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01/09/20

"Nei giovani la vergogna ha preso il posto del Senso di Colpa." Una bellissima intervista a Gustavo P. Charmet



Pubblico un brano di questa intervista allo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet realizzata da Roberta Scorranese per il Corriere della Sera che si può leggere in integrale QUI.  E' una delle cose più interessanti e acute lette ultimamente.


«A ottantadue anni non mi fa paura il futuro, temo piuttosto il passato. Perché il passato ti raggiunge all’improvviso con una potenza critica che instilla dubbi. E condiziona il presente». Oltre cinquant’anni di carriera consentono piccoli vezzi: l’ironia sulla propria età, le ciabatte estive nello studio milanese, la nonchalance con la quale Gustavo Pietropolli Charmet evita il lettino dell’analista in pelle nera al centro della stanza.

«Ho deciso di fare lo psichiatra pur avendo un padre medico che considerava con disprezzo questa scelta. Per farmi cambiare idea mi fece fare un tirocinio estivo nel peggior manicomio bresciano. Mi appassionai ancora di più».
E finalmente ha deciso di raccontare mezzo secolo di lavoro nel cervello altrui in un libro, «Il motore del mondo», edito da Solferino.
«Tra le cose che più mi hanno dato soddisfazione di recente».


In Italia la psicoanalisi ha avuto un cammino ad ostacoli. Nel 1949 sul «Corriere della Sera» Alberto Savinio firmava un articolo dal titolo «Perché noi italiani non amiamo la psicanalisi» (per inciso: non riusciamo ad ammettere la morte).
«Da un lato il marxismo, dall’altro la Chiesa: erano attacchi continui. Peccato, perché la giusta alleanza tra medicina, psichiatria e psicoanalisi, come avviene per esempio in Francia, avrebbe aiutato nella cura dei disagi psichici, evitando i problemi di oggi»
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Quali problemi?
«Per esempio la medicalizzazione delle malattie mentali. Abbiamo chiuso i manicomi per affollare gli ospedali e consentire un uso disinvolto degli psicofarmaci. Mi sono battuto per promuovere residenze per malati che fossero delle comunità terapeutiche, dove curare i pazienti non in “ghetti”, ma nel giusto contesto».
La chiusura dei manicomi è stata un errore?
«Nel modo in cui è stata fatta, certo. A me è capitato di chiudere un reparto psichiatrico: non è stato facile far reinserire nella società delle persone che per una vita sono state in manicomio. Poi che dovessero cambiare le regole e che si dovessero eliminare certe aberrazioni all’interno dei manicomi, be’, questo è sicuro».
Lei ha speso una vita a curare i giovani ed è uno dei «cardini» di Minotauro, istituto milanese che fa ricerca e dà sostegno ai ragazzi in difficoltà. Come stanno cambiando gli adolescenti?
«Prima di tutto in loro è evaporato il senso di colpa e si è fatta strada la vergogna. Mi spiego. Prima c’erano autorità precise: il padre, il prete, la fede politica. C’erano i castighi e i premi che definivano il valore dei gesti e delle persone. Oggi questo non c’è più».
E che cosa vede?
«Si è deciso che i bambini non vanno ostacolati nella ricerca autonoma del loro valore, ma sostenuti. Nei ragazzi così sparisce la paura, sparisce il Super Io ma arriva Narciso. In sostanza: davanti vedono solo modelli irrealizzabili di bellezza e successo e se da una parte non temono più il castigo (e dunque non provano il senso di colpa) dall’altra si vergognano di non essere all’altezza. Alcuni fanno sparire il proprio corpo».
Con l’anoressia, per esempio?
«Alcuni si muovono in direzione della chirurgia estetica, altri chiedono di cambiare genere, altri si accaniscono con tatuaggi. Sembra che facciano di tutto per non entrare nell’adolescenza».
Forse la qualità della vita infantile è migliorata al punto che la si lascia a malincuore, come lei nota nel libro?
«Imprigionati in una fragilità permalosa, molti bambini non se la sentono di affrontare la competizione a scuola o i bulli. E di ritrovarsi in un corpo che cresce. Tanti si richiudono nelle camerette. La parola chiave dei nostri tempi è vergogna. Ci si sente umiliati da chi non ci considera, da chi ci snobba. Sì, anche sui social».
Narciso spiega anche l’aumento delle violenze contro le donne?
«Certo. Lo stalker è un personaggio che ritiene di aver subito una grave offesa e la reazione è del tipo “o stai con me o non stai con nessuno”. Il trionfo di Narciso».
Odiare è diventato più facile?
«Vedo che in molti si struttura in un sentimento costante e convinto, mentre un tempo non era convenzionale odiare ed essere sempre arrabbiati con tutti e tutto. Oggi la diffusione dell’odio sembra essere l’espressione di una meticolosa sobillazione di marca sociopolitica. Consumare insieme l’odio e i suoi riti rinsalda i legami sociali, batte la noia e la solitudine: odiare insieme è l’alternativa al pregare assieme».
A proposito, sembra che la nuova religione sia diventata la scienza, nel senso che le si chiedono miracoli e anche immediati: il vaccino, l’abbattimento della curva dei contagi da Covid-19.
«Sì ma mi lasci dire una cosa: sono sei mesi che i virologi parlano, parlano, parlano e che cosa hanno in mano? Nulla!».

L'intervista allo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet realizzata da Roberta Scorranese per il Corriere della Sera continua a leggerla QUI.

02/02/09

Una civiltà decadente .



Probabilmente sull'argomento si sarà già riflettuto abbastanza, e ci saranno in giro chissà quanti trattati antropologici, ma è una cosa sulla quale - credo - non riflettiamo mai abbastanza. Un motivo della decadenza della nostra società - in particolar modo quella occidentale - è molto concretamente radicato nella nostra essenza biologica di esseri umani.
Mi spiego: fino a qualche generazione fa, l'infanzia e l'adolescenza avevano nella vita di un uomo una importanza temporanea straordinaria. Per molti secoli l'età media di vita di un uomo o di una donna non superava i quarant'anni o - quando andava bene - i cinquanta.

Di conseguenza, a causa della 'brevità' stessa della vita, l'infanzia e l'adolescenza occupavano la metà tonda o al massimo un terzo della vita di un individuo. E questo è quello che è accaduto anche a Gesù Cristo, che secondo il racconto evangelico, visse solo fino a 33 anni (anche se sappiamo che forse fu qualcuno di più, forse 36 o 37) e per il quale gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza - delle quali nulla o quasi sappiamo, se non brevissimi cenni in Luca - occuparono la metà della sua vita terrestre.

Con l'allungamento della vita, dovuto alle incredibili conoscenze scientifico mediche attuali, l'infanzia e l'adoloscenza sono diventate sempre più 'brevi' nell'economia di una vita. Se una persona vive oggi fino a 85 o 90 anni, l'infanzia e l'adolescenza non rappresenteranno che un 1/8 o 1/7 della sua lunga vita.
Questo aspetto comporta diverse conseguenze: la memoria dell'infanzia diventa sempre più 'lontana' nelle persone che vivono a lungo, inevitabilmente. E con lo smarrirsi di quei ricordi e di quelle emozioni, si smarrisce anche l'autenticità e la purezza di quello stato provvisorio del nostro corpo/psiche che, divenuto adulto, si è - per forza di cose - perduto.
Ecco perchè la nostra è una civiltà 'decadente': una civiltà nella quale i valori del nascente, di colui che nasce e che 'porta il nuovo' e che 'fa sembrare tutto diverso, tutto con occhi diversi' dura davvero troppo poco. Se fossimo capaci di trasportare anche nelle nostre lunghe - per fortuna - vite adulte, quella freschezza, quella innocenza, quella autenticità, non c'è dubbio che sarebbe davvero un mondo migliore per tutti.
Se fossimo capaci, come dice il Signore, di lasciare che quei bambini che eravamo venissero a Lui, e ritrovassero la forza di essere anche oggi quel che eravamo allora.

Fabrizio Falconi - 2009