31/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 8. Il numero 137, Pauli e Jung (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014).

8.  IL NUMERO 137, PAULI E JUNG


E terminiamo questo excursus con ultimo numero, il 137.
Sul quale si potrà sapere tutto leggendo un bellissimo saggio di Arthur J. Miller, professore  di storia e filosofia della scienza presso l'University  College di Londra: L'equazione dell'anima, pubblicato da Rizzoli nel 2009, che racconta l'ossessione per un numero nella vita di due geni, Carl Gustav Jung e il fisico Wolfgang Pauli.
Negli anni '30, ad appena trent'anni, Pauli è uno dei teorici più brillanti della nascente fisica quantistica.  Eppure ogni notte si ritrova a vagare nei quartieri a luci rosse in preda all'alcol e alla depressione.




Ed è proprio la sua doppia vita ad indurlo a rivolgersi a Carl Gustav Jung, il discepolo eretico di Freud, divenuto in quegli anni un punto di riferimento della ricerca psichica mondiale.
L'incontro tra questi due geni, tra ragione e misticismo, diviene una potente alleanza tra due giovani scienze, la psicoanalisi e la meccanica quantistica, all'insegna di quello che appare come un numero magico: il 137. 

Un numero che da un lato descrive con grande precisione il dna della luce e dall'altro è la somma dei valori numerici dei caratteri ebraici che compongono la parola Kabbalah (Cabala). 


Perché il Dna della luce ? Perché – detto con parole semplici – 137, o meglio 1/137 è la cosiddetta COSTANTE DI STRUTTURA FINE, cioè uno di quei numeri che stanno alla base stessa dell’universo e di tutta la materia.



Le righe spettrali infatti, rappresentano una sorta di impronta digitale di un atomo e si rivelano quando la luce colpisce un atomo.

C’era qualcosa in questo numero primo (il 33.mo per l’esattezza) e primordiale, che stuzzicava la curiosità e l’immaginazione di tutti, fisici e scienziati, nel secondo dopoguerra.

I fisici – Planck fu preceduto in questa ossessione da Arthur Eddington – si convinsero che la costante di struttura fine non può avere quel valore per caso. Esiste là fuori, indipendentemente dalla struttura della nostra mente.

Ma Pauli rimase esterrefatto quando, dopo aver stretto amicizia con Gershom Sholem, uno dei massimi esperti di misticismo ebraico, scoprì che la parola Cabala in ebraico si scrive con quattro lettere, la cui somma dà proprio 137.
Ma altrettanto, gli disse Scholem, fanno altre parole contenute nella Bibbia, come “il dio fedele”, “circondato da splendore” e la parola ebraica che significa “crocefisso”, tutte danno come risultato 137.


Pauli cominciò a parlare di questo a Jung, durante le sedute e nei loro incontri di lavoro,  e anche Jung, ovviamente ne restò enormemente affascinato,  diventando anche un terreno di indagine parallela per Jung e per le sue ricerche sulla essenza e sul Sè.



L’ossessione per il numero 137, come simbolo accompagnò  Pauli fino al letto di morte. In modo veramente incredibile.  Il 5 dicembre del 1958, durante una lezione pomeridiana, Pauli fu colto da dolori lancinanti allo stomaco. Fino ad allora aveva sempre goduto di ottima salute, nonostante la sua vita non certamente morigerata.  Fu portato in tutta fretta all’ospedale della Croce Rossa di Zurigo.
Un amico, Charles Enz andò a trovarlo. Pauli era visibilmente agitato.  Aveva notato il numero della stanza ? Chiese ad Enz. ‘No’, rispose il suo assistente.  “E’ il 137!” gemette Pauli, “Non uscirò mai vivo da qui.”   Quando lo operarono i medici scoprirono un grosso carcinoma al pancreas. Pauli morì nella camera 137 il 15 dicembre. La sua ultima richiesta era stata di parlare con Jung.



Insomma, abbiamo chiuso con questo che è molto più di un aneddoto, questo piccolo viaggio nel mondo dei numeri archetipici.


La suggestione, come abbiamo visto, era ed  è ancora  quella di trovare un numero alla base dell'universo, un numero primordiale, un numero da cui tutto dipende e dà conto di tutto. Anche in questo momento in cui parliamo qui, in diverse parti del mondo matematici e fisici sono al lavoro per trovare le tracce di quel raccordo finale che speriamo un giorno di intravvedere dentro all’enorme, spaventoso mistero in cui la nostra vita biologica e spirituale sembra calato.

E' un vecchio sogno umano, inseguito da astronomi, scienziati, alchimisti, mistici, filosofi, matematici che prosegue e che probabilmente accompagnerà l’evoluzione dell’intelligenza umana ancora per molto.

La Galassia dell'Aquila, fotografata dal telescopio spaziale Hubble della Nasa


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (8- fine) 

30/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 7. Il numero 25 e il Quadrato Magico (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014).


7. IL NUMERO 25 E IL QUADRATO MAGICO.


E ora nel nostro viaggio tra i numeri, ne affrontiamo un altro, legato ad uno dei più singolari enigmi dell’antichità.  Il numero 25, che è strettamente legato al cosiddetto ‘Quadrato magico’, o  ‘Quadrato Sator’, o ‘Latercolo pompeiano’ sul quale sono stati versati veri e propri fiumi di inchiostro.
Il Quadrato è conosciuto fin dai tempi dell’antichità, perché esemplari di esso sono stati rinvenuti in luoghi di culto e in luoghi di sepoltura di mezza Europa.
Si tratta di cinque parole, disposte in 25 caselle, leggibili sia da sinistra a destra, che da destra a sinistra, ovvero cinque palindromi, che però, è questa la particolarità, possono essere lette anche verticalmente, dall’alto in basso e dal basso in alto:



Le parole centrali, i due TENET incrociantesi, e palindromi, formano fra l’altro una perfetta croce.
Su questo Quadrato dal significato misterioso – le cinque parole latine formano una frase apparentemente priva di senso – sono fiorite le teorie più bizzarre nel corso dei secoli, e non è ovviamente il caso qui di darne conto. 
Il Quadrato, per alcuni è solo un gioco enigmistico, per altri una formula alchemica, per altri ancora nientemeno che il lasciapassare, la parola d’ordine degli appartenenti all’Ordine dei Templari.
Fra l’altro il Quadrato è stato rinvenuto in diverse versioni. Con, ad esempio la prima parola SATOR, anziché ROTAS.  La difficoltà nella traduzione dipende dal termine AREPO  che non esiste in latino. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si tratta di un nome proprio. In questo caso la frase suonerebbe più o meno: “ il contadino Arepo conduce l’aratro nei campi.“ 


Questo secondo alcuni studiosi, come Margherita Guarducci, proverebbe l’origine pagana del quadrato: un semplice gioco enigmistico.
Qualcun altro ha sottolineato che leggendo invece il Quadrato in modo bustrofedico, cioè a serpentina, cambiando direzione ad ogni riga, si otterrebbe: Sator opera tenet – tenet opera Sator. Cioè: “ Il Seminatore possiede le Opere, “ ovvero “ Dio è il signore del Creato. “    Significato religioso, ispirato.
Comunque sia il  gioco delle interpretazioni si può continuare all’infinito.
Quel che ci interessa accennare è la svolta avvenuta nel 1936 a Pompei, quando, durante gli scavi,  un esemplare del Quadrato fu rinvenuto su una delle colonne della Palestra Grande.



La scoperta, vero e proprio evento per gli archeologi, ha retrodatato l’invenzione del Quadrato Magico almeno al 79 dopo Cristo, e ha rinforzato una serie di teorie riguardante la controversa presenza dei cristiani a Pompei, nell’anno dell’eruzione.
Questo perché al Quadrato si è attribuito da più parti una sicura rilevanza di simbolo cristiano, legato al culto dei morti  e alla Risurrezione.
Incredibile a credersi infatti, il Quadrato misterioso contiene al suo interno, come una fantastica scatola cinese, un ulteriore piccolo prodigio.
Tutte le parole del Quadrato, messe insieme – anagrammate - formano due Paternoster incrociati con due lettere alle estremità della croce, due A e due O, che rappresenterebbero due Alfa e Omega.



 (Esemplari del Quadrato Magico sono stati ritrovati :
-          a Verona, nell’Oratorio di Santa Maria Maddalena di Campomarzio.
-          In Gran Bretagna su in intonaco di rovine romane risalenti al III sec. a Cirencester ( l’antica Corinium ), dove fu rinvenuta anche una gran quantità di tombe.
-          A Pescarolo, in provincia di Cremona, sul pavimento della bellissima chiesa di S. Giovanni Decollato.
-          A Siena, nel Duomo di S. Maria Assunta.
-          A Fabriano, nella chiesa di S. Maria in plebis flexiae.
-          A Roma, nei locali catacombali sotto la Basilica di Santa Maria Maggiore – il quadrato fu rinvenuto durante gli scavi archeologici del 1960.
-          A Santiago de Compostela, in Spagna.
-          In Austria, nell’attuale Altofen, l’antica Buda.
-           In Ungheria, graffito su una tegola, negli scavi  dell’antica Aquincum, graffito databile al 107, 108 d.c.)

In realtà il Quadrato è molto più antico. E oggi quasi tutti gli studiosi sono concordi nel ritenerlo un’espressione ingegnosa della prima comunità cristiana stabilitasi in Italia alla fine del I secolo dopo Cristo.
In realtà ciò che appare evidente è il legame che nel tempo si è instaurato tra il Quadrato, il  rito della sepoltura e il culto dei morti.  Forse l’origine di questo legame, l’aver associato il Quadrato alla sepoltura, deriva proprio da Pompei.
Il simbolo della croce è infatti inserito due volte nel Quadrato. Con i due Paternoster incrociati come abbiamo visto, e con le due parole TENET che si intersecano formando una croce, nella lettera N che secondo alcuni starebbe appunto per NAZARENUS.
Il Quadrato Magico ‘SATOR’ è  fra l’altro inciso sulla lapide di un uomo famoso. Il compositore austriaco Anton von Webern, l’erede di Schomberg, da molti considerato l’inventore della dodecafonia.
( a.v.webern. ( 1883 – 1945 )).
 Anton von Webern ebbe, in vita, una specie di vera e propria ossessione per il Quadrato Magico. Al punto che scrisse anche un’opera musicale ispirata al Quadrato: II CANTATA OPERA 31, che fra l’altro è l’ultima opera del suo catalogo.
Webern, affascinato, ossessionato per tutta la sua vita dalle possibilità geometriche, matematiche della musica, dalla serialità e dagli enigmi, non poteva non trovare nel Quadrato una specie di ‘summa’ del suo credo filosofico, prima che musicale.
Webern, che aveva fatto della razionalità un dogma, anche in musica, finì i suoi giorni in un modo quasi incredibile. Venne ucciso per sbaglio nel 1945 da un soldato americano durante un coprifuoco. Massima irruzione del caso in una vita dominata dal calcolo.
Sulla sua casa a Mittersill figura un Quadrato posto in mezzo alle sue date di nascita e di morte. La stessa cosa sulla sua lapide.



Webern, a proposito del Quadrato scriveva:
“Variazioni sopra un tema. Questa è la forma primordiale che sta alla base di tutto. Due cose che sembrano completamente diverse fra di loro in realtà sono la stessa cosa. E così si genera la più larga coerenza."
“ Due cose che sembrano completamente diverse tra di loro e che in realtà sono la stessa cosa “: non è che Webern si sta riferendo alla croce e al quadrato ? Beh sì. Webern parla proprio del Quadrato magico: una STESSA COSA che contiene due cose completamente diverse: la Croce e il Quadrato.
Il Quadrato, simbolo della razionalità, della geometria, della costruzione, della casa, delle fondamenta.
La Croce, simbolo della spiritualità, dell’idea, dell’innalzamento verso l’alto, verso il trascendente, il divino.
Ma perché il 25 ?? 25 il numero delle caselle del Quadrato ?
Beh, non è affatto sorprendente forse scoprire che il 25 è quello che in matematica si chiama  un NUMERO QUADRATO CENTRATO, e per l’esattezza il QUARTO. Un numero quadrato centrato è infatti un numero poligonale centrato, che rappresenta un quadrato, con un punto al centro e gli altri intorno a raggiera.
I primi numeri quadrati centrati sono: 1,5,13 e 25 e possono essere rappresentati nel seguente modo.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (7./ segue) 

29/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 6. La sezione aurea e il Pantheon di Roma. (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

6. La sezione aurea e il Pantheon di Roma.


Per il secondo esempio di archetipi numerici in architettura userò il celebre Pantheon di Roma, una delle più grandi meraviglie dell’antichità, giunta in quasi perfetto stato di conservazione fino a noi.
Un edificio che Michelangelo definì disegno non umano ma angelico.



E i numeri archetipi contenuti in questa costruzione sono il 43 e il 44, il 28 e il cosidetto phi, ovvero il numero che rappresenta in matematica la sezione aurea.
Basta forse un solo dato, per cominciare: l’altezza dell’edificio è perfettamente uguale al suo diametro. 43 metri e 44 centimetri, per la precisione.



Questo vuol dire che, pur essendo la volta del Pantheon di dimensioni enormi (per quasi 2000 anni e fino al secolo scorso, essa fu la più grande del mondo), essa obbedisce alle leggi architettoniche stabilite da Vitruvio (tutti noi ne abbiamo un esempio, in tasca, con la moneta da 1 euro, nella quale è iscritta l’opera leonardesca dell’uomo vitruviano, con il quadrato iscritto in un cerchio), ma non solo: è come se all’interno del Pantheon fosse inscritta una sfera perfetta e all’interno di questa sfera è inscritto a sua volta un quadrato perfetto. 

Ma più in generale, tutta la costruzione del Pantheon non è altro che l’alternarsi di due forme geometriche contrastanti, il quadrato, simbolo della razionalità e cioè in definitiva dell’uomo, e il cerchio, da sempre associato al simbolo dell’infinito, dell’universo e quindi della divinità.
La misura di ogni componente della struttura dal Pantheon è data dal lato del quadrato inscritto nel cerchio, dal diametro del cerchio inscritto nel quadrato e così via, in un gioco di scatole cinesi impressionante.
Non solo: la base armonica direttiva dei rapporti tra i cerchi, quello iscritto e quello esterno, e tra i quadrati e i cerchi risponde al rapporto matematico contrassegnato dalla lettera phi (φ), quello che comunemente si chiama rapporto aureo, o sezione aurea, cioè quella proporzione divina alla quale obbediscono in natura la disposizione dei petali di una rosa o delle spirali delle conchiglie o quelle delle nebulose dell’universo; e le più celebrate opere d’arte umane, dal cenacolo di Leonardo, al Partenone di Atene, alla maestosa piramide di Giza.



Tale rapporto vale approssimativamente 1,6180 ed è esprimibile per mezzo della formula:

\phi = \frac{1 + \sqrt{5}}{2}\approx 1{,}6180339887

La costruzione che oggi ammiriamo è in realtà, la terza e definitiva versione di un tempio che fu costruito originariamente dal console Marco Vipsanio Agrippa, che fu compagno d’armi del giovane imperatore Augusto, in soli due anni, dal 27 al 25 a.C. (2), come si può evincere dalla gigantesca iscrizione ancora esistente sulla trabeazione del pronao di ingresso.

Il primo Pantheon, quello di Agrippa era stato edificato proprio su quella zona del Campo Marzio, particolarmente depressa – una delle più basse di Roma – e soggetta a frequenti inondazioni del Tevere, che la tradizione antica di Roma associava alla assunzione in cielo del suo fondatore, Romolo.
Si tratta di una leggenda antichissima, risalente per l’appunto agli anni subito posteriori alla morte del primo Re romano, della quale Agrippa e i costruttori del primo Pantheon erano perfettamente a conoscenza e che probabilmente intesero celebrare proprio attraverso la realizzazione di quello straordinario oculus nella cupola del Pantheon, di dimensioni enormi – diametro 8 metri e 92 centimetri) – che metteva in comunicazione direttamente la Terra con il Cielo.

Ecco dunque spiegato il primo motivo per l’esistenza di quello straordinario oculus. Non il solo, però.
Come abbiamo visto, la circolarità, cioè il concetto di orbis, regna sovrano in questo misterioso monumento.
Se infatti esteriormente, dalla facciata, il Pantheon dà e dava l’impressione di un tempio tradizionale – sul modello appunto del Partenone – non appena varcata la soglia – il portone monumentale è uno dei tre originali romani ancora esistenti e misura 7,50 metri di larghezza e 12,50 metri di altezza – si viene come risucchiati all’interno di una perfetta sfera delimitata da un tamburo cilindrico, in opera laterizia, spesso ben  6 metri !

La doppia decorazione, in due diversi registri, del tamburo, lo straordinario pavimento – a quadrati e cerchi (ancora quadrati e cerchi!) -  e soprattutto la cupola articolata in cinque ordini di 28 (un numero che ritorna in tutta la costruzione) cassettoni concentrici, conferiscono all’opera un aspetto grandioso: la percezione del vuoto è impressionante, sembra di essere capitati all’interno di una enorme bolla di sapone, dove esterno e interno, vuoto e pieno tendono a coincidere.
A proposito del pavimento – originale, seppure restaurato nel 1872 -  vale la pena aggiungere che il disegno geometrico,  simile ad una sorta di scacchiera esercita pure un forte fascino simbolico, tutto da decifrare: è composto infatti da una serie di fasce parallele e perpendicolari che definiscono quadrati, al cui interno sono inscritti quadrati ancor più piccoli, oppure dei tondi (i pannelli con i quadrati sono costituiti  da una cornice di porfido rosso e da quadrati piccoli in pavonazzetto bianco con venature azzurro-viola; i pannelli con i tondi hanno, invece, una cornice di marmo giallo ed il tondo di granito egiziano grigio scuro o di porfido rosso).



E’ inoltre leggermente concavo in modo da convogliare le acque piovane in 22 fori che fanno parte di un complicato sistema di fognature sotterranee.In questa struttura unica, che non dimentichiamolo era intitolato a tutte le divinità, le cui effigi  erano simbolicamente raffigurante all’interno, negli altari collocati lungo la parete circolare, c’è una divinità alla quale viene assicurata la supremazia su tutte le altre: il Sole.
Ad ogni mezzogiorno di ciascun solstizio, il Pantheon offre lo spettacolo del fascio solare che proietta la sua luce esattamente al centro del portale di accesso, fenomeno che si ripete regolarmente allungandosi sempre più, obliquamente, dal 21 giugno al 21 dicembre fino ad arrivare, attraverso la grata sormontante il portone di accesso, al pavimento del pronao, esterno dunque alla Cupola.
E’ un fenomeno di straordinaria precisione: il volume sferico della volta,  che idealmente riproduce la sfera celeste, viene tagliato dalla luce solare (modellata dall’oculus) durante gli equinozi, proprio dal cornicione, che invece riproduce simbolicamente l’equatore celeste.
E difatti innumerevoli elementi di natura cosmologica/astronomica sono rintracciabili nella costruzione, come ad esempio le file di 28 lacunari (o cassettoni) all’interno della volta, che in origine erano rivestiti di marmi decorati e di stelle: è appena il caso di dire che anche il numero 28 non è affatto casuale e richiama direttamente il numero delle fasi lunari.
Insomma, non è azzardato ipotizzare che il Pantheon sia stato concepito come un enorme, sofisticatissimo calendario di pietra, capace non solo di riprodurre i meccanismi della sfera celeste, e di mettere in simbolica comunicazione la Terra e il cielo, ma probabilmente anche di evidenziare il movimento dei pianeti grazie alle sette divinità planetarie conosciute allora, le cui effigi erano riprodotte all’interno del Tempio e che venivano illuminate anch’esse dalla meridiana diurna del Sole e da quella notturna della Luna.
Il Pantheon cioè come porta di connessione tra la Terra e l’Oltre, tra l’uomo e una dimensione ulteriore. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (6./ segue) 

28/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 5. "Il numero come archetipo in architettura. La fortezza di Castel del Monte, in Puglia." (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

5. IL NUMERO COME ARCHETIPO IN ARCHITETTURA.  La fortezza di Castel del Monte, in Puglia.

Ma i numeri, sono da sempre considerati archetipi  – nella storia della civiltà umana, per l’architettura.
Come sappiamo, a partire dall’antichità, templi e regge furono infatti costruiti sul presupposto di regole matematiche semplici o complesse, nella consapevolezza che l’adeguamento a criteri numerici avrebbe conferito alla costruzione poteri magici o esoterici. 
Nascondere un numero in una costruzione, edificarla nel nome di quel numero è stata la sfida di geniali costruttori del passato.
Si potrebbero citare innumerevoli esempi.  Qui ne faremo soltanto due, tra i più misteriosi.
Il primo, relativo al celebre Castel del Monte, in Puglia, una costruzione talmente perfetta che – si dice – perfino Umberto Eco l’abbia avuta in mente come ispirazione per concepire la sinistra Abbazia al centro dei delitti e delle indagini di Guglielmo da Baskerville, ne Il Nome della Rosa.



La fama di Castel del Monte, straordinaria apparizione gotica dalle forme perfette e concluse, nel bel mezzo dell’altopiano pugliese delle Murge, è oramai universale.
Non smette di affascinare e di interrogare quella fortezza che sembra obbedire ad una velleità di perfezione assoluta, con la sua singolarissima forma, ottagonale con otto torri (ciascuna di esse ottagonale a sua volta) agli spigoli.


Il castello è definito dall'Unesco un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo del suo fondatore: la sua forma fortemente geometrica e unica rispetto ad altri edifici medioevali, l'articolazione su due livelli, la collocazione geografica, ha prodotto almeno 500 ricerche in tutto il mondo, nessuna delle quali però, a quanto pare,  è riuscita a svelare e a convincere fino in fondo i perché di quel castello così' diverso.
Per quali scopi fu costruita ? A quali leggi, a quali simboli risponde la pianta della costruzione ? Quale era la finalità che inseguiva il suo costruttore ?
Per capirlo si è a lungo indagato intorno a colui che intorno all’anno 1240 si fece promotore di questa straordinaria costruzione: l’imperatore Federico II di Svevia, una delle figure centrali del Medioevo italiano.

Federico II nacque a Jesi, nelle Marche nel 1194, discendente della nobile casata degli Hohenstaufen, figlio di Enrico VI – a sua volta figlio di Federico Barbarossa – e di Costanza d’Altavilla (figlia di Ruggero II il Normanno).
Un predestinato, dunque, al quale spettava di diritto l’immenso Regno di Sicilia, che si estendeva dalle Marche, appunto, fino al più remoto angolo della Sicilia.
In soli 4 anni, Federico perse entrambe i genitori. Alla morte della madre Costanza, nel 1198, fu affidato da lei alla tutela di papa Innocenzo III.
Iniziarono da qui i difficilissimi rapporti tra Federico e la Chiesa,  che perdurarono per tutta la sua (per i canoni di allora) lunga vita.
In un primo momento i favori papali, nell’interesse di suddividere l’impero dal regno di Sicilia, si orientarono su Ottone di Baviera, ma quando costui accampò diritti sul Regno di Sicilia, fu colpito da immediata scomunica, cosicchè, alla morte di Innocenzo III, Federico si ritrovò,  a soli 20 anni, libero dalla tutela papale, e titolare di un potere immenso: Re di Germania (essendo decaduto Ottone), di Sicilia e di Puglia e perlopiù designato all’impero.
Federico che era stato educato dalle migliori guide esistenti all’epoca - l’erudito frate francescano Guglielmo Francesco; Gentile dei Paleari, conte di Manoppello;  e un imam musulmano del quale non si conosce il nome – acquisì una vastissima cultura di ispirazione greco-araba e ben presto fu in grado di parlare il latino, il greco, il francese, l’arabo e il tedesco.
Questa voracità intellettuale e culturale, si accoppiava alla passione per i piaceri materiali e alla abilità politica.
Federico – da vero talent scout, come si direbbe oggi – era sempre pronto a percepire ogni grande novità soffiasse dai più diversi campi della conoscenza. Quando sentì che si presentava alla notorietà un grande matematico di trentadue anni, autore di uno stupefacente Liber Abaci, trattato di aritmetica e algebra, decise di convocarlo immediatamente. A Pisa, Fibonacci – lo scopritore di quella straordinaria serie che è alla base di molta scienza moderna -  fu messo a confronto con mastro Giovanni da Palermo, matematico di corte, il quale gli sottopose alcuni problemi numerici considerati all’epoca tra i più difficili da risolvere.
Fibonacci

Fibonacci risolse genialmente tutti i quesiti. Non solo, usò questi problemi nel prologo di un libro – il Liber quadratorum, il libro dei quadrati – che volle dedicare al colto imperatore.
E pur mancando prove certe che Fibonacci sia intervenuto anche soltanto dal punto di vista teorico, o come contributo esterno, alla realizzazione della pianta di Castel del Monte, salta subito agli occhi come il numero 8, che è centrale nella costruzione, e che ricorre in tutta la sua struttura, sia per l’appunto uno dei numeri di Fibonacci.




8 come dicevamo sono le torri esterne, ottagonale è la pianta e ottagonale è ciascuna delle torri, otto metri misurano i lati dell’ottagono che corrisponde alla corte interna e otto metri è il diametro di ogni torre. Anche il cortile, ovviamente, ha pianta ottagonale, otto sono le stanze interne,  e otto è il numero delle diverse decorazioni superstiti che abbellivano la costruzione (i quadrifogli, le foglie di vite, di girasole, di acanto sui capitelli delle colonne), ottagonale anche la vasca al centro del cortile, oggi scomparsa, dove antiche leggende risalenti al mito dei Templari, volevano fosse stato custodito addirittura il Santo Graal, il calice dell’ultima cena di Cristo. 
E infine, ultima delle meraviglie: soltanto due volte all’anno, e cioè l’8 del mese di aprile e l’8 del mese di ottobre (che era considerato l’ottavo mese dell’anno) la luce del sole entra da una delle finestre esterne e si riflette nel cortile interno illuminando una precisa porzione di muro, dove esisteva un bassorilievo, purtroppo scomparso.

Le stranezze di questa costruzione non smettono mai di stupire. Ad esempio: perché le scale a chiocciola delle torri sono disposte – caso unico – in senso antiorario, rendendo impensabile dunque una loro funzione militare ?  A cosa servivano i cinque camini della costruzione, collegati simbolicamente forse alle cinque cisterne o vasche destinate alla raccolta delle acque piovane ? Quei camini, è stato fatto osservare, sono troppo piccoli (rispetto alla estensione dei locali) per pensare ad una loro funzione termica, cioè di riscaldamento dell’edificio. Erano allora strumenti utili per l’infusione, cioè per la realizzazione di procedure alchemiche ?
Di alchimia, astronomia, geometria ed ogni altra scienza capace di avvicinare l’uomo a Dio o alle leggi della trascendenza, Federico aveva fatto il suo mantra.
Ogni cosa che esiste a Castel del Monte porta la firma di questa ricerca dell’assoluto.  Se non era quella una fortificazione militare, né tantomeno una residenza imperiale (nessuna struttura architettonica fa pensare a questo) e neanche un maniero di caccia (pur essendo Federico un appassionato e un cultore di falconeria),  è molto probabile allora che l’edificio fosse per davvero un tempio o una costruzione metafisica, dove la numerosophia – cioè la sapienza dei numeri – giocava un ruolo fondamentale.
Certamente, ad alimentare queste elaborate teorie contribuisce la perfezione enigmatica di Castel del Monte, fondata come abbiamo visto interamente sul numero 8 e sulla figura geometrica dell’ottagono, che rappresenta il punto di passaggio ideale tra il quadrato e il cerchio. 
L’ottagono e il numero 8 sono poi chiari e consolidati simboli, che nella storia dell’architettura hanno avuto grande rilievo. Sette, dice la tradizione giudaico-cristiana, sono i giorni della Creazione secondo la Genesi, sette dunque i giorni della settimana e l'ottavo è il giorno in più, che non esiste, simbolo dell’infinito e dell’altra dimensione, quella dello spirito.
In un trattato, il teologo e filosofo francese Ugo di San Vittore, vissuto solo qualche anno prima di Federico II, esponendo i dati numerici simbolici secondo le Scritture, spiegava il significato delle ineguaglianze tra i numeri: “8 maggiore del 7 è l'eternità dopo la vita terrena”
E non è dunque un caso che l' 8 dell'ottagono si ritrovi ad Aquisgrana, nella pianta della Basilica di San Vitale, a Ravenna, nel Battistero di Parma e in quello di Firenze, come nel Santo Sepolcro, la Gerusalemme Celeste.
E anche Castel del Monte, con caratteristiche tutte proprie, fu pensato e realizzato, evidentemente sotto la suggestione di questo numero, di un ottavo giorno, impensabile per i criteri mortali umani: quello nel quale Cristo risorge dalla tomba e ascende ad una nuova condizione, superiore, perfetta e divina. 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (5./ segue) 

26/10/14

Poesia della domenica - 'Sonetto' di Stéphane Mallarmé.




Sonetto


(Per la vostra cara morta, un suo amico)
2 novembre 1877

- “Sui boschi obliati quando passa il buio inverno,
Solitario prigioniero della soglia, ti lamenti
Che questa doppia tomba futuro nostro orgoglio 
Solo di ricchi fasci assenti ahimè ! si grava.

Inascoltata Mezzanotte, che il vano numero gettò, 
Ti esalti nella veglia per non chiudere gli occhi
Fin che nelle braccia della vecchia poltrona
L’ultima fiamma non rischiari la mia Ombra.

Chi vuol sovente avere la Visita non deve
Di troppi fiori opprimere la pietra che il mio dito
Solleva nello stremo di una forza defunta.

Anima che trema d’assidersi al chiaro focolare,
Per rivivere mi basta alle tue labbra cogliere
Il soffio del mio nome a lungo sussurrato una sera."



Da: Stéphane Mallarmé - Sonetti, a cura di Cosimo Ortesta, Quaderni della Fenice, Ugo Guanda Editore, 1980.

QUI il testo in francese originale.

25/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 4. "3.628.800, il numero del tutto" (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

4.   3.628.800

Abbiamo detto del 13.
Ma in passato c’è anche chi ha ritenuto di identificare in un solo numero perfetto l'essenza di una cosa imponderabile come la verità dello spirito.
Costui era tutt’altro che uno sprovveduto.  Parliamo infatti del grande AthanasiusKircher (1602-1680). Gesuita, esploratore, vulcanologo, decifratore di geroglifici, matematico, una delle menti più straordinarie del XVII secolo. 



Nato a Fulda, in Germania nel 1602, Kircher giunse diciannovenne - dopo un viaggio molto molto avventuroso - a Roma, e a Roma visse fino in vecchiaia, diventando consigliere ed erudito al servizio di Papi e di regnanti di casa nell'Urbe come Cristina di Svezia. 
Sempre alla ricerca di una teoria che potesse dare ragione della perfezione dell’universo – oggi i fisici moderni la chiamano Teoria del tutto - Athanasius Kircher pervenne, dopo anni di ricerca ossessiva, quasi delirante ad una Tabula Alphabetorum  Artis Nostrae, che costituisce la sua Pietra Filosofale.
Era l'invenzione di una macchina grazie alla quale ognuno, senza bisogno di studiare, solo con un po' di sforzo fisico, avrebbe avuto l'agio di comporre addirittura libri di filosofia, politica, giurisprudenza, matematica, e teologia.
In seguito, studiando l'Ars Magna di Raymond Lullo,  Kircher arrivò a comporre la sua opera più ambiziosa, che chiamò  Ars Combinatoria.   Una enciclopedia sistematica basata su una classificazione di principio di tutte le cose.
Alla base dell'Ars Combinatoria di Kircher, c'è proprio questo numero:  3.628.800 che è il prodotto di tutte le combinazioni possibili dei numeri da 1 a 10.


La spiegazione scientifica è questa:
la probabilità di ordinare alfabeticamente due lettere, ottenuta dividendo il numero delle sistemazioni ordinate (1) per quello di tutte le sistemazioni possibili (2) è ½ = 0,5 c'è cioè una probabilità su due che la combinazione tra due lettere sia quella giusta (ordinata) e allo stesso identico valore si arriva  per la probabilità che si possa avere una sistemazione non ordinata.

Se passiamo a 10 lettere, la sistemazione ordinata rimane sempre una, mentre quelle possibili divengono 3628800 e quindi la probabilità dell’ordinamento diviene 1/3628800 = 0,0000002, o - se si preferisce - 2 decimilionesimi, numero decisamente modesto.

Invece le sistemazioni disordinate sono 3628799 e quindi la probabilità di realizzare sistemazioni di lettere non ordinate alfabeticamente è 3628799/3628800 = 0,9999997,  un numero assai prossimo all’uno, un numero 4999998,5 volte più grande della possibilità della combinazione ordinata. 

E' questo, spiegava Kircher, il motivo del disordine del mondo.  Se infatti questa considerazione viene riferita ad un sistema costituito da 10 elementi, figuriamoci un sistema ordinatorio basato su molti più elementi.
Il calcolo di Kircher, che viene dalla tradizione cabalistica, influenzò non solo i contemporanei.    
Tra le carte lasciate dal poeta Stephane Mallarmè al momento della sua morte fu trovata una annotazione con il nostro numero:  3628800. 

Stephane Mallarmé


Mallarmè  era, come è noto, uno sperimentatore, ma della parola, anzi un vero alchimista, che voleva "operando delle permutazioni logico-verbali, portare alla luce le relazioni nascoste tra le cose".      
Le annotazioni fanno parte di un abbozzo per  un super libro che purtroppo Mallarmé non scrisse mai, e del quale era forse una anticipazione il celebre poemetto Un coup de dés jamais n'abolira le hasard, "un colpo di dadi non abolirà mai il caso."




Per i maniaci della matematica la tabella è questa




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