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01/07/15

Beethoven, La Sonata a Kreutzer, il filo della Demonicità.

Francesco Jerace, Beethoven, Conservatorio di San Pietro a Majella, Napoli


Una volta, complice il romanzo di Tolstoj dallo stesso titolo, la Sonata a Kreutzer era una delle pagine più eseguite di Beethoven; oggi la sua fortuna è un poco calata anche rispetto ad altre Sonate per violino e pianoforte, forse proprio per quella letterarietà demoniaca imprestatole dallo scrittore russo con troppa sensibilità autobiografica.

Tolstoj infatti la prese a simbolo come potere seduttivo della musica, come rappresentazione di passioni che una persona per bene dovrebbe tenere al guinzaglio, ma che qui sono espresse con tale evidenza plastica che c'è il pericolo di abbassare i ripari, entrare in fase con quell'onda montante e divenirne complici, ahimé con tragiche conseguenze. 

Eppure quest'opera tutta slancio di sperimentalità non sembra molto adatta a sopportare pesi di natura morale; Beethoven annotò sul manoscritto, nel suo italiano approssimativo: Sonata scritta in uno stilo brillante molto concertante come d'un concerto, intendendo accentuare la componente "concertante" dove la platea, il pubblico sono necessari all'opera non meno del compositore; in realtà, come nella "Sonata patetica" per pianoforte gli premeva sopra tutto sgrossare un blocco compatto di travolgente energia, senza curarsi di dare al primo movimento un seguito coerente e conclusivo, e probabilmente è questo aspetto di forma abbozzata a grandi tratti, sdegnosa delle raffinatezze consuete alla musica da camera, che Tolstoj percepì come demonicità in atto.

Una testimonianza di queste connessione è ancora palpitante nella storica esecuzione di Adolf Busch e Rudolf Serkin riportata in vita in un cd della Naxos; il primo movimento, più che in esecuzioni recenti più "castigate", grandeggia in tutti i suoi colpi di scena, dall'introduzione lenta, quasi invocazione alla musa, alla vastità dell'Allegro, ondeggiante tra le sponde estreme della violenza e della cantabilità più seducente; Serkin e Busch s'incalzano e si aggrediscono, e con i mezzi di appena due strumenti sembrano produrre veri sollevamenti geologici di materia sonora; è come se Tolstoj li avesse sentiti anche lui, quando ha fissato il carattere passionale di questa sonata nel suo romanzo.

Giorgio Pestelli, La Stampa sabato 7 agosto 2004.