22/06/13

"La grande bellezza" di Paolo Sorrentino, un film deludente e mortifero.




Il talento espressivo indiscutibile di Paolo Sorrentino si è avvitato in un film dalle grandi ambizioni, inutile.

Cosa ha da dirci La grande bellezza ? Cosa ha da dirci che non possiamo già sapere accendendo la TV o cliccando su Dagospia e su Cafonal ? 

Cosa ha da raccontarci di Roma, che si supporrebbe essere la protagonista del film, e soprattutto di noi ?

Sorrentino mette in scena un disfacimento esteriore - quello di una città e più in generale di un paese - al quale corrisponde un disfacimento interiore, di Gep, del protagonista e di tutto il coro: una specie di entusiastica dissoluzione, di una compiaciuta perdizione. 

Nulla ha più senso ci dice Gep-Sorrentino e l'unica nostra possibilità è quella di organizzarci una serata. 

Possibilmente rimbambirci con qualche deterrente artificiale, con l'eros, con un drink, con una sniffata, con un discorso inconcludente, con una passeggiata all'alba mentre tutti dormono. 

I corpi sono deformi o in putrefazione. Come le coscienze. 

La tirata di Gep contro la moralista di sinistra e contro l'episcopo e la sua presunta fede, sono il manifesto di un nichilismo consapevole e compiaciuto che non vede altro orizzonte se non quello della propria di-sperazione e altro sogno se non quello della propria sparizione. 

Ma in tutto questo si intravvede qualcosa di nuovo ? Qualcosa che già non sappiamo ? Questo è il panorama  che tutti i giorni abbiamo di fronte, lo sappiamo tutti.  

Ma un artista, un autore, forse dovrebbe essere capace di andare oltre.

Oltre il proprio compiacimento. Ne La grande bellezza c'è un grande, barocco, eccessivo compiacimento: che bello (ma a che serve, a che fine artistico serve?) che il direttore di Gep sia una nana! Che bello che la vecchia santa sia un cadavere ambulante, una sorta di Tutankhamen che spaventa i bambini.  Che bello che le performances artistiche cui Gep assiste siano una tedesca che prende a capocciate a sangue i monumenti di Roma o una ragazzina che sembra uscita dall'Esorcista che schizza colori su una parete.

Che bello che le vecchie matrone abbiano il corpo sfatto e devastato di Serena Grandi...  Che le feste con i trenini ci portino tutti gli orrori della volgarità umana. 

Ma dopo ? Ma poi ?   

Sorrentino ha in mente Fellini, è fin troppo esplicito. 

Ma Fellini aveva già fatto TUTTO quanto ha fatto Sorrentino - la Saraghina ha 50 anni più di Serena Grandi, è venuta 50 anni prima - con la semplice differenza che il genio di Fellini era capace di trasformare anche l'orrore, la volgarità e la miseria umana in poesia. 

La poesia è anche e soprattutto vita. 

Negli anfratti de La Dolce Vita la gioia pullulava sotto la disperazione di Marcello. La vita premeva. 

La Grande Bellezza è invece solo un compiaciuto paradigma di morte.  

La poesia, che dovrebbe essere relegata alle scene sontuose di Roma, è avvilita e povera, non spicca mai il volo. Tra l'altro, Sorrentino ci ripropone anche un catalogo delle bellezze di Roma molto scontato,  molto visto (il Marforio, l'occhio dell'Aventino, la prospettiva di Palazzo Spada,  la Fornarina), sembra Roma vista dall'occhio di un provinciale: quale è in fondo Gep, un campano trapiantato a Roma come Sorrentino. 

Anche Fellini era un parvenu, un provinciale. Ma la differenza è proprio questa: Fellini aveva contribuito a creare con il suo genio, con la sua arte, la Roma di quegli anni che ha deciso di raccontare nei suoi film. Sorrentino invece non crea nulla. E' un visitatore di passaggio, come ne ha avuti Roma  a centinaia di migliaia nella sua lunga vita: un cronista, per lo più enormemente affascinato a raccontare soltanto il trivio e il mortifero, come piace fare del resto, ai cronisti. 

Fabrizio Falconi.

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