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11/12/13

Invictus - La poesia che ispirò Mandela negli anni della prigionia.




E' ormai risaputo (Clint Eastwood ne ha tratto anche l'ispirazione per il film che ha diretto nel 2009, Invictus - L'invincibile, dedicato al leader sudafricano) che Nelson Mandela, per alleviare gli anni della sua prigionia durante l'apartheid,  trovò spirito e forza da un libro di poemi e in particolare da una poesia, 'Invictus', che leggeva ad alta voce anche agli altri detenuti. 

Invictus fu scritta dal poeta inglese William Ernest Henley (1849-1903), composta nel 1875 e pubblicata per la prima volta nel 1888 nel Book of Verses di Henley, dov'era la quarta di una serie di poesie intitolate Life and Death (Echoes). 

All'età di 12 anni, Henley rimase vittima del morbo di Pott, una grave forma di tubercolosi ossea. Nonostante ciò, riuscì a continuare i suoi studi e a tentare una carriera giornalistica a Londra. Il suo lavoro, però, fu interrotto continuamente dalla grave patologia, che all'età di 25 anni lo costrinse all'amputazione di una gamba per sopravvivere. Henley non si scoraggiò e continuò a vivere per circa 30 anni con una protesi artificiale, fino all'età di 53 anni. Henley era anche legato da una profonda amicizia con Robert Louis Stevenson, che si ispirò a lui per il personaggio di Long John Silver ne L'isola del tesoro.

La poesia Invictus dunque fu scritta proprio sul letto di un ospedale. 
Ecco i versi. 


Dal profondo della notte che mi avvolge,
Nera come un pozzo da un polo all'altro,
Ringrazio qualunque dio esista
Per la mia anima invincibile.
Nella feroce morsa della circostanza
Non ho arretrato né gridato.
Sotto i colpi d'ascia della sorte
Il mio capo è sanguinante, ma non chino.
Oltre questo luogo d'ira e lacrime
Incombe il solo Orrore delle ombre,
E ancora la minaccia degli anni
Mi trova e mi troverà senza paura.
Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino;
Io sono il capitano della mia anima.

originale:
Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever god may be
For my unconquerable soul.
In the fell clutch of circumstance
I have not winced not cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.
Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.
It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.