31/05/16

Francesco Piccolo e il Male sullo schermo. Non è stato Hitchcock ma Kubrick a scoperchiare il nostro cuore nero di spettatori.






Francesco Piccolo, nell'ultimo numero de La Lettura, riaffronta l'annosa questione del Male sullo schermo (Dalla parte del Male, 29 maggio 2016), prendendo a spunto il successo della violenta serie Gomorra 2, dove praticamente i buoni non esistono più, e i cattivi sono diventati perfino modelli da emulare, come avviene anche per House of Cards e innumerevoli altri prodotti dell'entertainment contemporaneo. 

Piccolo dedica quasi tutto il suo lungo articolo alla dimostrazione che il diritto di progenitura per questo sdoganamento del male, spetta di diritto ad Alfred Hitchcock, e in particolare al celebre Nodo alla gola (Rope), girato nel 1948, dove il genio londinese, ispirandosi ad un dramma teatrale di Patrick Hamilton (a sua volta ispirato da un fatto di cronaca, avvenuto nel 1924, l'assassinio gratuito di un ragazzino da parte di due giovani uniti da un legame omosessuale, che sconvolse l'America) mise in scena un incredibile film girato in unico ambiente, con 11 piani sequenza, considerato oggi una pietra miliare del cinema. 

La teoria di Piccolo - ampiamente ripresa dalla celebre intervista di Francois Truffaut a Hitchcock (Il cinema secondo Hitchcock, 1966) - è che fu proprio Hitchcock a sovvertire per la prima volta il senso morale dello spettatore, portandolo a schierarsi dalla parte dei due omicidi. Durante il film, dice Piccolo, Hitchcock induce lo spettatore a parteggiare per loro, a sperare che la celebre cassapanca dove i due hanno nascosto il corpo della vittima innocente, non venga aperta; che i due non vengano smascherati dal professore di filosofia Cadell (James Stewart) insospettito dal comportamento dei suoi due studenti, che hanno messo in pratica fino all'estremo, le sue teorie. 

La teoria di Piccolo non mi convince, perché l'ho sperimentata su di me. E in tutte le volte che ho visto quel film mi sono invece ritrovato dalla parte dello spettatore che 'spera' che i due vengano scoperti, cosa che non avviene (se non alla fine) per una serie fortuita di circostanze, che Hitchcock è maestro nell'accumulare, tenendo in pugno la curiosità dello spettatore. 

In realtà Hitchcock, come sanno quelli che l'hanno studiato, era il più moralista dei moralisti, e il suo gioco, nei suoi grandiosi film, è stato sempre quello di manipolare lo spettatore, mettendolo a conoscenza di cose che i protagonisti non sanno. 

Giocando insomma, con l'ansia di giustizia dello spettatore, ed esasperandone l'attesa. Senza sovvertirla mai, nei valori morali di riferimento. 

Mi sembra invece che se proprio si vuole trovare un capostipite di questo geniale e terribile rovesciamento morale, esso vada cercato in Stanley Kubrick e nel suo Arancia Meccanica (1971), tratto dal romanzo di Anthony Burgess. 

In quel film, infatti, per la prima volta, viene completamente rovesciato il senso morale dello spettatore, il quale - seguendo le atroci scorribande di Alex e della sua banda - è condotto per mano, prima a simpatizzare con il contesto (Alex è un delinquente glamour, un vero dandy, dai gusti raffinati, che si esalta con Beethoven e che pratica l'ultra violenza gratuita come fosse arte) - e poi a schierarsi decisamente con lui (con un omicida efferato, un violentatore, un sadico), quando il sistema, attraverso La cura Ludovico, lo trasforma in un docile agnello che prende calci e non li restituisce perché non può. 

Quando nel finale del film si intuisce che Alex è 'guarito' dalla cura, ed è tornato quello di prima, il suo ghigno efferato ha conquistato definitivamente lo spettatore.  Tutti, nessuno escluso, siamo felici che Alex sia diventato la bestia d'uomo che era prima. 

Nessuno era arrivato a tanto, e con tale esemplare chiarezza enunciativa.  Arancia Meccanica per la prima volta scoperchiava il cuore nero degli spettatori, e li costringeva, senza più filtri, a guardarvi per bene dentro. 

Fabrizio Falconi




30/05/16

Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).






Lettera aperta al nuovo sindaco di Roma che verrà (e che io non voterò).



Questa lettera è indirizzata al nuovo sindaco di Roma che tra tre settimane sarà insediato a Palazzo Senatorio (il più antico palazzo municipale del mondo). 

E' una lettera da parte di un comune romano - come si diceva una volta di sette generazioni - nato e cresciuto e vissuto in questa città. 

L'amore per questa città - l'ho sperimentato io stesso - non deriva da un legame di sangue, né da un generico amor soli,  amore del luogo dove si è nati. La vita è troppo piena di esempi di persone che non solo non hanno alcun legame affettivo con il luogo nel quale si è nati, ma anzi manifestano una vera e propria insofferenza, rancore o odio, per il suolo che li ha ospitati alla nascita. 

Eppure è proprio l'amore per il luogo, il primo requisito che vorrei chiedere al sindaco che verrà a governare questa città. 

In modo esagerato e guascone, i romani di una volta dicevano che Roma non si discute, si ama. 

Ma negli ultimi tempi, dolorosi e depressi, sembra proprio che Roma sia il luogo di cui soltanto si discute, e che fondamentalmente nessuno ama

Roma è una città depressa e rassegnata.  A deprimerla e a rassegnarla intorno al suo destino, ci abbiamo pensato prima di tutto noi romani, con il nostro pressappochismo, con la nostra assuefazione alla bellezza che abbiamo sempre sotto gli occhi, e di cui non ci curiamo più. 

Ma ancora di più, ci hanno pensato gli amministratori.  Francesco De Gregori, tempo fa ha descritto Roma come una cagna in mezzo ai maiali. 

Mai immagine fu più adeguata.  Lungi dall'essere la Lupa di un tempo, la Roma di oggi assomiglia sempre di più ad una cagna gravida (di problemi, di cause sbagliate, di impotenze e impossibilità), che maiali avidi si contendono ferocemente, pezzo a pezzo e morso a morso. 

La bellezza di Roma è ormai un orpello che serve a pretesto per girare film grotteschi o nostalgici (che piacciono tanto agli americani), a rimpiangere il passato, o a giustificare l'insostenibile presente. 

Bande senza scrupoli venute da ogni dove e partorite come un tumore dallo stesso tessuto urbano dell'immensa città, si dividono il territorio e il diritto usurpato di fare carneficina di ogni scampolo di residua bellezza. 

Ogni cosa va lordata, dispersa, rinchiusa, segregata. 

Eppure Roma è ancora viva. 

Miracolosamente viva, nonostante i problemi di una città ormai meticcia, decaduta più che decadente, senza un soldo, senza un progetto, senza futuro. 

Il mio appello è proprio questo:  non parlateci più di progetti.  Il nuovo sindaco che arriverà - e che io non voterò perché nessuna delle figure che io vedo presentarsi al via, nella disperata speranza di essere smentito, risponde al criterio di decenza - non ci parli di progetti.  Non dica cosa vuole fare, non pronunci parole vane e vacue, non si faccia bello con l'immagine di una città che nella sua storia ha visto imperatori e papi, tribuni e re, e che non sa che farsene dei mezzi figuri di oggi. 

Non parli di progetti. Dimostri, nuovo sindaco, con la sua faccia - se ne ha una - cosa vuol fare per restituire a questa onorata città, una decenza che non ha più.

La Decenza, infatti, è la grande assente a Roma, da fin troppo tempo. Questa parola che deriva dalla lingua degli antenati ( è il participio passato del verbo decere, cioè  "esser conveniente"; affine a dec-us, ossia "decoro", dig-nus ovvero "degno") rappresenta tutto quello che questa città non è più, e non è più da molto tempo. Una città non conveniente, cioè indecorosa e indegna, cioè indecente. 

Eppure, Roma è ancora viva.

Migliaia di giovani vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore, e fanno, disordinatamente e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di lavoratori vivono a Roma e sono sani e credono e vorrebbero vivere in una città migliore e fanno, disordinatamente e spesso invano e senza nessun sostegno, ma fanno.

Migliaia di madri continuano a far nascere i loro figli a Roma, anche se vengono da lontano (e per molte di loro Roma è una parola magica), e li allevano e li fanno crescere, senza nessun sostegno, ma lo fanno.

Poi è deprimente sì, ed è fonte di rassegnazione, ed è indecente, che Roma offra ogni giorno a questi uomini e queste donne, l'immagine indecorosa e indegna di una città in ginocchio.

Eppure Roma è viva.

Le periferie pullulano di vita. Le associazioni, i volenterosi, i saggi, sono ancora fra noi. Lei, nuovo sindaco che arriverà, invece di nominare la parola progetti, faccia affidamento su costoro. Li incoraggi, se può, non li abbandoni, come hanno fatto tutti.

Dimostri, in una parola, quell'amore così sparito, così disperso.

Offra a questa cagna una dignità, se ne è capace, e tenga i molti maiali affamati lontani, a distanza.


Fabrizio Falconi




27/05/16

I tre tipi di disperazione dell'uomo contemporaneo secondo KIerkegaard.


Secondo Kierkegaard la disperazione è un difetto nella comunicazione e nella "convivenza" con se stesso dell'uomo, e presenta - nel mondo contemporaneo - tre modalità. 

1. La prima, la più grave è quella di chi ritiene e dice di non avere alcun problema di disperazione:  tale "serenità" infatti, discende dalla sua tragica inconsapevolezza di essere spirito, di avere la dignità di uno spirito che ha in sé qualcosa di eterno. Questo tipo di uomo che ignora di essere disperato, ma in realtà sta confitto nella disperazione più buia, potrà anche compere imprese insigni nella sua vita, ma rischia di attraversarla senza mai arrivare a rendersi conto della propria natura, senza sapere nemmeno per un giorno, chi è veramente. 

2 e 3. Ci sono poi uomini la cui disperazione consiste nella loro incapacità di "gestire" con equilibrio il rapporto che sono. Tale rapporto consiste in una delicata interazione di finito e infinito, così come di possibilità e necessità; ebbene questi uomini sbagliano il "dosaggio" dei suoi fattori, che non sanno conciliare armonicamente, e vivono sbilanciati dalla parte di uno, a radicale discapito dell'altro. E' così che alcuni di loro soffrono della disperazione del finito o di quella piuttosto affine della necessità, mentre altri sono affetti della disperazione dell'infinito o da quella non dissimile della possibilità. 

2. Il primo è incapace di qualunque "volo" che lo sollevi da terra, dove se ne sta abbarbicato a qualche particolare bene o risorsa mondana, e soprattutto, si accoda come un pecorone alle tendenze dominanti, facendo di se stesso una grottesca scimmiottatura nella quale non è difficile scorgere l'antenato dell'uomo-massa, prono alla dittatura dell'opinione pubblica imposta dai mass-media; oppure resta quasi paralizzato dall'idea ossessiva che ogni singolo segmento dell'accadere sia posto sotto l'egida della necessità, che esercita su di lui un effetto di soffocamento depredandolo di ogni speranza e di ogni scioltezza e levità nell'approccio della vita. 

3. Il secondo è colui che progetta e fantastica molto, si figura interi mondi di possibilità in cui si muove con sfrenata libertà, si sente di avere tanta energia da poter compiere grandi e molteplici imprese in tempi brevi fin quasi al limite dell'istantaneità; ma intanto smarrisce i contatti con la realtà, si dimentica della dura fatica implicata dal confronto-scontro con le difficoltà e i rallentamenti che essa impone ad ogni piè sospinto, e così finisce per non realizzare nulla, perché, tutto parendogli possibile, nulla gli diventa reale.


Tratto da Marco Fortunato, Focus su Kiekegaard, RCS-Milano 2014. 



26/05/16

Esce "Figlie Sagge" di Angela Carter, una delle più brillanti autrici del Novecento.


«A parità di eccellenze, esistono scrittrici inconsapevoli del loro valore e a distanza di sicurezza da ciò che fanno: altrimenti non potrebbero scrivere. Lucia Berlin, Anna Maria Ortese sono di questa natura qui. Ma poi esistono le scrittrici consapevoli, che dominano la pagina offrendola al lettore senza alcuna distanza, come se la concedessero, e sicure al cento per cento del loro indubbio talento. È il caso di Elsa Morante come di Alice Munro, come di Angela Carter. Grande letteratura», dalla postfazione di Valeria Parrella.

Il libro È il 23 aprile – data di nascita di Shakespeare – e le gemelle Dora e Nora, attrici e ballerine di seconda categoria, si apprestano a festeggiare i loro settantacinque anni. Suonano alla porta: su un cartoncino bianco arriva l’invito alla festa del padre, il celebre attore Melchior Hazard, che nello stesso giorno di anni ne compie cento, e che di riconoscerle non ne ha mai voluto sapere.

Così si apre Figlie sagge, la storia di due donne libere ed eternamente giovani che, nate nel lato sbagliato della città, quello più misero, sono sempre state attratte dal bagliore del mondo dello spettacolo. Dall’infanzia anticonvenzionale, alla strampalata carriera, fino ai vibranti settant’anni, la vita delle due gemelle è un susseguirsi di episodi grotteschi: fra identità scambiate, fidanzati presi in prestito, spettacoli improvvisati e feste che culminano in incendi, quello di Dora e Nora è un mondo dove le regole non sono ammesse e la spregiudicatezza regna sovrana. Un mondo popolato di personaggi improbabili, con l’ingombrante presenza di una bizzarra famiglia allargata: una compagine di teatranti dalle alterne fortune, in cui le coppie di gemelli si moltiplicano in maniera inestricabile e spesso promiscua.
Nonostante i tanti personaggi che animano Figlie sagge, la scrittrice ha la capacità unica di riuscire a descriverci le loro sfaccettate personalità in poche frasi, addirittura poche parole; e il lettore si ritrova così in un mondo prodigioso dove la finzione e la teatralità si fondono con la realtà e la tragedia. A volte si ha quasi l’impressione di essere all’interno di una commedia apocrifa di Shakespeare con caotiche scene di massa, scambi di persone, equivoci continui, attori, primedonne, travestimenti e scena madre finale: è il tributo della Carter al magico mondo dello spettacolo: «Le luci si spensero, da sotto il sipario brillò qualcosa. L’ho amato allora e lo avrei amato sempre più di tutti gli altri quel momento, quando le luci si spengono, il palcoscenico si accende e sai che sta per compiersi un prodigio. Non importa se poi quello che segue rovina tutto; l’anticipazione è sempre pura.».
Ricco di momenti toccanti e di roboanti scene pirotecniche piene di personaggi che citano Shakespeare, Figlie sagge è un meraviglioso dono di addio di una grandissima autrice.

«Un libro davvero divertente». Salman Rushdie
«Talentuosa e fantasiosa scrittrice. L’immaginazione di Angela Carter non ha confini. Ricorda Orlando di Virginia Woolf». Joyce Carol Oates
«Una scrittrice raffinata dallo stile bizzarro, originale, barocco». Margaret Atwood

Angela Carter (1940-1992) è nata a Eastbourne, in Inghilterra. Fra le sue opere più note figurano le raccolte di racconti Fuochi d’artificio (1974) e La camera di sangue (1979) e il romanzo Notti al circo, di prossima pubblicazione per Fazi. Figlie sagge è il suo ultimo libro, uscito un anno prima della morte.

25/05/16

A neanche un mese dalla inaugurazione, le bancarelle davanti all'opera di Kentridge - FIRMA LA PETIZIONE per fermarle.


Dopo il clamore  e i “Trionfi” mediatici che ha riscosso il monumentale murales di Kentridge ci troviamo purtroppo a rendere conto anche dei “Lamenti” che non riguardano certo la sua opera, o le dolorose ricadute che nel corso della storia ogni “Vittoria”  porta con sé, ma la noncuranza e la disattenzione per i beni comuni, accompagnata per di più dalla dissennata commercializzazione di ogni angolo della nostra città
L’oggetto della nostra attuale attenzione è quel tratto di banchine dell’una e dell’altra sponda del Tevere dove ora sorge questa imponente e bella opera d’arte all’aperto, area che l’Associazione Tevereterno, ideatrice e sostenitrice del progetto di Kentridge, ha denominato “Piazza Tevere” immaginandola come luogo di ritrovo culturale e di svago per  cittadini e  turisti fuori dal caotico e rumoroso percorso delle vie di un centro storico diventato un bazar ininterrotto, un’area da rivalutare e tutelare come una “riserva” naturale, artistica ed urbanistica.
Tra pochi giorni, come ogni anno, anche questo tratto sarà invaso per 3 mesi da una fitta sequenza di stand commerciali, sottraendolo ancora una volta ai tanti cittadini che lo percorrono a piedi e in bici trovando in quel luogo un’oasi di silenzio, pace e poesia fuori dal traffico cittadino.
La domanda che vorremmo porre al presidente della Regione (istituzione responsabile delle banchine del Tevere) e ai responsabili del Comune di Roma, è come mai non si sono accorti in tempo di questa situazione paradossale e dopo aver celebrato trionfalmente il murales  non hanno fatto qualcosa per impedire che fosse “sepolto” (insieme a tutti coloro che frequentano da anni questa oasi di pace) da un bazar di stand commerciali, birrerie e disco music. 
Ma non è solo questo, e la domanda coinvolge anche il  futuro sindaco di Roma:  i nostri amministratori hanno intenzione di svendere ogni angolo della nostra città e di rendere il centro storico una interrotta catena di bar, pub, ristoranti e bancarelle, o invece, cavalcando l’onda benefica di una presenza artistica così importante come il murale di Kentridge e promuovendo “piazza Tevere” come un’oasi al centro di Roma, vogliono decidersi finalmente a mettere al centro i beni e gli spazi comuni, e in particolare quell’arte, quella cultura e quegli spazi verdi che, sempre a parole, dicono di voler tutelare e promuovere?
 Sarebbe bello che nei mesi estivi almeno questo tratto del Tevere, ora segnato da un murales di 500 metri che tutti ammirano, possa non solo tornare ad essere quel luogo aperto a tutti dove, come in un parco, si possa andare in bicicletta o camminare, prendere il sole o pescare, ma anche un area in cui ospitare laboratori per bambini, letture poetiche o teatrali, piccoli concerti acustici, interventi e performance d’arte contemporanea …
Se  c’è la volontà, le soluzioni alternative da offrire a chi ha avuto l’appalto di quel tratto di fiume certo non mancheranno. Gli stand commerciali lì presenti potrebbero spostarsi nel tratto a monte di “piazza Tevere”, in questo modo l’area libera per piccoli eventi artistici e culturali potrebbe diventare un luogo di interesse per i cittadini che frequenteranno la sequenza degli stand a monte e a valle, oppure essere spostati nel tratto che va da ponte Garibaldi verso Testaccio, coinvolgendo così coloro che vivono in quel quartiere e la parte di Trastevere a sud del viale che divide in due il rione.  
Questo appello viene incontro alle lamentele che tanti cittadini ci hanno espresso passando in questi giorni per “piazza Tevere” scoprendo che di lì a poco sarebbe nuovamente diventata “Bazar Tevere”, ed è rivolto quindi anche alle associazioni dei residenti del centro in vista di un’ampia partecipazione collettiva nella gestione dei beni comuni.

Primi firmatari:
Andrea Fogli, artista
Achille Bonito Oliva, critico d'arte
Silvana Bonfili, direttrice del Museo di Roma in Trastevere
Selen de Condat, fotografa & Maria Felice Arezzo di Celano
Giosetta Fioroni, artista
Felice Levini, artista
Daniele Luchetti, regista
Marcelle Padovani, giornalista
Sandra Petrignani, scrittrice
Giuseppe Piccioni, regista
Fabrizio Sabelli, antropologo
Annamaria Sambucco, casting director
Valeria Viganò, scrittrice

Questa petizione sarà consegnata a:
  • Nicola Zingaretti
  • Responsabili del Comune di Roma
  • Cittadini della città

24/05/16

Il Festival della Memoria - dal 9 al 12 giugno a Mirandola .



Memoria Festival

Mirandola 9-12 giugno 2016

La conversazione è un gioco di cerchi
Ralph Waldo Emerson
Non c'è futuro senza memoria. E nemmeno arte, dialogo, storia. A uno degli elementi più caratteristici e necessari della natura umana, fondamentale sia nella definizione dell'individuo che nell'evoluzione della società, è dedicato un nuovo e imperdibile appuntamento. In programma dal 9 al 12 giugno 2016 a Mirandola (Modena), la prima edizione del Memoria Festival - promosso dal Consorzio per il Festival della Memoria in collaborazione con Giulio Einaudi editore - inviterà a riflettere sulle infinite sfaccettature della memoria, in un caleidoscopio di stimoli composto da decine di incontri, conferenze, tavole rotonde, concerti, spettacoli, proiezioni, workshop, laboratori, mostre, giochi.
Il Memoria Festival animerà le piazze, i portici, i giardini e i palazzi di una città che se da un lato può vantare una storia millenaria (è menzionata per la prima volta in un placito del 1102), dall'altro si sta risollevando dal terribile terremoto che l'ha colpita nel 2012, causando diverse vittime e danneggiando edifici storici e industriali.
Come la mente si espande per associazioni, passando da un ricordo all'altro, così il Memoria Festival si svilupperà attraverso una struttura a cerchi tematici, ciascuno dedicato a un aspetto, un'interpretazione, una suggestione scaturita dalla memoria. Tra riflessione e svago, il Festival offrirà la possibilità di incontrare, ascoltare e confrontarsi con numerosi protagonisti italiani della cultura, del pensiero, dello spettacolo. L'esplorazione e la narrazione del ricco universo della memoria saranno affidate – tra gli altri – a scrittori come Gianrico Carofiglio, Melania Mazzucco (che racconterà la vita del filosofo e umanista Giovanni Pico, il mirandolese più famoso della storia), Michela Murgia Francesco Piccolo, poeti come Valerio Magrelli, giornalisti (Corrado Augias, Francesco Merlo, Benedetta Tobagi), storici (Alberto MelloniPaul Ginsborg, Marco Revelli), matematici (Claudio Bartocci, Piergiorgio Odifreddi), chef e promotori delle tradizioni enogastronomiche (Carlo Petrini), cantautori e musicisti (Roberto VecchioniUto Ughi), fotografi (Gianni Berengo Gardin, Ferdinando Scianna), personaggi televisivi (Michele Mirabella) e personaggi impegnati nel sociale (Luigi Ciotti).
L’organizzazione del Memoria Festival si avvale della collaborazione di un comitato scientifico, presieduto dal direttore editoriale di Einaudi Ernesto Franco (letteratura) e composto da Lina Bolzoni (filosofia, arte della memoria), Gian Piero Brunetta (cinema), Sandro Cappelletto (musica, teatro e spettacolo), Francesco Dal Co (architettura, urbanistica), Alberto Melloni (storia, religione), Marino Niola (antropologia, tradizione enogastronomica), Alberto Oliverio (medicina, biologia) e Angelo Varni (storia).
Ai dialoghi e alle lectio, concentrati in particolare nelle ore diurne, seguiranno momenti più orientati verso l'intrattenimento, come i concerti del jazzista Danilo Rea (la sera di venerdì 10 giugno), dell'Orchestra Popolare La Notte della Taranta (sabato 11 giugno) e lo spettacolo La buona novella di David Riondino (domenica 12 giugno). Una mirata rassegna di proiezioni permetterà di recuperare dal forziere del Novecento indimenticabili capolavori del cinema muto, quali Metropolis di Fritz Lang e Il grande dittatore di Charlie Chaplin, assieme a titoli più recenti come Storia di ragazzi e ragazze di Pupi AvatiNuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore Viaggi di nozze di Carlo Verdone (i tre registi saranno ospiti del Festival per un ciclo di appuntamenti dedicati a “cinema e memoria”). Uno spazio rilevante sarà inoltre riservato ai laboratori e ai giochi per ragazzi, a conferma dell'universalità del tema della memoria, che fin dall'infanzia svolge un ruolo centrale nella formazione dell'identità individuale.
IL PROGRAMMA: I CERCHI DELLA CONVERSAZIONE (MA NON SOLO)
Con decine di eventi e momenti d’incontro, il Memoria Festival esplorerà da diverse prospettive i temi intrecciati alla memoria, spaziando dagli ambiti scientifici a quelli umanistici, con la partecipazione di grandi protagonisti della scena culturale italiana e internazionale e coinvolgendo il pubblico di tutte le età e soprattutto giovani e studenti, grazie a percorsi paralleli e integrati di carattere educativo, ludico e d’intrattenimento.
Come ogni ricordo subito ne richiama un altro, così il programma del Festival restituisce nella propria struttura il funzionamento della memoria: se per Ralph Waldo Emerson La conversazione è un gioco di cerchi, lo stesso vale per i meccanismi mnemonici che, simili ai cerchi su uno specchio d’acqua dopo aver gettato un sasso, non appena messi in moto da quell’evento si riproducono ed espandono sempre di più. Per raccontare ed estendere progressivamente il raggio d’azione della memoria comprendendo spazi sempre più ampi di significati e suggestioni, il programma è articolato in 10 cerchi tematici, che includono lezioni magistralitavole rotondedibattiti econversazioni con autori. Sono inoltre previste nel programma quattro sezioni per workshopmostreconcerti e spettacolilaboratori e giochi per i bambini. L’innesco dei cerchi della memoria è dunque costituito dallinguaggio: quello degli autori che si alterneranno, quello dell’arte e del cinema, quello dei giochi e dell’architettura stessa – che attraverso gli allestimenti del Festival curati dall’architetto Andrea Oliva ha saputo reinterpretare lo spirito vitale di tanti luoghi cittadini feriti dal sisma, conferendo ad ognuno una nuova identità, fra storia antica e dinamismo contemporaneo.
I Cerchio - UNA LEZIONE
Il primo cerchio della memoria è quello mosso dalle lectio magistralis, che vedranno arrivare a Mirandola alcuni fra i maggiori protagonisti della scena culturale italiana: la scrittrice Melania Mazzucco, che racconterà Giovanni Pico come un romanzo, l’architetto Francesco Dal Co per riflettere su La fabbrica della città: ricordo e memoria e il filologo e antropologo Maurizio Bettini per un approfondimento sul Mito memoria. E mentre lo storico dell’arteTommaso Montanari accompagnerà il pubblico in un viaggio fra Memoria e rovine, lo scrittore e magistrato Gianrico Carofiglio presenterà un altro volto del ricordo ovvero Testimoni, maghi e avvocati: trappole e incantesimi della memoria e lo psichiatra Eugenio Borgna indagherà gli abissi del rapporto fra Memoria e follia. Fino a giungere al funzionamento fisico della memoria, con il medico e biologo Alberto Oliverio che proverà a rispondere all’interrogativo Quanto è affidabile la nostra memoria? Un dubbio che mai avrebbe potuto riguardare il più illustre cittadino nella storia di Mirandola, come ricorderà Lina Bolzoni nella lezione L’arte della memoria e Pico della Mirandola. A Memoria e profezia è invece dedicato l’intervento di Don Luigi Ciotti, mentre Marino Niola è protagonista di Da Pico ai pixel. È vero che stiamo perdendo la memoria?.
II Cerchio - MEMORIA DELLE COSE
Proprio per la sua pervasività, per la sua natura onnicomprensiva, la memoria si ritrova dovunque, dalle testimonianze delle persone a quelle dei luoghi e degli oggetti. Perciò il secondo cerchio è dedicato a quest’ultimo ambito, cominciando con l’agronomo ed economista Andrea Segrè che affronta La memoria dello spreco, lo spreco della memoria, per poi seguire l’antropologo Marino Niola e l’attore, regista e conduttore televisivo Michele Mirabella inMiti di oggi e miti di ieri e poi esplorare I granai della memoria insieme all’antropologa e giornalista Elisabetta Moro e all’etnologo Davide Porporato. Sino alla memoria trasmessa attraverso le tradizioni enogastronomiche, conMarino Niola e il giornalista Davide Paolini che ripercorreranno La memoria del gustoBarbara Benvenuti offre invece uno showcooking con degustazione ricordando i profumi dell’infanzia.
III Cerchio - MEMORIA E SCIENZA
Fra i numerosi ambiti che pongono al centro la riflessione sulla memoria o ne seguono le tracce nelle rispettive declinazioni, quella per la quale la memoria costituisce la sfida maggiore è senza dubbio la scienza: quali sono i meccanismi biologici, chimici, che presiedono al funzionamento di questo prodigioso “senso” umano e cosa accade se smettono di funzionare? Qual è il ruolo della memoria nell’evoluzione delle scienze teoriche sino ai progressi odierni nel campo del digitale? Il terzo cerchio del programma prova a rispondere a tali quesiti a cominciare da un convegno internazionale di studi, intitolato Invecchiamento attivo e riattivazione cognitiva: i modelli di prevenzioni e cura, dai Disturbi della memoria, dei quali discute la psicologa Costanza Papagno, proseguendo poi con La memoria della materia, illustrata dall’ingegnere Andrea Zucchelli, mentre il filosofo e matematico Piergiorgio Odifreddi racconta La memoria della matematica e il matematico Claudio Bartocci si occupa della Virtù dell’oblio. Al confine fra gioco e scienza troviamo I test della verità, ovverosia leggere i ricordi, come spiegherà il neuropsicologo Giuseppe Sartori. La memoria come ricordo degli inizi, ripercorrendo le tappe di un percorso di successo, è al centro dei due incontri dedicati all’eccellenza del settore biomedicale a Mirandola: si comincia con Il ricordo della nascita del biomedicale mirandolese, insieme a Mario Veronesi, Libero Luppi, Claudio Trazzi, Lucio Gibertoni, Andrea Gibertoni, Leonardo Bigi, Alberto BortoliCristiano SalvadeoFrancesco BenattiFranco Poletti e un rappresentante di Bellco/Medtronic moderati da Paolo Poggioli, per poi riscoprire La memoria del passato e le eccellenze del presente nella "visita virtuale" di Mobimed, il museo del biomedicale mirandolese.
IV Cerchio - DIALOGHI
Senza dubbio uno degli strumenti migliori per trasmettere la memoria è il dialogo: ecco allora che il quarto cerchio riunisce quattro coppie di protagonisti per dialogare su altrettanti temi. Il grande violinista Uto Ughi con il critico musicale Sandro Cappelletto su Memoria e musica, poi è la volta di due notissimi fotografi: Gianni Berengo Gardin con Gloria Bianchino e Ferdinando Scianna con il giornalista Francesco Merlo; infine, cambiando completamente ambito, il padre di Slow Food Carlo Petrini dialoga con Marino Niola.
V Cerchio – STORIA E MEMORIA
Il quinto cerchio racchiude uno degli snodi tematici più carichi di significato: quello fra Storia e Memoria. Otto fra i massimi storici italiani e internazionali presentano a Mirandola alcune fondamentali declinazioni dell’argomento. Aldo Schiavone racconta Il caso PilatoPaul Ginsborg riflette su Il sole nero della malinconia: memoria e rimpianto del Risorgimento romantico, Antonella Tarpino ripercorre la Memoria dei luoghiSimon Levis Sullam torna alla seconda guerra mondiale e all’olocausto Tra memoria e oblio: i carnefici italiani e la ShoahBenedetta Tobagi spiega come Narrare il passato tra storie private, vecchi processi e carte segreteAlberto Melloni si occupa di Ricordare, dimenticare, perdonare: storia e leggi della memoriaAldo Bonomi parla della Memoria delle trasformazioni economiche e sociali e Guido Gambetta si sofferma infine sulle foto di Rodrigo Pais, che fornisce un eccezionale testimonianza della storia del nostro Paese.
VI Cerchio - L’UOMO AL CENTRO
In Italia ogni viaggio a ritroso nella storia conduce prima o poi all’Umanesimo e al Rinascimento, quell’epoca d’oro in cui tutte le arti e le discipline umanistiche rifiorirono e posero al centro delle proprie riflessioni l’essere umano e le sue virtù. A questa felice immagine si richiama il sesto cerchio del Festival, che con l’archeologo e orientalista Paolo Matthiae va alla scoperta della Memoria venerata e memoria violata nella civiltà dell'Oriente antico e con l’architettoFrancesco Dal Co de La fabbrica della città: ricordo e memoria, mentre lo storico dell’arte Carlo Arturo Quintavalle chiude il cerchio raccontando I luoghi e le pietre: sepolture e memoria in età medievale. C’è l’uomo al centro anche nella gestione e manutenzione delle acque come spiega lo storico dell’arte Marzio Dall’Acqua nell’illustrare la mostra Memoria dell’acqua, mentre l’architetto Andrea Oliva spiegherà nell’incontro Il cielo in una stanza: rudere e architettura come un allestimento possa ispirarsi a quanto la memoria riesce a richiamare.
VII Cerchio - LA VITA IN GIOCO
Un’imprescindibile declinazione del concetto di memoria riguarda la trama stessa del vissuto di ciascuno, che scandito da momenti significativi e dal ricordo di essi determina la nostra identità. La quale giocoforza cambia nel tempo e pur restando sostanzialmente la stessa talvolta non è più riconoscibile: ne parla lo storico, sociologo e politologo Marco Revelli a partire dal suo libro Non ti riconosco. Viaggio in Italia da Lampedusa a Torino, mentre all’intreccio fra storia personale e grande Storia è dedicato il memoir di Margherita Ianelli Quando la mia mente iniziò a ricordare. Autobiografia 1922-1994, con Patrizia Gabrielli, Natalia Cangi e Bruno Simili. Il cantautore Roberto Vecchioniindaga invece le sfumature della Memoria poetica. Memoria d’amore mentre il giornalista e scrittore Corrado Augias ripercorre Le ultime 18 ore di Gesù. Immaginazione, storia, memoria.
VIII Cerchio - MEMORIA E SCRITTURA
Strumento essenziale di trasmissione del passato insieme all’oralità è naturalmente la scrittura, come testimonierà nella sua conferenza il poeta Valerio Magrelli: tra le figure più innovative e versatili della letteratura italiana contemporanea, sperimentatore di nuovi linguaggi e, oltre che scrittore, studioso e critico, docente di letteratura francese e traduttore, collaboratore delle pagine culturali di quotidiani nazionali e sporadico visitatore di set cinematografici, al Festival si dedicherà al rapporto fra Memoria e poesia. Lo scrittore e sceneggiatore Francesco Piccolo, vincitore nel 2014 del Premio Strega con Il desiderio di essere come tutti (Einaudi) e del David e Nastro d’Argento per la sceneggiatura del film Il capitale umano di Paolo Virzì, è un maestro di ironia nel suo stile breve e aforistico con cui conquista lettori e pubblico: al confine fra letteratura e storia, guarderà fra le pieghe di Memoria personale e memoria pubblica, filone seguito anche dall’autrice Michela Murgia, espressione poliedrica del rinnovato fermento letterario della sua regione negli ultimi anni, autrice di un percorso editoriale che parallelamente ai romanzi si sviluppa in modo eclettico tra blog e guide turistiche, racconti lunghi e saggi teologici, sino alla drammaturgia. A Mirandola amplierà la riflessione sull’intreccio fra Storia personale e storie collettive.
IX Cerchio - LA MEMORIA DEI PICO
Inevitabile termine di riferimento per la realizzazione di un festival dedicato alla memoria a Mirandola è il filosofo Giovanni Pico, nel quale la cultura popolare ha sempre riconosciuto un prodigioso campione dell’arte mnemonica. Protagonista indiscusso dell’Umanesimo, Pico è una figura di straordinaria modernità intellettuale. Le sue argomentazioni sulla concordia, la dignità dell’uomo, il libero arbitrio hanno toccato la sensibilità di ogni epoca e parlano anche al cuore della nostra. Il nono cerchio è quindi dedicato a questo campione della memoria, con la presentazione di tre ricerche sul suo profilo filosofico e sulla sua famiglia, curate dal Centro internazionale di cultura “Giovanni Pico della Mirandola”. Si comincia con il libro Prosopopea di Ludovico Pico di Baldassarre Castiglione con Renata Bertoli Massimo Rospocher per proseguire con Gianfrancesco Pico della Mirandola: fede, immaginazione e scetticismo, di Lucia Pappalardo, in dialogo con Elisabetta Scapparrone e infine la presentazione degli Atti del Convegno - Giovanni Pico della Mirandola e la “dignità” dell’uomo. Storia e fortuna di un discorso mai pronunciato, conFranco BacchelliMarco BertozziSaverio Campanini Raphael Ebgi.
X Cerchio - LA MEMORIA FRA GIOCHI, CINEMA, SPETTACOLI E MOSTRE
Particolarmente variegato è il decimo e ultimo cerchio, quello più ampio e inclusivo a partire dal nucleo della memoria: comprende attività ludiche e laboratori per bambini, ragazzi e adulti, una rassegna cinematografica a tema arricchita da imperdibili di incontri con alcuni fra i maggiori registi italiani, una serie di spettacoli fra musica e teatro e quattro mostre. Tanti i giochi in programma: da Attività a tavolino: Labirinti, Trova le differenze, Cosa manca? Giochi da tavolo: Memory, Domino, Rubamazzo, Labirinto Magico, Puzzle, ai laboratori Costruiamo i giochi di una volta. Laboratorio creativo per scoprire e costruire insieme i giochi che usavano i nostri nonni per divertirsi e Costruisci il tuo memory. Ci sono poi Cibo senza frontiere. Giochi tra memoria, tradizione e prodotti tipici con Daniele De Leo, lo spettacolo Ma che bella differenza! (Non te lo dimenticare...!) con Giorgio Scaramuzzino, per ricordare che le differenze hanno un origine comune, come unica è la radice del genere umano, e Stefano Bordiglioni con Te li ricordi i Romani? E ancora: La memoria alla prova del gioco degli scacchi, il Torneo di giochi “giovani nel tempo: la sfida intergenerazionale” e naturalmente non poteva mancare un Corso di allenamento della memoria. Ricco anche il palinsesto della rassegna cinematografica – Il gabinetto del dr. Caligari di Robert Wiene, Fiat Lux. Gaetano Martino e la cineteca lucana,Viaggi di nozze di Carlo Verdone, Una giornata particolare di Ettore Scola, Nuovo cinema paradiso di Giuseppe Tornatore, Metropolis di Fritz Lang, Storia di ragazzi e ragazze di Pupi Avati, Il grande dittatore di Charlie Chaplin – come pure il ciclo di incontri ad esso collegato, che vedrà Gian Piero Brunetta commentare Fiat Lux. Gaetano Martino e la cineteca lucana e poi dialogare con Gian Luca Farinelli (direttore della Cineteca di Bologna) su La memoria del cinema: passato, presente e futuro, e sul tema Memoria e cinema interverranno anche, in altrettanti appuntamenti, Carlo VerdoneGiuseppe Tornatore e Pupi Avati. La memoria è stata naturalmente protagonista anche nel mondo della musica e del teatro, per questo il Festival ha organizzato quattro eventi ispirati a tale filone: Memorie di guerra e di pace. "La Grande Guerra (vista dagli occhi di un bambino)", musica di Claudio Ambrosini, drammaturgia e voce narrante Sandro Cappelletto; coro Coenobium Vocale diretto da Maria Dal BiancoSonia Visentin, soprano; il concerto di Danilo Rea La memoria che crea - musica e improvvisazione, e quello dell’Orchestra Popolare della Notte della Taranta Il folklore tra memoria e futuro, infine La memoria segreta. La Buona Novella, per coro, banda e due voci, con David Riondino. Alla memoria in mostra sono invece dedicate le due esposizioni in collaborazione con l’Archivio Rodrigo Pais La memoria in fotografia. Anni cinquanta e sessanta del Novecento: volti e ambienti La memoria in fotografia. Anni cinquanta e sessanta del Novecento: protagonisti del cinema e della televisionela mostra La memoria delle acque, in collaborazione con il Consorzio Bonifica di Burana – incisioni di diversi artisti per ritrarre i paesaggi rurali e il profilo delle pianure, in rapporto con la gestione delle acque nello scorrere del tempo – e La memoria del mondo. Italo Calvino e i suoi libri, in collaborazione con la Fondazione Mondadori, in cui si ripercorrono cronologicamente le tappe della straordinaria fortuna internazionale di Calvino, il quale amava ripetere che la memoria conta veramente (per gli individui, la collettività, la civiltà) solo se tiene l’impronta del passato e il progetto del futuro.
Promosso e organizzato dal Consorzio per il Festival della Memoria (composto da Comune di Mirandola, Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola, San Felice 1893 Banca Popolare Coldiretti Modena), con il patrocinio di Regione Emilia Romagna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali - Emilia Romagna, Provincia di Modena, Università di Modena e Reggio EmiliaUnione Comuni Modenesi Area Nord, Camera di Commercio di Modena, Alma Mater Studiorum Università di Bologna; in collaborazione con Giulio Einaudi editoremain sponsor Fondazione Cassa di Risparmio di Mirandola; media partner Radio Pico Trc tv. Sponsor: BaxterB. Braun Carex SpaLivaNova, Cir FoodSidam, Nordiconad,Rete imprese Italia, Unicredit, Fresenius Kabi Italia, Banca Interprovinciale, Tecna, Associazione Enea Grilli, Assicoop Modena e Ferrara Spa UnipolSai, Egicon. Sponsor tecnici: Beboservice, Centro Internazionale di Cultura “Giovanni Pico della Mirandola, Consorzio della Bonifica Burana, Fondazione Arnoldo e Alberto MondadoriFranzini, Garden Vivai Morselli, Gulliver Cooperativa SocialeGonzaga Arredi, Incerti Legnami, Kina, La Fenice Libreria, La Fenice, Taxi Services 24.

23/05/16

Il libro del giorno: "Il sosia" di Fëdor M. Dostoevskij.




Scritto da Dostoevskij a 25 anni, "Il sosia" è il racconto di un incubo: il burocrate Goljadkin, al centro di uno 'scandalo sentimentale', si imbatte nel proprio sosia - perlopiù un omonimo - che a poco a poco gli ruba il posto sul lavoro, lo umilia in società fino a farlo internare in manicomio. 

Un durissimo, agghiacciante plot, che Dostoevskij ogni tanto alleggerisce con tocchi feroci di umorismo, senza peraltro nulla togliere all'intrigo psicologico che si presta ad infinite possibilità di lettura (anche psicanalitica) del testo. 

22/05/16

Poesia della domenica - "La curva dei capelli" di Fabrizio Falconi.








Freddo trillo mattutino
d'amianto e sonno,
tutto a ritroso vento
cipigli, corse e inganni,
soffiando via, scrolli
tenera barcolli,
con la punta delle mani
risali e svolti
la curva ombrosa dei capelli.




Fabrizio Falconi, da L'ombra del ritorno, Campanotto, Udine, 1996. 

21/05/16

"Ombre" di Robert Schneider - (RECENSIONE)







Di Robert Schneider (Bregenz, 1961), avevo letto qualche anno fa, Le voci del mondo, brillantissimo romanzo d'esordio (Einaudi,1995)

Ombre (titolo originale Schatten ) è uscito invece nel 2004 tradotto da Palma Severi. 

E' un breve romanzo, ambientato in Australia, con due sole protagoniste, Florence Goldin e Kasha Markovski.   Due amiche, o ex amiche, compagne di college, emigrate giovanissime in Australia da diverse parti d'Europa (Olanda e Polonia), che si ritrovano dopo molti anni (ventisei) in un vecchio café - il Pacific - con vista sull'oceano. 

E' stata Florence ad invitare Kasha, che non vede da vent'anni, con la scusa di volerle fare una domanda (che non verrà mai pronunciata invece, esattamente, nel corso di tutta la conversazione).  

C'è di mezzo l'amore per un uomo, Collin, che Florence ha amato perdutamente per tutta la vita, e che è diventato il marito di Kasha. 

Le due donne sono ormai anziane, il loro incontro è l'occasione per un bilancio esistenziale, che diventa una confessione a cuore aperto. 

Florence racconta l'amore impossibile per l'uomo dagli occhi grigioverdi, che non ha mai smesso di provare, che è rimasto sempre purissimo come un cristallo di ghiaccio, anche dopo la morte di Collin, avvenuta quattordici anni prima di questo incontro. 

Kasha nel frattempo si è anche risposata.  E' un confronto drammatico tra due psicologie, tra due modi di essere prima ancora che di amare. Florence non sa amare che così, in modo assoluto e inestinguibile. L'amore per lei è prima di tutto un'idea alla quale essere fedele eternamente, anche al di là del rifiuto di Collin, anche al di là del suo allontamento, di ogni delusione e di ogni umiliazione. L'amore di Florence è fedele in un modo quasi disumano. 

Ed è questo che Kasha, quando è lei a prendere a parlare, rimprovera all'amica. Quella sua perfezione disumana. Lei, Kasha, è una donna molto più debole, debole e sottomessa. Non ha mai amato in fondo, veramente Collin. Si è lasciata trasportare, sposandolo, da una specie di corrente.  E l'invidia per Florence e per quel suo modo folle di amare, non l'ha mai abbandonata. 

Kasha, si potrebbe dire, è l'incapacità di amare; Florence l'incapacità di vivere (amando)

Schneider qui funziona di più nella prima parte ("Amore"), quella in cui Florence confessa il suo amore assoluto. La mancanza di una vera trama, il racconto in prima persona, lo strano e inadeguato finale, con il cameriere del locale che confessa, a sua volta, il suo amore infelice, fanno di questo libro un romanzo imperfetto, ma non privo di suggestioni. 


Rrobert Schneider
Ombre
Einaudi 2004 Supercoralli pp. 144 € 14,00 
ISBN 9788806169084 
Traduzione di Palma Severi


Fabrizio Falconi
(C) riproduzione riservata 2016.

20/05/16

L'incredibile Cappella di San Severo a Napoli.



La Cappella di San Severo a Napoli
 di Fabrizio Falconi


Dieci anni della mia vita pur d’essere lo scultore del Cristo Velato !  La celebre esclamazione, frutto di una sconfinata ammirazione unita alla irrefrenabile invidia degli artisti, suole essere attribuita nientemeno che ad Antonio Canova quando nel 1780, in visita a Napoli, alla Cappella dei principi di Sansevero, si trovò di fronte l’incredibile ritratto scolpito del Cristo morto velato, adagiato su di un giaciglio, la testa reclinata su due cuscini, ai piedi gli strumenti del supplizio. 

Lo stupore di Canova, però, come anche il nostro oggi, era pienamente giustificato: come aveva fatto un giovane scultore di soli trentadue anni, Giuseppe Sanmartino,  ancora poco conosciuto, a realizzare un’opera di tale virtuosismo ? Il Cristo, sotto il velo minutamente realizzato in ogni piega, in ogni spessore, come forse mai prima di allora, sembrava davvero appena cristallizzato dopo il supplizio e la morte, ancora palpitante, come se la vita l’avesse appena lasciato. 

Com’era possibile un tale prodigio ? 

Se lo continuarono a chiedere in tanti, anche dopo la visita di Canova, e riuscirono anche a darsi una spiegazione: quella magia, quella straordinaria esibizione di bravura, non era tutta farina del sacco del giovane scultore, non era opera sua l’invenzione di una simile tecnica di lavorazione del marmo. No, c’era di mezzo qualcuno di molto più sapiente, nello studio e nell’utilizzo delle più segrete tecniche alchemiche.  Era stato lui, era stato sicuramente il principe Raimondo de Sangro, l’erudito colto studioso misantropo, che aveva commissionato l’opera dapprima al veneziano Antonio Corradini e poi alla morte di questo proprio al Sanmartino e che a quest’ultimo aveva insegnato le segreti arti di trasformazione dei materiali, per permettergli di realizzare un’opera unica al mondo.

A questo proposito c’è da dire che le leggende a proposito del Principe Raimondo sono fiorite e hanno prosperato con il passare dei decenni a Napoli, città dove lo scambio e la tradizione orale hanno potere come in pochi altri posti al mondo, e c’è da capirlo vista la fama che circondò in vita l’artefice della Cappella.

Raimondo proveniva, per nascita, dall’alta aristocrazia dei Grandi di Spagna. La sua famiglia vantava estesi possedimenti nelle Puglie, ed è proprio qui, nel feudo di Torremaggiore che nacque Raimondo, nel 1707. (1)

I suoi genitori erano Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, membro di una delle casate patrizie più antiche d’Italia, e Antonio di Sarno, duca di Torremaggiore.

La madre Cecilia, morì pochi mesi dopo il parto.  Al suo ricordo, Raimondo rimase per sempre devoto, e nel suo Pantheon personale, che è la Cappella di cui ci stiamo occupando,  a lei dedicò la statua della Pudicizia velata, che fece realizzare da Antonio Corradini nel 1752, dove già si evidenziano i prodigi della lavorazione del velo che copre il corpo della donna, sostenuto da una lapide spezzata, a simboleggiare proprio la prematura scomparsa della madre. 
Il padre, Antonio di Sangro, era invece un nobile dal carattere vanesio e libertino. Troppo preso dalle sue tresche, pensò  bene di affidare il figlio, orfano di madre, alla cura dei nonni paterni.  Nel frattempo, invaghitosi di una giovane ragazza, ne fece uccidere il padre che si opponeva alla relazione. Il fattaccio avvenne in Puglia, nella città di Sansevero, dove i duchi avevano sempre goduto di fama e rispettabilità. Stavolta però il delitto fu talmente sfacciato da non poter essere perdonato: il sindaco di Sansevero impugnò un procedimento penale contro il principe Antonio, che fu costretto a fuggire e a rifugiarsi presso la Corte di Vienna, da dove cercò di difendersi dalle accuse grazie alla protezione dell'Imperatore. Quando il Tribunale pugliese, su pressione diplomatica, archiviò il caso, Antonio poté rientrare nei suoi feudi ma ancora non pago, decise di vendicarsi ordinando l’uccisione di quello che era stato il suo principale accusatore.  Una nuova fuga lo portò stavolta a Roma, dove però Antonio di Sangro trovò il modo di convertirsi, dopo essersi pentito dei suoi misfatti, prese i voti e si ritirò in convento.