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23/07/15

La remora è un pesce (ma nessuno lo sa). Jung e l'Echeneis.






Echeneis è il nome latino di un pesce molto particolare.

Di esso racconta Plinio nella sua Historia Naturalis, in un passo ripreso da Jung, in Aion

“La remora “ scrive Jung, “piccola per statura e grande per la potenza costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio in modo interessante e ameno tocco ‘ ai nostri tempi’ alla quinquereme dell’imperatore Caligola

Mentre questi ritornava dall’Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto

Tornato a Roma, dopo questo viaggio, Caligola venne assassinato dai suoi soldati. 

L’ Echeneis“ continua Jung, “agì dunque come praesagium, come piscis auspicalis, rileva Plinio. Un tiro analogo esso lo giocò a Marc’Antonio, prima della battaglia navale contro Augusto, in cui dovette soccombere

Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell’ Echeneis. La sua meraviglia impressionò evidentemente gli alchimisti al punto di indurli a identificare il ‘pesce rotondo del nostro mare’ con la Remora. 

La Remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio. Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è IL PIU’ PICCOLO DEL PICCOLO, PIU’ GRANDE DEL GRANDE."



13/02/14

La remora è un pesce (e nessuno lo sa).







Rèmora in italiano ha il significato di indugio, freno.
Secondo la Treccani il s. f. deriva dal lat. remŏra, derivato di mora, ovvero "indugio" nel doppio significato, letterale (coniugato al plurale) che definisce ciò che ritarda o ostacola qualcosa: non porre remore e di ciò che trattiene dall'agire (non avere remore; essere senza remore).

Ma le Remore, pochi lo sanno, sono anche dei pesci che, muniti di una sorta di ventosa, si attaccano a scafi o a pesci più grandi facendosi trainare - e in antichità (e l'immagine rende bene il senso generale di "remora") si pensava che questi pesci potessero addirittura fermare le navi, da cui il loro nome.

Appartengono alla famiglia delle Echeneidi, presenti in tutti i mari del mondo, a eccezione di quelli freddi, con 4 generi, tra i quali Echeneis e Remora. Hanno corpo slanciato, lungo circa 70 cm, manca la vescica natatoria; sono provvisti di un organo di adesione discoidale situato sul capo e derivato da una trasformazione della prima pinna dorsale, con cui si attaccano a grossi pesci e battelli.

È presente anche nel mar Mediterraneo, anche in acque italiane. Il disco adesivo giunge all'altezza delle pinne pettorali. Il colore è grigio scuro o nero con opercoli e bordi delle pinne chiari. Misura fino a 70 cm.

E' ovvio per queste sue caratteristiche, come questo animale abbia, sin dall'antichità attratto su di sé fortissime connotazioni simboliche.

Come scrive Carl Gustav Jung, in Aion – Ricerche sul simbolismo
La Remora, piccola per statura e grande per la potenza, costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio toccò alla quinquereme dell'imperatore Caligola. Mentre questi ritornava dall'Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto. Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell'Echeneis. La sua meraviglia evidentemente impressionò gli alchimisti al punto di indurli a identificare 'il pesce rotondo del nostro mare' con la Remora. La Remora divenne così il simbolo dell'estremamente piccolo nella vastità dell'inconscio, che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l'Atman, quello di cui si dice che è il più piccolo del piccolo, più grande del grande. 

Ispirandoci alle caratteristiche di questo pesce, nel 2003, Filippo Tuena ed io abbiamo creato e diretto una collana di poesia, Le Remore, nel quale sono stati presentati testi poetici di narratori, saggisti e scrittori che raramente hanno pubblicato versi attribuendo a questa forma, il valore di sperimentazione o palestra intima personale.  A volte, l'esigenza di emergere dal mare profondo può spingere queste parole nascoste verso la superficie. Allora, come la remora di Jung, la loro forza può stupire e costringere le grandi navi a fermarsi.

14/06/12

Gli Obelischi di Roma - 11.Obelisco campense o solare in piazza Montecitorio



Eccoci giunti alla undicesima puntata del nostro studio dedicato ai 13 obelischi originali egizi esistenti a Roma (qui le precedenti puntate). E' la volta del magnifico Obelisco Campense o Solare, che si staglia attualmente in Piazza Montecitorio proprio di fronte alla facciata dell'attuale Palazzo che ospita la Camera dei Deputati. 

Ecco la scheda: 

11. Obelisco campense o solare, in piazza Montecitorio. 

anno di rierezione: 1792 

altezza:  m. 21,791 (m. 33,27 con basamento) 
Geroglifici: solo nella parte anteriore

Cavato dalle montagne di Assuan, eretto dal faraone Psammetico II (595 – 589 a.C.) a Eliopoli. Sottratto, insieme a quello Flaminio, da Augusto Imperatore nel 10 a.C. per celebrare la conquista dell’Egitto. Trasportato lungo il Nilo ad Alessandria, e via mare fino a Roma. 

Eretto da Augusto sul suo basamento originale, che vi pose l’iscrizione – come anche su quello flaminio – Soli donum dedit e il globo bronzeo soprastante (forato) con funzioni astronomiche, nel luogo di Piazza del Parlamento (alle spalle della Camera dei Deputati)  dove attualmente lo ricorda una iscrizione – al civico n. 3 - e dove all’epoca esisteva una meridiana a terra marmorea (Solarium, ricordato anche da Plinio, tutt’ora visibile in frammenti nelle fondamenta di alcuni edifici tra Piazza San Lorenzo in Lucina e Piazza del Parlamento), al centro di una zona – il Campomarzio – dove esistevano già altri importantissimi edifici augustei – l’Ara pacis e il Mausoleo di Augusto. 

La tradizione ne attribuisce la distruzione ai normanni che invasero Roma guidati da Roberto il Guiscardo nel 1084 (unico sopravvissuto quindi, insieme a quello vaticano, alla distruzione dei Goti avvenuta nel VI secolo d.C.). 

D’Onofrio invece ne sostiene la distruzione da parte dei Goti guidati da Totila (547 d.C.), in maniera convincente a causa del fatto che una sola facciata ha conservato i geroglifici (quella interrata, all’epoca dell’invasione dei normanni)


Recuperato nel 1748 in cinque pezzi con grande fatica da Prospero Lambertini nelle cantine delle casupole medievali nell’attuale zona della Piazza del Parlamento, grazie alle macchine create dall’analfabeta Nicola Zabaglia. 

Rimasto per 40 anni in attesa nell’attuale Piazza Montecitorio, viene innalzato da Giovanni Antinori nel 1792 di fronte all’allora Palazzo dei Tribunali (oggi Camera dei Deputati), con estesi rappezzamenti ricavati dalla distruzione della Colonna Antonina. 

Il globo bronzeo con gli stemmi araldici di Pio VI, forato, è un’invenzione di astronomi settecenteschi, sulla base delle ipotesi antiche di un globo analogo, da non confondere con la palla Sansonis, attualmente conservata nel Museo di Palazzo dei Conservatori.






Fabrizio Falconi