31/05/15

250.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi .







Si cresce, si diventa: diceva un saggio. 

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato, dopo così poco tempo, e proprio alla fine dell'estate 2014, il traguardo dei 250.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

29/05/15

Ritrovato l'Arco di Tito al Circo Massimo !



Se fosse possibile intraprendere una imponente campagna di scavi nel Circo Massimo, la più grande arena dell’antichità, chissà cosa sarebbe possibile ritrovare.

L’impresa non è facile per molti motivi, primo fra tutti l’utilizzo che ancora oggi il sito ha per i grandi eventi che si svolgono in città, e in più a causa di una falda acquifera sotterranea che ricopre tutta la zona. 

Il Circo Massimo infatti, dopo i fasti dell’Impero, cadde come molti monumenti della Roma antica nell’oblio e nel degrado. 

La zona fu quasi interamente occupata da una palude che ricoprì ogni struttura, sotto diversi strati di terra e acqua. Basti pensare che alla fine del Cinquecento, a quattro metri e mezzo di profondità, gli ingegneri papali recuperarono nientemeno che l’Obelisco Lateranense, uno dei due che ornava la spina centrale del Circo, il più grande in assoluto di quelli di Roma, alto ben trentadue metri e ricoperto di splendidi geroglifici. 

L’obelisco era stato cavato dalle montagne di Assuan dal faraone Tutmosis III (1479 – 1426 a.C.) e rimase in piedi nella città di Tebe, finché Augusto prima e Costantino dopo, a seguito della conquista romana dell’Egitto, pensarono di trasportarlo a Roma, dovendo rinunciare alla impresa che fu compiuta soltanto dal figlio di Costantino, Costanzo II (317-361) con l’erezione al centro dell’arena, nel 360 d.C. Rimasto in piedi soltanto per meno di due secoli fu probabilmente abbattuto dai Goti nel 547, insieme agli altri obelischi della città. 

Ciò nonostante, anche se scomparve dalla vista progressivamente, rimanendo sepolto sotto l’acqua della palude, la sua memoria rimase intatta nei secoli. E quando Matteo Bortolani di Città di Castello, per conto del Papa, ordinò di muovere i picconi nel centro dell’Arena, fu trovato l’Obelisco a quasi cinque metri di profondità, nello stesso punto dove era stato abbattuto, purtroppo rotto in tre pezzi. 

Trascinato fino al Colle Lateranense con immani lavori di trasporto, fu infine collocato in quella posizione per essere a vista con la Basilica di Santa Maria Maggiore, in linea con il suo gemello Esquilino. 

E qui venne eretto da Domenico Fontana il 10 agosto del 1588. Se un tale tesoro fu trovato, praticamente intatto (a parte la frattura), si può immaginare quali altri reperti sarebbe possibile trovare al di sotto dell’arena. 

Ne è una riprova la recente scoperta del ritrovamento dei resti del grande arco realizzato in onore dell'Imperatore Tito ritrovati al Circo Massimo dagli archeologi della Sovrintendenza capitolina durante i lavori di scavo e restauro dell'emiciclo sud del Circo. 

Questa parte dell’arena è infatti l’unica che è da diversi anni oggetto di scavi metodici. E’ un punto cruciale, perché l’emiciclo sud, rivolto verso l’attuale Porta Capena e l’Appia – rinominato popolarmente la curva sud del Circo Massimo - era quella più spettacolare, dove le bighe in corsa dovevano compiere una repentina curva di 180 gradi, sotto lo sguardo dei centocinquantamila spettatori, con cadute, contatti e scontri, come è stato mostrato molte volte nei film di Hollywood. 

Quando gli archeologi si sono imbattuti, diversi metri sotto il livello attuale e al di sotto della falda acquifera, in alcuni grandi frammenti architettonici in marmo lunense, hanno capito di trovarsi di fronte a reperti dell'attico e alla trabeazione dell'Arco. 

Le cronache dell’epoca descrivono molto bene questo imponente monumento: l’ampiezza dell'arco era di circa 17 metri, per una profondita' di circa 15, mentre le colonne sviluppavano un'altezza di oltre 10 metri. 


Un monumento che, nel complesso più piccolo di quello di Settimio Severo (sulla Via Sacra), doveva impressionare non poco, per magnificenza e ricchezza di decorazioni, i visitatori che entravano in Roma dalla Via Appia attraverso la vicina Porta Capena. Dedicato a Tito nell'anno della sua morte, nell'81 d.C., per celebrare la sua vittoria sui Giudei e la distruzione di Gerusalemme, l'Arco era posto al centro dell'emiciclo sud del Circo Massimo. 

Era a tre fornici intercomunicanti, con platea ed una scalinata sulla fronte verso il circo, mentre si collegava con due gradini con il piano di calpestio esterno all'edificio. La fronte era caratterizzata da 4 colonne libere e 4 lesene retrostanti aderenti ai piloni. 

Era sormontato, sull'attico, da una grandiosa quadriga bronzea. L'arco assumeva un ruolo particolarmente importante nel corso delle processioni trionfali che celebravano le vittorie dei generali o degli imperatori. 

Il lungo corteo trionfale, dopo aver sfilato lungo il Circo Massimo e avere raccolto l'ovazione della folla, passava al di sotto dell'arco e proseguiva il suo cammino diretto al tempio di Giove Capitolino, sul Campidoglio. 

Il recupero della magnifica struttura è ancora arduo: ritrovato il pavimento antico, le lastre di travertino e messi in luce tre plinti frontali e parte del plinto della quarta colonna, la zona è stata nuovamente interrata per evitare danneggiamenti, in attesa di nuove risorse che permettano di riportare al suo splendore uno dei monumenti antichi più belli di Roma.

Fabrizio Falconi 

28/05/15

In albis (In albis) - di Fabrizio Falconi.





In albis


Sicut carmen
diuturni dies Novembres
pervenerunt.
Ars saltandi quieta
consiliorum est,
miraque
absentium ratio.
Nubes alba
e montibus effundit
prima lux omnis
adornat motum sanctuum suum.

dall'originale, in Fabrizio Falconi Sub specie aeternitatis (poesie 1997-2001), Giuseppe Aletti Editore, 1a edizione luglio 2003.
Traduzione dall'italiano in latino: Filomena Bernocco


In albis


Come profezia
i giorni lunghi di novembre
sono arrivati. E’ quieta
la danza dei propositi,
e stupefacente
la conta degli assenti.
Nube bianca si srotola dai monti
ogni alba prepara
la sua santa ribellione.

27/05/15

La Vita è un’Opera d’Arte - Decalogo per vivere.


Se non si vuole sprecare la propria vita terrestre – dal momento che per quel che ne sappiamo, è solo una, ed è anche breve – bisogna essere consapevoli del fatto che Vivere è un’opera d’arte.

E per vivere bene, per vivere una vita degna di essere vissuta – una vita umana – bisogna trattare la propria vita come il compimento di un’opera d’arte. ‘Opera d’arte’ non vuol dire necessariamente la Gioconda, o i fiori di ciliegio di Van Gogh.

L’opera d’arte non dipende dalle dimensioni: è un’opera d’arte il Giudizio Universale, ma lo è anche il centrino fatto ad uncinetto dalla vecchia.

E’ opera d’arte anche il buon vino del vignaio ed è opera d’arte anche la poesia notturna, nascosta in un cassetto.

Ciascuno è chiamato – con la sua vita – a offrire l’opera che può, a seconda del talento che gli è stato dispensato per mistero a noi in-conoscibile, come viene eloquentemente descritto nella celebre parabola evangelica. 

Il valore non è nel talento, ma nell’uso che se ne fa. La vita è dunque secondo me un talento dato a tutti. E a tutti sta trasformare questo talento in un’opera d’arte. 

Le dieci regole d’oro per trasformare una vita in Opera d’Arte e far sì che essa sia degna di essere vissuta, e sia perciò umana, sono quelle che regolano la creazione di ogni Opera d’Arte

1. Ogni Opera d’Arte deve avere un Senso. Un’opera in-sensata – come una vita in-sensata – non serve a niente e a nessuno. 

2.Ogni Opera d’Arte deve avere un Doppio Senso: un senso per chi la realizza (la vita) e un senso per gli altri (che vedono la tua vita, perché tu vivi in una comunità di umani). 

3. Ogni Opera d’Arte necessita di una Cura . Nessuna opera d’arte – e quindi neanche nessuna vita – si realizza con la trasandatezza, con la disattenzione, con il laissez-faire. 

4. Ogni Opera d’Arte ha bisogno, per nascere, di una ispirazione. L’ispirazione – come la vita – è dentro di te, ma è necessario che tu ti identifichi in lei, la ascolti, e la lasci parlare. 

5. Ogni Opera d’Arte ha bisogno di metodo. Non basta da sola l’ispirazione. La vita – come l’opera d’arte – ha bisogno che tu organizzi le cose, che tu persegui il tuo progetto. 

6. Ogni Opera d’Arte ha bisogno di Tempo. Senza tempo, che vuol dire pazienza – nessuna opera d’Arte e nessuna Vita sarà mai completata. 

7. Ogni Opera d’Arte deve essere nuova. L’originalità della tua vita è la stessa di una qualsiasi opera d’arte umana, che prima di essere creata, non esisteva. 

8.Ogni Opera d’Arte deve avere un valore. Un valore per chi l’ha creata, e uno per chi l’apprezza. Una vita senza valore, come un’Opera senza valore, non interessa nessuno. 

9. Ogni Opera d’Arte deve possedere fiducia. Fiducia che qualcuno saprà apprezzare, valutare, rendere, testimoniare, la nostra vita, come la nostra Opera. 

10. Ogni Opera d’Arte, una volta creata, è eterna. Perché, anche se sarà distrutta, continuerà a vivere nella memoria e nelle opere che essa ha – a sua volta – generato. 

Fabrizio Falconi – 22 maggio 2009 (C) riproduzione riservata 2015

26/05/15

L'epistolario tra Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomé - Il tormento e l'estasi.



Nel 1984 e successivamente ristampato nel 1992, La Tartaruga ha meritoriamente pubblicato il meraviglioso epistolario tra Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomé nel corso di quasi trent'anni, dal 1897 al 1926. 

Si tratta della traduzione del volume curato da Ernst Pfeiffer il quale, riuscito ad ottenere i diritti dagli eredi, mise insieme tutto ciò che restava delle lettere scambiate da Rilke e Salomé in tre decenni cruciali, per la loro storia e per la storia dell'Europa e dell'Occidente. 

L'epistolario in questione è formato da 134 comunicazioni scritte di Rilke (escludendo poesie e dediche) e di 65 di Lou A. S. 

La disuguaglianza numerica degli scritti dipende in parte dall'indole di Rilke - dopo ogni intervallo è quasi sempre lui che riprende a scrivere per primo, perché aveva in continuazione il bisogno di raccontarsi - e in parte dal fatto che sono andate perdute diverse lettere di Lou.

Mancano in particolare quelle della prima, appassionata, fase del loro rapporto di cui si sono conservate soltanto le lettere di Rilke e solo quelle relative ai primi giorni del loro incontro. 

L'ultimo appello di Lou, del febbraio 1901, conclude i quasi quattro anni di vita in comune e si pone già fuori del legame che li aveva uniti fino a quel momento.

Nel maggio del 1897 a Monaco Lou aveva incontrato il giovane Rilke (lei 36 anni, lui 22), che sollecitato da lei cambierà ben presto il proprio nome René in Rainer, con il quale diverrà presto famoso in gran parte d'Europa.

Lou, nata il 12 febbraio del 1861 a Pietroburgo, era sposata, dal 1887 a Friedrich Carl Andreas, studioso di storia delle lingue, di quindici anni più vecchio di lei,che dopo momenti molto burrascosi e un tentativo di suicidio, la convince a sposarlo.  Ma Lou gli impone un "matrimonio in bianco" ed esige per sé la più ampia libertà di movimento, nonché l'impegno che lui non interferisca nella sua vita sentimentale. 

Quando conosce Rilke, Lou - nonostante la fama che si porta dietro dai tempi del triangolo scandaloso con Nietzsche e il filosofo Paul Réem (in realtà del tutto casto) - è ancora vergine.  Tra i due ha inizio un rapporto intensissimo, che coinvolge corpo ed anime. 

Dopo quattro anni, Lou decide di interromperlo. E del periodo della vera e propria amicizia - dal 1903 e fino alla morte di Rilke (1926) è la seconda parte molto più cospicua dell'epistolario. 

Distrutto dalla separazione, Rilke trova il modo di sopravvivere. Sposa la scultrice Clara Westhoff, allieva di Rodin, ha con lei una figlia, ma non smette di girovagare per l'intera Europa - in fiamme - di quegli anni, in un incredibile tourbillon di incontri (con tutte le più grandi personalità dell'epoca) e di luoghi, che si può leggere qui. 

Lou resta per Rilke il riferimento di una vita intera.  Il soggetto amoroso si trasforma in presenza/assenza, vicinissima distanza, comunione totale di spirito. Le lettere sono struggenti:  Sai, se non si morisse di vecchiaia, si morirebbe di nostalgia, scrive Lou.  (lettera del 22 settembre 1921)

Tutto ciò che vive, risponde Rilke, che pretende la nostra attenzione, incontra in me una infinita partecipazione, dalle cui conseguenze devo poi ritrarmi con dolore quando mi accorgo che mi consumano totalmente. (lettera del 29 dicembre 1921). 

Tu sei l'uomo più simbolico che io conosca, scrive ancora Lou, e tu vivi le cose ultime, le conferme, per le quali la materia esistenziale si concentra solo di quando in quando per poterle rivelare; per questo tanto spesso tu non puoi vivere. (lettera del 5 gennaio 1921). 

Rilke continua a spostarsi, di ritiro in ritiro, di esilio in esilio, a Duino, dove compone gran parte delle Elegie, e infine a Muzot, dove la sua malattia si aggrava fino alla morte. 

Lo spirito inquieto, errante di Rilke, la saggezza altrettanto inquieta di Lou: una stessa devastante sensibilità, un attraversamento della vita come esperienza iniziatica, fino alla morte.  Queste lettere esprimono cose che non si possono esprimere che vivendo, o nella rarefazione artistica di un genio puro come Rilke: il tormento delle costrizioni terrene, la mancanza o la nostalgia di quel che non può essere afferrato mai definitivamente; l'estasi della creazione artistica, delle anime che non si incontrano e non si sciolgono più, mai più, nonostante e oltre le incombenze del vivere. 


Fabrizio Falconi (C)(riproduzione riservata) 

Rilke e Lou Andreas Salomé

25/05/15

Francesi, inglesi, italiani, russi, tedeschi - secondo Tolstoj.





nelle pagine di Guerra e Pace, Tolstoj descrive in una sola riga ciascuno, il carattere nazionale di francesi, inglese, italiani, russi, tedeschi. Credo che ancora oggi sia molto interessante leggere questa pagina.

Pfull era uno di quegli uomini inguaribilmente, immutabilmente sicuri di sé fino al martirio, come possono esserlo soltanto i tedeschi, precisamente perché nei tedeschi la sicurezza di sé è basata su un'idea astratta: la scienza, cioè la presunta conoscenza di una verità assoluta. 

Il francese è sicuro di sé perché si crede irresistibile e affascinante in tutta la sua persona, intellettualmente come fisicamente, per gli uomini come per le donne. 

L'inglese è sicuro di sé perché è cittadino dello Stato del mondo meglio ordinato, e perciò, come inglese, sa sempre quel che deve fare e sa che quanto fa, nella sua qualità d'inglese, è sicuramente ben fatto. 

L'italiano è sicuro di sé perché si agita e dimentica facilmente sé e gli altri. 

Il russo è sicuro di sé proprio perché non sa e non vuol sapere nulla, perché non crede che si possa sapere qualcosa.

Il tedesco è sicuro di sé peggio di tutti, più fermamente di tutti, perché si immagina di conoscere la verità: la scienza che egli stesso ha inventata, ma che per lui è la verità assoluta. 


Lev Tolstoj - Guerra e Pace, Einaudi, Torino, pag. 749.

23/05/15

Vienna 1983 - Una esperienza iniziatica (Gregor Passecker)




Nel novembre del 1983 visitai per la prima volta Vienna

Fresco di laurea, risposi a mia madre rimasta da poco vedova, che voleva accontentarmi con un regalo - soldi non ce n'erano: "vorrei fare un viaggio a Vienna."

Qualcosa di ancestrale sembrava attirarmi verso quella città. Qualcosa forse di genetico, visto che mia madre che non aveva mai superato i confini di Roma (a parte Firenze e Venezia, tappe del viaggio di nozze), piangeva regolarmente a dirotto quando in casa si metteva sul piatto del giradischi il Blue Danube di Richard Strauss.

Non rimasi deluso, tutt'altro. Visitai la città in perfetta solitudine in un mese invernale e freddo. 

Il silenzio di Vienna di quegli anni, il silenzio del Ring, il silenzio del Graben, della casa di Mozart, del Liechtstein con le cacche d'autore di Kolik, il silenzio della torre di Santo Stefano, dei giardini del Belvedere, del Prater, dello SchonBrunn sotto la neve, il silenzio delle acque del Danubio, il silenzio del fumo nei giardini e dai tetti, il silenzio dell'Opera deserta, dei vecchi caffè, perfino dei vagoni della metro dove non volava mosca, e tutti sembravano intenti a fare qualcosa di importante, o di solitario. 

Ai giardini del Prater, in un minuscolo chiosco ambulante, conobbi un ragazzo viennese Gregor Passecker.  La sua famiglia gestiva un antico caffè del centro, lui si dava da fare con gli Hot-dog. La sua compagna era bellissima. La sera lui si trasformava, indossando un lungo mantello scuro sulla figura allampanata tramutandosi in un eccentrico dai gusti raffinati, in grado di apprezzare e farmi apprezzare una grafica di Kubin in una sperduta galleria metropolitana, o di parlarmi per due ore - nel suo inglese elegante - di Hundertwasser e delle sue architetture. 

Fino a tardi camminammo quelle sere, costeggiando il Ring, insieme ad un altro amico italiano, uno strano affiatato quartetto che s'era trovato per le strane circostanze del caso, in quel frammento spazio-temporale del mondo. 
Gregor Passecker

Gregor rimase a lungo in contatto con me, ma non lo rividi mai più. Mi scriveva lettere stupende, completamente bislacche piene di parole italiane (amava la nostra lingua e voleva impararla ad ogni costo), strane sue composizioni poetiche e collages surreali e io lo reputavo una grande anima. 

Come spesso accade, morì prima del tempo. 

Ma da qualche parte, sento sempre la sua presenza. Insieme a quella Vienna di allora, che popola sogni e popola pensieri. 


Fabrizio Falconi. 







22/05/15

Cosa serve per essere maturi - Krishnamurti.






Per essere maturi, è assolutamente necessario che vi siano:

1. completa semplicità che si accompagni a umiltà, non nelle cose o per quel che riguarda il possesso, ma nella qualità dell'essere;

2. passione, con una intensità che non è puramente fisica;

3. bellezza; non solo sensibilità alla realtà esteriore, ma l'esser sensibili a quella bellezza che è al di là e al di sopra di pensiero e sentimento;

4. amore; la sua totalità, non quell'amore che conosce gelosia, attaccamento, dipendenza; non l'amore che viene diviso in carnale e divino. L'intera immensità dell'amore;

5. la mente capace di cercare, di penetrare senza motivo, senza scopo, nelle sue stesse sconfinate profondità; la mente che non ha barriere, ed è libera di vagare fuori del tempo-spazio.


21/05/15

Apre il 28 maggio l'incredibile Labirinto di Franco Maria Ricci a Parma (e torna anche la sua casa editrice).



La rivista d'arte e cultura FMR, creata dall'editore di Parma Franco Maria Ricci, tornera' a essere pubblicata nel gennaio 2016, dopo anni di assenza. 

L'annuncio e' stato dato dallo stesso Ricci, durante una conferenza stampa a Milano sul nuovo accordo raggiunto con il gruppo editoriale FMR-UTET Grandi opere, controllato dalla societa' Cose belle d'Italia, specialista nel made in Italy in diversi settori. 

La rivista apparterrà a una società la cui maggioranza sarà di Ricci, il quale ha annunciato anche la pubblicazione di due o tre libri all'anno editi a suo nome. 

Quanto al gruppo FMR-UTET Grandi opere, che in passato ha acquisito FMR dall'editore parmense, continuerà il proprio percorso con i due marchi. 

"Il libro non e' morto ma ha un futuro", ha ribadito il presidente di FMR-UTET Fabio Lazzari, durante l'incontro con la stampa al quale hanno partecipato Ricci e la moglie Laura Casalis. 

Questi ultimi hanno confermato che il 28 di questo mese aprira' al pubblico il Labirinto della Masone, un complesso vicino Parma, per realizzare il quale l'editore d'arte decise di vendere la casa editrice.



19/05/15

'Un impiego remunerativo' di Jamie Mc Kendrick




Un impiego remunerativo

Come se non avessi niente di meglio da fare,
e chi dice che ce l'ho, che mettere in ordine
la casa che non ho, siedo alla scrivania di quercia
che ho, anche se è più un tavolo che una scrivania
ma è mia e l'ho carteggiata con le mie mani
e l'ho passata con la cera d'api e con la spugna di ferro.

- per dire quanto era importante per me:
questa superficie sulla quale così tanto sarebbe
stato portato a termine. La cosa migliore, poi, è
che posso toglierle le gambe e rimpiazzarle
con quattro angelici dadi ad alette sui supporti agli angoli
e così è sia qualcosa di stabile che una bestia mobile.

Mi chiedo perché mai ho conservato questa molla di penna
che sto tormentando adesso tra l'indice
e il pollice - non per cucire le palpebre
come le anime degli invidiosi in purgatorio.
Troppo ben fatta per essere gettata via,
immagine dell'infinito o dell'informazione...

Sono ancora qui, dove c'è una gioia inconsolabile
che deve essere goduta, sedendo pronto alla mia postazione
e in attesa del corno o della tromba finale.
Nessuno può dire che sia sprecare il tempo, il mio tempo, tempo che ho,
entrare nel filo più vero della spirale,
vivere sempre attendendo il non udito.



Jamie Mc Kendrick - Un impiego remunerativo, da 'Chiodi nel cielo', ediz. Donzelli, 2000.




18/05/15

Diventare geni dopo una caduta da cavallo. Un caso unico al mondo.



Era una ranchera che si occupava di mandrie e bestiame in Colorado e l'unico suo amore erano auto da corsa e sport, ma dopo una rovinosa caduta si e' risvegliata genio dell'arte, della geometria e della poesia: Leigh Erceg, ha 47 anni, non ricorda nulla del suo passato e secondo i suoi medici curanti il suo è un caso unico al mondo. 

I danni cerebrali subiti hanno causato alla donna la cosiddetta 'sindrome di savant', la 'sindrome del sapiente': la malattia resa famosa nella magistrale interpretazione di Dustin Hoffman in 'Rain Man', che rende le sue vittime - solitamente dalla nascita - prodigiosamente capaci in una specifica area cognitiva.

Per Leigh è l'arte e la matematica: ora - ha dichiarato in una intervista alla Abc - lei 'vede' i suoni e 'ascolta' colori quando sente musica. E' divenuta poetessa, pittrice e le pareti del suo ranch sono ora tappezzate non solo dei suoi quadri, ma di formule matematiche e disegni geometrici. Rappresentazione di come la donna vede il mondo. 

Unici disturbi: Leigh è estremamente sensibile alla luce e deve indossare quasi sempre occhiali da sole, e non riconosce nulla e nessuno della sua vita precedente, neppure la madre. 

"Leigh - ha spiegato Berit Broogard, il neuroscienziato che la segue alla universita' di Miami - è l'unica donna al mondo che ha acquisito da adulta la sindrome di savant e sinestesia in seguito ad un danno cerebrale". 

La sinestesia e' una sorta di 'confusione' dei sensi per cui appunto si 'vedono' i suoni. La sindrome e' talmente rara che per diagnosticarla ci sono voluti test ed analisi a ripetizione. 

17/05/15

Poesia della Domenica - 'La madre' di Giuseppe Ungaretti.




La madre 


E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.


G. Ungaretti, Vita d’un uomo. Tutte le poesie, a cura di L. Piccioni, Milano, Mondadori, 1970, p. 539.

16/05/15

L'importanza di guardare il cielo - Pavel Florenskij.



E' da tanto che voglio scrivere: osservate più spesso le stelle. Quando avrete un peso nell'animo, guardate le stelle o l'azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all'aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete. 

 Pavel A. Florenskij, Testamento, notte tra sabato 19 e domenica 20 marzo 1921, Mosca. 


nella foto: l'ultima 'cartolina spaziale' trasmessa dal telescopio Hubble: mostra una 'nursery' di centinaia di stelle vecchie 'solo' pochi milioni di anni nella Nube di Magellano, distante 550 milioni di anni luce dalla Terra.

15/05/15

Il Museo delle anime del purgatorio a Roma. Un luogo misterioso.


          



 C’è un luogo a Roma davvero particolare,  e quasi del tutto ignoto agli stessi romani, che ha una storia meritevole di essere raccontare, in special modo per gli appassionati di misteri.  Sorge in luogo di grande passaggio, sul Lungotevere Prati, esattamente in quel punto, prima del Palazzaccio – il Palazzo di Giustizia – dove fa bella mostra di sé uno dei pochissimi edifici in stile neogotico della Capitale: la Chiesa del Sacro Cuore del Suffragio, quell’edificio che i Romani chiamano ‘il Duomo di Milano in miniatura.’   Si tratta di una piccola chiesa  costruita in cemento armato  alla fine del secolo scorso dall’architetto Giuseppe Gualandi, commissionata dal missionario francese Victor Jouet per ospitare l’Associazione del Sacro Cuore di Gesù per le Anime del Purgatorio, da lui fondata.  

Questa associazione religiosa era nata proprio con l’intento di pregare per quelle anime che si erano manifestate in modo eclatante  – a giudizio del missionario stesso e di molti altri testimoni – nelle circostanze drammatiche che avevano riguardato un edificio che sorgeva proprio sullo stesso luogo dove poi fu realizzata la Chiesa attuale: si trattava di una piccola cappella dedicata alla Vergine del Rosario che un giorno – il 15 settembre del 1897 -  andò distrutta completamente per via di un incendio.  Sembra che in quel periodo la chiesetta fosse stata sottoposta a restauri.  Improvvise si levarono le fiamme, e quando, spento l’incendio, i soccorritori valutarono i danni, si resero conto che su uno dei pilastri rimasto in piedi era rimasta impressa una strana ombra assai rassomigliante alla testa di un uomo.   Ma anche altre strane figure emersero sui muri delle macerie, compresa una immagine di un volto ghignante – subito identificato con quello di Satana – esattamente al di sopra dell’Altar Maggiore, dal punto dove si erano levate le prime fiamme.

Jouet, il missionario, notevolmente impressionato dall’accaduto, non tardò a spiegare la presenza di quelle ‘ombre’,  come nient’altro che tracce lasciate dalle anime del purgatorio.   Secondo una antica tradizione, infatti, le anime in transito dall’inferno al paradiso, possono manifestare la loro presenza su questa terra lasciando impronte infuocate su  vestiti, stoffe, libri, ecc..


Il missionario cominciò così una paziente opera di catalogazione di tessuti, breviari, tavolette di tela e di legno sulla superficie delle quali erano apparse queste impronte misteriose appartenenti a spiriti di defunti, fino a costituire nell’anno 1900 un Museo delle Anime del Purgatorio, che ancora oggi è conservato e che risulta particolarmente suggestivo o impressionante per chi varca la soglia della Chiesa sul Lungotevere.

Il piccolo Museo, dal quale si accede attraverso una porticina della sacrestia, è contenuto in alcune teche  e armadi, il cui numero con il passare del tempo è notevolmente diminuito, a seguito della eliminazione di alcuni pezzi ritenuti spurii, e alla stessa volontà di non concedere troppo spazio alla propagazione di credenze nei confronti delle quali le gerarchie ecclesiastiche preferiscono mantenere una certa distanza.

14/05/15

750 anni dalla nascita di Dante Alighieri : iniziano i festeggiamenti a Firenze.

Ritratto di Dante Alighieri dipinto da Sandro Botticelli, 1495


Nella incertezza sulla esatta data di nascita dell'Alighieri, che nacque in una data compresa tra il 22 maggio e il 13 giugno del 1265,  cominciano oggi a Firenze le celebrazioni ufficiali per il 750/o anniversario della nascita di Dante Alighieri. 

La citta' ricorderà il nobile concittadino con la decima edizione dei Cento Canti, lettura 'a staffetta' della Divina Commedia alla quale parteciperà anche il sindaco Dario Nardella recitando il primo canto dell'Inferno, con una sfilata di gonfaloni e un concerto nella Basilica di Santa Croce. 

Tra le tante iniziative in programma per le celebrazioni, il progetto dell'Accademia della Crusca in collaborazione con l'Opera del Vocabolario italiano di raccogliere tutto il patrimonio lessicale contenuto nei lavori del Sommo Poeta, un calendario di appuntamenti letterari e musicali a cura della Societa' dantesca italiana ed anche uno spettacolo di Virgilio Sieni, direttore della Biennale di Venezia per la Danza, che dirigera' una produzione inedita dal titolo "Ballo 1265", 33 canti in forma di danza. 

La prima dello show sara' in Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento, il 28 dicembre.

Ai festeggiamenti partecipera' anche l'astrofisico Sperello di Serego Alighieri, discendente del Poeta. 

Nell'occasione il presidente della Societa' Dantesca Italiana, Eugenio Giani, durante la cerimonia nella Basilica di Santa Croce, consegnera' a Sperello di Serego Alighieri la medaglia commemorativa del centenario dantesco col conio della Societa' Dantesca. 

12/05/15

Montaigne appena pubblicato da Fazi: l'amore e l'eros.


Dopo il successo della prima raccolta Coltiva l'imperfezione, prosegue la pubblicazione di tutti i Saggi in sette agili volumi.  Divisi su base tematica e corredati di apparati critici, questi nuovi volumi ricostruiscono il disegno unitario dell’opera complessiva di Montaigne e legano l’autore agli aspetti più significativi dell’esistenza quotidiana. Questa volta, al centro delle inarrivabili riflessioni del grande filosofo c'è l'amore, l'eros, quell'«alleanza tra immaginazione e corpo» che – se applicata ai sentimenti degli uomini – li rende intensi quanto volubili.

Il libro Leggere Montaigne è come ritrovare un amico. Un amico saggio e stravagante, con una vasta esperienza del mondo e una curiosità intellettuale sempre viva, che ogni volta ascoltiamo con piacere. 
La distanza che sembra separarci da lui scompare quando ci lasciamo conquistare dall'atmosfera di intimità che si respira fin dalle prime pagine dei suoi Saggi.

La fame di Venere raccoglie alcuni tra i testi che il pensatore francese scrisse per ultimi, già in là con gli anni. Disinvolto e disincantato, Montaigne riguarda alla propria vita senza amarezza né sentimentalismi, e come sempre il tema di partenza va presto in frantumi, lasciando il posto a un caleidoscopio di riflessioni, aneddoti e digressioni: spregiudicato e moderno, Montaigne scarta da un pensiero all'altro, arrivando a toccare con straordinaria vicinanza gli aspetti più quotidiani della nostra vita, ed è proprio a partire da uno di questi – la fame di Venere, l'appetito sessuale – che qui ci regala una delle più interessanti testimonianze sul modo in cui la sessualità e il rapporto tra uomo e donna erano intesi nel Cinquecento. Parla dell'amore, del sesso e del matrimonio, ma non solo: si occupa di comportamenti assimilabili alla ninfomania e al priapismo, fornisce un piccolo manuale su come gestire i rapporti con le prostitute – il prezzo, dove incontrarsi, come trattarle e così via –, enuclea gli elementi indispensabili per un corteggiamento di successo e ci offre una pungente analisi della gelosia, che considera la peggior malattia del nostro spirito dopo l'invidia.

Tutto questo con la sincerità di chi non desidera altro che essere fedele a se stesso, senza nascondere nulla del proprio pensiero, perché la sua paura più grande è «essere scambiato per qualcun altro».

L'autore Michel Eyquem nacque nel 1533 a Bordeaux, da una ricca famiglia da poco insignita del titolo nobiliare di "signori di Montaigne". Educato, secondo l'uso dell'umanesimo, nel culto della classicità - e per indole incline allo stoicismo -, dopo gli studi, a ventiquattro anni, esercitò per i successivi tredici come consigliere presso il Parlamento di Bordeaux, città della quale più tardi venne eletto sindaco. Apprezzato e conosciuto diplomatico, spesso in missione per conto del re, visse nel sanguinoso periodo delle guerre di religione, uno dei più bui dell'intera storia francese, tanto che a trentasette anni, amareggiato, decise di abbandonare la vita mondana per ritirarsi nel suo castello - in particolare nella sua tour de librairie, la 'torre della biblioteca'-, dove rimase a meditare, studiare e scrivere. Morì nel 1592. I suoi Saggi, pubblicati per la prima volta nel 1580, sono unanimemente considerati una pietra miliare della letteratura occidentale e - avendo inspirato, tra le altre, personalità come Nietzsche ed Emerson, Rousseau e Proust - hanno avuto una profondissima influenza nella storia del pensiero europeo.

11/05/15

Paul Celan e Gisèle, un amore tormentato.




A prima vista le lettere che si scambiarono Paul Celan e la moglie, la pittrice francese Gisèle Lestrange, durante quasi vent' anni, dal 1951 al 1970, riflettono la storia di una unione solida, apparentemente senza incrinature, cementata da un' intesa sentimentale e artistica che sembra indistruttibile. 

Lui è uno dei maggiori poeti in lingua tedesca del Novecento che elegge la Francia sua patria adottiva e che attinge forza e ispirazione dalla compagna della sua vita; lei è una parigina di famiglia aristocratica, rigidamente cattolica, e un' artista dotata e sensibile che con le sue opere grafiche influenza non poco la produzione poetica del marito - la raccolta Fiato di cristallo non sarebbe pensabile senza le incisioni astratte che Gisèle crea negli anni Sessanta e da cui Paul trae ispirazione. 

Straordinario è il sentimento intenso e profondo che li lega fino alla morte. 

Poesie e incisioni vanno a braccetto in mostre dedicate alla produzione dei coniugi Celan, in volumi di versi illustrati dalle creazioni astratte di Gisèle. In effetti la parola poetica di Paul Celan, che negli anni diventa sempre più essenziale, magnetica, indelebile, dà l' impressione di essere incisa su una lastra di rame. 

Da noi Einaudi ha pubblicato l' intera raccolta delle poesie di Celan, che vanno dal 1948 al 1969, con il titolo Sotto il tiro di presagi (pagg. 500, euro 18,59). 

Ma mano a mano che si va avanti nella lettura di questo prezioso carteggio pubblicato in Germania dalla Suhrkamp e contemporaneamente in Francia da Seuil (Paul Celan - Gisèle Celan Lestrange: Briefwechsel, in 2 volumi a cura di B. Badiou), cresce l' apprensione per i protagonisti di questa storia d' amore solo apparentemente felice. 

Non solo perché conosciamo in precedenza la tragica fine del poeta, morto suicida nell' aprile del 1970 ad appena 50 anni, ma perché l' accuratissima cronologia che accompagna le lettere e documenta giorno per giorno la vita di Celan, rivela puntualmente i drammatici retroscena di un legame tormentato e tormentoso che solo la forza morale di Gisèle riesce in parte a salvare. 

Dietro a queste scene da un matrimonio c' è sempre la tragedia dei genitori di Paul deportati e morti a Auschwitz che il poeta non può e non vuole dimenticare, c' è la tragedia di un ebreo sopravvissuto che vuole combattere, armato solo della sua parola poetica, l' oblio e l' indifferenza dei suoi connazionali

C' è la fragilità di un' anima di artista che l' amore della moglie e del figlio Eric non può sanare. 

Amare una donna bella e coraggiosa, scrivere poesie che fanno sognare e meditare è una terapia che nei primi tempi funziona, che al poeta ebreo originario di Cernowitz e approdato a Parigi nel 1948 dopo Bucarest e Vienna, dà l' illusione di una vita «normale», appiana il suo eterno contrasto con la realtà. 

Nel dicembre 1952 Paul sposa la bella Gisèle; nello stesso mese esce Papavero e memoria, la prima raccolta di poesie di Celan: poesie d' amore, poesie dolenti in ricordo della madre uccisa da un colpo di pistola alla nuca, poesie che diventeranno celebri come Todesfuge (Fuga di morte). 

Segue, nel ' 55, l' uscita del volume Di soglia in soglia con una bellissima dedica del poeta alla moglie, alla sua «anima vivente». 

Ma la malattia nervosa che porterà Celan alla depressione e in seguito ad una serie di crisi gravissime e ad un tentato suicidio (nel gennaio 1967 tenta di suicidarsi ficcandosi un coltello nel petto ed è salvato solo all' ultimo momento dalla moglie), è latente sin dai primi tempi della sua relazione con Gisèle, sin da quando le scrive lettere appassionate. 

«Ti scrivo per dirTi che mi accompagni ovunque io vada, che tu sei questo mondo, Tu sola, e che il mondo è diventato più grande attraverso di Te, che ha trovato attraverso di Te una nuova dimensione», le scrive il 28 gennaio 1952. 

Ma in quello stesso anno il viaggio in Germania dove tiene una serie di letture dei suoi versi nelle principali città tedesche, gli causa un' angoscia indicibile

Per lui, che in Francia è assolutamente sconosciuto come poeta e che deve tenere i contatti con gli editori e il pubblico tedesco, questi viaggi sono una necessità professionale, ma ogni volta gli procurano un disagio, un malessere che gli è impossibile superare: in realtà la Germania del dopoguerra, protesa nello sforzo della ricostruzione materiale e morale Paul la sente irrimediabilmente estranea, addirittura ostile, nonostante i numerosi riconoscimenti che gli verranno conferiti

Le sue tappe nelle città tedesche sono un calvario, come testimoniano le lettere a Gisèle, sua unica confidente.

Il 31 maggio del 1952 Paul le racconta la sua lettura tenuta a Niendorf di fronte ai membri dell' autorevole Gruppo 47 dove era stato invitato su consiglio di Ingeborg Bachmann. 

La serata si rivela disastrosa per il poeta il cui modo di leggere viene deriso, viene definito «patetico».

Decisamente un feeling con la sua patria linguistica, con la terra degli assassini dei suoi genitori, Paul non lo proverà mai; si sente a casa solo a Parigi, a fianco della sua adorata Gisèle. 

Ma una tempesta rompe anche il precario equilibrio della sua vita parigina, lo fa sentire uno straniero in Francia, perseguitato da un' accusa insensata di plagio dietro alla quale egli vede un antisemitismo che inesorabilmente riaffiora, che lo vuole distruggere.

 E' «l' affare Goll» che lo tormenterà fino agli ultimi giorni. La vedova del poeta Yvan Goll inizia una campagna diffamatoria senza precedenti contro Celan che ha tradotto le opere del marito e che, secondo le sue accuse, ha copiato da lui metafore e immagini poetiche.

 E' una prova terribile per il poeta che dal '65 comincia a dare segni di squilibrio, che deve sottoporsi a massicce cure psichiatriche e che, due anni dopo, deve separarsi dalla moglie, su desiderio della stessa Gisèle: la convivenza diventa impossibile nonostante l' affetto che ancora la lega a Paul. 

Nella sua ultima lettera del 20 marzo 1970, Gisèle, questa donna straordinariamente forte e dolce al tempo stesso, ringrazia Paul per i tulipani rossi e la poesia Ci sarà qualcosa, più tardi, accompagnata dalla traduzione francese, che lui le ha mandato per il suo compleanno. 

Lei ha appena compiuto 43 anni. Lui, appena un mese più tardi, dopo un ultimo viaggio in Germania, mette fine alla sua vita buttandosi nella Senna. 

«L' ondeggiante parola / la possiede / il buio», aveva scritto in una delle poesie della raccolta Luce coatta.

10/05/15

Poesia della domenica - 'Quartina n.233' di Omar Khayyam.





Felice colui che in questo mondo libero visse,
Libero e sempre contento di quel che Dio donava, visse.
Da questo soffio di vita seppe trar lieto profitto,
In libertà gioiosa, semplice amore, vino puro, visse.



Omar Khayyam, Quartine (Robaiyyat) - A cura di Alessandro Bausani, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1956, quartina n. 233, pag. 83.

08/05/15

James Hillman: "La depressione è positiva."





Questi brani di intervista furono rilasciati da James Hillman a Mantova, un anno dopo la tragedia delle Twin Towers di New York, durante il Festival delle Letterature. 

Non siamo arrivati a Ground Zero, a livello zero. Il concetto dello zero non esiste nel mondo romano, ci viene dagli arabi. 

Da questo Zero scaturirebbe qualcosa che ora non siamo in grado di prevedere. Per avvicinarci allo zero, non dobbiamo fare niente. Succede quando non abbiamo risposte. Ma in Occidente andiamo a scuola per imparare ad avere una risposta per tutto: bisogna arrivare allo zero, dicendo "Non ho risposte." 

E' un processo psicologico, interiore. Già l'idea stessa è un problema.  La testa, diceva Platone, è come una gabbia piena di uccelli: allora sediamoci a guardiamo queste idee che passano, come un buddhista guarda la mente. 

La depressione è positiva perché pone dei limiti, rallenta tutto.  Il potere dell'anima compare nella depressione o nella passione, come quella amorosa. 

Senza ossessione non si potrebbe fare nulla. 

Se sentirsi bene è il fine, prendete le pillole. Nella depressione si prova un sentimento di malessere: è creato da uno squilibrio tra voi e il mondo. Il mondo è maniaco.

L'anima del potere è nel realizzare i diversi tipi di potere, piuttosto che nella proiezione del potere come controllo. Identificare il potere come controllo fa perdere le altre qualità del potere, come l'autorevolezza, il carisma, l'ambizione. 

Nella situazione attuale, la cosa più importante che si possa fare è percepire che c'è depressione: se avvertissimo un senso di limite, di tristezza, di tragedia, questo ci darebbe modo di sentire veramente l'anima. La situazione del mondo invece, viene percepita come un problema da risolvere, non come una tragedia che dobbiamo soffrire.

fonte ANSA, 7.9.2002. 


07/05/15

Lascia che io viva.





Non ci sono appigli, in questo liquido nel quale mi muovo.

Lascia i tuoi sogni camminare ovunque. Sono liberi, non meritano questo.  Lentamente mi lascio trasportare. Scendo a patti con la mia voglia di abbandono. Lascia che io viva. 

Le bolle sono d'aria, i polmoni la trasmettono all'acqua, e non possono mescolarsi per nessuna ragione. Alla superficie risalgono, al vento agli spruzzi all'onda. Lascia che io viva. 

Sono così pesante, mio amante perduto, sono così piena di sassi. Sono leggera come i miei capelli che si muovono nella corrente. Lascia che io viva. 

La luce della luna traspare qui sotto, nelle profondità recluse dalle terre sommerse, piene di vita pulsante.  Diventa scia o ombra. Lascia che io viva.

Solo con te, astro magnifico, posso navigare avvolta dal bianco vestito fino alla riva lontana come un miraggio. Verde, acqua, suono, vita.  Lascia che io viva.

Si rinnova la parola detta. Si disintegra il flutto, si spegne la musica delle onde..  Trasportato dolcemente il viso di Ofelia emerge dal sogno della vita come un frutto d'ombra, come un miracolo inverato, come l'attesa viva che non muore e non scolora. 


Fabrizio Falconi (C) riproduzione riservata 2015

05/05/15

Ego sum qui te non quaero (Sono io che non ti cerco).




Ego sum qui te non quaero
vel tu quae non appares,
ego sum qui falso loco fodio
vel tu quae occultaris
in infinita humida terra.
Ego sum qui te non rogo
vel tu quae non respondes,
sum ego qui deerro
vel tu quae fugis.
Simpliciter ego sum
continenter
vel tu quae frustra moveris
in claustro sicut fera.



Traduzione dall'italiano in latino di Filomena Bernocco.
foto in testa: Emile Gos, Tree, 1936

Sono io che non ti cerco
o tu a non mostrarti,
sono io che scavo nel punto sbagliato
o tu a nasconderti
nell'umida terra sconfinata.
Sono io a non chiederti
o tu a non rispondere,
sono io a perdermi
o tu a fuggire.
Sono semplicemente io
al punto di sempre
o tu a muoverti senza scopo
come una bestia in gabbia.






04/05/15

Due fiocchi rosa molto diversi. Mysterium Iniquitatis.


Nasce il nuovo rampollo reale. Gira il mondo la foto di una paffuta neonata. In giornata si apprende anche il nome, Charlotte Elizabeth Diana.

Il nome completo è Charlotte di Cambridge (Charlotte Elizabeth Diana). Le agenzia ci informano che è una principessa britannica, membro della famiglia reale britannica e quarta in linea di successione al trono dei sedici reami del Commonwealth. Seconda figlia di William, duca di Cambridge, e di sua moglie, la duchessa Catherine Middleton. È inoltre nipote di Carlo, principe di Galles, e pronipote della regina Elisabetta II. È inoltre la sorella del terzo in linea di successione al trono del Commonwealth, George di Cambridge.

Per ironia o scherzo della sorte, i principali siti di informazione affiancano poco sopra o poco sotto all'immagine del neonato reale, quella di un altro neonato, molto meno Reale, ma ugualmente reale.

Nella ecatombe dei mari che continua imperturbabile ogni giorno infatti, sono oltre 2.000 i migranti soccorsi dalle navi della Marina Militare nel lungo fine settimana del Primo Maggio nelle acque dello Stretto di Sicilia, tra Lampedusa e la Libia. 

E a bordo del pattugliatore Bettica, che sta portando a riva 654 migranti recuperati in 4 interventi di soccorso, nella notte nasce una bambina. La piccola e la madre, imbarcata a travaglio iniziato, stanno bene. 

A bordo di un rimorchiatore che aveva soccorso alcuni migranti alla deriva in varie imbarcazioni, sono invece decedute due persone. In totale, i morti sono soltanto 10. 

La piccola non ha ancora un nome. O forse sì. Di sicuro non è un nome così lungo come quello della sua coetanea, nata nelle stesse ore, in quel d'Inghilterra. Di sicuro non ha reami. Di sicuro nessun cappellino bianco di lana, proveniente da chissà quale nobile sartoria. Di sicuro, non tarderà a scoprire da sola la differenza. 

Mysterium Iniquitatis. 




03/05/15

Poesia della domenica - "Sono io che non ti cerco" di Fabrizio Falconi.








Sono io che non ti cerco
o tu a non mostrarti,
sono io che scavo nel punto sbagliato
o tu a nasconderti
nell'umida terra sconfinata.
Sono io a non chiederti
o tu a non rispondere,
sono io a perdermi
o tu a fuggire.
Sono semplicemente io
al punto di sempre
o tu a muoverti senza scopo
come una bestia in gabbia.






02/05/15

La Madonna di Tarkovskij. Il racconto di un piccolo miracolo. (Santa Maria di Portonovo).




E’ stato uno dei più grandi registi del Novecento: Andrej Tarkovskij.

Nato a Zavrazie, Russia, nel 1932. Morto a Parigi, Francia, dopo una lunga malattia e più di dieci anni di esilio, nel 1986, a 64 anni.

Nei suoi film, l’Infanzia di Ivan, lo Specchio, Solaris, Nostalghia, Sacrificio, ma soprattutto con la sua vita ha incarnato i drammi del ‘900.

Consiglio la lettura dei suoi diari, pubblicati con cura dopo la sua morte, dal figlio Andrej A. Tarkovsky. 

Se si affronta questo libro - Martirologio (edizioni della Meridiana,2002) - si scoprirà uno dei testi più spirituali più alti del secolo scorso. 

C’è un episodio poco noto della sua vita, raccontato proprio nei suoi Diari. Che avvenne nel maggio 1980. 

Tarkovskij è già esule da parecchio tempo. Vive in Italia, a Roma, e un po’ dove capita, dove lo portano i suoi film, e i pochi amici veri che si è fatto, nonostante la difficoltà della lingua, e di un carattere introverso e poetico

Uno di questi amici è Tonino Guerra. Con Guerra, Tarkovskij, gira in lungo e in largo per l’Italia alla ricerca di luoghi che lo ispirino, per il prossimo film, che sarà Nostalghia.

Ed ecco quello che scrive quel giorno. 3 maggio 1980.

"Oggi mi è successa una cosa straordinaria. Eravamo a Loreto, dove Franco Terilli ha pregato davanti all’immagine del suo santo patrono, uno dei defunti papi. A Loreto c’è una chiesa famosa ( come a Lourdes ) nel centro della quale sorge la casa, portata da Nazareth, dove è vissuto Gesù. 
Quando mi sono trovato nella Chiesa ho sentito che era un peccato che io non potessi pregare in una chiesa cattolica, non è che non potessi, ma non lo desideravo (ricordiamo che essendo russo Tarkovskij era di religione ortodossa ndr). E’ in qualche modo un ambiente estraneo.
Dopodiché capitiamo per caso in un piccolo paesino in riva al mare, Portonovo, in un’antica chiesetta del X. secolo. Sull’altare vedo all’improvviso un’immagine della Madonna di Vladimir. Mi hanno raccontato che un tempo un pittore russo regalò alla chiesa questa copia della Madonna di Vladimir, probabilmente fatta da lui.
Incredibile ! Trovare improvvisamente nella chiesa di un paese cattolico un’icona ortodossa, proprio nel momento in cui mi rammaricavo di non aver potuto pregare a Loreto… Non è un miracolo, questo ? "

La Theotokos di Vladimir (greco: Θεοτόκος του Βλαντιμίρ), nota anche come Madre di Dio della tenerezza, Madonna di Vladimir o Vergine di Vladimir, una delle icone ortodosse più venerate e famose al mondo 


Per capire bene come questo episodio sia davvero insolito, e del perché abbia così impressionato Tarkovskij, allora, bisogna andare personalmente a Portonovo. 

Io ci sono stato diverse volte. E’ un paese senza case, senza nulla. Un ex porticciolo, oggi raffinata località turistica sotto il promontorio del Conero. 

L’antichissima Chiesa di Santa Maria di Portonovo è praticamente l’unica costruzione esistente, a parte gli stabilimenti balneari. La sua posizione è incredibile.

Questa chiesetta è da molto tempo, completamente spoglia. 

 L’unico arredo è rappresentato appunto dalla copia di quella antica icona russa, sopra l’altare, la Madonna di Vladimir. Che è davvero molto difficile trovare in una qualsiasi altra chiesa italiana.
Ecco perché questo dovette sembrare a Tarkovskij, un piccolo  miracolo…

La Chiesa di Santa Maria a Portonovo

Fabrizio Falconi.

01/05/15

Il ritratto del Doge Loredan, uno dei 5 dipinti più belli al mondo.

Giovanni Bellini, Ritratto del Doge Loredan, 1501-2 National Gallery, London


Sottoscrivendo il mantra secondo cui il gusto estetico è quanto mai soggettivo, il quadro di Giovanni Bellini, ammirabile alla National Gallery di Londra (61,6 x 45 cm.) rientra nella mia personale cinquina dei dipinti più belli del mondo, insieme alla Veduta di Delft di Vermeer, al Cristo crocefisso di Velazquez, L'incredulità di San Tommaso di Caravaggio e La notte stellata di Van Gogh.

Firmato sul cartiglio posto sul davanzale in primo piano - Ioannes Bellinus - il quadro raffigura Leonardo Loredan, eletto doge nel 1501 e rimasto in carica fino al 1521. 

Inusualmente e con genio, il doge non è presentato di profilo - come voleva la ritrattistica in voga in quegli anni - ma di fronte, con la testa leggermente rivolta verso destra e lo sguardo fisso su un punto indefinito, verso la sorgente luminosa.

L'abito meraviglioso è in prezioso broccato bianco ed oro, il corno ducale da cerimonia rivestito dello stesso tessuto,  una fitta serie di bottoni dorati, simili a noci, il volto dai lineamenti impassibili e fieri, il dipinto sembra ammantato in una atmosfera surreale, fuori dal tempo, scolpito con ogni minuzia sullo sfondo dell'azzurro sfumato (più denso in alto, più chiaro in basso) come davanti a un maestoso cielo veneziano. 

E' difficile dire perché questo quadro susciti un magnetismo così irresistibile. E' il segreto delle più alte opere d'arte.  Il soggetto conta, ma non conta.  E' la prospettiva atemporale - eterna ? - dell'arte che (ci) consegna un frammento di vita immortale. 

Un ritratto asettico, senza compiacimento, senza empatia, freddo come lo sguardo di un entomologo. Che racconta tutto quel che esiste davanti al nostro occhio (e oltre).

Fabrizio Falconi