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24/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 3. "ll 13 cristiano." (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

3.  IL 13 CRISTIANO

Abbiamo parlato di coppie di numeri. Ma se i numeri sono archetipi, la loro importanza può trascendere anche il contesto strettamente matematico, rivestendo un significato puramente simbolico.
Un numero a se stante, può essere cioè considerato un simbolo – raffigurazione di figure inconsce – e legarsi ad una tradizione religiosa.
Come sappiamo, nella storia del Cristianesimo e nei suoi stessi fondamenti (i libri Sacri), ricorrono alcuni numeri particolarmente significativi che sono stati di volta in volta variamente interpretati.  Pensiamo per esempio al 70, al 7, o al 666, legato alla figura della Bestia nell’Apocalisse di Giovanni e quindi al Diavolo,  a Satana.
Ma c’è un altro numero che sembra fondare l’intero edificio cristiano: per alcuni  numerologi esso  è il 13.
Bisogna ovviamente precisare che per i credenti non vi è alcun bisogno di ricorrere a teorie numerologiche.
Ma l’attenzione a certi particolari prescinde anche la fede.
Citiamo, a volo d’uccello:
- Gesù chiama a sè 12 apostoli (Matteo 10,1-26). Quindi su 1+12 si basa la fondazione del messaggio di Cristo.
- Sono sempre 12+1 nel momento dell’Ultima Cena (Marco,14,22), cioè quando a tutti gli effetti nasce la Chiesa.


- Sono ancora una volta in 13 (12+1: i dodici apostoli con Maria, al posto di Gesù), quando lo Spirito Santo scende su di loro, e Maria Vergine diventa Madre della chiesa universale (Atti, 2,1).
Da un certo momento in poi, la storia del numero 13 si associa inoltre a quella di Maria, la madre di Gesù e alle sue apparizioni.

Per rimanere a quella forse più famosa, a Fatima, la Madonna si presentò ai tre bambini dal 13 maggio al 13 ottobre del 1917, ogni mese, e cioè 13 maggio, 13 giugno, 13 luglio, 13 agosto, 13 settembre e 13 ottobre (con il miracolo del sole danzante di fronte a una folla di 70.000 persone).


Giovanni Paolo II, a cui Suor Lucia, unica sopravvissuta dei tre bambini di Fatima affidò i celebri tre segreti, viene colpito in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, cioè lo stesso giorno e lo stesso mese della prima apparizione di Fatima(precisamente alle h.17.17).


Di fronte a queste singolari coincidenze, c’è chi intravvede un segno divino, chi un puro caso, chi vi ritrova perfino i segni di un complotto per irretire le masse (basta indagare il web per trovare anche chi è disposto a ipotizzare un complotto dei Lupi Grigi e di Ali Agca in realtà assoldati dai servizi segreti vaticani o da chissà chi per compiere un attentato nel giorno della Madonna di Fatima).
Insomma, la materia è altamente aleatoria e come recita un famoso proverbio indiano:   
Più l’evidenza di un mistero si fa eclatante, più aumenta il chiasso degli uccelli, scrisse una volta un saggio.


L’ultimo fotogramma di queste coincidenze riporta la morte di Suor Lucia, avvenuta, naturalmente il 13 febbraio 2005.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (3/ segue) 

20/02/14

Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)




Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)

Una straordinaria apertura del cuore e del pensiero caratterizza tutta l’opera di Florenskij.  Cuore e pensiero vanno di pari passo, nella ricerca incrollabile di una vita. Forse mai più precisamente che in  questo passo qui di seguito – nel quale descrive la sua passione giovanile per lo studio dei fiori – Florenskij enuncia lo scopo spirituale che lo ha sempre animato:
      In ogni fibra… vedevo e volevo vedere, cercavo di vedere, credevo di poter vedere l’anima, l’unica essenza spirituale.  E perciò, quanto ferma era la mia certezza che il corpo non fosse solamente corpo, solo un’inerte materia, solo qualcosa che si vede, tanto ferma era la certezza opposta dell’impossibilità, dell’inutilità della presunzione di vedere quell’anima incorporea, spogliata del suo velo simbolico… Il positivismo mi disgustava, non meno, però, mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma volevo vederla incarnata. (10)

E questa visione sempre duale, e quindi complessa, della realtà e della verità si traduce anche in una concezione del cristianesimo che – tenendo conto della lezione di Tolstoj – guarda oltre il contingente e il presente: Il cristianesimo, scrive Florenskij, non vive di concetti fissi e intangibili, ma si manifesta in un processo evolutivo che non è riconducibile ad alcuna delle formule (riti sacramentali, formulazioni dogmatiche, regole canoniche, conformazione temporale dell’ordinamento ecclesiastico) che l’ecclesialità assume nel corso della storia.  (11)

La fede, la fede in Cristo, è sperimentabile, secondo Florenskij in ogni evenienza della vita, in ogni circostanza.  Egli si lascia ispirare profondamente dall’apostolo Paolo, ed è “convinto di poter fare l’esperienza viva di fede e di lavorare per la diffusione del Regno di Dio in ogni situazione di vita e in ogni condizione esterna, anche quella di opposizione politica” (12).  

Non si spiegherebbe altrimenti la determinazione di Florenskij, durante la terribile, lunga prigionia,  a non lasciarsi andare, a mantenere la fiducia – ad incoraggiarla, anzi, nei famigliari che lo attendono invano a casa – ad accettare la vessazione e la segregazione che gli vengono imposte cercando un senso anche in questa sofferenza.  E’ il motivo per il quale rifiutò perfino la possibilità, quando già era detenuto nello SLON delle Solovki, di emigrare in Cecoslovacchia, insieme alla sua famiglia, opzione che fu accettata di buon grado da altri intellettuali che si trovavano nelle sue stesse condizioni.
      Sarebbe ora che tu capissi, scrive al figlio Vasilij  il 23 novembre del 1933,  che tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in ultima analisi, la vita si dirige verso il meglio. I dispiaceri, nella vita, non si possono evitare; ma i dispiaceri sopportati consapevolmente e alla luce degli avvenimenti generali ci educano e arricchiscono e, in seguito, portano i loro frutti positivi. (13)

Ma è la visione di quell’oltre, di quella sostanza oltre l’apparenza, a rendere possibile l’identificazione di un senso, che rendono plausibili e sopportabili anche il dolore, i dispiaceri, le privazioni; la sensazione che una nuova luce, quella che non vediamo annebbiati come siamo dalle vicende della nostra condizione umana, una nuova luce verrà a capovolgere le nostre parziali convinzioni, le nostre parziali oscurità: Non è possibile il minimo dubbio, scrive,  riguardo a quanto è detto giustamente della vita eterna nell'Apocalisse di Giovanni: “Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di loro" (22,5). Questo non si può intendere se non della luce vera sensibile con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati. (14)
        
Una delle ultime foto di Florenskij (quella posta in testa a questo articolo N.d.A.) lo ritrae seduto alla scrivania nel laboratorio della stazione dei ghiacci presso il BAMLAG (la sigla è l’acronimo inglese Baikal Amur Corrective Labor Camp del corrispettivo russo) a Skovorodino, nel 1934. 

Alla luce di una debole lampada, di fronte al microscopio protetto da una campana di vetro, il volto di Florenskij appare fortemente dimagrito, gli zigomi sporgenti, ma lo sguardo è quieto e determinato, e un foglio di calendario pieno di annotazioni, che campeggia sulle pareti alle sue spalle è il segnale di un lavorio continuo, nonostante il gelo della Siberia, nonostante la fame, nonostante tutto. Gli schizzi dell’epoca, ritrovati, sono zeppi di disegni, appunti, formule matematiche.

(4./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

  
10.     Pavel A. Florenskij, Ai mie figli, op. cit. pag. 154
11.      A. Maccioni, Florenskij e Bulgakov nella storia di un prodigio, in Slavia, XVII,2,2008, pag. 39    
12.        Così i curatori Natalino Valentini e Lubomir Zak in Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi,  op.cit.  nota a pag. 83        
13.       Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit. pag. 76

05/03/13

Diretta dal Conclave 2. - Profezia di Malachia e "Pietro II".




E' inevitabile, per i cultori del genere, ripensare in questi giorni di avvicinamento al Conclave, alla Profezia di Malachia (sulla quale anche i giornali e i media si eserciteranno non poco in questi tempi, magari anche a sproposito), il testo medievale pubblicato per la prima volta nel 1595 e attribuito a San Malachia, vescovo e monaco benedettino irlandese vissuto nel XII secolo. 

E', come si sa, un testo molto discusso e la cui autenticità è stata messa in dubbio molte volte nel corso dei secoli, nel quale sono indicati 111 papi per altrettanti pontefici a partire da Celestino II che fu eletto nel 1143. 

Facendo i debiti conti, Benedetto XVI è l'ultimo papa della lista.  

O meglio il penultimo. Perché la profezia si conclude non con un motto, ma con una frase enigmatica e terribile che descrive l'avvento dell'ultimo Papa, indicato come "Pietro II", in questi termini:

In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, civitas septicollis diruetur, et Judex tremendus iudicabit populum suum. Finis. 

ovvero: 

Durante l'ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa siederà (un/il?) Pietro (il?) Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta ed il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.

QUI si può leggere l'elenco completo dei motti relativi ai diversi papi della storia alcuni dei quali, come i recenti de medietate lunae per Giovanni Paolo I e de labore solis per Giovanni Paolo II sono veramente impressionanti per i significati simbolici ai quali possono essere associati. 

Qualche anno fa poi, uno scrittore indiano Schmeig Maria Olaf, ha messo in relazione - in uno dei libri più interessanti sull'argomento, sotto forma di romanzo, pubblicato dall'editore Fazi  - la profezia con i tondi papali cioè i ritratti dei Papi esposti nella trabeazione interna della Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma. 

E' un tema sempre pieno di fascino, quello della profezia.  E non è un caso che torni di attualità oggi, un periodo in cui tornano a scorrere istanze millenaristiche o pre-apocalittiche, in diversi ambiti contemporanei. 

Potrà allora sembrare suggestivo constatare che sono almeno CINQUE i cardinali elettori - quelli che parteciperanno al prossimo Conclave, che saranno in tutto 115 -  i quali hanno, come nome di battesimo all'anagrafe, il nome di PIETRO. 

Eccoli.

Peter Kodwo Appiah Turkson, ghanese.
Péter Erdő, ungherese
Tarcisio Pietro Evasio Bertone, attuale Cardinale Camerlengo
Christoph Maria Michael Hugo Damian Peter Adalbert Schönborn, arcivescovo di Vienna.
Odilo Pedro Scherer, brasiliano.

La cosa interessante è che non si tratta di 5 Cardinali qualsiasi, ma di 5 tra i più 'quotati' in assoluto, in queste ore.

Vedremo dunque, se sarà eletto proprio un nuovo 'Pietro'.

Nel qual caso, qualcuno forse comincerà a interrogarsi..

Fabrizio Falconi.