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12/02/20

Vantarsi di non credere in niente non ha senso




Vantarsi di non credere in niente, non ha molto senso. Perfino Rimbaud, l'iconoclasta puro, non smise di credere, perfino - quando era nel buco più scuro dell'africa a fare il trafficante d'armi - a un futuro che gli avrebbe portato una moglie, un figlio e una rispettabilità borghese.

Se si smette di credere, se non si crede più a niente, nemmeno si spera più. Si diventa cioè di-sperati

Sembra che l'uomo infatti sia programmato per credere, e che senza credere - magari semplicemente ai suoi sogni o alle voci che sente nella testa o nel cuore - non sappia vivere. 

Una società e individui totalmente scettici, diventano deboli, inani, morenti. 

È per questo che i figli - mussulmani o ebrei o animisti - d'Asia e d'Africa fanno tanti figli, anche in povertà e disagio: hanno voglie e determinazione e volontà ferree di realizzarle

È per questo che i pronipoti dell'Occidente, con le loro sontuose chiese vuote, si baloccano in serate leggere, consolati - mi dicono - da un comico che declama in diretta nazionale una pagina di un Cantico che loro non conoscono e nemmeno capiscono più, ma scivola via leggero tra una canzonetta e un calembour.

Fabrizio Falconi
- febbraio 2020

15/02/19

Einstein e Dio.






Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue.

Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti.

Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia.

Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. 

La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio.

Albert Einstein

21/09/18

Dio Esiste ? "Le non ragioni degli atei - La grande domanda metafisica" - un bellissimo (e definitivo) intervento di Dario Antiseri.


«La scelta fra l’esistenza e l’inesistenza di Dio» – ha scritto Luigi Pareyson – «è un atto esistenziale di accettazione o ripudio, in cui il singolo uomo decide a suo rischio se per lui la vita ha un senso oppure è assurda, giacché a questa opzione si riduce in fondo e senza residuo quel dilemma. Tale opzione è eminentemente religiosa, anche quando si risolva in senso negativo, perché il ripudio di Dio è così strettamente legato all’accoglimento che in alternativa si può farne, che ne conserva sempre un’inconsapevole nostalgia. La filosofia, poi, in quanto sopravviene a scelta già fatta, non ha più voce in capitolo, non certo per affermare l’esistenza di Dio, ma nemmeno per negarla, perché anche il ripudio di Dio non è frutto d’un ragionamento, ma atto profondo e originario della persona. D’altra parte la filosofia non ha il compito di dimostrare l’esistenza di Dio, perché essa non estende la conoscenza a nuovi ambiti di realtà, ma riflette su esperienze esistenziali: il suo compito non è dimostrativo, ma ermeneutico»

E va da sé che il credente che non ha dubbi non ha fede. Hanno dubitato gli Apostoli. La «notte dell’anima» è esperienza di grandi anime mistiche

«L’uomo religioso» – è ancora Pareyson a parlare – «può capire il dubbio, che non è se non il risvolto della sua fede, un aspetto essenziale di essa o un suo momento interno, giacché la fede è ben lungi dall’essere un possesso tranquillo, sicuro e incontrastato, favorito dalla tradizione e ribadito dall’abitudine, ché anzi spesso è lotta durissima e tensione lancinante, appena lenita dalla consapevolezza ch’essa è cosa vivente e vivificatrice, bastevole a ispirare e riempire una vita intera». 

Dunque, se non hai dubbi non hai fede. 

Ma l’ateo troppo sicuro di sé usa o abusa della ragione? 

Quale prova è disponibile per poter sostenere che il tutto-della-realtà è rigorosamente e convincentemente riducibile a quella realtà di cui parla e può parlare la scienza? 

L’ateismo non è una teoria scientifica.

E non è certamente la scienza, finché la ricerca rimane nel suo legittimo ambito di azione, a negare la possibilità di una realtà trascendente.

E c’è di più. Difatti, se la fede conduce al mistero di un Dio creatore, l’ateo non si trova pure lui di fronte al fatto misterioso di un grumo di materia originario da cui si è sviluppata e si sviluppa la storia dell’universo? Questo grumo di materia si è autocreato? 

Come sostiene Wittgenstein nel suo Tractatus Logico-philosophicus, l’esistenza dell’universo è un fatto misterioso, suscita uno stupore abissale. La fisica sposta la «grande domanda» – la domanda metafisica –, non la elimina. 

Così come non la elimina, anzi la genera, la teoria dell’evoluzione della vita

Nessuno può negare che la scienza – con le sue domande e le sue risposte e la sua storia – non abbia alcun valore perché costruita da un essere che avrebbe per antenato una «scimmia». Ma questa «scimmia» rimessa a nuovo, oltre che porsi problemi scientifici, si è posta e seguita a porsi il problema del «senso», del «senso del tutto», un problema eminentemente religioso

E, allora, con quali argomenti lo scientista evoluzionista potrà affermare insensatezza, illusorietà della «richiesta di senso», cioè della domanda religiosa? 

La realtà è che la teoria evolutiva della vita non solo non cancella il problema religioso, ma lo fa emergere. 

Scrive Darwin: «Il sentimento di devozione religiosa è sommamente complesso perché consta di amore, di compiuta sommissione a un essere superiore elevato e misterioso, di un forte sentimento di dipendenza, di timore, di riverenza, di gratitudine, di speranza nell’avvenire, e forse di altri elementi. Nessuna creatura potrebbe provare un’emozione tanto complessa, senza che le sue facoltà morali e intellettuali abbiano raggiunto un certo grado di elevatezza».

20/04/15

Cacciari: "Nietzsche non ha nulla a che fare con un volgare ateismo."




Cacciari: «L’ateismo oggi? Volgare e mondano»

"L’affermazione nietzschiana della morte di Dio non è affatto volgarmente ateistica come qualcuno può pensare".
Massimo Cacciari – protagonista di un dibattito con il filosofo francese Rémi Brague – da non credente si è occupato a fondo Dell’inizio e Della cosa ultima, per dirla con il titolo di due suoi volumi ponderosi. E rifiuta con sdegno l’idea che Nietzsche sia uno dei grandi padri dell’odierna negazione di Dio.

Professore, eppure è a lui, spesso in coppia con Heidegger, che tanta parte della cultura che rifiuta il monoteismo cristiano guarda con riconoscenza...

"Un autore come Nietzsche non ha nulla a che spartire con un volgare ateismo. Anche Hegel, che si professava filosofo cristiano, affermava che la proprietà essenziale del monoteismo cristiano consisteva nel pensare la morte di Dio. C’è un modo di pensare questa morte che può essere propriamente cristiano, che anzi costituisce la proprietà specifica del cristianesimo. Tanto meno in Heidegger c’è una posizione di stupido ateismo. Caso mai si può pensare a una critica di Heidegger alla tradizione che pensa Dio in termini ontoteologici, che pensa Dio con la categoria dell’ente sommo e quindi dimentica la differenza tra ente ed essere, la differenza ontologica. Ma è una critica che può benissimo essere intesa come interna alla tradizione monoteistica non solo cristiana, ma anche giudaica e islamica. Perché la critica all’ontoteologia è presente in tutte e tre le grandi correnti del monoteismo abramitico. Quindi bisogna stare molto attenti nel pensare che la filosofia di stampo nietzscheano-heideggeriano significhi l’abbandono della questione di Dio. Anzi, è un affrontamento radicale di tale questione".


Quali sono per lei le vere forme dell’ateismo filosofico contemporaneo?
"La vera forma dell’ateismo, che non ha a che vedere né con Nietzsche né con Heidegger, è la visione per cui, detto in estrema sintesi, noi siamo soltanto un essere nel mondo: noi siamo accasati, addomesticati nel nostro essere mondano. E al di là di questo non c’è nulla, o meglio, c’è il nulla, di cui non bisogna assolutamente avere cura. Questa sì è una posizione ateistica presente in varie correnti del pensiero contemporaneo".

Lei oggi interviene sul rapporto fra il Dio cristiano e le altre religioni. Tanto per stare sull’attualità: come giudica un’alleanza che si propone sempre più spesso, quella tra cristianesimo e liberalismo ateo o immanentista in funzione anti-islamica?

"L’ateismo nei termini che le ho appena detto, moneta corrente al giorno d’oggi, è essenzialmente opposto a ogni possibile versione o declinazione della radice abramitica del monoteismo. Un’alleanza di questo ateismo e di un liberalismo immanentista con il monoteismo cristiano in funzione anti-islamica non può far altro che tradire quella che è l’essenza del cristianesimo. Direi di più: è una totale aberrazione. Un liberalismo di stampo immanentistico condivide con le posizioni genericamente ateistiche l’idea che al di là dell’esserci non c’è nulla. Anzi, che Dio è il nulla. Il che, mi lasci dire, per tornare al punto iniziale, è ben diverso dal dire: Dio è morto".

Tratto da Avvenire, 11 dicembre 2009.

07/11/12

Intervista a Jean D'Ormesson - "Sono un agnostico tentato di credere."



Celebra le donne e la Ragione, il sacro e il dovere, la Storia e il romanzo, in una trentina di libri come La Gloire de l’Empire, Histoire du Juif errant; la Douane de mer o Une fête en larmes: Jean d’Ormesson è uno degli scrittori francesi più conosciuti e soprattutto più amati dai suoi lettori. Entrato all’Académie française nel 1973, è stato, a 48 anni, il più giovane accademico da lungo tempo. Aristocratico, repubblicano, innamorato di Chateaubriand e di Venezia, è un erede dei Lumi per la sua cultura enciclopedica, un libero pensatore affermato e soprattutto un focoso innamorato della vita e dei suoi piaceri. Dall’alto delle sue 81 primavere piene di fascino e di vitalità, Jean d’Ormesson è, da solo, una parte del patrimonio letterario francese. Agnostico, flirta volentieri con il problema di Dio.

Si ritrova Dio nella maggior parte dei suoi libri. Come può spiegarlo quell’agnostico che lei dice di essere?

Infatti Dio è presente nei miei libri. Au plaisir de Dieu, per esempio, mette in primo piano il patriarca di una grande famiglia, ma in realtà, dietro il destino della sua discendenza, Dio appare come il primo personaggio del libro. Dio è una grande domanda, forse la sola, e mi abita da sempre. Dio e il tempo costituiscono un doppio tema che da molto tempo mi perseguita. Devo farle una confidenza: ho fatto degli studi che mi hanno portato alla Scuola Normale superiore, e poi all’aggregazione in filosofia. Ma segretamente ho sempre voluto studiare la storia delle religioni che mi appassionava fin dall’infanzia. Quando ero studente invidiavo i compagni che studiavano ebraico e che risalivano così alla fonte dei grandi testi religiosi. Per questo motivo rimpiango molto di essere stato troppo pigro per imparare questa lingua e l’arabo. D’altronde nella filosofia non mi piaceva molto la logica né la psicologia: mi piaceva la storia della filosofia. Così, non avendo studiato la storia delle religioni, ho fatto la storia della filosofia.

Da dove le proviene questo interesse per le religioni?

Prima di tutto è un interesse puramente intellettuale che parte non dal problema di Dio, ma da quello dell’uomo. Roger Caillois, questo scrittore ateo così difficile a capirsi, capace di scrivere sull’uomo e sul sacro come sulle meduse, mi aveva detto un giorno quanto era colpito nel constatare che l’evoluzione va sempre nello stesso senso e che il caso dell’evoluzione non ha mai distrutto la salita dell’uomo. Infatti si va sempre verso la crescita della complessità. Perché? Vi sono due risposte possibili: il caso e la necessità da un lato, la creazione del mondo da parte di un Dio buono dall’altro. Questo interrogativo non finisce mai di preoccuparmi.

Verso quale parte propende?

Non credo nel Dio rivelato delle religioni, ma l’ipotesi secondo la quale l’universo è frutto del caso e dalla necessità mi sembra un’idea folle. Accetto tutto dell’evoluzione, ma perché la necessità sfuggirebbe all’investigazione filosofica? Credo bene che la materia sia energia, ma il tempo? Il tempo è una realtà strettamente spirituale: dov’è l’avvenire se non nel nostro spirito? Dov’è il passato? Jaurès è esistito, Alessandro Magno è esistito. Ma dove si trovano? Soltanto nel nostro spirito! Tuttavia è formidabile, entusiasmante! L’avvenire si cambia in presente per trasformarsi in passato; viviamo continuamente in un presente che non esiste. Perché in fondo non c’è presente, ma piuttosto una frangia fra l’avvenire e il passato. E noi viviamo costantemente in questo spazio che non esiste. È come se Dio ci mostrasse che il mondo fosse metafisico. Per me, Dio e il tempo sono legati da uno stesso interrogativo. Un altro esempio che turba è la teoria del big bang, accettato quasi all’unanimità dalla comunità scientifica, la quale però non si accorda sulla domanda che segue: il big bang è all’origine del tempo o è ciò che avviene nel tempo? Da parte mia, io penso che è il big bang che ha creato il tempo. Ma è possibile anche che il big bang abbia preceduto l’universo. Aristotele ci ha insegnato che il mondo era eterno, infinito, immobile. Ora la scienza ci ha rivelato il contrario: l’universo ha una storia, quel che negava Aristotele. Da questo a dire che il big bang è la creazione… Capisco che i papi si siano impadroniti dell’idea: era allettante. La regolazione dell’universo è un argomento che perora la causa di una intelligenza superiore e trascendente che le religioni chiamano Dio. 
Oppure si può dire che il caso è un bravo ragazzo…

Lei dice che Dio prima di tutto per lei è una preoccupazione intellettuale. Le sue problematiche non sono state guidate dall’educazione religiosa che le è stata inculca dai genitori?

No. E con ragione : mio padre non mi ha fatto dare un’educazione religiosa. Era quel che oggi si chiamerebbe un cristiano di sinistra, un democratico popolare, come si diceva allora, uscito da una famiglia di parlamentari segnata dal giansenismo. Ricordo di averlo sentito dire quando ero bambino: “Oh, tutto questo… Non è molto sicuro.” Quel “tutto questo” era Dio, la Vergine Maria, gli angeli. Mi ha impressionato a quel tempo: bisogna fare attenzione a quel che si dice ai bambini piccoli… Ho avuto una vita incredibilmente protetta da una famiglia amante e coraggiosa. Devo a mia madre di aver imparato i rituali religiosi. Essa veniva da una famiglia reazionaria, molto di destra e molto cattolica, Mi hanno insegnato le preghiere, ma non ho mai avuto accanto un nonno, né ho frequentato i gesuiti. Non rientrava nell’educazione come mio padre la concepiva: lui era laico e ardentemente repubblicano. E la mia famiglia era evidentemente assai liberale, nel senso antico della parola, cioè molto tollerante.

Da bambino dunque non ha mai avuto la fede?

No, non sono mai stato pio. Quando mi dicevano di pregare, io non pregavo, ma pensavo alle stelle: “Il cielo stellato sopra di noi, la legge morale nell’intimo di noi”, ha scritto Kant. Qualche volte ho avuto l’impressione che bisognasse sforzarsi. Andavo alla messa, ma era già un esercizio sociale. Dalla parte di mia madre, al castello di Saint-Fargeau, c’erano delle processioni che seguivamo, ma da parte mia non c’era alcun fervore.

Le capita però di sentire il desiderio di Dio?

Sì, e in modo pazzesco! Ho sete di Dio. Faccio fatica a credere e però credo che c’è qualche cosa d’altro. In questo la figura del Cristo mi affascina. L’incarnazione è Dio che si fa uomo: vi è obbligato, per farsi conoscere; e per reciprocità, se si fa uomo, l’uomo si fa Dio! In questo risiedono la forza e la bellezza della religione cristiana. Perché Dio non esiste. Se si può dire qualche cosa di lui, è che egli è. Ma non “esiste”. Esistere significa essere in questo tempo che passa, e significa dunque anche morire. Dio è fuori del tempo e delle forme alle quali noi, gli uomini, non possiamo sfuggire. Dio è, e basta. Noi non possiamo conoscerlo: come dice Heidegger, “c’è un essere da qualche parte”. In questo l’incarnazione è un’idea formidabile. Anche i Vangeli mi commuovono profondamente. Come pure il perdono o la comunione dei santi, che sono delle meravigliose invenzioni cristiane.

Lei parla da vero cristiano…

Non ho paura di dire che sono cristiano, ma mi domando se ho il diritto di dirlo, perché non sono praticante e non mi comunico. Ma ho sempre pensato che sarei seppellito da cristiano, e non per ragioni sociali, ma perché mi sento cristiano. Supponiamo che i cristiani siano perseguitati, per fortuna non è il caso nel nostro paese, io credo che dichiarerei a voce alta la mia identità, a meno di non essere un vigliacco. In compenso, nella società cattolica dominante che è la nostra, sono piuttosto un beffardo con i miei compagni atei. Non ho nessuna certezza, ma dopo tutto quello che ci siamo detto, se lei mi chiedesse di rispondere sì o no alla domanda “Dio esiste?”, io le risponderei sì!. Sono un agnostico tentato di credere.

È questa la ragione per cui nel suo ultimo libro, la Création du monde, il suo personaggio principale dialoga con Dio, ma soltanto nei suoi sogni?

Si potrebbe sognare di Dio, se non ci fosse? Io sogno molto di Dio. Questo romanzo è, in questo senso,quasi una autobiografia. In ogni caso questo libro, che non è assolutamente un libro religioso, è per me come una preghiera. Posso persino dire che è stato scritto attraverso di me: mi sembra talora che, come molti altri miei libri, mi sia stato dettato da fuori! Lei sa, quando scrivo, ho sempre l’impressione che si scriva attraverso di me. Non sono molto spiritualista, ma credo che si possa essere attraversati: pensi all’entusiasmo di uno sportivo che compie una gara, o anche all’uomo politico trasportato dal suo discorso. Dio è là. Spesso mi dico che tutto questo è troppo vago, che non faccio che andare a tastoni: sono agnostico e mi dico anche cristiano. In fondo continuo a interrogarmi. Ma non credo che potremmo porci tali problemi se veramente non ci fosse nulla.

Dopo la sua morte si aspetta o spera qualche cosa?

Spero qualche cosa. La resurrezione… Pensi come mi piacerebbe! Il mio destino mi tormenta. Ma è ancora un problema inestricabile. Per esempio, quando scompaiono le persone che amiamo, ci ricordiamo di loro. Quando l’avventura umana sarà terminata, nessuno si ricorderà di tutti gli esseri umani che sono vissuti? Non posso credere che non ci sia memoria nell’universo. E quando scomparirà l’universo, non posso credere che non ci sia una memoria trascendente dell’universo e che tutto questo cada nel nulla. In fondo per Dio non ci sarebbero che due catastrofi: la prima sarebbe di sparire per sempre nell’oblio, ma la seconda sarebbe che si scoprisse con certezza che esiste.

Perché?

Egli è nascosto! Dio è nascosto e deve restarlo, perché noi possiamo interrogarci sulla sua esistenza. Per me la libertà degli uomini sta nel fatto che essi possono negare Dio. Ed è una libertà sacra. Il mondo è fatto in modo che Dio possa passare per un'ipotesi inutile. Ma si può anche dire che, accettando tutto dalla scienza, quest’ultima è egualmente sottoposta a qualche cosa di oscuro che è lo spirito e che lascia continuamente aperto il problema di Dio.

(da Le monde des religions, 21, pp. 78-81 Risposte raccolte da Frédéric Lenoir e Karine Papillaud)

06/11/12

Che fine hanno fatto i "grandi atei" ?






Sono convinto che la progressiva scomparsa della grande fede individuale (cioè degli uomini con grande fede individuale, interiore e pubblica) sta portando nella nostra porzione di mondo, come contraltare alla progressiva scomparsa dei grandi atei. 

La corrente dei grandi atei ha prodotto nella storia delle idee, della letteratura, della filosofia, della teologia,  grandi intelligenze, capaci di analizzare con lucidità ed erudizione, con un pensiero realmente profondo, le buone ragioni della confutazione della credenza religiosa e dell'ateismo.

E il confronto con i grandi spiriti credenti ha prodotto il crogiolo delle idee che hanno alimentato per duemila anni  il pensiero Occidentale.

Anche oggi esistono grandi atei, capaci cioè di dimostrare di sapere ciò che si dice, che sanno argomentare, e che hanno fatto buone letture. Ma sono sempre di meno.

Un sintomo della scomparsa delle ragioni dell'ateismo - riguardo alla fede, e alla questione della/sulla esistenza di Dio/ di un Dio è ad esempio la pubblicazione di un grande gruppo editoriale, pubblicizzata in questi giorni, denominata: Le grandi domande della filosofia e curata da Maurizio Ferraris.

Le domande ci sono tutte - felicità, arte, uguaglianza, bellezza, senso, scienza, pensiero, potere, violenza - meno una: Dio. Esiste Dio o no ? Questo, a quanto a pare, secondo Ferraris non è un tema molto interessante, nonostante la Filosofia se ne occupi da circa 3.000 anni. Eppure sembrerebbe proprio che la quasi totalità della risposta a queste domande dipenda dalla risposta che diamo - o non diamo - a quella.

Scomparsi dunque i temi - e a quanto pare la stessa questione -  di/su fede/ateismo, si assiste invece alla proliferazione di uno pseudo-ateismo piccolo e posticcio, incolto e indistinto, fatto di convinzioni e convenzioni banali, senza nessuno spessore.

La maggior parte degli uomini di oggi non sono tanto atei o non credenti, quanto increduli, scriveva Norberto Bobbio,  ma colui che è incredulo non è fuori dalla sfera della religione. [...] Lo stato d'animo di chi non appartiene più alla sfera del religioso non è l'incredulità, ma l'indifferenza, il non saper che farsene di queste domande. Ma l'indifferenza è veramente la morte dell'uomo

Fabrizio Falconi


05/01/12

Il figlio di Giorgio Caproni: "mio padre non era ateo."


L' "ateo" Giorgio Caproni era devoto a Maria e andava regolarmente a messa ogni domenica, cosi' come recitava quotidianamente le preghiere.

Alla vigilia del centenario della nascita del poeta (Livorno, 7 gennaio 1912 - Roma, 22 gennaio 1990), il figlio Attilio Mauro Caproni, 70 anni, professore ordinario di bibliografia all'Universita' degli Studi di Udine, sfata i ricorrenti pregiudizi dell'interpretazione critica sul padre. 

"Per Giorgio Caproni" e' il titolo del "Quaderno" che la rivista Studi cattolici dedica al grande poeta nel centenario della nascita. Caproni ebbe uno speciale rapporto con il mensile, come e' testimoniato dall'intensa corrispondenza con il direttore Cesare Cavalleri e dall'intervista - rilasciata nel 1983 e ora riprodotta - in cui lascio' trapelare la sua ricerca interiore. 

"Avvenire" ha anticipato oggi il dialogo tra il giornalista Alessandro Rivali e Attilio Mauro Caproni, da cui si apprende, attraverso le parole del figlio, che lo scrittore "amava molto i Padri della Chiesa, con una particolare predilezione per il sant'Agostino delle Confessioni e del De Civitate Dei". 

"Vorrei sfatare una volta per tutte la presunta irreligiosita' di mio padre. Si parla di un Caproni ateo. Inizio' un colloquio con Dio nella sua seconda stagione della vita - ricorda il figlio del poeta - o forse sarebbe meglio dire un colloquio con la trascendenza. Era un rapporto basato sulla ricerca del bene e del male. Faceva fatica a trovare Dio perché faceva fatica a trovare il bene, senz'altro meno appariscente del male, che invece si incontra tutti i giorni. L'etichetta di ateo e' stata attaccata in modo troppo sbrigativo, anche perché lui era profondamente religioso".

"Andava a Messa tutte le domeniche con mia madre. - continua il figlio del poeta - Forse ci andava per accontentarla, ma comunque ci andava. Diceva le preghiere due volte al giorno e un po' si seccava se tu te ne accorgevi. Era molto devoto alla Madonna della Guardia di cui aveva un'immaginetta nel taccuino. Poi la smarri' e ci resto' molto male. Era un'immagine molto consumata vecchia di quarant'anni. Mia madre gliene porto' un'altra; Sulla sua scrivania c'erano due testi che leggeva regolarmente: l'Antico e il Nuovo Testamento".  

09/04/10

Ci mancava solo lui, il pastore ateo, e fiero di esserlo.


Cari amici de Il Mantello,

vorrei commentare con voi, se ne avete voglia, questa notizia, che qui in Italia abbiamo appreso qualche giorno fa, e che riguarda un certo Klaas Hendrikse, un pastore protestante olandese di 63 anni che si dichiara fieramente ateo e che però non solo non rinuncia a fare il pastore, ma proclama anche di avere la sua chiesa piena di 'fedeli' (fedeli ??).


Mi sembra davvero un caso di schizofrenia eclatante della nostra epoca, ma sarei curioso di sapere cosa, la notizia, vi suscita.


30/08/09

"O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca !"


Credo che una delle grandi prerogative della preghiera è quella di - potenzialmente - essere accessibile anche da parte di chi 'non crede'. O anzi, sarebbe meglio dire, parafrasando Gianni Vattimo, di chi "crede di non credere".

Credere o non credere sono infatti stati di coscienza 'cristallizzati' per così dire, sulla base di un convincimento personale, basato sull'esperienza (volatile) della nostra vita, sui ricordi (volatili) della nostra vita, sulle idee (volatili) della nostra vita.

Ed è per questo che è profondamente vero che - come insegna l'esperienza - dentro un qualsiasi credente esiste un 'non credente' (potenziale o parziale o reale), e dentro ogni 'credente' esiste un 'non credente (potenziale o parziale o reale).

"Credente" e "non credente" sono niente più che formule che ci diamo - anche quando ci ritroviamo sinceramente e profondamente in esse - che ci aiutano ad avere una riconoscibilità esterna ed una riconoscibilità interiore.

Ma proprio perchè nella natura umana non sembrano esistere nè certezze, nè verità assolute, si possono concepire - e possono esistere - 'scenari di confine' molto delicati, nei quali il 'credente' lascia aperta e coltiva gli spazi del dubbio, e non finisce mai di interrogarsi sul senso e sulla verità della sua fede; e nei quali il "non credente" può interrogarsi, e anche 'chiedere' la voce e la risposta di un Dio al quale non crede (o non crede fino in fondo).

Viviamo un tempo estremamente propizio per questo. Le ultime scoperte dell'astrofisica ci indicano che la nostra conoscenza del tutto - microcosmo/uomo/macrocosmo - è estremamente labile, e che gli scenari (da dove veniamo ? esistono altri, infiniti universi oltre il nostro ? Cosa esisteva prima del Big Bang ? Esistono una decina di dimensioni almeno oltre alle nostre umane, come afferma la 'teoria delle stringhe' ? Ecc...) possibili sono molto estesi, ed è molto difficile escludere anche razionalmente una eventualità, piuttosto che un altra.

In questa larghezza di vedute, che toglie il fiato, si può - lo possono anche coloro che si sentono 'non credenti' - dire: " O Dio, se tu esisti, fa che io ti conosca. "

Non è una bestemmia. E' forse, anzi, la più umana delle preghiere.

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23/10/08

Il duello tra Atei e Credenti secondo Jung - Un presupposto sbagliato.



In tempi nei quali sembra essersi radicalizzato ancor di più il confronto tra i razionalisti-atei e i credenti-positivi, con una reciproca incomunicabilità, ritengo sia davvero utile rileggere questa paginetta di Carl Gustav Jung (davvero profetica), contenuta nella Risposta a Giobbe, testo di cui abbiamo già parlato qui:

In questa materia l'obiettività assoluta è ancora più difficile da raggiungere che altrove. Se si hanno convinzioni religiose positive, cioè se si "crede", si avverte il dubbio come estremamente sgradevole, o addirittura lo si teme. Per questo motivo si preferisce non analizzare l'oggetto della fede. Se invece non si hanno delle opinioni religiose, non ci si confessa volentieri il sentimento di una lacuna, ma o ci si vanta apertamente della propria spregiudicatezza, o si accenna almeno al nobile spirito di libertà su cui si fonda il proprio agnosticismo....

Ambedue, credente e agnostico, sentono senza saperlo l'insufficienze dei loro argomenti. L'illuminismo opera valendosi di inadeguati concetti razionalistici della verità e richiama l'attenzione, ad esempio, sul fatto che credenze come quelle nella nascita da una Vergine, nella qualità di figlio di Dio, nella resurrezione dei morti, nella transustazione e altre ancora siano del tutto assurde. L'agnosticismo afferma di non possedere alcuna nozione relativa a Dio o a un qualsiasi altro oggetto metafisico e si lascia sfuggire il fatto che non si possiede mai una convinzione metafisica, ma si viene posseduti da essa. Disgraziatamente anche i difensori della 'fede' operano spesso con gli stessi futili argomenti, soltanto nel senso opposto..

Ambedue i sostenitori di questi due opposti punti di vista sono posseduti dalla ragione che incarna ai loro occhi l'arbitro supremo e indiscutibile. Ma chi è "la ragione" ? Perchè dovrebbe essere l'arbitro supremo ? Non significa ciò, che è ed esiste un'istanza collocata al di sopra del giudizio della ragione, come ci viene confermato dalla storia dello spirito umano in tanti esempi ?


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