverso il ripetuto lancio di tre particolari monete, colui che desidera porre una questione sulla propria vita, costruisce l'esagramma profetico per individuare il responso alla domanda posta.

Le line cosiddette mobili determinano un secondo esagramma, che fornisce le indicazioni circa l'eventuale sviluppo dell'attuale situazione.

Penso sia noto a molti il pensiero di Carl Gustav Jung, a proposito dell'I-Ching, che è bene espresso nella celebre prefazione al testo, nella edizione inglese del libro, stampata nel 1949.

Oggi si trova in molte edizioni - la migliore quella di Adelphi (1991).

Consiglio a tutti questa lettura - sono poche pagine - in cui Jung sembra voler smantellare pezzo per pezzo la nostra concezione moderna, molto occidentale di casualità (e di causalità).

L'I-Ching non ha mai smesso di suscitare interesse e perplessità: come possono sentenze pre-scritte da qualcuno, duemila anni fa in Cina, rispondere casualmente alle mie esigenze, alle domande che io pongo oggi?

Jung spiega come tutta la scienza occidentale sia fondata sul concetto della causalità, considerata come verità assiomatica: tutto ha una spiegazione, e una causa.

L'evoluzione (e in particolare la fisica moderna) ha portato invece l'uomo a capire come quelle che vengono chiamate Leggi Naturali siano soltanto verità statistiche, condannate a contemplare eccezioni e valide soltanto fino alla successiva evidenza contraria. 

Nelle eccezioni alle consolidate Leggi Naturali  - poniamo ad esempio la cosiddetta Energia Oscura dell'Universo, che non obbedisce alle nostre conoscenze attuali - gioca la sua parte il caso.

Così, se noi interpelliamo il meraviglioso libro dell'I-Ching, ottenendone dei responsi sapienziali che sembrano scritti per noi, in quel momento, la causa non sembra da ricercare solo nella abilità degli amanuensi cinesi.

Chiunque abbia provato ad interrogare il libro - con serietà (seguendo le regole, e quindi consultando e studiando solo il libro, secondo le regole), e non attraverso gli orridi giochetti che girano via internet - potrà citare episodi sorprendenti.

Ma, scrive Jung, siamo perplessi soltanto noi, giacché inciampiamo sempre di nuovo nel nostro pregiudizio, ovvero nella nostra nozione di causalità.

Che significa ignorare le molte forze psichiche che sembrano prescindere la nostra volontà razionale, che sono inconsce, ma stranamente in sintonia con un sentire ulteriore (quelli che Jung chiama archetipi). E ci tendono mille trabocchetti alla nostra smania ordinatrice, facendoci appunto scivolare o cadere nel caso.

O - se non sappiamo venirne fuori - nell'abisso del Caos.

Fabrizio Falconi.

04/10/12

Scrittori: apre in Francia il museo di Stendhal.



Un museo dedicato a Stendhal e alla sua famiglia ha aperto le porte a Grenoble, città natale dello scrittore francese, capitale dell'antica provincia del Delfinato. 

Il nuovo spazio espositivo consente di approfondire la vita dell'autore di "Il rosso e il nero" e "La Certosa di Parma" e soprattutto di conoscere meglio la sua famiglia e il suo apprendistato letterario. 

Il museo di Henri Beyle, conosciuto come Stendhal (1783-1842), è collegato alla Biblioteca municipale di Grenoble che conserva numerosi manoscritti del romanziere e documenti iconografici stendhaliani. 

L'edificio in cui sorge il nuovo museo è stato ricavato dalla ristrutturazione di due appartamenti dove Stendhal visse l'infanzia e l'adolescenza, tra i 6 e i 16 anni, dove abito' con il nonno. 

Due grandi saloni all'italiana presentano una galleria dei ritratti della famiglia di Stendhal, che compare raffigurato in un busto in marmo. 

Tra i cimeli autografi esposti spicca il manoscritto della sua autobiografia. 

Il museo ospita la ricostruzione dello studio del giovane autore con curiosità legate alla sua giovinezza, come la passione per la botanica. 

E' stato ricavato anche uno spazio dedicato ad esposizioni temporanee, la prima delle quali è dedicata ad un omaggio all'Italia, dove Stendhal visse e viaggiò a lungo. 

03/10/12

Gemelli - dalla mostra "Zodiac" di Justin Bradshaw e Fabrizio Falconi.






tratto dalla mostra Zodiac (Tuscania, ex Chiesa di Santa Croce, 2007), dipinti di Justin Bradshaw, testi di Fabrizio Falconi da Il canto dei segni.




Gemelli


Voglio toccare con le mani la pietra. Qualcosa di impossibile, per me, fatta d’aria. Varco la soglia, mi ritrovo all’aperto, poi al chiuso, come dentro le mura di una chiesa. Non è una chiesa, è una casa dalle mura intonacate di verde. E muschio alle pareti, una casa nell’ombra della foresta. 
Guardo in cielo, riconosco Mercurio. La sua corsa, dentro il cielo. La smania di toccare la pietra è diminuita, è come se fosse proibito e non sapessi dove volgere lo sguardo. Il vuoto penetrante, ovunque. Il profumo di un lento addormentarsi, incombe soavemente. La quiete del più puro silenzio. Protesa una mano nell’aria cerco di toccare… La mano torna indietro.
Come se avesse toccato un’altra mano, non la pietra che aspettavo. Mi volto per guardare dalla parte opposta. E’ la mia mano. La mano nello specchio, o forse la mano di un’altra. Una nuova, come la strada lunga e alberata che si perde all’infinito.
Vorrei percorrerla tutta, e dalla fine all’inizio, senza riuscire a toccarla mai.




in testa: Gemelli, Justin Bradshaw, da Zodiac.

02/10/12

Intervista ad Andrei Makine - Il romanzo nell'epoca della comunicazione.


  

Di Andrei Makine, è da poco uscito presso l’editore Einaudi,  Il libro dei brevi amori eterni.

* Murielle Lucie Clé­ment. – Andreï Makine, la sua idea di let­te­ra­tura è mutata, da quando è ini­ziata la sua car­riera, una ven­tina d’anni fa?

Andreï Makine. – In linea gene­rale no, ma si tratta anche di capire cosa lei intenda con “idea di letteratura”.

M. L. Clé­ment. – La sua idea per­so­nale e gene­rale di letteratura.

A. Makine. – Il posto che la let­te­ra­tura occupa in que­sto mondo, il posto che la let­te­ra­tura occupa rispetto alle espres­sioni arti­sti­che non let­te­ra­rie, rispetto alla filo­so­fia? Il campo va ben deli­mi­tato. La let­te­ra­tura era, per me, una spe­cie di sacer­do­zio. Si entra nella let­te­ra­tura come si entra in ordine reli­gioso. Ma senza alcuna con­no­ta­zione asce­tica o reli­giosa. Un impe­gno totale. Un altro modo di vivere. Proust diceva:” Leg­gere è assen­tarsi dalla vita”. Un libro è un altro modo di vivere. E’ pos­si­bile acce­dere in modo com­pleto a que­sto modo di vivere? Non credo, per­ché siamo dei sem­plici esseri mor­tali e dun­que siamo inte­res­sati a nume­rose altre atti­vità. Tanto più che, gra­zie a Ver­laine, la let­te­ra­tura è diven­tata quasi una bat­tuta: “E tutto il resto è letteratura!”
La visione che ne hanno i russi è abba­stanza ori­gi­nale. Non hanno creato grandi sistemi filo­so­fici, e hanno rime­diato a que­sto con la crea­zione let­te­ra­ria. Essere scrit­tore, in Rus­sia, signi­fica essere anche un pen­sa­tore e un filo­sofo. Que­sto con­fine, che tro­viamo in Fran­cia e in Ger­ma­nia, tra let­te­ra­tura e i grandi sistemi filo­so­fici come quello di Car­te­sio, di Hegel o di Kant, là non esi­ste. I russi, dun­que, sono dei sin­cre­ti­sti, e ciò può essere utile. Gli ha per­messo di evi­tare lo svi­luppo ple­to­rico di una let­te­ra­tura leg­gera, che è sem­pre stata indi­cata come bel­le­tri­stika. Una parola, “belle let­tere”, che in fran­cese suona nobile, ma in russo è un peg­gio­ra­tivo e ingloba tutto ciò che è avan­spet­ta­colo, roman­zetto da leg­gere in treno, tutti i generi minori, i roman­zetti facili. E che sono sem­pre stati disprez­zati, in Rus­sia. Quale sarebbe, allora, il ruolo della let­te­ra­tura, come defi­nirla? Una spe­cie di sote­rio­lo­gia. La let­te­ra­tura è soprat­tutto que­sto. Dopo i miei primi lavori, il mio modo di vedere la let­te­ra­tura si è diver­si­fi­cato, se non altro pro­prio gra­zie all’influenza che, soprat­tutto, hanno eser­ci­tato le cose che ho scritto. Ci sono campi, come il tea­tro, che un tempo mi sem­bra­vano inac­ces­si­bili. Non avrei mai pen­sato di scri­vere un pezzo di tea­tro, e invece l’ho scritto. Ho scritto dei saggi, anche se non mi con­si­de­ravo un sag­gi­sta. E, infine, non avrei mai pen­sato di scri­vere un testo, che l’attualità mi ha spinto invece a scri­vere, come Cette France qu’on oublie d’aimer.

M. L. Clé­ment. – Ci può rac­con­tare come è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Biso­gne­rebbe scri­vere un libro intero per rac­con­tare la nascita di una voca­zione. Rian­diamo per un istante al signi­fi­cato eti­mo­lo­gico di que­sta parola, la vox, la voce che ti parla. Non nel senso che si sen­tano delle voci e che ne si venga illu­mi­nati. La chia­mata viene lan­ciato da realtà incon­fu­ta­bili, a cui si pensa senza pen­sarci, pur pen­san­doci: l’eroe, la morte, la bre­vità della vita, la fuga­cità del nostro essere, la sof­fe­renza, la morte dei nostri cari, il Male, il Bene, insomma, tutti i grandi inter­ro­ga­tivi che si pone l’umanità e che esi­gono una rispo­sta da parte nostra. E biso­gne­rebbe tro­vare un modo appro­priato per rac­con­tare tutto que­sto in modo non sco­la­stico, né oscuro, né alam­bic­cato. Tro­vare un lin­guag­gio sem­plice per dire la morte, l’eroe, la sof­fe­renza, il Bene, il Male ecc. E così, senza star lì ad archi­tet­tare la cosa, si ritorna a que­sto, ai grandi sistemi filo­so­fici, per par­lare in modo esatto.

M. L. Clé­ment. – Non ha vera­mente rispo­sto alla mia domanda. Come sono comin­ciate le cose? Com’è che è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Sì ma, vede, io sono stato tal­mente tante cose. Lei avrebbe potuto chie­dermi, com’è stato com’è che a dodici anni è diven­tato un fac­chino in un mer­cato kol­ko­ziano, o un pastore e poi un sol­dato e così via. A un certo punto ho pen­sato di voler diven­tare uno spor­tivo di pro­fes­sione. Siamo tutte que­ste facce. Nabo­kov era un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio. Que­sta era la sostanza del suo essere, della sua voca­zione? Forse un modo per sbar­care il luna­rio, come sono stati per me i mille mestieri che ho fatto.

M. L. Clé­ment. – Glielo chiedo per­ché, prima, lei è stato uno stu­dente uni­ver­si­ta­rio e ha scritto una tesi di dot­to­rato e degli arti­coli di cri­tica let­te­ra­ria. Forse avrei dovuto porre la domanda in modo diverso e chie­derle come lei è diven­tato un romanziere.

A. Makine. – L’analisi let­te­ra­ria è un aspetto sus­si­dia­rio rispetto alla crea­zione let­te­ra­ria. Imma­gi­niamo un cam­pione di For­mula 1 che, per esem­pio, s’interessi anche di mec­ca­nica. Que­sto gli dà qual­cosa. Cono­sce meglio il motore, come fun­ziona, i suoi limiti, ma non rim­piazza il suo talento di pilota. Un giorno, forse, quando avrà perso il suo ingag­gio, potrà sal­tare dall’altra parte e diven­tare un mec­ca­nico. Suc­cede lo stesso con la voca­zione letteraria.

M. L. Clé­ment. – Come scrive un romanzo, che è poi quello che lei fa, soprat­tutto. Ecco, vor­rei sapere come nasce un romanzo di Andreï Makine. Parte per prima cosa dall’idea di un per­so­nag­gio? O c’è una sto­ria che le parla, al principio… ?

Intervista realizzata da Marie Lucie Clément per Le Nouvel Observateur.

01/10/12

Scoperti in Israele 15 disegni di Hermann Hesse.





Una quindicina di disegni dello scrittore tedesco Hermann Hesse (autore, fra l'altro di 'Il Lupo nella Steppa' e 'Siddharta') saranno esposti fra due settimane dalla Biblioteca nazionale israeliana di Gerusalemme dove sono stati scoperti dopo un oblio di decine di anni. 

Lo riferisce il quotidiano Haaretz, secondo cui le illustrazioni accompagnano una delle numerose stesure di Hesse della favola d'amore 'Metamorfosi di Pictor': quindici pagine in tutto, che pure saranno presentate al pubblico. 

Secondo il giornale, nel 1932 Hesse dedico' il volumetto a un ebreo tedesco di nome Menachem Weitz. Di lui sono rimasti scarni elementi biografici: a quanto pare si era trasferito a Gerusalemme dove viveva di agricoltura.

Nel 1943 la favola di Hesse raggiunse la Biblioteca di Gerusalemme: la' fu registrata a matita, ma non catalogata. 

Solo di recente e' stata recuperata da un ricercatore specializzato in letteratura tedesca e sara' esposta nel 50.mo anniversario della morte del celebre scrittore. 

Haaretz aggiunge che altri disegni sconosciuti di Hesse (datati 1927) sono stati intanto ritrovati in Israele nell' archivio del filosofo ebreo-tedesco Martin Buber.