15/11/13

100 anni fa la Recherche di Proust. Un articolo di Alessandro Piperno su Swann




Cento anni fa, ieri, esattamente il 14 novembre 1913, debuttava, dopo una serie di risposte negative di varie case editrici, "Dalla parte di Swann", primo volume del capolavoro di Marcel Proust "Alla ricerca del tempo perduto", che restera' nella letteratura mondiale. 

Editori Internazionali Riuniti celebra l'anniversario riproponendo, nella collana Asce, le "Poesie" (traduzione della poetessa Luciana Frezza), una silloge di componimenti editi in riviste, o in differenti raccolte di lettere, o in pubblicazioni di amici dell'autore, o in plaquettes di "versi ritrovati", o ancora inediti provenienti per lo piu' dall'archivio di Madame Mante-Proust e dal Fonds Marcel Proust dell'Universita' dell'Illinois a Urbana. 

Nella stessa collana e' presente anche il romanzo "Gelosia" (traduzione di Cristiana Fanelli) del maestro francese.



Alessandro Piperno Marcel Proust. Perché Swann (la vittima) è uno di noi

Chissà se tra le tante definizioni della Recherche non possa trovare spazio anche questa: la Recherche è la lunga impudica confessione di un saggista impazzito. Proust è alle soglie della mezza età, in piena sindrome Salieri: pensa che Dio gli abbia regalato il dono di saper riconoscere la bellezza, ma non di saperla inventare. Spinto dal risentimento, si mette a scrivere un saggio letterario contro Charles Augustin de Sainte-Beuve, uno dei più grandi scrittori francesi del XIX secolo. Ma ecco che questo astioso saggista, nonché romanziere fallito, trascinato dalle sue elucubrazioni, viene preso dalla smania di raccontarci i fatti suoi o, quanto meno, i fatti di un tizio che gli somiglia parecchio: da allora in poi non riesce più a fermarsi. Il risultato è il più fiabesco e, allo stesso tempo, il più nichilista romanzo mai scritto.

fonte ANSA  -  Corriere della Sera – la Lettura 10 novembre 2013



C’è un momento in cui Proust capisce che ciò che sta scrivendo è l’opera che cerca di scrivere da almeno vent’anni, e che quest’opera lungamente agognata lo accompagnerà fino alla tomba, vegliando sul suo cadavere nei secoli a venire. E qualcosa mi dice che quel momento magico coincida con la nascita del personaggio di Charles Swann. Che, difatti, come mi faceva notare tempo fa Daria Galateria, compare subito, già nel famoso Carnet de 1908. Swann e la Recherche sono, per così dire, coetanei.
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Un secolo di Swann
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Per noi, oggi, è difficile capire fino in fondo il fascino esercitato da Swann sui primi lettori di Proust. L’intera idea che essi avevano della Recherche era molto diversa dalla nostra. Dopotutto, conoscevano solo l’overture che conteneva i motivi dell’opera in una forma embrionale. Per esempio, non sapevano chi fosse Albertine (a stento lo sapeva Proust); non sapevano il rilievo shakespeariano che strafacendo avrebbe assunto un personaggio come Charlus; né potevano immaginare che la protagonista occulta di questa epopea consacrata alla distruzione sarebbe stata la Prima guerra mondiale, che avrebbe regalato a Proust il cataclisma di cui aveva bisogno per rendere ancor più siderale la distanza tra il Tempo Perduto e il Tempo Ritrovato.
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Mi chiamo Charles Swann
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Insomma il successo che la Recherche inizia ad avere, nell’inverno del 1914, qualche mese dopo l’uscita del primo tomo, è legato soprattutto al carisma di Charles Swann. A cominciare dal nome, che, infatti, compare nel titolo. La proverbiale attenzione di Proust all’onomastica lo ha indotto a battezzare i suoi personaggi con nomi splendidamente appropriati e ironicamente evocativi: Odette de Crécy, Palamède Charlus, Basin e Oriane de Guermantes, Legrandin, Brichiot… Nomi incantevoli, ma anche canzonatori, capaci di racchiudere un destino in poche sillabe. Eppure nessuno di questi nomi è preciso e prezioso come quello di Charles Swann.
Suadente, esotico, garbato, elegante, spiritoso… Provate a pronunciarlo lentamente: CHARLES SWANN. È come emettere due sospiri estenuati. Non a caso è uno dei pochi nomi di cui Proust ci fornisce la dizione esatta: «Suann», non «Svann». Un nome di origine inglese, quindi, non tedesca. Togli una delle due «n» finali e in inglese hai «cigno», il candido pennuto caro a Baudelaire, a Laforgue, a Mallarmé.
Malgrado Proust ci fornisca le esatte coordinate del modello reale — un certo Charles Haas — Swann è il più romanzesco dei suoi personaggi. Come ogni personaggio immortale (da Amleto alla Karenina) Swann somiglia a tutti noi, e non somiglia a nessuno: un po’ come Leopold Bloom, con il quale, infatti, condivide più di una qualità e più di un difetto. Non sorprende, allora, che Proust affidi a Swann il compito di dare il benvenuto al lettore. Che lo mandi, per così dire, in avanscoperta. Perché Swann è stato programmato per piacere a chiunque. Il suo charme non ha niente di spregevole. È il ragazzo ricco, intelligente e beneducato a cui qualsiasi madre darebbe la figlia in sposa. È l’amico sulla cui discrezione puoi contare senza incertezze. L’amante generoso e galante. Insomma, nel mondo della Recherche popolato di mostri (anche il Narratore di fondo è un mostro), Swann si distingue per una sostanziale bonomia. Per questo, sin dalla prima comparsa sulla scena letteraria francese, tutti se ne innamorano, tutti parlano di lui. In una lettera del luglio del 1919 a Madame Shiff, Proust arriva addirittura a giustificarsi per aver reso, nel libro appena uscito, Swann un po’ meno simpatico del solito: «Le prometto», scrive Proust con il tono di una mamma che giustifica un figlio manchevole di fronte a un insegnante intransigente «che nel prossimo volume quando diventerà dreyfusardo Swann ricomincerà a essere simpatico».
Chi è Charles Swann?
La risposta più naturale è questa: è un borghese. Lo scrivo a cuor leggero, visto che oggi dare del «borghese» a qualcuno non è più un insulto. Ma solo un tentativo di delimitare (forse in un modo un po’ troppo generico) un confine sociale, delineando, en passant, un orizzonte spirituale. Swann è un borghese alla maniera di Thomas Mann, ma, in un certo senso, anche alla maniera di Franz Kafka. Swann è borghese nel tipico modo che faceva arrabbiare Sartre, ma anche Céline. Insomma, Swann ha tutti i vizi e tutte le qualità del borghese. Vive in un mondo nel quale la borghesia è ancora una classe in ascesa. Che, come tutte le classi in ascesa, gode di grandi soddisfazioni pecuniarie e soffre altrettanto grandi frustrazioni sociali. La Francia di Swann è quella a cavallo tra il Secondo Impero e la Terza Repubblica. Una Francia piena di ambivalenze: ricca e miserabile, libertaria e retriva, edonista e violenta, naturalista e decadente, metropolitana e rurale, pacifista e guerrafondaia, sempre più ebraica e sempre più antisemita. Diciamo che Swann incarna la contraddizione del suo Paese e della sua epoca. Perché Swann non è solo un borghese. Ma anche un ebreo. Un ebreo ricco e sfaccendato, che, a dispetto di altri ebrei della Recherche, ha voluto intraprendere un’ascesa sociale inconcepibile ai suoi antenati: entrare dalla porta principale nel Faubourg Saint-Germain.
Una delle prime notizie che ci viene fornita su di lui è che è il solo socio ebreo dell’esclusivissimo Jockey Club. Swann è un intimo del conte di Parigi e del principe di Galles. Un uomo che ha raggiunto il gradino più alto della scala sociale parigina. E qui veniamo al terzo elemento: Swann è uno snob. Per chi non lo sapesse, lo snobismo per Proust è il morbo sociale a cui nessun individuo è immune (già, neppure tu, caro lettore). Una deformazione caratteriale che può manifestarsi in due modi contrastanti e complementari. Da un lato c’è lo snobismo borghese dei Verdurin: di coloro che, appartenendo a una classe inferiore, affettano disprezzo per l’aristocrazia solo perché essa non li prende in considerazione. Dall’altro c’è lo snobismo aristocratico dei Guermantes, che si manifesta in una generica compiacenza nei confronti del prossimo, tipica di chi considera la propria superiorità talmente palese da non dover essere ostentata. Swann, malgrado la sua origine borghese, non solo aderisce a questo secondo tipo di snobismo, ma ne è uno dei più raffinati interpreti. Il modo in cui dissimula la sua brillantissima posizione sociale con i parenti del Narratore, nelle fresche sere di Combray, non deriva solo dalla gentilezza d’animo e dall’educazione impeccabile, ma anche, e per l’appunto, dallo snobismo. Del resto, è lo snobismo a soffocare l’artista che è in lui. Un artista ha bisogno di slancio, e anche un po’ di volgarità. Un artista è un tipo che non inorridisce all’idea di sporcarsi le mani. Le mani di Swann sono sempre curatissime. Lui è troppo raffinato, troppo intelligente, troppo scettico per essere un artista.
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I vezzi di Swann
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D’altronde, nessuno sa stare al mondo meglio di Swann. L’espressione francese savoir faire sembra forgiata sui suoi comportamenti mondani. Quando il Narratore, ormai adulto, incontra Swann dai duchi di Guermantes, rimane sorpreso dal modo affettuoso in cui questi lo saluta. È sbalordito che Swann lo abbia riconosciuto. La verità (che il Narratore scoprirà solo in seguito) è che Swann non lo ha affatto riconosciuto. Ha solo finto, ma con la naturalezza, il garbo, la destrezza dei grandi mentitori. Durante quella stessa occasione mondana sono parecchie le cose che il Narratore nota, a cominciare dal modo in cui Swann, entrando nella casa dei duchi, ha gettato in terra la tuba. È un’abitudine (commenta il Narratore) che si va perdendo, ma che proprio per questo sancisce l’indiscutibile appartenenza di Swann a quel mondo. E che dire del cappello che Swann getta in terra? È una tuba grigio perla di forma svasata che Delion, il celebre cappellaio parigino, confeziona ormai solo per Swann e per pochi altri. Il narratore nota che la fodera del cappello è di cuoio verde, e se ne compiace. L’eleganza di Swann non ha niente di aggressivo, si manifesta in dettagli preziosi, accessibili a pochi. I suoi vezzi sono ben dissimulati, ma è proprio questo a renderli ancora più snob e capricciosi. L’understatement è un atto di orgoglio, un’affettazione di amor proprio. È come se Swann si sentisse talmente superiore da comunicare attraverso segni che solo la sua strettissima cerchia può riconoscere e apprezzare. Per esempio, sono pochi quelli che capiscono per quale ragione lui abiti in un palazzetto di quai d’Orléans, una zona non abbastanza chic per uno come lui. Sarebbe come se oggigiorno un milionario romano invece di comprare un attico, che so, ai Parioli o sull’Aventino, si stabilisse in una villa nel quartiere africano.
Ma il punto è proprio questo: la raffinatezza di Swann si esprime nell’abitare dove nessuno dei suoi amici abiterebbe. Swann non può accettare l’idea che sia una zona della città a renderlo chic. Sta a lui nobilitare ciò che possiede.
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Vittima sacrificale
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E allora qual è la verità dolorosa, nascosta dietro alla sontuosa facciata, che fa di Swann uno dei personaggi più toccanti della storia letteraria? Qual è il segreto dissimulato da tanta distinzione, tanta raffinatezza, tanta fatuità? Quello che non ti aspetti: Swann è una vittima. E mica diventa vittima nel corso del romanzo. Swann è una vittima sin dal principio. Dalle prime battute della Recherche, quando, a Combray, a cena dai parenti del Narratore, deve affrontare, con il garbo che lo distingue, le incomprensioni e le diffidenze dei suoi ospiti. I quali non gli riconoscono tutte le qualità che lui possiede. Qualcuno la farà mai? Ma per l’appunto non è che l’inizio. La prima avvisaglia di un massacro. L’intera biografia di Swann è quella di un martire. Vittima dei parenti del Narratore, vittima di Odette, vittima dei Verdurin e del loro infernale clan. Vittima di Forcheville. E in seguito vittima della sua cara amica, la duchessa di Guermantes, che si rifiuterà di incontrare Gilberte, la figlia per cui Swann stravede, solo perché la piccina è il frutto di un matrimonio non abbastanza brillante. E, infine, a chiudere il cerchio, vittima della stessa Gilberte che lo tradisce e lo ripudia come un qualsiasi Papà Goriot.
Questo insulto postumo da parte di Gilberte rende esemplare l’avventura umana di Charles Swann. C’è da dire che, come tutte le vittime incolpevoli, Swann si mette nelle condizioni di essere brutalizzato, ma ciò non lo rende meno vittima o meno incolpevole.
Perché Swann è una vittima?
Perché nel mostruoso mondo della Recherche (non troppo diverso dal mostruoso mondo in cui viviamo) è probabile che se sei una brava persona facciano di te una vittima. Si potrebbe pomposamente pensare che, insieme a Joseph K. e Leopold Bloom, Swann incarni una profezia di sventura dell’ebraismo europeo. L’ebreo che, inerte, si avvia verso le camere a gas. Ma la verità è che l’esperienza di Swann è, per così dire, metastorica. Swann è un mio contemporaneo non meno di quanto fosse contemporaneo di Proust. E gli Swann che conosco io vivono e muoiono come quel loro delizioso progenitore.
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Vita e morte di Charles Swann
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E Dio sa quanto la morte di Swann sia importante nell’ecosistema proustiano. È un evento. Uno dei cataclismi che cambiano la percezione del Narratore rispetto al suo mondo che si va disfacendo. Per questo Proust sente l’esigenza di intervenire, e concedere l’onore delle armi al suo personaggio più celebre. Così, d’un tratto, con un gesto che rimarrà inedito in tutta la Recherche, lo chiama direttamente in causa: «Eppure, caro Charles Swann, che io ho conosciuto così poco quando ero tanto giovane e voi vicino alla tomba, solo perché colui che dovevate considerare un piccolo sciocco ha fatto di voi il protagonista di uno dei suoi romanzi, si ricomincia a parlare di voi e voi forse vivrete». Per un uomo che ha scommesso tutto sulla perpetuità non esiste atto d’orgoglio più delicato e impegnativo di questo. Proust gonfia il petto e dice a Swann: se qualcuno tra cent’anni scriverà ancora di te sarà per merito mio. Come al solito Proust aveva ragione. Buon compleanno Swann.

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