18/12/13

(Dieci grandi anime) - 4. Antonia Pozzi (2./)





(Dieci grandi anime) - Antonia Pozzi (2./)  

    E’ ben strana una ragazza di diciassette anni che scrive già con questa intensità.  Una ragazza di diciassette anni capace perfino di offrirsi di dare un figlio al professore, perché lo compensi del lutto inconsolabile del fratello – Annunzio Cervi, poeta, caduto in guerra sul Monte Grappa, nel 1918 – e che ne porti lo stesso nome.
   Si direbbe una smisurata capacità di amare.  Che difatti resterà inadeguata, causa di sofferenza, di mancanze  sempre più difficili da sopportare.
   Sì, perché l’amore con il professore, Cervi, non è di quelli destinati a trovare una soddisfazione terrestre: quando il padre di Antonia scopre la tresca, dapprima ottiene il trasferimento del professore a Roma, poi rifiuta la sua proposta di matrimonio, infine fa allontanare la ragazza da Milano, nel luglio del 1932.
   In questi anni di drammatica lacerazione, vissuti con la sensibilità esasperata della giovinezza, Antonia elabora un particolare percorso di maturità, a prezzo di un sacrificio che le appare impossibile da scontare.
   E’ la poesia a salvarla, a riempirla veramente. Nella poesia trova l’unica completezza che le è possibile sperimentare.
   Il 29 gennaio del 1933 scrive a Tullio Gadenz, un giovane amico poeta a cui invia delle memorabili lettere che hanno per argomento principale la bellezza della montagna: Vivo della poesia come le vene vivono nel sangue. Io so cosa vuol dire raccogliere negli occhi tutta l’anima e bere con quelli l’anima delle cose e le povere cose, torturate nel loro gigantesco silenzio, sentire mute sorelle al nostro dolore.   Perché per me Dio è e non può essere altro che un Infinito, si concreta incessantemente entro forme determinate che ad ogni attimo si spezzano per l’urgere del fluire divino e ad ogni attimo si riplasmano per esprimere e concretare quella Vita che, inespressa, si annienterebbe.   Ora Lei vede che un Dio così non si può né chiamare né  pregare né  porre lungi da noi per adorarLo; Lo si può soltanto vivere nel profondo, poi che è Lui l’occhio che ci fa vedere, la voce che ci fa cantare,  l’amore, ed il dolore che ci fa insonni. 
     Io credo che il nostro compito, mentre attendiamo di tornare a Dio, sia proprio questo: di scoprire quanto più possibile Dio in questa vita, di crearLo, di farLo balzare lucendo dall’urto delle nostre anime con le cose (poesia e dolore), dal contatto delle nostre anime tra di loro (carità e fraternità)   (2).
     Antonia riesce a cogliere l’essenza delle cose.  Forse proprio perché non avrà mai delle cose veramente sue: una casa, una vita, un compagno. (3)
     Scrive infatti, in una delle sue poesie più conosciute:
    
     Sulle rovine della mia casa non nata
     Ho sparso
     Cenere e sale. (4) 

In questo spirito errabondo che la pervade,  questa giovane donna riesce ad incarnare meglio di molti, lo spirito del tempo. Di un tempo, difficile, estremo.   La aiutano, a comprendere e a sentire, i numerosi viaggi che intraprende in giro per l’Europa, soprattutto in Germania, paese di cui ama immensamente la lingua.
      Poi la Francia, l’Austria, Vienna, e poi Praga, Budapest.  Le foto, che diventano una specie di ossessione: quelle che Antonia realizza con la sua macchina fotografica – e che parlano quanto e come le sue poesie – e quelle di altri che colleziona nel chiuso dei suoi cassetti. Quando morirà se ne troveranno più di 5000, che andranno a formare un fondo permanente.

     In una di queste foto Antonia è ritratta, all’inizio del 1937, a Berlino, in una giornata di sole, in strada, in piedi accanto ad una grande macchina sul cui parabrezza posteriore è incollata una svastica nazista. Antonia sorride, ma qualcosa nella sua espressione, nel suo portamento tradisce l’inquietudine. Cosa deve aver provato, in quei giorni, così lontana dall’eremitaggio delle sue montagne, in mezzo alla bolgia inebriante e folle della Germania che si preparava ad incendiare il mondo ? 

(2./ segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

      
2.     Antonia Pozzi, L’età delle parole è finita, pag.53
3.     Così Alessandra Cenni nella prefazione al volume L’età delle parole è finita, pag.12
4.     E’ la poesia Lamentazione.  Questo, come tutti gli altri testi poetici della Pozzi contenuti in questo capitolo sono tratti dal volume antologico: Antonia Pozzi, Parole, Garzanti, 1989. 

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