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15/03/18

La celebre foto di Benigni e Berlinguer: un ricordo personale.


Avevo 24 anni e quel giorno era un magnifico pomeriggio di giugno, quando Roma ancora non si era trasformata in una città dal clima sub-tropicale, con temperature a 40 gradi e siccità terribile. 

Sulla terrazza del Pincio soffiava il ponentino, e noi ragazzi - che frequentavamo Villa Borghese come il nostro magnifico jardin d'été - fummo attratti dai suoni amplificati di una band che provava un concerto sul palco allestito proprio dirimpetto alla balaustra del Valadier. 

Era per l'esattezza venerdì 17 giugno del 1983 e il Partito Comunista aveva organizzato diverse manifestazioni in giro per Roma, di cui questa al Pincio. 

Di lì a qualche giorno, il 26 giugno si sarebbe votato per le elezioni politiche, quelle che avrebbero visto un deciso calo della Democrazia Cristiana e il PCI quasi al 30 per cento (dopo quelle elezioni il presidente del Consiglio sarebbe diventato, per la prima volta, il socialista Bettino Craxi). 

Al contrario di come si è immaginato dopo quella celebre foto, c'era pochissima gente di fronte al palco in quel pomeriggio - non più di un centinaio di persone, perlopiù curiosi come noi che erano venuti ad assistere alle prove del concerto, in programma qualche ora più tardi. 

Sul palco c'era già però Roberto Benigni, che era già molto amato e che qualche anno prima, nel 1977, aveva interpretato il film diretto da Giuseppe Bertolucci, Berlinguer ti voglio bene

Benigni, come era suo stile, accorgendosi che già un po' di pubblico s'era radunato, mise in scena un ironico comizio di una decina di minuti, facendo sbellicare i presenti. Ma la vera sorpresa accade qualche minuto dopo. 

Successe infatti che sul palco si materializzò all'improvviso nientemeno che il segretario del PCI  Enrico Berlinguer, il quale in quei giorni di campagna elettorale girava per Roma visitando i diversi palchi allestiti in città.

Forse aveva promesso a Benigni - e al giovanissimo Walter Veltroni che aveva organizzato la manifestazione del Pincio e che si intravvede infatti chiaramente in piedi sullo sfondo nella fotografia - di fare una apparizione. 

Non appena Benigni lo scorse, di lato al palco, lo chiamò, lo fece venire al microfono di fianco a sé e disse, dopo avergli stretto la mano: “io vorrei prenderlo in collo ma lui non si farà prendere, sarebbe il mio sogno prendere in collo Enrico Berlinguer”. 


Così avvenne: sotto i nostri occhi stupefatti, subito dopo lo prese effettivamente in braccio per pochi secondi. Berlinguer non si sottrasse al gesto e sorrise di gusto allo scherzo del toscanaccio. 


La scena fu la fortuna di un paio di paparazzi, che si trovavano lì per l'occasione e che realizzarono una foto divenuta poi incredibilmente famosa, anche all'estero.

Enrico Berlinguer, protagonista della svolta "eurocomunista"" – aveva da poco portato il PCI, il maggior partito comunista nell’Europa occidentale, al miglior risultato mai raggiunto, il 34,4 per cento alle elezioni politiche del 1976. 

Era poi seguito, appena due anni più tardi il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse e il suo assassinio, che inaugurarono una stagione difficilissima per l'Italia e anche e soprattutto per la sinistra italiana. 

Berlinguer morì appena un anno dopo questa foto: l’11 giugno 1984, a Padova, dopo l'ictus che lo aveva colpito quattro giorni prima, mentre stava tenendo un comizio in piazza della Frutta. 

Si concludeva così, drammaticamente, una intera stagione politica. 

A noi, giovani di allora, aver assistito al bagliore - questo sì, assai romantico - di questo fecondo tramonto. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata.


21/02/18

Al MAXXI di Roma dal 16 marzo una Installazione per ricordare il rapimento e la morte di Aldo Moro.



In occasione del quarantennale della strage di via Fani, il MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXIsecolo rende onore alla memoria di Aldo Moro

 E lo fa attraverso lo sguardo di un artista, Francesco Arena: la sua opera 3,24 mq, che riproduce in dimensioni reali l'angusto spazio nel quale Moro fu tenuto prigioniero per 55 giorni, sara' esposta dal 16 marzo al 9 maggio (date del rapimento e del ritrovamento del corpo) nel cuore del museo, nella galleria che ospita la collezione permanente con ingresso libero dal martedi' al venerdi'. 

Durante i 55 giorni di esposizione - lo stesso del tempo della prigionia (tanti quanti furono quelli in cui lo statista democristiano rimase prigioniero delle Brigate Rosse prima che venisse ucciso e che il suo corpo venisse fatto ritrovare nel bagagliaio di una Renault Rossa parcheggiata nella capitale in pieno centro storico) - saranno organizzati incontri con storici, studiosi, giornalisti, scrittori: per non dimenticare.



Un'iniziativa particolarmente importante oggi, con la grave notizia che e' stata imbrattata da ignoti, con svastiche, la lapide commemorativa, in Via Mario Fani.

"Avevamo gia' in programma questa celebrazione, ma oggi piu' che mai ci sembra necessaria- spiega Giovanna Melandri, presidente della Fondazione che gestisce il museo delle arti e dell'architettura del XXI secolo - Anche un'istituzione come il MAXXI deve fare la sua parte per contrastare ogni segnale di imbarbarimento del clima culturale e sociale del nostro Paese. Ci auguriamo che vengano in tanti, soprattutto giovani, ad assistere agli incontri e a vedere con i propri occhi un'opera d'arte che ci fa rivivere in modo profondamente toccante uno dei momenti piu' tragici della nostra storia recente". 

fonte askanews e ansa

04/10/11

Corrado Guerzoni - "Il valore della parola" - Un ricordo.


A proposito di Corrado Guerzoni, scomparso l'altro ieri, a Roma, vorrei riportare qui un ricordo personale che risale al 1987.

Guerzoni era allora direttore di Radiodue, la seconda rete radiofonica della Radiorai - allora seguitissima - (incarico che ricoprì per 12 anni consecutivi) e conduttore in primis di quella fortunata trasmissione che si chiamava "Radiodue 3131".

"Radiodue 3131" era l'erede di quella trasmissione, "Chiamate Roma 3131", condotta all'inizio da Gianni Boncompagni e Franco Moccagatta (prima trasmissione il 7 gennaio 1969) che rivoluzionò completamente il mezzo radiofonico, con l'introduzione delle telefonate degli ascoltatori  (tutta l'epopea del 3131 dal 1969 al 1995, che ha attraversato l'arco di trent'anni cruciali nella storia italiana, è ricostruita in un prezioso volume scritto da Raffaele Vincenti, La prima volta del telefono, edito dalla RaiEri, con dvd, nel 2009).

Guerzoni - con la determinante partecipazione di Lidia Motta, geniale capostruttura della Rai di allora, e suo "braccio destro" - prese in mano la trasmissione nel 1982, cambiandone completamente l'identità.   Da trasmissione 'confidenziale', dal tono tutto sommato 'leggero',  3131, sotto la guida di Guerzoni si trasformò in un vero strumento di ricerca giornalistica.  Ogni argomento veniva affrontato da diversi punti di vista, con l'ausilio di tecnologie allora del tutto sperimentali - lo studio mobile, le radio-macchine, i collegamenti dagli angoli più remoti d'Italia - e con la ricerca di un dialogo con gli ascoltatori basato sul "valore della parola", come strumento creativo, di crescita personale (non di chiacchiera), di conoscenza e consapevolezza, in una parola di responsabilità.

Guerzoni era un giornalista.  Che veniva da una esperienza drammatica: quella di aver esercitato per diversi anni il ruolo di portavoce dell'on. Aldo Moro.  Dopo la sua barbara esecuzione da parte delle BR, Guerzoni lasciò la politica. Tornò al giornalismo e decise di farlo in un modo tutto suo: non gli interessavano tanto le notizie - gli interessavano anzi assai poco - quanto il nostro modo di osservare il mondo e di farne parte.  Era convinto che la parola fosse immedesimazione nell'altro, condivisione, possibilità e capacità delle anime di farsi dia-logo, di partecipare ad una comunità allargata, che si interroga e interroga le proprie ansie e le proprie questioni cruciali.

Guerzoni era un accanito lettore: pur essendo come egli si definiva "incompetente" teoricamente, amava leggere di tutto, poesia e prosa, filosofia e teologia, i classici.

Così, nell'estate del 1987, Guerzoni, insieme a Maurizio Ciampa - filosofo e conduttore del 3131 notte (altro luogo deputato alla sperimentazione comunicativa)  - pensò di provare a scrivere un testo, insieme a colleghi molto più giovani di lui.

Fummo "convocati" in 5: oltre a Ciampa, Francesco Malgaroli, Gabriella Mangia, Stefano Rizzelli ed io.

L'idea era quella di un "work in progress": non avevamo un canovaccio pre-stabilito. Non più di tanto. Guerzoni pensò di realizzare una serie di incontri nel suo ufficio di Viale Mazzini. Incontri nei quali noi lo avremmo sollecitato su questi temi - cosa vuol dire parlare con qualcuno, esiste una coscienza o una verità delle parole, come si può guardare nel cuore del prossimo, che cosa comporta che il mondo ormai sia un enorme luogo dove tutti parlano e quasi nessuno ascolta - e lui avrebbe risposto "a ruota libera"; come una specie di confessione, interrogandosi - lui per primo - sul senso del lavoro che faceva tutte le mattine, quando si accendevano i microfoni nella R7 di Via Asiago.

Ho un ricordo personale fortissimo di quegli incontri. Noi eravamo molto giovani, freschi di studi, e con la presunzione di sapere molte più cose di quelle che in effetti conoscevamo.  Guerzoni però si fidava ciecamente di noi.  Voleva darci questa chance di fare il libro insieme a lui, di vederlo crescere insieme.  Di firmarlo perfino insieme a lui.

Realizzammo parecchi incontri - non ricordo se sei, sette - e furono ore meravigliose.  Il Guerzoni che ricordo durante quegli incontri era per me piuttosto stupefacente. Pur parlando "a braccio" non fu mai, nemmeno una volta, banale.  Le sue riflessioni erano meditate e pacate, ma dimostravano i frutti di una ricerca personale colta e approfondita, sollevavano questioni primarie, per noi che iniziavamo a fare quel lavoro di 'interrogazione della realtà' che è e dovrebbe sempre essere il giornalismo.   Ci offriva, ci offrì la sua visione di quel mondo, che doveva essere prima di tutto 'morale', cioè rispondere ad un senso di responsabilità profonda: quello della in-violabilità del mistero dell'altro, che è sempre di fronte a noi, e che anche quando sceglie di aprire se stesso, la sua anima, i suoi pensieri, resta altro.

Confidava però molto nella capacità della parola di "cambiare gli uomini", e in definitiva di cambiare anzi il mondo. Era questa la speranza - o la fede, o tutte e due le cose insieme - che agitava il suo lavoro e la sua ricerca personale, sempre inquieta, alle prese con la apparente e angosciosa "irremediabilità" del mondo.

Il libro uscì l'anno seguente, pubblicato dalla SEI di Torino, intitolato "Il valore della Parola".

Aveva faticato molto a congedarsi dal libro, concedendo il "visto si stampi".  Nelle conclusioni finali, rendendosi conto che c'era già qualcosa che premeva urgentemente "oltre" il libro,  scriveva: Del resto è la vita che butta per aria i libri, è l'esperienza che facciamo ogni giorno e ogni sera che scompiglia le nostre idee, che soffia nei nostri sentimenti, nelle nostre azioni, nelle nostre reazioni, che ci espone al rischio insito nel vivere stesso."

Vivere, rischiare, esporsi, assumersi "la grave responsabilità" del parlare con la gente, con milioni di persone ogni giorno. L'intera esperienza di vita di Guerzoni - e l'eredità grande che ci ha lasciato a noi che abbiamo avuto la notevole fortuna di lavorare con lui - si è giocata tutta tra questi due apparenti estremi: vita e parola. 

Fabrizio Falconi



02/10/11

E' morto Corrado Guerzoni. Un maestro.



E' scomparso stanotte Corrado Guerzoni, storico direttore di Radiodue e conduttore di una delle più popolari trasmissioni della Radio (Radiodue 3131).

A quello che considero un vero maestro (un Direttore vero, sperimentatore, giornalista, valorizzatore di giovani, persona profondamente umana), dedico questo ricordo, sicuro di condividerlo con molti che gli sono oggi, in un modo o nell'altro, debitori.