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04/08/21

Mogol spiega L'Arcobaleno, la canzone "dettata" dall'aldilà da Lucio Battisti



Non tutti probabilmente conoscono la storia della canzone L'Arcobaleno, portata al successo nel 1999 da Adriano Celentano, scritta da Gianni Bella e Mogol.  La riporto qui - nel racconto diretto di Mogol, assai godibile, in un video - non tanto per il valore artistico della canzone (che resta comunque una bella canzone di musica leggera italiana), ma per la storia - piuttosto esoterica - che nasconde e che ha incuriosito migliaia di persone  e non soltanto i fan del compianto Lucio Battisti, genio della musica pop italiana, morto davvero troppo prematuramente, nel 1994 e come si sa era molto amico sia di Adriano Celentano che di Mogol, suo paroliere per interi decenni. 

Qui di seguito il video della canzone:




28/01/16

Senso di colpa e peccato, Cristianesimo e Buddhismo.





Una delle vulgate più comuni di questi nostri tempi è quella che il Cristianesimo - ma si dovrebbe dire ancor di più l'ebraismo, di cui il Cristianesimo è figlio - è una religione fondata sul peccato e (quindi) sul senso di colpa. 

Nelle chiacchiere da bar, questa è diventata una affermazione che nessuno discute più e che anzi è uno dei motivi principali per i quali tanti cristiani - sarebbe meglio dire tanti battezzati - si avvicinano al buddhismo e alla pratica buddhista, che fra proseliti anche tra gli agnostici, confortati dal fatto di avere a che fare con una pratica che non mette "il dito nella piaga", che lascia liberi, che non condanna e non spaventa con scenari catastrofici di inferni e giudizi universali. 

Tralasciando qui il discorso sul Cristianesimo e sul fatto di come esso è percepito oggi, che ci porterebbe lontano, è il caso di sottolineare che nel buddhismo, il peccato (che non si chiama peccato) cioè il vivere male, vivere contro i precetti del bene, non è affatto un elemento secondario. Tutt'altro. 

(*) Ma che succederà dopo la morte, di colui che non ha riconosciuto l'Atman (in termini occidentali potremmo dire, lo Spirito) ? Che ne sarà dei buoni, che dei cattivi ? 
Il Rig-Veda della vita dell'oltretomba ci dà qualche accenno: i buoni andranno in un luogo di eterne delizie, i malvagi di pene eterne. 

Secondo le Upanishad, solo chi ha conosciuto l'Atman, morto, si assorbirà in esso, né più tornerà in questo mondo; ma chi non è riuscito  a squarciare il velame che ricopre l'Atman e a estinguere in sé il desiderio della vita e dei piaceri, colui rinascerà in altre forme e in altri mondi, di felicità o di infelicità, a seconda che in terra avrà bene o male operato. 

Finito il periodo di espiazione o premio, ritornerà in terra dove, o conoscerà l'Atman, e morto, si assorbirà in lui, né più rinacerà, oppure, NON conosciutolo, opererà bene o male, e saranno le sue opere (Karma) le artefici del futuro destino. 

Come si vede, le buone opere non ottengono la liberazione dal circolo dell'esistenza, ma procacciano soltanto un buon avvenire dopo morto; è la conoscenza dell'Atman che libera da quel circolo. 

E perché è necessario operar bene per non incorrere in un avvenire di dolori ? Perché chi opera bene rispetta se stesso nel suo prossimo e in ogni essere vivente, l'Atman occulto in lui essendo lo stesso di quello occulto di tutte le creature;  mentre chi opera il male offende nell'altro se medesimo, nell'Atman dell'altro il suo proprio Atman. (*)

Come si vede, anche nel Buddhismo non si fanno sconti. Ma forse in tempi come questi, semplicemente il non uso della parola occidentale 'peccato' è di per sé rassicurante.



Fabrizio Falconi

11/10/14

Vita oltre la morte: un recente studio da Southampton University.

Wings of Desire (Der Himmel über Berlin) Wim Wenders, 1987

Riporto questo articolo pubblicato da Corriere.it (Emanuela Di Pasqua) sul recente studio riguardo l'oltremorte realizzato dalla Southampton University.

La possibilità che la vita si estenda oltre l’ultimo respiro è una materia che è stata trattata ampiamente, spesso giudicata con aperto scetticismo. Le esperienze riportate dalle persone così fortunate da poterle raccontare sono state generalmente spiegate come allucinazioni dovute alla grave condizione psicofisica. 

È di questi giorni però la pubblicazione di uno studio inglese che comproverebbe il mantenimento di un certo grado di coscienza da parte di persone in arresto cardiaco. 

Per quattro anni i ricercatori della Southampton University hanno esaminato i casi di 2.060 persone, tutte vittime di arresto cardiaco, in 15 ospedali sparsi tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Austria. 

Secondo i dati in possesso degli studiosi inglesi, circa il 40 per cento dei sopravvissuti ha descritto esperienze coscienti provate mentre il loro cuore aveva smesso di battere. 

In cifre, dei 330 scampati alla morte 140 hanno raccontato di essere rimasti parzialmente coscienti durante la rianimazione. 

Singolare il caso di un assistente sociale cinquantasettenne di Southampton che ha raccontato di avere lasciato il proprio corpo e di avere assistito alle procedure di rianimazione dello staff medico da un angolo della stanza nella quale era ricoverato. 

L’uomo, benché il suo cuore si fosse fermato per tre minuti, ha raccontato nei dettagli le azioni dei medici e degli infermieri e ha ricordato anche i suoni delle apparecchiature mediche. 

Il particolare che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è stato che l’uomo ricordava i beep emessi da un particolare apparecchio, programmato per emettere segnali sonori ogni tre minuti

«Quell’uomo ha descritto tutto quello che è avvenuto in quella stanza - ha dichiarato Sam Parnia, direttore della ricerca -, ma la cosa più importante è che si è ricordato di aver udito due beep. Questo ci permette di comprendere quanto è durata la sua esperienza». 

Le altre testimonianze tendono a essere piuttosto uniformi nel loro contenuto. 

Un paziente su cinque ha sperimentato un inusuale senso di pace e circa un terzo dei 330 sopravvissuti ha assistito a un rallentamento o a una accelerazione del tempo. 

Alcuni hanno rammentato una forte luce simile a un flash o a un sole splendente, mentre altri hanno raccontato di una sensazione di paura di affogare e venire trascinati in acque profonde. 

Infine, il 13 per cento di coloro che sono stati rianimati ha ricordato delle esperienze extracorporee e un aumento delle percezioni sensoriali. 

Sam Parnia è uno specialista in anestesia e rianimazione, attualmente primario del reparto di Terapia intensiva e direttore del dipartimento di ricerca sulla Rianimazione presso la Scuola di Medicina della Stony Brook University di New York.

È considerato uno dei massimi esperti mondiali nel campo della morte, del rapporto mente-cervello e delle esperienze ai confini della morte. 

Dal 2008 Parnia fa parte del progetto AWARE, uno studio internazionale promosso da Human Consciousness Project al quale hanno aderito venticinque ospedali tra Europa e Nord America. 

Lo scopo del progetto è quello di verificare se le percezioni riportate da pazienti che hanno superato un arresto cardiaco possono essere provate.

11/10/12

Il neurochirurgo si risveglia dopo 7 giorni dal coma e racconta "quello che ha visto."



Il professor Eben Alexander era sempre stato scettico a proposito di vita ultraterrena e dei racconti di esperienze extracorporee che gli venivano fatti dai suoi pazienti. Ma da quando nel 2008 rimase in coma sette giorni a causa di una rara forma di meningite la sua opinione è parecchio cambiata. La sua storia è finita sulla copertina di Newsweek, ma anche in un libro intitolato significativamente "Proof of Heaven" ("La prova del paradiso", che uscirà il 23 ottobre), e racconta di un'esperienza durante la quale il medico cinquantottenne ha visitato quello che lui stesso definisce un luogo «incommensurabilmente più in alto delle nuvole, popolato di esseri trasparenti e scintillanti».

TRA LA VITA E LA MORTE - Una mattina dell'autunno del 2008 Alexander si svegliò con un feroce mal di testa e di lì a poco venne ricoverato d'urgenza in uno degli ospedali dove aveva lavorato, il Lynchburg General Hospital in Virginia. Qui gli venne diagnosticata una meningite batterica da Escherichia Coli, una patologia tipica dei neonati, che in poche ore lo condusse al coma. Per sette giorni il neurochirurgo statunitense rimase tra la vita e la morte e le frequenti TAC cerebrali e le accurate visite neurologiche dimostrarono una totale inattività della sua neocorteccia (nell'uomo rappresenta circa il 90 per cento della superficie cerebrale e viene considerata la sede delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria).

LA PROVA DEL PARADISO - Ma mentre Eben Alexander giaceva immobile e privo di conoscenza, sperimentava anche un vivido e incredibile viaggio destinato a cambiare la sua esistenza. Tutto ha avuto inizio «in un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte e stormi di esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia altrettanto lucente». Secondo Alexander catalogarli come uccelli o addirittura angeli non renderebbe giustizia a questi esseri che definisce forme di vita superiore. In questa dimensione, arricchita da un canto glorioso, l'udito e la vista sono diventate un tutt'uno. Come ha raccontato a Newsweek il medico americano: «potevo ascoltare la bellezza di questi esseri straordinari e contemporaneamente vedere la gioia e la perfezione di ciò che stavano cantando».

MILIONI DI FARFALLE - Per buona parte del suo viaggio Alexander è stato accompagnato da una misteriosa ragazza bionda dagli occhi blu, che l'uomo racconta di avere incontrato per la prima volta camminando su un tappeto costituito da milioni di farfalle dai colori sgargianti. Nella memoria del neurochirurgo la giovane aveva uno sguardo che esprimeva amore assoluto, ben al di sopra di quello sperimentabile nella vita reale, e parlava con lui senza usare le parole, inviando messaggi «che gli entravano dentro come un dolce vento». Eben Alexander ne ricorda tre in particolare. Il primo era «tu sei amato e accudito», poi «non c'è niente di cui avere paura» e infine «non c'è niente che tu possa sbagliare». Ma l'accompagnatrice del medico aggiungeva anche: «Ti faremo vedere molte cose qui. Ma alla fine tornerai indietro».

UN UTERO COSMICO - Proseguendo il cammino l'autore di Proof of Heaven è infine giunto in un vuoto immenso, completamente buio, infinitamente esteso e confortevole, illuminato solo da una sfera brillante, «una sorta di interprete tra me e l'enorme presenza che mi circondava. È stato come nascere in un mondo più grande e come se l'universo stesso fosse un gigantesco utero cosmico. La sfera mi guidava attraverso questo spazio sterminato». Non si tratta certamente del primo caso di quello che gli anglosassoni chiamano Near Death Experience (esperienze ai confini della morte), ma di certo turba il fatto che a raccontarla sia un affermato docente di neurochirurgia, da sempre dichiaratosi scettico al proposito. 
«Mi rendo conto di quanto il mio racconto suoni straordinario, e francamente incredibile - ha dichiarato Eben Alexander -; se qualcuno, persino un medico, avesse raccontato questa storia al vecchio me stesso, sarei stato sicuro che fosse preda di illusioni. Ma quanto mi è capitato è reale quanto e più dei fatti più importanti della mia vita, come il mio matrimonio o la nascita dei miei due figli».


10/08/12

A un filosofo americano 5 milioni di dollari per studiare l'immortalità.



Un professore dell'universita' dellaCalifornia a Riverside ha ricevuto 5 milioni di dollari per studiare i segreti dell'immortalita'. 

Lo annuncia lo stesso ateneo californiano, secondo cui la cifra e' messa a disposizione da una fondazione privata. I fondi sono stati stanziati dalla John Templeton foundation per il filosofo JohnFischer, che avra' tre anni per capire tutti gli aspetti dell'immortalita', comprese le esperienze di "quasi-morte" e l'impatto delle convinzioni religiose nell'aldila' sul comportamento umano. 

"Le persone hanno pensato all'immortalita' per tutta la storia - spiega Fischer - abbiamo un bisogno innato di sapere cosa ci succedera' dopo la morte. Molto del dibattito ha riguardato la letteratura, in particolare fantastica, e la teologia in termini di aldila', paradiso, purgatorio o karma. Nessuno ha ancora offerto uno sguardo complessivo al tema che metta insieme la scienza, la teologia e la filosofia". 

Meta' della cifra verra' impiegata per progetti di ricerca, spiega l'universita', mentre il progetto comprende anche due conferenze, la prima delle quali da tenersi alla fine del secondo anno, e un sito web dove seguire i progressi. 

fonte AGI

clicca qui per approfondire

26/10/11

La morte secondo Steve Jobs. Una riflessione.




Mi ha molto colpito leggere nei giorni scorsi l'intervista realizzata dal Corriere a Walter Isaacson, l'autore della corposa biografia di Steve Jobs conclusa pochi giorni prima della sua morte, e data alle stampe a tempo di record. Mi hanno particolarmente colpito i passaggi nei quali Jobs parla a cuore aperto della morte e dell'oltremorte, dei suoi dubbi e delle sue speranze.

Riporto i passaggi salienti. 

«E' fifty-fifty" mi diceva. "Cinquanta e cinquanta. A volte credo che Dio esista. A volte no. Vorrei credere nella vita ultraterrena. Ma ho il timore che alla fine ci sia solo un tasto on-off. Un clic, la luce se ne va. E tu non ci sei più. Per questo non mi è mai piaciuto mettere tasti di accensione sui prodotti della Apple"». i tormenti di Steve Jobs, il suo interrogarsi sull'aldilà. 

È la prima intervista concessa a un giornale italiano dopo aver consegnato all'editore (in Italia Mondadori) la sua biografia del fondatore della Apple. 

Abbiamo già letto molte anticipazioni del suo libro, ma poco del temperamento irascibile di Jobs, i tratti duri del suo carattere. Quanto a Dio, l'aveva evocato parlando di musica. Lui, che aveva riempito il suo iPod coi brani di Bob Dylan, i Beatles, Joan Baez, i Rolling Stones e Yo-Yo Ma, una volta disse al violoncellista franco-cinese: «Le tue esecuzioni sono la migliore prova dell'esistenza di Dio perché non credo che un essere umano da solo possa fare tutto questo». 

«Con me Steve cominciò a parlare di Dio man mano che prendevamo confidenza e che la malattia riguadagnava terreno. Non era paura, si interrogava: "Voglio credere nella vita ultraterrena" mi diceva, "perché questo fa parte della mia formazione buddista. Tutta la saggezza che hai accumulato, la tua conoscenza non svanirà nel nulla quando tu non ci sarai più". Poi, però, veniva assalito dal dubbio che alla fine della vita ci sia solo un "off switch"». 

Credo che sia difficile, molto difficile trovare una migliore esposizione, in poche righe - S.Jobs era del resto un uomo di intelligenza superiore - dell'impasse nel quale si dibatte e si ritrova l'uomo contemporaneo, di fronte ai cosiddetti ultimi: la morte, la vita dopo la morte, il senso della vita, il nulla o Dio.

Decaduto il principio di fede, persi per strada i cammini iniziatici, disintegrati i dogmi di qualunque tipo, l'uomo occidentale si trova sempre più in bilico tra speranza (cuore) e disperazione (ragione).  Tra voglia di affidarsi ad una speranza ultraterrena (Dio) e paura/terrore di un nulla profondo, tra annichilimento e permanenza di ciò che sei stato.

Il tasto on-off al quale si riferisce Jobs è quanto mai simbolico ed in effetti solo ora mi spiego perché le sue meravigliose diavolerie elettroniche non prevedano un tasto di spegnimento, ma solo un eterno stand-by. 

Il tasto dell'i-pod switcha e... basterà sfiorare nuovamente l'apparecchio perché la musica desiderata, la storia meravigliosa, torni a srotolarsi nuovamente dal punto in cui era stata interrotta.  Riporto qui un estratto dal libretto di istruzioni apple:

Spegnere iPod 
Non esiste un vero e proprio tasto Stop (spegnimento) per iPod. iPod può essere messo in pausa e dopo qualche minuto di inattività si spegne da solo, entrando in una fase denominata Sleep, seguita dalla fase Deep Sleep (dopo 36 ore di inattività). 


Metafora migliore, nessun mistico sarebbe riuscito a trovarla.

E forse non è un caso che a realizzarla sia stato il 'padrone dei sogni tecnologici', proprio lui.



12/01/11

Hereafter - Un capolavoro spirituale.



Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.


In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.


In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.


La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.


Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.


La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:

pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.


Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.


E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.


E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.


E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).


Ma davvero ?


Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.


Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.


Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.


Fabrizio Falconi

15/10/08

I nostri morti.

I nostri morti non ci hanno abbandonato. Se ne sono andati lasciandoci senza parole.

Avremmo voluto ancora dire loro qualcosa. Qualcosa che non siamo riusciti. E quella parola ci è rimasta dentro.

Immaginiamo i loro occhi che ci guardano di notte, ci sentiamo sfiorati quando meno ce lo aspettiamo. Li sentiamo mormorare parole indistinte, nella penombra.

I nostri morti si sono dileguati troppo presto. Hanno stabilito un vuoto nelle nostre vite. E qualche volta pensiamo di risolvere quel vuoto, non pensandoci. Invece, quel vuoto è sempre lì. E ogni giorno è sempre più vuoto, sempre più fondo. Nasconderlo, non serve.

I nostri morti ci chiedono di vivere
. Hanno nostalgia della vita. Ci chiedono di essere la loro prosecuzione su questa terra che hanno lasciato a fatica. Non soltanto perchè portiamo in giro i loro geni, il loro stesso materiale biologico, che è il nostro. Padri, madri, sorelle, fratelli, figli. Vivono separati da un vetro.

Ci osservano. Ci chiedono di interrompere il nostro insensato incedere di tutti i giorni. Di fermarci ad osservare le nostre vite fatte spesso di niente. Ci chiedono di fare loro spazio. Di non annullarli, di non far finta di niente, di non dimenticarli. Ci chiedono di portarli in giro, di far vedere loro il mondo ancora, e sempre, con occhi nuovi.

Ci proteggono. Ci mandano segnali. Noi non li sentiamo, quando siamo troppo presi, troppo indaffarati o indifferenti. Allora ci chiamano di nuovo, e ci mandano altri segnali. E ci proteggono quando non vogliamo ascoltarli, e siamo in pericolo. Sperano che ci accorgiamo di loro. Sperano che gli parliamo, ancora, e sempre, nel buio, nella pioggia del giorno, nelle giornate che non finiscono mai.

Ci aspettano. Vogliono essere con noi, insieme, nella ultima speranza che contiene ogni mistero, e che ci attende, alla fine di questo viaggio finito.