12/07/16

"La casa della gioia" di Edith Wharton (RECENSIONE).




La casa della gioia (The House of Mirth) è il secondo grande romanzo in ordine di tempo, di Edith Wharton, dopo The valley of decision (1902), e risale al 1905. 

In quegli anni è già cominciato il lungo pellegrinaggio della Wharton, definita dall'amico Henry James, Il grande pendolo, per il suo moto perpetuo. 

La scrittrice nata a New York nel 1862 da una ricca e aristocratica famiglia, quella dei Newbold Jones, ha sposato a ventitrè anni Edward Wharton, un amico di famiglia di tredici anni più vecchio di lei. 

Un matrimonio sfortunato, dovuto ai problemi di salute e psichici del marito, che spinge la Wharton a intraprendere lunghi e fruttuosi viaggi in Europa, soprattutto in Inghilterra e in Francia, dove conosce il mondo letterario che conta. 

La casa della gioia (un titolo-epitaffio per un romanzo che è tutto l'opposto) mostra già la piena maturità stilistica della Wharton, descrivendo le vicende di una ragazza affascinante, bella e intelligente, ma senza possibilità finanziarie, Lily Bart, che cerca di mantenere a tutti i costi il proprio ruolo e il proprio modo di essere nei salotti più eleganti della città. 

Si tratta di un grande affresco: quello della società americana dei primi del Novecento, con lo scontro tra le vecchie famiglie aristocratiche e i nuovi ricchi che si affacciano, speculando sulla ricchezza dei mercati finanziari. 

Lily Bart ha 28 anni, già tanti per una donna dell'epoca, per la ricerca di un marito o di un partito. In più non ha rendite finanziarie e vive mantenuta da una vecchia zia. L'unico amico che la ami veramente per quel che è, è l'avvocato Lawrence Selden. il quale vive ai margini del bel mondo. Per gli altri, per tutte le figure di quella aristocrazia annoiata,  che passa da una festa all'altra, da una gita in campagna alla partita di bridge, dagli spettacoli a teatro alle corse dei cavalli, Lily è soltanto una attrazione, per la sua inusuale eleganza e bellezza.  Ma niente più. 

Lily, che è una parente stretta di Isabel Archer e di Daisy Miller, non ha le stesse fortune, e finisce inesorabilmente in rovina a causa delle sue scelte: decide di ricevere favori da uno dei nobili, innamorato di lei, il grasso e infelice marito George Trenor, il quale finisce per regalarle dei soldi. 

Lily, ossessionata dal debito, finisce ben presto per cadere nella trappola delle allusioni, delle malizie, dei pettegolezzi, delle piccole e grandi cattiverie del mondo aristocratico al quale lei in definitiva non appartiene. 

Di gradino in gradino scenderà fino al fondo, nella più totale solitudine, diseredata perfino dalla zia. 

Un affresco crudelissimo, che fa sanguinare il cuore del lettore, come sa fare la Wharton la quale, rispetto a James, non ha paura di affondare i colpi e di brutalizzare le sorti delle proprie eroine costringendole a fare i conti con la disillusione e la perversione del mondo. 

La purezza di Lily è guastata dalla sua ambizione e della sua superficialità.  La purezza, da sola, non salva. Selden neppure ne esce bene.  Tradito dal  proprio orgoglio finisce anche lui per abbandonare immotivatamente Lily e per contribuire a sradicare e uccidere il loro (possibile) amore. 

La limpidezza della scrittura della Wharton è ineccepibile. La misura - la stessa di James - è associata alla passione. alla partecipazione dolorosa del destino e dei destini individuali. 

La lezione letteraria della Wharton è una potente riflessione sui limiti dell'umano, sulla imponderabile felicità, sul prezzo e sul castigo, sui sensi di colpa e sulla brutalità dell'indifferenza. 

Prefazione di Benedetta Bini
Editori Riuniti
Roma, 1996

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