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25/10/21

La meraviglia della Galleria Prospettica del Borromini a Palazzo Spada


La magica prospettiva di Borromini e il piano nobile di Palazzo Spada.
 

Quello che per tutti i romani è Palazzo Spada, in Piazza di Capodiferro, prese il nome con cui è conosciuto oggi soltanto a partire dal 1632 quando il cardinale Bernardino Spada lo acquistò per quasi trentaduemila scudi dalla famiglia Capodiferro che per iniziativa di uno dei suoi membri più illustri, il cardinale Gerolamo, lo aveva fatto costruire nel 1540 su progetto dell’architetto Giulio Merisi da Caravaggio. 

Il cardinale Spada trasformò totalmente il Palazzo rendendolo una vera e propria reggia, degna del potere che quella famiglia rappresentava nelle gerarchie papaline dell’epoca. 

L’architetto al quale Bernardino Spada si rivolse fu nientemeno che Francesco Borromini, il genio più grandioso ed eccentrico di quegli anni, carattere tempestoso e irrequieto sempre preda dei suoi fantasmi e della sua febbrile creatività. 



Fu Borromini a creare quella stupefacente galleria prospettica che ancora oggi rappresenta una delle attrattive della visita ai Palazzi di Roma, come dimostrano anche le continue citazioni cinematografiche, con quel colonnato nel quale le pareti convergono mano a mano che si avanza, il pavimento sale, i quaranta riquadri del pavimento si impiccioliscono insieme alle colonne: quando si giunge al termine della galleria si scopre infatti che l’ultima colonna è alta soltanto un metro e mezzo, meno della metà rispetto alla colonna della prima fila, e che quella galleria che vista dall’esterno sembra lunghissima – almeno cinquanta metri – si percorre invece in appena dieci passi. 

E’ un gioco prospettico, una illusione ottica inventata da Borromini che dovette divertire e non poco il suo committente, con quella statua del dio Marte, collocata in fondo alla galleria, alta soltanto sessanta centimetri. 



E’ solo una delle molte invenzioni del genio ticinese: molto si è scritto su un Borromini esoterico, a causa di quella incredibile propensione a giocare con i simboli e le forme che ne hanno fatto uno dei protagonisti più grandi del Barocco. 

Ma le attrattive e i segreti di Palazzo Spada non si esauriscono con la formidabile bizzarria borrominiana. 

Oggi il celebre palazzo ospita la splendida Galleria di dipinti dove si possono ammirare Guido Reni, Guercino, Andrea Del Sarto, Brueghel, Parmigianino e tanti altri, ma anche il grandioso piano nobile occupato dagli uffici del Consiglio di Stato che è attualmente visitabile solo la prima domenica del mese. 

Qui è tutto una esplosione di decorazioni a stucco e pitture che insieme alle finte prospettive architettoniche del Salone di Pompeo, alla Sala delle Quattro Stagioni e al Corridoio della Meridiana testimoniano la grande passione del Cardinale Bernardino Spada per l’astronomia e per l’ottica. 

In particolare in quest’ultimo – il Corridoio della Meridiana – è possibile ancora oggi misurarsi con la geniale invenzione del gesuita Emmanuel Maignan (nato a Tolosa nel 1601): una specie di meridiana alla rovescio, ottenuta attraverso il riflesso della luce del sole che, filtrando attraverso una finestrella, colpisce la superficie di uno specchio inclinato e rimbalza sul soffitto dove sono disegnati i simboli celesti zodiacali. E’ solo una delle tante meraviglie segrete di quello che è stato definito il palazzo storico più bello d’Italia.



19/11/20

La Bellezza incredibile dell'Italia: In tempo di Covid-19 Nasce un Museo Virtuale con le immagini più belle

 


Uno spazio virtuale che racconta e promuove la bellezza del Belpaese attraverso 20 gallerie fotografiche, una per ogni regione: e' 'Dua Foto Italia', un progetto pensato dal giovane programmatore Juljan Kaci nel suo laboratorio senese durante i giorni di isolamento imposti dal primo lockdown nazionale. 

Si chiama Duafoto-Italia questo nuovo spazio espositivo virtuale, interamente dedicato alla fotografia contemporanea, che nasce per raccontare il Bel Paese (clicare sul sito https://www.duafotoitalia.it/). 

Un viaggio nella bellezza che attraverso 20 gallerie, di regione in regione, propone luoghi, persone, tradizioni, stili di vita che hanno reso il “made in Italy” grande nel mondo

Juljan ha iniziato con una galleria dedicata alla citta' di Siena e pubblicata sul suo sito web: non solo monumenti, ma anche paesaggi e frammenti di vita. Poi la decisione di coinvolgere l'intero territorio nazionale. 

Il prodotto finale e' un museo virtuale in continuo allestimento, dove i fotografi, in maniera gratuita, possono pubblicare i loro scatti, aggiornando ogni volta un racconto contemporaneo del rapporto tra uomo e paesaggio. Cliccando su ogni singola fotografia e' possibile avere accesso alla scheda dell'autore e al suo profilo personale. 

Fonte: ANSA

19/05/20

Libro del Giorno: "Foreste" di Robert Pogue Harrison


Un saggio meraviglioso, pubblicato da Robert P. Harrison nel 1992 e divenuto in breve un classico, dove ecologia, letteratura, filosofia, antropologia e destino umano si fondono mirabilmente.
Riporto qui sotto la recensione/intervista di Enrico Regazzoni per Repubblica: 


"L' ordine delle cose umane procedette: che prima furono le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città, finalmente l' accademie". E' Vico, con la sua Scienza nuova, a far da epigrafe al libro dello studioso americano Robert Pogue Harrison: quel Foreste che è appena apparso da Garzanti (pagg. 273) e che, con una tempestività perfino imbarazzante, fa coincidere il lavoro silenzioso della riflessione storica con gli echi assordanti della cronaca. 

Mentre a Rio de Janeiro i politici promettono pietà per il patrimonio forestale, Foreste ci ricorda che quel patrimonio è anche e soprattutto culturale, che alle radici dei boschi è saldamente ancorato tutto il pensiero dell' Occidente, in un rapporto complesso, fitto di negazioni e riconoscimenti, ma certo così profondo da non poter essere impunemente violato. 

Nato a Smirne trentott' anni fa, da padre americano e madre italiana (che ha fra l' altro una sede a Firenze), Harrison insegna letteratura italiana alla Stanford University e ha una vaga somiglianza fisica con Sam Shepard. 

Fa una certa impressione dissertare con lui delle zone d' ombra che le foreste hanno creato e protetto nel nostro immaginario: non foss' altro perché i docenti anglosassoni ci hanno abituato a una saggistica più attenta alle risposte che alle domande.

Mentre lui - mal celando trascorsi heideggeriani - si è aperto fra i rovi un percorso tutto suo, in un viaggio imperfetto, appassionato, solitario. 

Un viaggio iniziato per caso, sette anni fa, quando le foreste in rovina erano ben lontane dai nostri incubi e dalle prime pagine dei giornali. 

"Tutto è accaduto in modo involontario", spiega con modestia. "Volevo approfondire il ruolo del bosco nella letteratura medievale, e lentamente ho scoperto questo ruolo nella letteratura d' ogni tempo. E mi sono stupito che nessuno, prima di me, se ne fosse occupato"

Come mai ha scelto Vico per nume tutelare? In fondo Vico guarda alle foreste come qualcosa in cui occorre aprirsi un varco, per potersi insediare e piantare l' albero genealogico. 
"Certo, ma proprio per questo Vico mi ha fornito l' idea di un rapporto antagonistico, e non di beneficenza fra l' uomo e la foresta. E poi La scienza nuova è un trattato che si avventura nell' immaginario più primitivo dell' Occidente e cerca di trovare le origini metaforiche del pensiero e della conoscenza poetica. Da qui, ho pensato di fare una storia poetica e non empirica del nostro immaginario". 

Ecco, partiamo dalla parola "primitivo". Il libro esordisce con l' affermazione che la foresta è "prima" di tutto. 

"E' vero, e lo è in senso letterale. Il mondo occidentale è all'origine fitto di boschi, e ogni insediamento umano nasce da un disboscamento. I limiti dell' insediamento restano però affidati al bosco, che circonda la civiltà e le conferisce topograficamente il ruolo di centro". 

Lei scrive che questo confine fra città e foresta viene perfettamente sceneggiato dalla tragedia classica. In che senso? 

"Prima del cristianesimo, e quindi del monoteismo, la tragedia è uno scontro fra diverse leggi, ciascuna con una sua legittimità. Non è il male contro il bene: la natura ha una sua legge, del tutto legittima, e la città ne ha un' altra, altrettanto legittima. Nella mia lettura Dioniso, che è il dio della foresta, esce dal bosco per imporre alla città la legge più antica, che è la sua. E la legge più antica prevale su quella più recente". 

Con la latinità questo antagonismo sembra placarsi. Le Metamorfosi di Ovidio teorizzano un' osmosi fra legge umana e legge naturale, un processo di trasformazione che le accomuna. 

"In Ovidio c' è un materialismo che livella la natura delle cose. Ma io mi domando se ciò non nasconda anche la nostalgia per una natura già perduta. In Virgilio, senz' altro, c' è il rimpianto per una civiltà agricola che è stata spazzata via dalla città. Ma anche nella latinità, l' idea di foresta resta almeno doppia. Romolo, il fondatore della città, è una creatura boschiva per eccellenza. Allattato da una lupa, fa nascere Roma in una radura e i primi romani li chiama "i rifugiati della foresta. Chi decide di diventare romano deve insediarsi nella radura e accettare il confine della foresta, oltre il quale è la res nullius. Quindi la foresta è un' origine continuamente fuggita e ritrovata, in un rapporto molto ambiguo". 

Questo rapporto diventerà più chiaro nell' età medievale. 

"Ma la doppiezza resterà. Allegoricamente, la foresta medievale è la selva oscura di Dante, il luogo del peccato, dell' alienazione da Dio. Ma proprio Dante, alla fine del suo viaggio, si ritroverà in un giardino terrestre, la selva antica che è la stessa selva di prima, ma più umanizzata, liberata dagli animali selvaggi. Prima di Dante, nei romanzi cavallereschi la foresta è invece il luogo dello sconosciuto, del pericolo: il cavaliere deve affrontarla per liberare la città dalla minaccia". 

Ma Robin Hood vive nella foresta... 

"E infatti è un fuorilegge, anche se rappresenta una legge più vera di quella di corte. Con lui, avviene un capovolgimento dei punti di vista che trasforma la foresta nel luogo del comico, dell' ironia. Ma i racconti di Robin Hood hanno comunque un lieto fine, in cui il fuorilegge è perdonato e riaccolto nella città". 

E Boccaccio? C' è una foresta boccaccesca? 

"Certo. Da par suo, Boccaccio vedrà nella foresta il regno del desiderio, il luogo dove tutto può venir sottratto senza tener conto della volontà del soggetto. Nella terza novella della quinta giornata del Decamerone, ci sono due ragazzi che vogliono sposarsi, Pietro e Agnolella. Spinti dal desiderio, fuggono nel bosco. Entrano vergini nella foresta, e quando ne escono non lo sono più, pur non avendo fatto l' amore". 

E quand' è che il bosco diventa l' albergo della follia? 

"Fin dall' inizio. Fin da Gilgamesh, se vogliamo, che è la più antica opera letteraria della storia. Ma soprattutto con l' Ivano di Chrétien de Troyes, con l' Orlando... La foresta come luogo di follia è un tema tipicamente medievale: nel bosco la mente è buia, non raggiunta dalla luce divina. Per Descartes sarà qualcosa di analogo, la foresta come fuga dalla ragione, come ambito supremo della confusione dove il metodo non può aver presa".
Cerchiamo di riassumere. Ci sono come due strade del pensiero: una si fonda sull' antagonismo, l' altra sulla nostalgia. La prima collega Socrate a Descartes, la seconda Virgilio a... 

"A Shakespeare, ai romantici. Di Shakespeare è la prima domanda ecologica della storia. ' Chi può costringer la foresta a prestar servizio come soldato arruolato?' , si chiede Macbeth, il nemico della legge naturale. La foresta che muove contro Macbeth è la vendetta della natura. Shakespeare ci avvisa che se distruggiamo la natura compiamo un' autodistruzione". 

31/10/19

Il fascino immortale della Basilica di San Clemente a Roma




Il fascino immortale di San Clemente
di Fabrizio Falconi
  

Sigmund Freud una volta paragonò Roma ad una entità psichica. E se davvero, secondo la geniale definizione del padre della psicanalisi, dovessimo esaminare Roma come una serie di strati psichici sedimentati, come dentro la mente di un uomo, i sotterranei delle chiese dell’Urbe rappresenterebbero un efficace compendio di questa descensus ad inferos che ognuno sembra chiamato a fare prima o poi, volente o nolente nella propria vita.

E forse non esiste luogo a Roma che simboleggi meglio questo, della meravigliosa Basilica di San Clemente, la cui storia abbraccia quasi duemila anni di storia.

Eretta prima del 385 d.C. e dedicata a San Clemente, il terzo papa dopo San Pietro, l’edificio si compone di due Chiese sovrapposte, sorte a loro volta sopra costruzioni romane d’epoca post-neroniana, anch’esse composte di vari strati.


La chiesa superiore dalla quale si accede oggi dall’ingresso laterale in via S. Giovanni in Laterano, risale al XII secolo, e la costruzione si deve al cardinale Anastasio, titolare tra il 1099 e il 1121.

Il sontuoso interno a tre navate non è facilmente descrivibile per la quantità di tesori che vi sono ospitati, dalla Schola Cantorum del secolo XII al meraviglioso recinto marmoreo a plutei e transenne con lo stemma di papa Giovanni II (532-35 d.C.); dal grandioso mosaico del Trionfo della Croce nell’abside fino ai celeberrimi affreschi di Masolino da Panicale (risalenti al 1431) nella Cappella di Santa Caterina.


La chiesa inferiore invece, alla quale si accede dalla sagrestia, ospita affreschi ancora più antichi e preziosissimi, risalenti al IX secolo avanti cristo, compresa la famosa Leggenda di Sant’Alessio, il quale partito di casa il giorno delle nozze, torna dopo una lunga penitenza a chiedere ospitalità al senatore Eufemiano, consegnando poi la storia della sua vita al Papa.

Giunti all’altezza delle antiche absidi, quelle della basilica inferiore e della basilica superiore sovrapposta, si scende ancora più in basso, alla profondità delle costruzioni romane, del tempo dell’Impero, dove si possono ammirare due stanze decorate di nicchie e di stucchi e al celebre Mitreo, il santuario nel quale si adoravano le divinità importate dall’Oriente, al centro del quale troneggia una ara di marmo ornata sulle quattro facce da rilievi raffiguranti le diverse fasi del culto.

Scendendo ancora nelle profondità della Basilica di San Clemente si avverte perfino  il rumore dell'acqua che scorre nel ventre della terra, scorgendone i riflessi nell’oscurità più fonda, quando si arriva ancora più sotto del livello del mitreo, anima ancestrale sottostante la basilica, e si pensa per analogia al viaggio che è possibile compiere dentro il mistero interiore.

Strato su strato, profondità dopo profondità, e ripensando all’analogia di Freud, ciascuno di noi sa che nella vita è dato scoprire parti di se impensate o sconosciute.  La maggior parte delle volte, ciò avviene per imponderabili cause esterne: crisi, lutti, innamoramenti, conflitti passioni o lacerazioni.

Allora pensiamo, o siamo portati a credere che qualcuno si stia impossessando di noi. Ma non è qualcun altro: siamo soltanto noi, sempre noi. Le parti di noi, che come quei territori oscuri della Basilica di San Clemente, è difficile esplorare (essendo del resto in notevole parte sbarrati ai visitatori, un pericoloso reticolo sotto-urbano che mette o metterebbe in comunicazione i resti e gli strati della Roma antica).


Questi territori labirintici e ombrosi sono fatti di pietre, di rovine che a loro volta servono da fondazione.  L'equilibrio è molto delicato: l'equilibrio tra pieno e vuoto rende possibile la sospensione dell'edificio – e allo stesso modo della individualità.  Quando c'è uno smottamento, tutto rischia di crollare. Bisogna correre ai ripari con un restauro, l'apertura di ponti, di travi e di sostegno.

Anche se siamo noi a muoverci, e sempre e soltanto noi anche quelle zone oscure,  quei recessi nascosti al sole del giorno, in molti si dicono convinti che il nostro quartiere più remoto e profondo, sia abitato da qualcos'altro.


E’ questa la grandezza di Roma.  E’ questo che la rende unica al mondo, è questo che la fa parlare al cuore di ognuno di noi.






28/03/19

Torna a risplendere Santa Maria del Priorato, capolavoro e tomba del Piranesi sull'Aventino .

Il complesso della Villa del Priorato all'Aventino

Il bianco che si unisce all'ocra in una delicata e affascinante cromia. Il gioco delle ombre che restituisce la profondità e fa risaltare ogni figura sulle pareti, nelle nicchie e nella volta maestosa. E poi l'estrosa vivacità delle decorazioni, in cui tradizioni millenarie si rincorrono con i propri simboli. 

Colpisce per la sua straordinaria commistione tra simmetria e varietà la Chiesa di Santa Maria in Aventino a Roma, unica opera architettonica realizzata da Giovanni Battista Piranesi, che un accurato restauro conservativo voluto dall'Ordine di Malta ha riportato al suo splendore originale. 

La chiesa, realizzata tra il 1764 e il 1766, costituisce la rappresentazione tridimensionale del genio visionario di Piranesi, incisore e disegnatore ma anche pregevole architetto: ora, grazie al restauro, sara' fruibile anche dal pubblico, perche' l'Ordine ha deciso di aprirla ogni venerdì e almeno un sabato al mese rendendola disponibile per visite guidate.

In un trionfo di arte barocca e neoclassica, l'edificio sacro presenta decorazioni che riuniscono elementi dell'iconografia etrusca, romana e dell'antico Egitto, ponendoli in relazione con i simboli dei Cavalieri di Malta e della loro missione. 

Con l'altare dominato dalla figura di San Basilio in gloria, il patrono dell'Ordine di Malta, basta guardarsi intorno per scoprire un susseguirsi di simboli delle imprese militari e navali dell'ordine religioso accanto a ghirlande di alloro, serpenti, crani, torce a testa in giu', sarcofagi mortuari.
La facciata di Santa Maria del Priorato

Fu il cardinal Giovanni Battista Rezzonico, Gran Priore dell'Ordine e nipote di Papa Clemente XIII, a commissionarne a Piranesi il rinnovamento: in questo luogo di culto l'artista veneto si espresse con estro e magnificenza, disegnando e poi realizzando ogni minimo dettaglio, quasi a voler creare qui il suo testamento architettonico e spirituale

Situata accanto alla splendida Villa Magistrale (dove hanno sede il Gran Priorato di Roma e l'Ambasciata dell'Ordine presso la Repubblica italiana) in un complesso bellissimo con una vista mozzafiato su Roma (sono state 7000 mila le persone che lo hanno visitato nelle Giornate del Fai), ora con questo restauro - un lungo lavoro di pulitura, di consolidamento e ripristino iniziato nel 2017, con un ponteggio di oltre 900 mq - la Chiesa ritrova intatta la sua bellezza.

Il cenotafio di Giovan Battista Piranesi a Santa Maria del Priorato

Gli interventi (finanziati dalla Fondazione Roma e in parte anche dall'Ordine stesso) hanno riguardato sia gli ambienti interni che la facciata esterna. "Questo e' per il Sovrano Ordine di Malta un giorno di gioia, perche' possiamo rivedere nel suo originario splendore questo piccolo gioiello, frutto dell'unico incarico architettonico affidato a Piranesi", ha detto durante la cerimonia ufficiale il Gran Maestro Fra' Giacomo Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto, "da tutto il mondo ci scrivono per visitare questo luogo: il nostro sforzo e' di garantire la fruizione a scuole, accademie e istituzioni culturali". 

"Il restauro e' stato fatto centimetro per centimetro, come se fosse un quadro, anche con bisturi e spazzolino da denti. Solo arrivando al livello del soffitto e guardando con un occhio attento si possono riconoscere i nostri interventi", ha detto l'architetto Giorgio Ferreri, direttore del restauro, sottolineando che "sono stati usati solo materiali naturali e tecniche non invasive". 

Fonte: Marzia Apice per Ansa


19/02/18

L'immensità della Cupola di San Pietro - i suoi numeri impressionanti.



Tutto è grandioso nella Cupola di San Pietro, creata dal genio di Michelangelo che per essa si ispirò alla Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze, derivandone una struttura a doppio guscio. 

Come si sa, Michelangelo diresse la costruzione di tutta la parte inferiore della Cupola fino al tamburo, che era quasi terminato, al momento della sua morte (1564). La cupola, dopo la morte del maestro rivestita di lastre di piombo, con l'interno a nervature, fu eretta in 22 mesi da Giacomo della Porta assistito da Domenico Fontana.  In altri 7 mesi infine fu completata la lanterna cuspidata. 

Diamo qualche cifra per intendere la maestosità dell'opera: la penna che tiene in mano S. Marco, in uno dei tondi di mosaico nei pennacchi della Cupola, è lunga circa 1 metro e mezzo.  La lanterna è alta più di 17 metri. 

Il diametro dei tondi con i 4 evangelisti è di 8 metri l'uno. 

Un'iscrizione latina, in mosaico su fondo dorato,  si svolge nel fregio della imponente trabeazione che gira tutto intorno alla chiesa; nel fregio della trabeazione all'imposta della cupola sono scritte le parole con le quali Gesù istituì la chiesa: Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam et tibi dabo claves regni caelorum.   

Da questo livello si eleva il tamburo con 16 finestre fra coppie di lesene che sorreggono il cornicione terminale, sopra cui si incurva la calotta. 

Questa è divisa da 16 costoloni fra i quali la decorazione a mosaico si svolge su 6 ordini. 

In cima, sopra i papi santificati e i dottori della Chiesa, seguono le figure sedute del Redentore, della Vergine, di San Giuseppe, del Battista e degli Apostoli, e infine ancora più in alto una teoria di angeli con vari simboli e i tondi con serafini. Nella Lanterna, sigilla l'immane costruzione, l'Eterno Padre benedicente. 

Fabrizio Falconi
2018 - riproduzione riservata




31/01/18

La "Piccola Londra" - un angolo di Roma straniante.




I Romani la chiamano da sempre, affettuosamente, La Piccola Londra,  anche se si tratta di una semplice via (dedicata a Bernardo Celentano, pittore verista napoletano dell'800) - chiusa al traffico - che nel quartiere Flaminio fa però in effetti pensare di essere in una città completamente diversa da quella che vanta 3.000 anni di storia. 

La Piccola Londra è opera di un architetto marchigiano, Quadrio Pirani (nato a Jesi nel 1878), al quale si debbono altri importanti quartieri residenziali dello storico Istituto delle Case Popolari, come quelli all'Ostiense, a San Saba e Testaccio, oltre alle case per gli impiegati statali realizzate in quel periodo tra via Chiana e via Tagliamento. 

Era il periodo in cui l'urbanistica romana si sviluppava attraverso piccoli o grandi quartieri omogenei: la Piccola Londra è del 1910, il Coppedè del 1919, la città-giardino Aniene nel 1920. 

Sulla architettura della Piccola Londra sicuramente influì il fatto che all'epoca il sindaco di Roma fosse Ernesto Nathan, ebreo di origini inglesi, un vero cosmopolita, di convinta fede repubblicana, la cui madre (Sara Levi Nathan) fu amica e finanziatrice di Giuseppe Mazzini. Alla morte della madre, di Mazzini Ernesto Nathan divenne a tutti gli effetti l'erede.  E ottenuta la cittadinanza italiana, fu prima consigliere, poi assessore e infine sindaco della neo-Capitale d'Italia.

Nel quadro del progetto urbanistico di Roma, una città che si andava espandendo con l'arrivo di impiegati e burocrati statali, sicuramente si tenne conto anche della nuova veste cosmopolita della città, che dopo decenni e secoli di emarginazione, tornava ad aprirsi al mondo e al turismo internazionale. 

Nacque così anche la Piccola Londra. poco più di duecento metri di strada, che a Roma non hanno eguali: palazzine liberty, ingressi indipendenti preceduti dai classici sei scalini inglesi, cancelli in ferro battuto, portoncini in legno e lampioni vittoriani. L'ingresso, per chi vuole affacciarsi a visitare questo angolo londinese di Roma, immerso in una invidiabile quiete molto rara nella città, è doppio: o da viale del Vignola, oppure da Via Flaminia al civico 287. 


Fabrizio Falconi 


12/01/18

La storia e le storie di Ponte Vecchio in un nuovo libro.



E' stato speciale palcoscenico di concerti, passerella per sfilate d'alta moda, set di capolavori del cinema, tappa del giro d'Italia nel 1979, location di un particolare torneo di golf sull'acqua dell'Arno e tribuna per surreali partite di calcio storico giocate sul fiume ghiacciato (fin dal '400). 

Il Ponte Vecchio, tra le più celebri icone dell'architettura e di Firenze, porta sul dorso quasi 7 secoli anni di vita: a raccontarne gli aneddoti e' Marco Ferri, nellibro 'Storie e leggende del Ponte Vecchio' (pp. 93, AngeloPontecorboli editore, 9,80 euro). 

Progettato come ponte fortificato da Taddeo Gaddi e inaugurato nel 1345, in 700 anni il ponte ha mostrato una tempra incredibile, resistendo a 53 alluvioni, inclusa quella del '66, e a innumerevoli guerre, salvandosi pure, unico ponte fiorentino, dai bombardamenti nazisti. 

Dopo averlo fatto minare, nel 1944, pare che lo stesso Hitler, che sei anni prima vi si era affacciato sopra insieme a Mussolini dai finestroni del sovrastante Corridoio vasariano, all'ultimo minuto volle risparmiarlo. 

Sul ponte nel 2008 si e' esibito Lucio Dalla, per un live dedicato a Benvenuto Cellini; Roberto Cavalli e Stefano Ricci sono solo due degli stilisti che in questi anni lo hanno voluto come teatro dei loro eventi; il grande schermo se lo e' conteso, girandovi pellicole come Amici Miei di Mario Monicelli, Camera con vista di James Ivory, e, in tempi piu' recenti, Hannibal di Ridley Scott e Inferno di Ron Howard.

Il Ponte Vecchio e' stato persino al centro di una bufera diplomatica internazionale, quando, nel 1925, lo scrittore Edward Hutton scrisse per burla una lettera all'Observer con cui fece credere all'intera Inghilterra che il Consiglio comunale fiorentino aveva deciso la distruzione del celebre ponte per far passare il tram elettrico sull'Arno

Marco Ferri, giornalista e storico fiorentino, e' responsabile comunicazione della Fondazione Zeffirelli. Da trent'anni si occupa di cultura e spettacoli: ha scritto per il Giornale della Toscana e collaborato con varie testate, tra le quali National Geographic. Tra il 2012 e il 2016 ha curato la comunicazione della Galleria degli Uffizi. 

25/11/17

L'incredibile mistero della Piramide di Cheope: "Nelle stelle la mappa verso il trono".


E' scritta nelle stelle, la soluzione al mistero della cavita' della piramide di Cheope appena scoperta grazie alla 'radiografia' ai raggi cosmici: al suo interno potrebbe custodire il trono di 'ferro' del faraone, ovvero il sedile del corredo funerario realizzato con il ferro portato sulla Terra dai meteoriti.

A sostenere questa ipotesi, basata sullo studio degli antichi testi delle piramidi, e' l'archeoastronomo Giulio Magli del Politecnico di Milano, che con un articolo pubblicato sul sito ArXiv suggerisce di tentare una nuova esplorazione nella tomba con l'ausilio di mini 'Indiana Jones' robotici

L'idea, alquanto suggestiva, ha preso corpo dopo il clamore suscitato nei giorni scorsi dalla scoperta della cavita' della piramide, annunciata su Nature dall'equipe del progetto ScanPyramids. 

"Valutando la statica della struttura, e' chiaro che questa camera non poteva avere una funzione di scarico del peso, come invece avevano suggerito alcuni egittologi", spiega Magli all'ANSA. La radiografia fatta con i muoni, particelle prodotte dallo scontro dei raggi cosmici con l'atmosfera, "ha evidenziato che la cavita' si trova lungo l'asse Nord-Sud della piramide, e questo ha un particolare significato simbolico. 


Secondo gli antichi testi - ricorda l'archeoastronomo - l'anima del faraone defunto avrebbe preso il suo posto fra le stelle che non muoiono mai (quelle circumpolari delle costellazioni dell'Orsa e del Drago) dopo aver attraversato le porte del cielo

Due porticine sono state gia' identificate nella piramide: quella del condotto Sud (un quadrato di appena 20 centimetri per lato) non porta a nulla, mentre quella del condotto Nord e' ancora inesplorata. È probabile che comunichi con la nuova camera, dove si potrebbe trovare il trono su cui il faraone avrebbe dovuto sedersi fra le stelle"

 Anche la madre di Cheope, la regina Hetepheres I, si era fatta realizzare un trono, "una sedia bassa, fatta di legno di cedro ricoperto di lamine d'oro", spiega Magli. "E' dunque probabile che anche il trono del figlio sia una piccola sedia di legno, adornata pero' con lamine di ferro". Puo' lasciar sgomenti l'idea che un elemento cosi' importante del corredo funerario fosse fatto di un metallo cosi' semplice: in effetti non si trattava di ferro comune, ma di ferro venuto 'del cielo'.


 "Al tempo di Cheope non c'era alcun tipo di attivita' estrattiva del ferro, dunque - precisa l'esperto - l'unico che gli egizi conoscevano era quello portato sulla Terra dai meteoriti: lo fondevano per produrre piccoli oggetti rituali. 

Anche la lama del pugnale di Tutankhamon era fatta di ferro meteoritico, come ha dimostrato un recente studio internazionale a cui ha partecipato il Politecnico di Milano"

 Per scoprire se questo trono del cielo e' davvero nascosto nel cuore della piramide, "bisognerebbe usare dei piccoli robot esploratori, capaci di addentrarsi in cunicoli grandi pochi centimetri. E' una vita che aspettiamo, ma la decisione - conclude Magli - spetta solo alle autorita' egiziane".

09/06/17

Una Estate di Arte e Cultura al Vittoriano.



Musica, Letteratura, Cinema e Architettura: il Vittoriano diventa uno dei centri dell'estate culturale romana con un ciclo di eventi concepito nel monumento e per il monumento, a Vittorio Emanuele II, scrigno di bellezza, uno dei belvederi piu' belli del mondo, realizzato fra il 1882 e il 1911. 

Le iniziative realizzate dal Polo Museale del Lazio - al via dal 9 giugno e che rientra in ARTCITY-Estate 2017 - puntano a valorizzare il Vittoriano e promuoverne la conoscenza. "L'idea - ha detto oggi la direttrice Gabriella Musto, presentando il cartellone - e' stata quella di ampliare i percorsi dell'arte dedicando un ramo specifico all'Architettura, a due temi in particolare: lo sguardo delle donne sull'architettura e come l'architettura guarda alle donne; e poi, l'epoca dei millenials che ha fatto della velocita' della comunicazione quasi un modus vivendi". 

Gia' nell'estate 2016 il Polo Museale del Lazio ha organizzato con successo al Vittoriano un'importante serie di iniziative culturali a titolo gratuito. Il ciclo del 2017 parte da quest'esperienza positiva, ampliando ulteriormente l'offerta culturale e coinvolgendo spazi nuovi e ancora piu' ampi del monumento, ovvero la Terrazza Italia e il Piazzale del Bollettino. 

Tutti gli appuntamenti sono ad ingresso libero (il limite massimo degli spettatori e' fissato dalla capienza massima degli spazi messi a disposizione).

L'Architettura - L'attenzione per lo sguardo al femminile della professione domina il ciclo di quattro dialoghi dal titolo Con gli occhi delle donne. L'architettura e il design al femminile nella societa' dei millennials. Il ciclo e' curato da Gabriella Musto, direttrice del Vittoriano. I dialoghi si tengono sulla Terrazza Italia

Il Cinema - Un ruolo nevralgico gioca Anna Magnani, diva/antidiva del cinema italiano, in particolare durante il neorealismo. Il regista, critico e giornalista Mario Sesti cura nella Sala Zanardelli la mostra Anna Magnani: una vita per il cinema - aperta dal 20 luglio - e, stavolta nella Terrazza Italia, la rassegna di tre film con protagonista l'attrice. Il regista Giuliano Montaldo, in qualita' di Presidente dell'Accademia del Cinema Italiano - Premi David di Donatello, cura la selezione di tre documentari presentati nell'edizione 2017 degli stessi Premi David di Donatello. I documentari sono proiettati sulla Terrazza Italia.

La Musica - Il giornalista e critico Ernesto Assante cura una rassegna di quattordici concerti. La rassegna, che si apre il 9 giugno, vede per il jazz esibirsi Nicky Nicolai, Maurizio Giammarco, Giovanni Tommaso, Enzo Pietropaoli, Francesco Bearzatti, Enrico Rava, Fabio Zeppetella, Rosario Giuliani, Greta Panettieri, Marco Rinalduzzi, Maria Pia De Vito e Gege' Telesforo; per la musica classica Ezio Bosso e Ramin Bahrami, con I Solisti dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia. 

Un evento speciale stabilisce una sintonia fra la musica e la letteratura il 4 agosto, quando sul Piazzale del Bollettino lo scrittore e giornalista Paolo Rumiz legge la "sua" via Appia accompagnato dalla European Spirit of Youth Orchestra. Ha detto Edith Gabrielli, Direttore Polo Museale Lazio: " Il Vittoriano deve cercare gli italiani di oggi e non soltanto quelli di ieri, ecco perche' le varie iniziative culturali presso il monumento. Credo che il cinema possa essere, insieme alle altri arti, uno dei modi privilegiati per raggiungere questo obiettivo".

29/05/17

Lo straordinario Quartiere Coppedè, da progetto sperimentale a set per Dario Argento.




     C’è un luogo, in città, dove i romani vanno nelle sere grigie d’autunno, quando il vento raschia le foglie dall’asfalto, e le luci dei lampioni ondeggiano prima della tempesta,  quando vogliono assaporare il brivido insolito di un panorama urbano che sembra proprio non appartenere in nulla a quello consolidato e rassicurante di Roma,  ma che sembra piuttosto uscito dalla fantasia allucinata di un maestro dell’horror.

    Questo luogo è il quartiere Coppedè, che sorge quasi del tutto isolato in un piccolo quadrilatero di vie, nel più grande rione chiamato Trieste, non lontano dalla Via Nomentana.   Si tratta di una porzione di architetture omogenee, per l’esattezza ventisei palazzine e diciassette villini, ideati, progettati e realizzati tra il 1913 e il 1927 da un geniale architetto fiorentino, Gino Coppedè.

     Il suo cognome è rimasto talmente legato a questo luogo, che oggi si fa fatica perfino a trovare traccia fotografica del grande architetto,  nato il 26 settembre del 1866.   Le poche foto lo ritraggono con una folta barba e baffi dannunziani,  vestito sempre elegantemente, con sgargianti mocassini chiari, come lo sparato sopra  il papillon nero, il fisico prestante, lo sguardo fiero e penetrante.
     
       Coppedè, proveniente da una famiglia di architetti e di intagliatori,  mostrò da subito una spiccata propensione per il disegno eccentrico, sviluppando una personale interpretazione eclettica dello stile Liberty, che ebbe modo di esprimersi in diverse opere – come il castello Mackenzie a Genova, commissionato da Evan Mackenzie, fiduciario del Lloyds nel capoluogo ligure  e facoltoso collezionista d’arte -  ma soprattutto nel quartiere che prese il suo nome, a Roma e che gli fu invece commissionato dai finanzieri Cerruti, della Società Anonima Edilizia Moderna.  Qui, Coppedè pensò bene di provare a fondere in modo armonico elementi architettonici provenienti dal Barocco, dal medievale,  dal classicismo al più sfrenato manierismo. 

     Una impressione immediata di questo stile allucinato e straniante si ha appena varcato l’ingresso del quartiere di Via Tagliamento, passando sotto il possente arco che funge da ponte sospeso a tre piani  tra due palazzi chiamati degli Ambasciatori, dalla volta del quale pende un monumentale lampadario in ferro battuto, e oltrepassato il quale si giunge nella Piazza Mincio, ornata dalla celebre Fontana delle rane, doppio livello marmoreo dal quale si affacciano dodici rane che spruzzano acqua.  Voltando lo sguardo a 360 gradi, dal centro della piazza, si ha davvero la sensazione di essere inavvertitamente scivolati fuori dal tempo.  Sensazione che si rafforza non appena si iniziano a percorrere le vie del quartiere, che si dipanano a raggiera dalla piazza stessa e  sulle quali affacciano bizzarre costruzioni, come lo splendido Villino delle Fate, che sembra davvero uscito dalla fantasia di Lewis Carroll, con tutte le sue asimmetrie, le porte e le finestre, le scale,  i muri e i portici oscuri, tutti diversi uno dall’altro,  o come la Palazzina del Ragno che richiama le antiche costruzioni egizie.  
      Più che un quartiere, una scenografia. 

  Dichiaratamente a tal punto che lo stesso Coppedè stesso volle lasciare la sua ‘firma’ cinematografica proprio nell’ultimo palazzo del quale riuscì a seguire personalmente la realizzazione, e cioè quello che affaccia su Piazza Mincio, al civico numero 2 lasciando fra l’altro il suo blasone sul portone al fianco:  Artis praecepta recentis/ maiorum exempla ostendo.  Il portone di questo elegante villino – dallo strano effetto telescopico -  è infatti fotocopiato, per volere dell’architetto,  da una delle celebri scenografie del primo grande kolossal del cinema Italiano, Cabiria, realizzato da Giovanni Pastrone, nel 1914.
      
      Era perciò un destino che il quartiere Coppedè diventasse naturalmente, con gli anni, a sua volta, un ideale set cinematografico. Ed è anche comprensibile che lo diventasse -  a causa di questo suo fascino estroso, fantastico, gotico - di film terribilmente visionari come quelli girati dal regista Dario Argento, che scelse in diverse occasioni, proprio queste locations, per l’ambientazione dei suoi film.     
      Prima di lui, però, era stato Mario Bava, a intuire le potenzialità evocative di questo luogo come set cinematografico, nel film La ragazza che sapeva troppo, del 1962.  Mario Bava era considerato un maestro da Dario Argento, all’epoca in cui era ancora giornalista e critico cinematografico.
      Così,  per la sua  prima volta dietro la cinepresa, nel suo film d’esordio, L’uccello dalle piume di cristallo, girato nel 1969 e uscito nelle sale nel 1970, il regista romano scelse proprio il quartiere come ambientazione di alcune scene e implicito omaggio al suo maestro.   È la storia di uno scrittore americano, Sam Dalmas, interpretato da Tony Musante,  che di passaggio a Roma, assiste casualmente ad un tentativo di omicidio attraverso la vetrata di una galleria d'arte: un uomo sta accoltellando una donna.  La presenza e l'intervento di Sam mettono in fuga il colpevole, ma da quel momento in poi, una serie di omicidi sconvolgono la città e Sam si trova ad essere sospettato dalla polizia.  In una delle strade del Coppedè è ambientata la famosa scena in cui Sam/Tony Musante riesce miracolosamente a schivare la coltellata dell’assassino.

     Al quartiere poi, Dario Argento ritornerà con un altro film, dieci anni più tardi, Inferno, del 1980,  incentrato sulla storia di una giovane poetessa americana, Rose, che dopo aver acquistato un antico libro di alchimia, intitolato Le tre madri,  comincia a investigare sulle tre case costruite a Friburgo, Roma e New York,  dalle tre entità in questione, ovvero : Mater Suspiriorum, la Madre dei Sospiri, Mater Lacrimarum, la Madre delle Lacrime e Mater Tenebrarum, la Madre delle Tenebre. È ovvio a questo punto che per la casa romana, Dario Argento immaginò proprio una delle case del Coppedè.
     Non solo,  nel quartiere sembra proprio che Dario Argento abbia finito per trovarsi così bene da sceglierlo come abitazione .

     Ed ecco così la strana conseguenza per la quale anche lo stesso Argento ha finito per diventare il fantasma  - non è facile incontrarlo – di un quartiere che molti, soprattutto per effetto dei suoi film, hanno creduto e credono popolato di strane presenze. 

21/01/17

Le Fontane di Roma - Conferenza di Fabrizio Falconi, Lunedì 23 gennaio.





Cari amici,

il prossimo lunedì, 23 gennaio 2017 alle ore 17, alla Sala Funzionale dell'Istituto San Gabriele, in Via Cortina d'Ampezzo numero 144, organizzata dal Gruppo L'Incontro, terrò una Conferenza su Le Fontane di Roma.

Con molte foto, racconterò storie, aneddoti, curiosità delle antiche fontane di Roma. La nostra città ha sempre avuto, grazie agli antichi progenitori romani, grande abbondanza di acqua e di acquedotti, sulla quale si è esercitato il genio dei più grandi architetti e artisti dell'Urbe.

Vi aspetto.

03/11/16

Il prossimo 25 novembre conferenza "Le meraviglie dei numeri" a Santa Croce in Gerusalemme.




Il prossimo 25 Novembre, Venerdì alle ore 18, vi aspetto - per chi è interessato - alla Basilica di Santa Croce in Gerusalemme per Le Meraviglie dei Numeri (l'ingresso è gratuito, con offerta libera per la chiesa ospitante, una delle più belle di Roma), una conferenza che ho già tenuto al Festival di Arte & Essere di Riva del Garda. 

Parleremo, con l'aiuto di molte immagini, della magia dei numeri, del loro significato profondo nella storia dell'Occidente e della cristianità, delle meraviglie della Sezione Aurea inscritta nei grandi monumenti del passato, di Jung e Wolfgang Pauli e dei numeri come misura (o codice) del Cosmo. 

Fabrizio Falconi

21/06/16

Solstizio d'estate: lo spettacolo dello Gnomone nella Basilica di San Lorenzo .





Nella Sagrestia Vecchia dellaBasilica di San Lorenzo, a Firenze,  in occasione del solstizio d'estate e dei giorni seguenti, e' possibile vedere la luce solare entrare dalla lanterna, posta in cima alla cupola di Brunelleschi, e riflettersi sulla parete con particolari effetti di luce. 

La lanterna, attraversata dai raggi del sole, funge da "gnomone" e tra le 12.30 e le 13.40 circa si puo' osservare il percorso della luce, che si posiziona poi centralmente sulla parete, sotto la finestra cieca con lo stemma della famiglia medicea. 

I visitatori possono assistere al fenomeno tutti i giorni dal lunedi' al venerdi' (orario di apertura 10-17). 

La costruzione della Sagrestia Vecchia fu completata nel 1428, come si evince dalla data posta sulla cupolina originale della lanterna, ora visibile nel loggiato della Biblioteca Mediceo Laurenziana.

Era allora in vigore il calendario Giuliano, indietro di una decina di giorni rispetto a quello Gregoriano, introdotto nel 1582, possiamo ritenere che le foto di questi giorni documentino in modo verosimile, fatto salvo i riflessi dei faretti d'illuminazione della Sagrestia, l'effetto di luce ai tempi di Brunelleschi.

09/10/15

Domani Giornata del Contemporaneo - Ingresso gratuito al MAXXI e una barca fatta con le scarpe dei Migranti.





AL MAXXI per celebrare la XIa GIORNATA DEL CONTEMPORANEO Domani sabato 10 ottobre 2015 INGRESSO GRATUITO PER TUTTO IL GIORNO.



Libera e permanente. A partire da sabato 10 ottobre, le opere d’arte e architettura della collezione del MAXXI saranno sempre esposte nella Galleria 4 del Museo, con ingresso gratuito per tutti dal martedì al venerdì. 


E ancora: una installazione di Pedro Cabrita Reis sulla piazza, un lavoro di Sislej Xhafa dedicato alla tragedia dei migranti, quattro visite guidate gratuite (ore 11.30, 12.00, 17.00 e 18.00, prenotazione obbligatoria su edumaxxi@fondazionemaxxi.it), l’apertura straordinaria dalle 11 alle 18 della Biblioteca e le mostre in corso:

OLIVO BARBIERI. IMMAGINI 1978 – 2014 
| FOOD dal cucchiaio al mondo 
| MAURIZIO NANNUCCI Where to start from 
 YAP MAXXI 2015 
| MAURIZIO SACRIPANTI Expo Osaka ’70 
| THE INDEPENDENT FOOD. 

 E’ questo il programma del MAXXI in occasione della XI Giornata del Contemporaneo organizzata da AMACI sabato 10 ottobre 2015. 

La COLLEZIONE PERMANENTE DEL MAXXI offrirà ai visitatori un percorso tra le opere di grandi maestri come Alighiero Boetti, Gino De Dominicis, William Kentridge, Anselm Kiefer, Mario Merz; quelle di giovani artisti come Giorgio Andreotta Calò e Margherita Moscardini (esposte per la prima volta come anche i lavori di Flavio Favelli, Pietro Ruffo, Tony Cragg, Modus architects). 

E ancora i progetti di architetti internazionali come Toyo Ito, Rem Koolhaas, Renzo Piano e di grandi maestri del Novecento come Pierluigi Nervi, Aldo Rossi e Carlo Scarpa e molto altro. 

L’allestimento, dinamico e immersivo, permetterà al pubblico di fare un’esperienza nuova degli spazi fluidi di Zaha Hadid. Piani e superfici sospesi articolano lo spazio e coinvolgono il visitatore in modo attivo e partecipato. 

L’ALBERO DELLA CUCCAGNA. NUTRIMENTI DELL’ARTE , progetto a cura di Achille Bonito Oliva realizzato con il patrocinio di Expo 2015, è una mostra diffusa in tutta Italia tra musei, gallerie, istituzioni pubbliche e private che coinvolge oltre 40 artisti e porta al MAXXI l’opera di Pedro Cabrita Reis La casa di Roma che resterà esposta sulla piazza del MAXXI fino al 10 gennaio 2016. 

Un grande volume rettangolare realizzato in mattoni forati, un’architettura primordiale che richiama le caratteristiche di molte periferie contemporanee. La struttura arriva a toccare il primo livello del museo come un pilastro: l’opera rivela così un ordine in cui è il piccolo e il debole a sostenere il grande, e la sua temporaneità fa da base all’istituzione museale mettendone metaforicamente in discussione la solidità. Progetto promosso dalla Fondazione Giuliani per l'arte contemporanea, Roma 

SISLEJ XHAFA. Barka una barca fatta di centinaia di scarpe nella hall del MAXXI riflette sull’esodo migratorio e le situazioni di conflitto che caratterizzano la contemporaneità. Barka opera concessa in comodato al MAXXI dalla Nomas Foundation, Roma è stata realizzata dall’artista nel 2011 in un periodo di emergenza sbarchi a Lampedusa, e sottolinea l’interesse del museo per i temi più urgenti del nostro tempo, come quelli dell’immigrazione e dell’accoglienza. Barka resterà esposta fino al 10 gennaio 2016.


23/09/15

La "Casa delle scuffie", in Via Nomentana a Roma.



La “casa delle scuffie” di via Nomentana 

Per un considerevole tratto, la via Nomentana rientra nei confini dell’attuale quartiere Salario.

E in questo tratto, al civico numero 175, si può ammirare un singolare edificio oggi noto principalmente come “casa delle battaglie”, per via del fatto che sulla sua facciata vi sono altorilievi di terracotta raffiguranti scene popolaresche riferite al Risorgimento – il che lo rende assolutamente unico. 

Ma un tempo, il palazzo in questione era detto “casa delle scuffie”,perché sulla sua sommità erano presenti delle antefisse, particolari elementi decorativi architettonici raffiguranti volti di donna ornati da ricchi decori intorno alle teste. 

La fantasia popolare identificò quei volti come appartenenti a monache o a donne con cuffie, da qui il nome popolare “casa delle scuffie” – la scuffia che in romanesco indica anche lo scappellotto dato ai bambini sulla testa. 

Le decorazioni del palazzo erano opera dell’architetto Ettore Bernich, che le realizzò nel 1885, e rappresentano un primo esempio di architettura archeologica nella Roma moderna.

Bernich, infatti, riempì il palazzo di citazioni colte – come le tegole curve nel tetto che richiamavano l’architettura etrusca – miscelando gli elementi antichi, etrusco-romani, con quelli moderni, che rappresentavano le gloriose battaglie del Risorgimento, compresa quella vinta dai bersaglieri a porta Pia. 

Nell’arco delle finestre l’architetto inserì volti femminili e quattro grandi scudi (al terzo piano) con le immagini allegoriche di una lupa, di un cavallo, di una biscia e di un toro, alludenti a città italiane, sostenuti da protomi leonine.


21/01/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 1.



La visione di Costantino e L’Arco di Malborghetto sulla Via Flaminia.

 1. Le vie consolari e l’età di Costantino.

Nella loro lunghissima storia le vie consolari di Roma sono state  teatro di misteriosi  eventi, celebri  visioni, alcune di esse fondamentali per la Storia del Cristianesimo.

Vale la pena ricordarne soltanto alcune:  la visione di San Pietro sulla Via Appia (64 d.C.)- del Domine Quo Vadis,  riferita da molte fonti, pagane e cristiane (a seguito della quale la quale l’apostolo Pietro avrebbe deciso di tornare per accettare il martirio a Roma); la visione dell’Imperatore Costantino sulla Via Flaminia (312 d.C.) prima della Battaglia di Ponte Milvio; la visione di Sant’Ignazio di Loyola sulla Via Cassia, in zona La storta, nel 1537, prima di entrare a Roma e fondare la Compagnia di Gesù.

Della prima e della terza esistono memorie in luoghi venerati a lungo e poi caduti nell’oblio. Riscoperti soltanto negli ultimi tempi da un certo turismo, non solo religioso.  Per quanto riguarda la seconda, invece, sembrerebbe quasi che l’episodio storico, tramandatoci dalla tradizione e dalle varie fonti che vedremo, sia stato completamente dimenticato.  Eppure, chi abita a Roma e si trova a passare nel popoloso quartiere denominato “Labaro” dovrebbe sapere che l’etimologia di quel nome è legata strettamente ad uno dei più celebri episodi della vita dell’Imperatore Costantino il Grande, e al misterioso segno che egli dichiarò di aver visto nel cielo prima della definitiva battaglia contro Massenzio.

Ma prima di addentrarci nella Visione della Via Flaminia, descriviamo più succintamente che si può la complicatissima situazione che vigeva nell'Impero prima dell'avvento di Costantino.

Il potere, all''inizio del 300 d.C., era incredibilmente frazionato.  Il declino di Diocleziano lasciò l'impero in mano alla tetrarchia , cioè in mano a quattro persone:  due Augusti (Diocleziano e Massimiano, i quali avevano scelto come sedi del potere rispettivamente Nicomedia, in Asia Minore, e Milano), che a loro volta avevano scelto due Cesari (il primo Galerio, il quale  pose la sua capitale a Mitrovizza, nell'attuale Croazia; il secondo Costanzo Cloro, padre di Costantino, che scelse Treviri, in Germania).

Roma, perciò, era apparentemente fuori dai giochi, sempre più periferica.

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