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Quando Marta Argerich vide il paradiso: Il celebre video nel commento di Emmanuel Carrère, da "Yoga"
Ci sono prodigi che soltanto la musica riesce a compiere. Avviene per esempio con questo vecchio leggendario video - risale al 1965 - nel quale una giovanissima Marta Argerich, oggi monumento vivente dell'arte pianistica, esegue la Polonaise Eroica Op. n.53 di Fryderyk Chopin. Un video ipnotico che emana un fascino meraviglioso e sensuale.
Questo video ha ispirato anche Emmanuèl Carrère che nel suo ultimo libro, Yoga, gli dedica pagine bellissime. Ne riportiamo un brano (p.336), divenuto già un piccolo classico:
Quando Marta Argerich arriva a quel punto, trattieni il fiato. La pianista è in una specie di trance languida, sospesa.
L'indicazione di Chopin per questo passaggio è smorzando, una indicazione rarissima che significa: spegnendo. Marta Argerich si spegne in diretta, snocciolando una serie di note incantate ma sa, e lo sappiamo anche noi, che tra un istante tornerà il tema principale della polacca e che questo eclatante ritorno sarà il culmine dell'opera.
Siamo a 5.15, quindici secondi prima dei 5.30 indicati da Erica, mi chiedo cosa succederà ed ecco che cosa succede: sono le ultime note della ghirlanda prima che il tema principale ritorni, grandioso e appagante, a partire dal lato destro della tastiera, dal lato sinistro dello schermo.
Martha Argerich si lascia trasportare dal tema, lo prende come un surfista prende l'onda. Ci si abbandona totalmente, l'inquadratura non la contiene più, dà un colpetto con la testa verso destra, con la sua massa di capelli neri, per un istante quasi scompare a sinistra dello schermo e quando torna nell'inquadratura, dopo il colpetto con la destra, sorride.
Ed è allora che... Dura pochissimo, quel sorriso da ragazzina, un sorriso che viene al tempo stesso dall'infanzia e dalla musica, un sorriso di pura gioia. Dura esattamente cinque secondi, dal minuto 5.30 al minuto 5.35, ma in quei cinque secondi hai intravisto il paradiso. Lei c'è stata per cinque secondi, certo, ma cinque secondi bastano, e guardandola ci andiamo anche noi. Per procura, ma ci andiamo. Sappiamo che esiste.
Ecco il video:
Fabrizio Falconi - 2021
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Libro del Giorno: "Quando abbiamo smesso di capire il mondo" di Benjamìn Labatut
Adelphi sceglie un'opera di Yves Klein del 1960 come felice copertina per un romanzo assai sui generis che è già diventato uno dei casi dell'anno, grazie al passa parola e alle positive (in alcuni casi entusiastiche) recensioni dei giornali.
L'opera di Klein richiama il suo famoso blu e si ricollega subito alla prima parte del libro intitolata appunta Blu di Prussia che racconta le vicende dell’alchimista che all’inizio del Settecento, infierendo sulle sue cavie, crea per caso il primo colore sintetico, lo chiama «blu di Prussia» e si lascia subito alle spalle quell’incidente di percorso, rimettendosi alla ricerca dell’elisir. La scoperta finisce molto tempo dopo nelle mani di un brillante chimico al servizio del Kaiser, Fritz Haber, quando a Ypres constata che i nemici non hanno difese contro il composto di cui ha riempito le bombole e quando intuisce che dal cianuro di idrogeno estratto dal blu di Prussia si può ottenere un pesticida portentoso, lo Zyklon, che verrà poi utilizzato dagli aguzzini nazisti per lo sterminio degli ebrei nei Lager.
La scelta di Adelphi è felice anche nel titolo: nella difficoltà di utilizzare quello originale (Un verdor terrible) si è scelto il titolo di uno dei capitoli, il più lungo, quello riferito alla figura del genio della fisica del Novecento, Heisenberg, il quale all'epoca ventitrenne, durante la tormentosa convalescenza per una forte allergia, sull'isola sperduta nel mare del Nord, di Helgoland, intuisce e scopre che bisogna smettere di capire il mondo come lo si è capito fino a quel momento e avventurarsi verso una forma di comprensione assolutamente nuova. Per quanto terrore possa, a tratti, ispirare: è la nascita della meccanica quantistica, che ha cambiato la storia del mondo e che resta ancora oggi una teoria profondamente misteriosa anche se verificata un numero infinito di volte (basti pensare che gran parte della nostra moderna tecnologia, tra cui telefoni cellulari o internet funziona grazie ad essa), senza mai essere smentita nemmeno una volta.
Benjamín Labatut, l'autore, è uno scrittore cileno nato a Rotterdam nel 1980. Ha trascorso la sua infanzia tra L'Aia, Buenos Aires e Lima, per poi trasferirsi a Santiago del Cile all'età di quattordici anni. E in questo paese vive attualmente in un remoto villaggio sulla Cordigliera. Il suo primo libro di racconti, La Antártica empieza aquí, ha vinto il Premio Caza de Letras nel 2009 e il Santiago Municipal Literature Award – nella sezione racconti – nel 2013. A questo libro sono seguiti Después de la luz e Quando abbiamo smesso di capire il mondo, che è stato nominato per l'International Booker Prize 2021.
Con il suo stile lucido e disturbante, Labatut costruisce un libro strano e diverso dagli altri. L'assunto è forse proprio quello di esplorare il lato demoniaco/distruttivo della scienza che si esprime nelle stesse vicende biografiche ossessivo/compulsive dei geni, che da Heisenberg a Schrodinger, sono i protagonisti del libro.
La scelta di romanzare, cioè di inventare particolari biografici e non mano a mano che il racconto va avanti, è spiazzante per il lettore. E lo costringe ad andare ogni volta a verificare se quello che scrive Labatut è del tutto vero o no.
Poiché l'avvertenza sulla libertà presa dall'autore nel raccontare queste storie è messa alla fine e non all'inizio del libro, qualche lettore potrà anche sentirsi coinvolto in un gioco scomodo. Forse però è proprio quello che Labatut voleva, visto che il tema centrale del libro è proprio il dubbio relativo alla esistenza di quello che noi chiamiamo "reale", sulla consistenza del quale è proprio la scienza moderna a farci dubitare.
Cosa è vero, cosa no? Chi e cosa sono queste menti geniali che hanno scoperchiato abissi?
La cosa certa è che grazie a Labatut si imparano molte cose su argomenti su cui abbiamo letto tanto, senza mai finire di meravigliarsi di quanto il mistero in cui siamo calati sia spaventosamente fitto e infinitamente complicato.
La mancanza di qualsiasi parvenza di oggettività in quello che noi pensiamo/vediamo/ realizziamo, rispetto al piano di "realtà" - ammesso che esista poi, una realtà - è sconvolgente, dato che le cose nella fisica quantistica sembrano esserci, esistere soltanto se e quando qualcuno le osserva (influenzandolo fra l'altro).
È la via che ha preferito Benjamín Labatut in questo singolarissimo e appassionante libro, ricostruendo alcune scene che hanno deciso la nascita della scienza moderna. Ma, soprattutto, offrendoci un meraviglioso intrico di racconti, e lasciando scegliere a noi quale filo tirare, e se seguirlo fino alle estreme conseguenze.
L'unica pecca per un libro così bello è la cura editoriale - assai strano per un editore come Adelphi - che scivola sul piano dei refusi e della impaginazione. Nella edizione cartacea c'è addirittura una intera riga completamente saltata a fondo pagina, più tanti altri piccoli errori piuttosto imbarazzanti.
15/03/21
Libro del Giorno: "E l'uomo incontrò il cane" di Konrad Lorenz
Un libro che tutti coloro che possiedono un cane dovrebbero, prima o poi, leggere. E che farebbe comunque bene anche a quelli che un cane non lo possiedono o non l'hanno mai posseduto.
A Konrad Lorenz è stato conferito il Premio Nobel 1973 per la medicina in riconoscimento della sua opera fondatrice di una scienza che rivela sempre più la sua enorme portata: l’etologia.
Ma Lorenz non è soltanto un grande scienziato: pochi libri hanno affascinato così tanti lettori in questi ultimi anni come le storie di animali da lui magistralmente raccontate nell’Anello di Re Salomone.
E anche in E l’uomo incontrò il cane, il lettore troverà una sorta di proseguimento di quelle storie, tutto dedicato all’animale che più di ogni altro crediamo di conoscere e sul quale però tante cose abbiamo da scoprire – il cane.
Lorenz ci guida qui innanzitutto verso le origini dell’«incontro» fra l’uomo e il cane, quando il rapporto era piuttosto con i due, assai differenti, antenati dei cani attuali: lo sciacallo e il lupo.
Queste origini lasciano le loro tracce in tutte le complesse forme di intesa, obbedienza, odio, fedeltà, nevrosi che si sono stabilite nel corso della storia fra cane e padrone.
Spesso ricorrendo a dei casi a lui stesso avvenuti, Lorenz riesce in queste pagine a illuminare rapidamente tutto l’arco della «caninità» con la grazia di un vero narratore, con la precisione e la sottigliezza di uno scienziato che ha aperto nuove vie proprio nello studio di questi temi, con la fertile intelligenza di un pensatore che, attraverso le sue ricerche sugli animali, è riuscito a porre i problemi umani in una nuova luce.
11/12/20
Libro del Giorno: "Il libro del riso e dell'oblio" di Milan Kundera
E' un esperimento interessante quello di rileggere oggi i primi romanzi di Milan Kundera - e in particolare questo, uscito per la prima volta nel 1978, più di quarant'anni dopo.
Come è noto, Kundera, nato a Brno, nell'allora Cecoslovacchia (attualmente in Repubblica Ceca), il 1º aprile del 1929, venne colpito in occidente da improvvisa e roboante popolarità dopo la pubblicazione del suo romanzo L'insostenibile leggerezza dell'essere, nel 1985 (in Italia da Adelphi).
In un periodo storico di enorme interesse, in Occidente, per la Cortina di Ferro che stava per essere rottamata dalla Storia di lì a poco (crollo del Muro di Berlino, 1989), i romanzi di Kundera aprirono uno squarcio accessibile a tutti sulla vita e le sofferenze in uno dei paesi invasi dai sovietici, in questo caso la Cecoslovacchia, la cui effimera Primavera di Praga nel 1968 era stata soffocata dall'arrivo dei carri armati russi.
Kundera, che nel frattempo nel 1975 era emigrato in Francia, a Parigi (riuscì poi a ottenere la cittadinanza francese nel 1981 grazie all'interessamento personale del presidente francese François Mitterrand) divenne così letto che le case editrici occidentali si affrettarono a pubblicare tutti i suoi romanzi precedenti a quello, scritti ovviamente nella sua lingua, il ceco, e esattamente: Lo scherzo (Žert, 1967); Il valzer degli addii (Valčík na rozloučenou, 1972); La vita è altrove (Život je jinde, 1973); e per l'appunto, Il libro del riso e dell'oblio (Kniha smíchu a zapomnění, 1978) che fu tradotto da Serena Vitale per Bompiani nel 1980 e successivamente ristampato da Adelphi nel 1991.
L'ammirazione grande per questi primi romanzi, scoperti in occidente, portarono così la critica (e anche il pubblico) a distinguere nettamente l'opera di Kundera antecedente all'esilio (il cosiddetto periodo ceco), dall'opera seguente quando Kundera cominciò, a partire dal romanzo La lentezza (1995) a scrivere in lingua francese e non più in ceco.
La critica internazionale, che era stata entusiasta e ammirata per i romanzi della prima fase, cominciò a stemperarsi, a raffreddarsi nei confronti del "Kundera francese", ancor maggiormente quando nel 2008 fu rinvenuto un documento a Praga negli archivi della Polizia e ritenuto attendibile, che testimoniava di una delazione da parte del futuro scrittore, nel 1950, nei confronti di un ventenne impegnato in un'ingenua operazione di "spionaggio" tra Germania Ovest e Cecoslovacchia; il giovane venne poi condannato a 22 anni di lavori forzati. Kundera ha sempre negato ogni responsabilità nella vicenda, che però ha continuato a pesare molto sulla sua immagine pubblica e probabilmente ne ha anche compromesso le sue chances di approdare al Nobel per la letteratura.
Oggi che Kundera ha 91 anni e che è lontano da ogni polemica letteraria è allora forse il momento giusto per rivalutare con più freddezza il patrimonio letterario che ci ha consegnato.
E' noto che il padre di Kundera Ludvík (1891-1971) fu direttore dell'Accademia musicale di Brno, la JAMU, e un noto pianista. Fin da piccolo Kundera studiò musica, in particolare pianoforte, e la passione per la musica tornerà spesso nei suoi testi letterari, in particolare in questo Il libro del riso e dell'oblio, che si conferma un grande romanzo del novecento europeo. Scritto all'indomani del suo arrivo a Parigi, e finalmente libero dunque, di esprimersi con maggiore crudezza sul regime politico del suo paese, dal quale si era allontanato, il romanzo è un affresco composito, o meglio ancora, come scrive Kundera stesso nelle pagine, un corpus di "variazioni" su un tema, esattamente come avviene in musica classica.
Come scrisse lo stesso autore, qualche anno più tardi: «Nel Libro del riso e dell’oblio, la coerenza dell’insieme è data unicamente dall’unicità di alcuni temi (e motivi), con le loro variazioni. È un romanzo, questo? Io credo di sì».
E lo stesso vale per i numerosissimi lettori che questo libro ha avuto dal 1979 a oggi e che vi hanno riconosciuto una delle più audaci imprese letterarie del nostro tempo: un «romanzo in forma di variazioni».
Cambiano totalmente i personaggi e le situazioni, in ciascuna delle sette parti in cui (come d’obbligo in Kundera) il libro si divide.
Ciascuna è autosufficiente – e tutte si susseguono «come le diverse tappe di un viaggio che ci conduce all’interno di un tema, all’interno di un pensiero, all’interno di una sola e unica situazione la cui comprensione, per me, si perde nell’immensità». Su tutto, un gesto si mostra con peculiare insistenza: il tentativo di sottrarsi alla cancellazione di ciò che è avvenuto. Come dice un personaggio del romanzo: «la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio».
E' questo il tema del romanzo, ed è questo che resta intatto dopo 42 anni. Esattamente come la protagonista, la giovane Tamina, che ha perso il marito, e che ritorna nelle diverse parti del libro, il compito di Kundera è quello di non disperdere la memoria, anzi, di rendere la memoria un compito di sopravvivenza. Seppure nella piena consapevolezza che alla fine è proprio grazie all'oblio, alla leggerezza di cui parlerà molto nel romanzo seguente, al riso dell'ironia che questa vita diventerà sopportabile, anche nella tragedia della perdita, nella circostanza della sconfitta, che ha segnato l'esistenza nella sua parte più autentica, quella della gioventù.
Fabrizio Falconi - 2020
Il libro del riso e dell’oblio
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Libro del Giorno: "Le civette impossibili" di Brian Phillips
08/06/20
"Quando avete finito di preoccuparvi di questa epidemia, preoccupatevi della prossima" - Esce "L'albero intricato", il nuovo libro di David Quammen
09/08/19
Libro del Giorno: "Amore" di Inoue Yasushi
Yasushi Inoue
Amore
Traduzione di Giorgio Amitrano
Adelphi, Milano
2006
Pagine: 117 Euro 8.50