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27/02/22

Anche Putin è stato un bambino. Ma quale storia da bambino? E quale storia da adolescente?

Vladimir Putin con la madre nel 1958

Assistendo al delirio di onnipotenza di questi giorni di Vladimir Putin ci si può legittimamente chiedere se anche lui sia stato un bambino - e che tipo di bambino e di adolescente, che tipo di infanzia e di adolescente abbiano preparato e forgiato una personalità di questo tipo. 

Vladimir Putin proviene da una famiglia operaia di cui è il terzo figlio. I suoi genitori, Vladimir Spiridonovich Putin (1911-1999) e Maria Ivanovna Putina, nata Chelomova (1911-1998), avevano avuto in precedenza due figli, Viktor Putin e Oleg Putin, nati negli anni '30 ma morti in tenera età. 

Il padre di Putin, soldato dell'Armata Rossa dal 1941, appartenente alle divisioni dislocate intorno a Leningrado, lungo la Neva , fu gravemente ferito alla gamba sinistra. 

La madre, Maria Ivanovna Putina sopravvisse all'assedio di Leningrado di 872 giorni durante la guerra, creduta morta e salvata dal marito dopo essere tornata dall'ospedale. 

Dopo la guerra, la coppia ha lavorato presso lo stabilimento ferroviario di Leningrado. I suoi nonni paterni erano contadini della frazione di Pominovo, appartenente al villaggio di Turginovo ( Tver Oblast ), a nord di Mosca, che vi si erano stabiliti sin dalla fondazione del villaggio nel XVII secolo.

Secondo un biografo di Vladimir Putin, il nonno, Spiridon Putin, fu il primo della stirpe a nascere dopo l'abolizione della servitù della gleba nell'impero zarista.

Spiridon, che secondo Vladimir Putin era il membro della sua famiglia che ammirava di più, sarebbe stato un cuoco per i Romanov , poi per Lenin e Stalin. 

Pochi giorni dopo la sua nascita, la madre di Vladimir Putin chiede segretamente che suo figlio sia battezzato nella Cattedrale della Trasfigurazione, in anni in cui il battesimo era severamente punito in Unione Sovietica , uno stato ateo . 

È uno studente mediocre e un combattente, finché non incontra un maestro che lo guida alla scoperta della cultura e delle arti, portandolo a visitare i musei di Leningrado. Questo ha cambiato la sua apertura al mondo. 

Vladimir Putin ha cominciato prestissimo a praticare arti marziali, wrestling, sambo e judo russo in gioventù dall'età di 11 anni (è stato più volte campione di sambo di Leningrado; nel 1973 gli viene conferito il titolo di maestro dello sport in sambo, e nel 1975 in judo). 



Successivamente, il giovane Putin studiò giurisprudenza all'Università di Leningrado (ora Università statale di San Pietroburgo), laureandosi 1975 con una tesi su “Il principio del commercio delle nazioni più favorite nel diritto internazionale”. 

Putin  imparò a parlare correntemente il tedesco, avendo vissuto e lavorato per diversi anni nella Repubblica Democratica Tedesca , ma parla pochissimo inglese e preferisce usare interpreti quando conversa con persone che parlano inglese.  

Secondo il suo stesso resoconto, Putin tentò senza successo di essere assunto nel KGB all'età di 16 anni. Dopo una formazione iniziale di base di cui si sa poco, entrò nel servizio territoriale decentralizzato del KGB - la direzione del KGB per la città di Leningrado e la sua regione, dove prestò servizio per diversi anni prima come subordinato, poi come ufficiale operativo nel servizio di controspionaggio locale, incaricato in particolare della lotta della polizia politica contro i dissidenti e altri “elementi antisovietici” (sotto il patrocinio della quinta direzione del KGB). 

Come tutti gli altri servizi speciali europei dell'epoca, il KGB inviava solo uomini sposati, condizione intesa in linea di principio ad escludere gli omosessuali ed evitare legami con donne straniere. Putin si è sposato nel 1983. 

Con il grado militare di maggiore, fu mandato nel 1984 a frequentare un corso annuale di formazione continua presso l' Andropov Institute (o Red Flag Institute, Krasnoznamenny Institoute – KI) del KGB a Mosca, in linea di principio per diventare una spia. 

Durante i suoi studi universitari a Mosca, fu chiamato in codice "Platov" e prestò servizio come leader volontario della sua unità di cadetti. Dopo aver lasciato il KGB KI, Putin non entra nello staff dell'apparato centrale del KGB a Mosca, ma torna a Leningrado dove parte del suo servizio viene trascorso nell'unità locale sotto la supervisione del primo comando generale del KGB , l'intelligence straniera servizio. 



È entrato nella "riserva attiva" del KGB per prepararsi a una missione operativa nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT). Dall'agosto 1985 ha officiato, per il suo primo incarico all'estero, a Dresda nella DDR, ufficialmente come impiegato consolare, con l'incarico di reclutare spie con il ruolo di  maggiore dei servizi segreti russi. 

In particolare, cerca di costringere un professore di medicina a dargli accesso a uno studio sui veleni mortali che non lasciano quasi traccia, ricattandolo con elementi pornografici. 

Dopo la caduta del muro di Berlino, ha impedito ai tedeschi di entrare negli uffici del KGB per saccheggiarli e depredare gli archivi, distruggendo lui stesso questi documenti . 

Fu richiamato nel febbraio 1990, nel contesto della riunificazione tedesca . Secondo il media tedesco Correctiv , deve il suo ritorno al fatto che Werner Grossmann, l'ultimo capo dei servizi di spionaggio esteri della DDR, rivela ai suoi colleghi del KGB che Putin sta reclutando agenti della DDR la cui copertura è stata violata, il che crea un notevole rischio per il KGB.

Tali scelte di vita verranno rinnegate più tardi, nel 1999, quando Putin prese le distanze dalla ideologia sovietica descrivendo il comunismo come "un vicolo cieco, lontano dalla corrente principale della civiltà".

Fabrizio Falconi 2022

22/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (5.)



Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (5.)


E in questa condanna ai lavori forzati l’unico appiglio sono le lettere alla famiglia, che vengono recapitate con mesi di ritardo. In una di queste Florenskij scrive: qui è tutto vuoto, come se ci trovassimo in un sogno, ho perso il ritmo dei giorni e delle notti e il tempo passa come una striscia ininterrotta e in interrompibile. Ho la sensazione che a questo punto non c’è più niente che di per sé sia interessante  e soltanto il fatto che io, in qualche modo, riesca a comunicare ancora con voi, risveglia il mio pensiero. (15)

Che cosa può salvare un uomo che si trovi in queste condizioni ?
    Questa è un’epoca tanto tremenda che ognuno deve rispondere di se stesso… confida a una delle figlie (16) Io ho compreso che è soltanto l’ascolto della voce di Dio che io devo seguire.
       
Nessuno può sapere se questa voce, la voce di Dio, che Florenskij non si stancò mai di cercare dietro l’apparenza volubile dei fenomeni, dietro la pieghe e le meraviglie del pensiero matematico e scientifico, gli risuonò nella mente anche in quegli ultimi giorni della sua vita quando, a bordo dei cosiddetti vagoni della morte, stipato insieme ad altre centinaia di derelitti, fu portato in quel bosco per essere fucilato.

Il grande filosofo e mistico fu come inghiottito nel nulla in quella notte di dicembre del 1937.  Com’era usanza, all’epoca sovietica, nessuno si prese la briga di informare la famiglia, la moglie, i figli, delle circostanze della morte del loro congiunto. Soltanto più di mezzo secolo dopo -  nel gennaio del 1990 -  pochi mesi prima del definitivo crollo della Unione Sovietica, un freddo dispaccio del KGB inviato alla famiglia riportò il documento ufficiale della fucilazione di Florenskij.

       Vi prego, miei cari, quando mi seppellirete, aveva lasciato scritto nel Testamento, di fare la comunione in quello stesso giorno, o se, questo proprio non dovesse essere possibile, nei giorni immediatamente successivi.  Non rattristatevi e non soffrite per me, se potete.  Se sarete lieti e forti, con ciò mi darete la pace. Io sarò sempre con voi in spirito e, se il signore me lo concederà, verrò spesso da voi e vi guarderò. Voi però confidate sempre nel Signore e nella sua Purissima madre, e non rattristatevi.  (17)    

(5. - fine) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

       
15.       E’ la lettera del 14 dicembre 1936, scritta dal lager delle Solovki.
16.       La circostanza è contenuta nelle memorie scritte dalla figlia di Florenskij, Ol’ga, pubblicate con il titolo Martirologio di Leningrado, e si riferisce a uno degli incontri che la famiglia ebbe con Florenskij a Skorovodino nel 1934.
17.      Pavel A. Florenskij,  Non dimenticatemi, op. cit. pag. 413

17/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



  Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (1./)



Quando Pavel Florenskij scriveva, nel 1914: Tutto scivola dalla memoria, passa attraverso la memoria, si dimentica. Il tempo …  divora i propri figli. L'essenza stessa della coscienza, della vita, di ogni realtà, sta nella transitorietà, cioè in una specie di dimenticanza metafisica (1) probabilmente non poteva certo immaginare che proprio la sua opera – unitamente alla parabola della sua vita – avrebbe così evidentemente contraddetto questa legge.   La nascita e la morte, aggiungeva,  sono i poli di un'unica realtà: chiamala vivere, chiamala morire, ma il nome più esatto è destino o tempo. Questo tempo uno, questo destino, consta a sua volta di nascita-morte unite polarmente, e così via fino agli ultimi elementi della vita, cioè ai minimi fenomeni di attività vitale. (2)

Il destino di Pavel Florenskij era stato quello di morire fucilato vicino Leningrado -  insieme ad altri 500 deportati dal Gulag delle isole Solovki, brandelli di terra nel nulla del Mar Bianco, dove Florenskij era stato internato dopo essere stato arrestato  il 26 febbraio del 1933 -  con questa accusa: “svolge attività controrivoluzionaria, inneggiando al nemico del popolo Trockij”.

Davvero uno strano destino, per lui, ordinato sacerdote della Chiesa Ortodossa nel 1911 finire i suoi giorni in un campo di prigionia - nell’estremo nord della Russia, esattamente sulla linea del Circolo Polare Artico -  che era in origine un antico complesso monastico, uno dei maggiori centri di spiritualità dell’ortodossia russa, trasformato dal regime bolscevico nel 1923 in SLON, ovvero Lager a destinazione speciale delle Solovki.        

Pavel ci era finito proprio perché ad ingrossare le fila dei detenuti di questo gulag erano soprattutto credenti, in particolare vescovi, preti, monaci e religiosi. 

Eppure, Florenskij non si era mai sognato di essere un controrivoluzionario militante, e pagava l’unica colpa di testimoniare la libertà di pensiero e di aver scelto l’esperienza ecclesiale al termine di un lungo percorso di consapevolezza, in un tempo in cui tutta l’intelligencija russa virava verso un forte sentimento anticlericale e antireligioso.   

Non v’è dubbio alcuno che quella che fu spenta in quel giorno d’ottobre, nel massacro di Sandormoch, fu una delle menti più brillanti dell’intero Novecento.  E la personalità, il pensiero scientifico, la filosofia di Florenskij sono sfuggite all’oblio. Non solo: oggi fioriscono ovunque saggi e studi a lui dedicati, e il suo lascito spirituale  - specialmente dopo l’apertura degli archivi del KGB -  oltre che puramente letterario continua ad apparire un luminoso esempio per le generazioni future.

Nato il 9 gennaio del 1882 nella città di Evlach, nell’Azerbaigian, Florenskij era il primogenito di sette figli nato dall’unione tra un ingegnere e la colta erede di una famiglia armena.   Su di lui, studente precoce e portato per la scienza, ebbero  una grande influenza le  opere dell’ultimo  Tolstoj:  il grande romanzo di Resurrezione,   e soprattutto La confessione. 

All’inizio del 1900, dopo molti anni passati in Georgia con la famiglia, intraprese gli studi all’Università di Mosca, dove si laureò in Matematica e Fisica quattro anni più tardi, discutendo una tesi di laurea sul principio di discontinuità che suscitò immediato interesse nel mondo accademico.   Ma lo studio della fisica e della matematica non bastavano ad una sete di conoscenza famelica: Florenskij negli stessi anni, cominciò a nutrire interesse per la filosofia antica, per la storia, per la poesia.   Infine nel 1904 la decisione di iscriversi alla Facoltà teologica di Mosca, dove come se non bastasse, cominciò ad approfondire le materie bibliche, liturgiche, insieme allo studio delle lingue antiche.  Forse più e meglio di altri Florenskij finì per incarnare un modello di aspirazione per un nuovo sapere multidisciplinare, sintesi di un modo di ri-pensare il mondo che – a cavallo del Novecento – si andava disfacendo, disgregando in una nuova (per molti aspetti spaventosa) complessità.

Nella religione Florenskij cercava il necessario complemento a quella metafisica completa capace di affrontare la lettura del mondo come un insieme.  Il cammino verso l’unità e quindi verso la verità era, per lui, fatto di passaggi attraverso i contrari, fino a congiungerli insieme, ma senza mai  fare confusione  e mantenendo le distinzioni; nella sintesi del Simbolo perfetto (Uno e Trino),  separato e inseparabile - era il pensiero di Florenskij -  c’è la formula che si può estendere a qualsiasi simbolo relativo, e a qualsiasi opera d’arte.


Cari figli miei, scriveva nel Testamento – iniziato l’11 aprile del 1917 , pochi giorni dopo lo smantellamento dell’Accademia Teologica moscovita nella quale Florenskij insegnava, e la cui redazione si protrasse per diversi anni fino al 1922 nel presagio dei drammi futuri che lo aspettavano - non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé. Essere precisi e chiari nei propri pensieri è il pegno della libertà spirituale e della gioia del pensiero. (3)

(1./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

1.      Pavel A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità, tr. it. di P. Modesto, Rusconi, Milano 1974, p. 54.   Questa è la prima traduzione mondiale di un’opera di Florenskij, e certamente contribuì in modo rilevante alla sua riscoperta in tutto l’occidente.
2.     Pavel A. Florenskij , Lo spazio e il tempo nell'arte, a cura di N. Misler, Adelphi, Milano 1995, p. 261
3.     Il Testamento di Pavel Florenskij è contenuto nella edizione italiana di Non dimenticatemi, a cura di Natalino Valentini e Lubomir Zak,  edizioni Mondadori, Milano, 2000.  Cit. pag. 418.