Visualizzazione post con etichetta attenzione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta attenzione. Mostra tutti i post

07/02/20

L'interesse e l'intelligenza dei vecchi

Clint Eastwood, che oggi ha 89 anni

I vecchi (termine bellissimo che oggi è vietato pronunciare perché bisogna dire anziani) spesso sviluppano una vita psichica assai intensa, nell'approssimarsi della morte.

È come se molti di loro volessero recuperare il tempo perduto, sviluppando interessi a cui magari hanno sempre dovuto rinunciare.

Il fatto è che le loro vite oggi sono più difficili, essendosi disintegrata la rete familiare: spesso vivono isolati, fuori da consessi pubblici, nascosti, abbandonati dai congiunti, narcotizzati dagli psicofarmaci.

Ed è un peccato, perché hanno o avrebbero lezioni da darci. Più si va avanti più ci si convince che il disinteresse è la vera peste moderna: l'incapacità di tanti adulti di interessarsi davvero di qualunque cosa - di cose che non conoscono, delle grandi questioni, delle relazioni umane (il disinteresse nelle relazioni, l'incapacità vera di corrispondere) - avrebbe molto molto da imparare da molti di questi vecchi, che sanno ancora stupirsi, che sanno ancora fare un gesto gratuito, che sanno manifestare gratitudine e... interesse.

Fabrizio Falconi
- febbraio 2020 

27/09/18

Basta con le sciocchezze. Nutriamo la vita interiore !



Quanto tempo disperdiamo in inutili sciocchezze. Quanto scialo nelle nostre vite. Di quanta stupidità ricopriamo le nostre giornate, le nostre frequentazioni, il nostro tempo. Siamo una razza accecata, scrive Carl Gustav Jung nel Libro Rosso, viviamo solo in superficie, solo nell'oggi e pensiamo solo al domani. Trattiamo brutalmente il passato, perché non ci prendiamo cura dei morti. Vogliamo fare soltanto lavori che assicurino un successo visibile. Soprattutto vogliamo essere pagati. Non v'è dubbio che le necessità della vita ci hanno costretto a preferire frutti tangibili. Ma chi soffre di più di coloro che si sono smarriti alla superficie del mondo ?

Jung non intende solo pagati nel senso di uno stipendio, ovviamente.  Non sta parlando di monete. Sta parlando di frutti tangibili. Siamo diventati tutti così materialisti - vogliamo solo "frutti tangibili" - così aridi anche nei rapporti, nelle relazioni, nel tempo che passiamo durante la giornata, perfino nelle nostre solitudini. 

Cerchiamo di stordirci, di esercitare il nostro spasmodico bisogno di sedurre, cerchiamo l'ora libera, l'ora d'aria, riempiamo la nostra vita di intervalli inutili, che non riempiono niente. 

Ci perdiamo dietro relazioni narcisistiche, dove si spera di colmare il proprio vuoto con l'amore che l'altro ha o sembra avere per noi, senza accorgerci che anche lì c'è solo vuoto. Perché tutti sono interessati solo a prendere, non a dare.  E purtroppo, o per fortuna, è solo dando, offrendo che si riempie veramente la nostra vita interiore. 

Offrendo attenzione, disponibilità, curiosità, generosità, attenzione, attenzione. 

Cose che costano fatica.

Per questo preferiamo vivere vite stupide, fatte di niente, fatte di ore passate sulla superficie del mondo. 

Solo la vita interiore offre una buona causa per vivere. 

Essa ci chiede continuamente nutrimento, che noi ignoriamo. Per questo soffriamo, per questo ci ammaliamo, per questo ci innamoriamo delle persone sbagliate, per questo continuiamo a perdere tempo sulla superficie del mondo.

E' solo ascoltando se stessi veramente, è solo nutrendo costantemente quell'essere interiore che ci abita e che vuole soltanto crescere, vivere, prosperare per renderci pienamente felici, che possiamo trovare le forze che vogliamo, i desideri che vogliamo, la felicità vera che inseguiamo. 

La vita interiore è silenzio, è sincerità, è generosità, è passione, è curiosità, è attenzione. 

Attenzione vera che è cura costante. Cura di ogni lacrima, cura di ogni gioia. 


Fabrizio Falconi 

31/10/16

"The book of love", una canzone definitiva di Magnetic Fields, portata al successo da Peter Gabriel sull'amore.





E' una splendida canzone, definitiva sul senso dell'amore, quella scritta da Stephin Merrit e dai Magnetic Fields e poi portata al grande successo da Peter Gabriel qualche anno fa e contenuta nell'album Scratch my back (2010).

E' innanzitutto una canzone molto semplice e dal testo molto semplice.

Ma molto sottile.  Innanzitutto, dice, l'amore è un libro

Ciò vuole dire che l'amore preesiste agli stessi innamorati o amanti. E' qualcosa di già scritto, di già esistente, di già formato. Perché è stato scritto tanto tempo fa. (non si sa da chi).

E' dunque molto antico e tutto sommato lungo e noioso, probabilmente perché come tutti i libri antichi contiene una sua saggezza arcana, ma è pesante (non si riesce nemmeno a sollevare per il suo peso) ed è pieno di grafici e fatti e figure e istruzioni, quindi non proprio facile da leggere.

E però è anche un libro pieno di sorprese, perché ha della musica all'interno (la musica, anzi, viene proprio da lì). Anche se questa musica è in parte astrusa  (priva cioè di apparente significato e apparentemente riferita solo a se stessa) e in parte davvero stupida (come sa essere l'amore, specie quando questa musica è interpretata dagli innamorati (infatti è pieno di cose banali come i fiori e le scatole a forma di cuore). 

E ciò nonostante, dice l'innamorato, Io amo quando me lo leggi e tu puoi leggermi qualsiasi cosa, di questo libro.

L'incantamento dunque non è nemmeno nel contenuto del libro, in quello che c'è scritto, ma nel fatto che tu me lo legga.

E che, in qualche modo, me lo regali.

E', anzi, il regalo il vero senso di questo libro.
Il fatto che tu canti per me ogni cosa.

E' questa la vera fede nuziale, che fonda il legame d'amore. 

Un semplice testo dal quale si evincono due cose fondamentali che la saggezza ha imparato a riconoscere nell'amore: la prima, che l'amore pre-esiste agli innamorati. Come scriveva Nietzsche a Lou Salomé, l'amore è infatti più grande di chi ama.  E quindi pre-esiste, resiste e se ne frega delle bassezze, delle sciatterie e delle inadeguatezze di chi ama (o dice di amare).

La seconda è che l'amore passa attraverso un regalo.  Il regalo è di per sè qualcosa di gratuito. Che si fa per il piacere di farlo. E' l'amore che, come scriveva Paul Ricoeur, ad obbligare. Ad obbligare a regalare, a donare spontaneamente. Il regalo è anche una cura. E' avere cura, attenzione per chi si ama.  Ed è anche il discrimine, la mancanza di cura e di attenzione, per tutti quei rapporti che si camuffano da amore, ma amore non sono.

Fabrizio Falconi
il testo originale qui sotto:

Il libro dell'amore è lungo e noioso
Nessuno riesce a sollevare quella dannata cosa
E' pieno di grafici e fatti e figure e istruzioni per danzare
Ma io
Io amo quando me lo leggi
E tu
Tu puoi leggermi qualsiasi cosa
Il libro dell'amore ha della musica all'interno
Infatti la musica viene proprio da lì
Un po' di questa è astrusa
Un po' di questa è davvero stupida
Ma io
Io amo quando canti qualcosa per me
E tu
Tu canti per me ogni cosa
Il libro dell'amore è lungo e noioso
Ed è stato scritto molto tempo fa
E' pieno di fiori e scatole a forma di cuore
E di cose per le quali siamo troppo giovani per sapere
Ma io
Io amo quando mi regali qualcosa
E tu
Tu dovresi regalarmi fedi nuziali
E io
Io amo quando mi regali fedi nuziali
E io
Io amo quando mi regali qualcosa
E tu
Tu dovresti regalarmi fedi nuziali
E io
Io amo quando mi regali qualcosa
E tu
Tu dovresti regalarmi fedi nuziali
Tu dovresti regalarmi fedi nuziali

§

The book of love is long and boring
No one can lift the damn thing
It's full of charts and facts and figures and instructions for dancing
But I
I love it when you read to me
And you
You can read me anything
The book of love has music in it
In fact that's where music comes from
Some of it is just transcendental
Some of it is just really dumb
But I
I love it when you sing to me
And you
You can sing me anything
The book of love is long and boring
And written very long ago
It's full of flowers and heart-shaped boxes
And things we're all too young to know
But I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
And I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
And I
I love it when you give me things
And you
You ought to give me wedding rings
You ought to give me wedding rings

Stephin Merritt e Magnetic Fields 

08/08/16

"Lettera a Simone Weil sulla primavera, l'attenzione e la Grazia" di Roberta de Monticelli



LETTERA A SIMONE WEIL SULLA PRIMAVERA, L'ATTENZIONE E LA GRAZIA

di Roberta De Monticelli

Premessa. Molti ricordano la bellissima apertura della poesia La porta :

Ouvrez donc la porte, et nous verrons les vergers 

Io ho immaginato che quella porta sbarrata – il mondo stesso, secondo una pagina weiliana – si trovasse qui, e che qui avvenisse il nostro incontro. 

Solo, lei oltre quella porta, oltre il muro che ho sognato correre tutto intorno a questo giardino – e io al di qua della porta e del muro. 

E mentre mi studiavo invano di articolare in poche frasi le mille domande che ora, in sogno, finalmente mi era dato farle, un ritmo che non ha la luce del suo verso ma forse appena un po’ dell’aria di questa primavera, mi ha presa per mano, e mi ha aiutato a rompere il ghiaccio, cominciando con una piccola canzone. 

Quando il verde nuovissimo respira
e primavera oscilla alta sui muri 
che cingono il giardino, 
e l’aria è pura luce di vento, 
amica ardua di grazia, 
noi parliamo camminando 
lungo il muro dalla curva dolcissima, 
che gira cerchia su cerchia, intorno a dove sei : 
tu – dentro, oltre la porta, io qui fuori, 
lungo questo marciapiede 
dove i miei passi 
hanno un suono d’argento 
come le tue parole, anima viva : 
tu – già fuori dal tempo, io camminando ancora ; 
di qua e di là dal muro, 
fianco a fianco eppure tu nel vero 
e io nel mezzo, la faccia al futuro. 

Tu, amica, fosti accolta oltre la porta chiusa del mondo. 
Antica Kore rapita a primavera, tu sei morta : 
eppure batte così forte il cuore oltre la porta chiusa, 
così alta si leva la parola ch’io non so più 
chi sia il dio rapace e l’anima rapita 
- così alta si leva e così nera che più non so 
se sia orma, ombra, o ala. 
Ascolto, e non so quanto mi separa dal tuo profilo bruno : 
sette cerchia di mura 
o questa lama questa ferita tua vicina al sole.[1] 

Quando il verde nuovissimo respira 
e primavera oscilla alta sui muri 
che circondano dio ascolto 
e attendo anch’io, signora, maestra d’armi, pulzella e guerriera : 
attendo fuori dalla porta chiusa 
l’ultima fioritura 
- la grazia del tuo riso di ragazza. 

Non è per nulla facile, Simone, « far buon uso » - come diresti tu – di questo po’ di carta bianca che mi è concessa per discorrere con te

In questa sorta di piccolo Eliso dove ti immagino ospite, almeno a primavera – se anche l’eternità, come spero, ha le sue stagioni. Non è facile, ancora meno che «far buon uso » del silenzio, al quale per sua vocazione la tua parola ci affida, al quale anzi la tua lingua mirabile ci apre, letteralmente, fendendoci la mente come una spada affilatissima. 

Non è facile parlare di te, ma soprattutto non è facile parlarti. Non solo perché si preferirebbe continuare ad ascoltarti, con larghe orecchie bianche come pagine. Ma perché con le tue parole è come se sprofondasse in noi, tratto a fondo da loro, quell’io che viene in superficie precisamente nell’atto presente di enunciarsi, nell’atto di parola. 

In questo senso è come se le tue parole non ammettessero replica o risposta, perché tu subito scompari da loro e inviti a scomparire l’io che le accoglie. 

Parlare è voler dire, dunque volere, e agire : rinunciare all’attesa e all’attenzione. Parlare è apparire. E’ ricrearsi, non « decrearsi ». Di più. Conversare è forse per sua essenza cercare un legame – fra il tu e l’io, fra l’io e il fondo, fra il presente e il vero, fra il tempo e l’eterno. Conversare è cercare una connivenza fra tutte queste cose…. Ma a me pare che la tua parola sia venuta per dividere, come una spada, tutte queste cose

L’io penso e il fondo, il presente e il vero, il tempo e l’eterno. Più in generale, a me pare, la tua parola è una spada che divide l’apparenza dall’essenza, il fenomeno dalla realtà. 

Tu stessa lo dici da qualche parte. E’ questa, in definitiva, l’opera di verità propria di quello che tu chiami malheur. La cognizione del dolore – non trovo approssimazione migliore al senso di quella parola – consiste in questo acquisto di realtà a spese dell’apparenza, che ne viene strappata via, pura illusione

« L’apparence colle à l’être et seule la douleur peut les arracher l’une de l’autre », dici.

 Ecco, la tua parola in questo imita il dolore. E’ in qualche modo dolore che parla, pure splendendo come fa una spada. E’ tranchante, taglia il fiato a ogni risposta – e anche solo alla speranza che si fa domanda. E’ l’arma prima del distacco : divide l’anima dalla sua voce, e invita all’esercizio del silenzio. Perciò è così difficile, Simone, replicare a quello che tu dici. Eppure. 




Questo testo è stato pubblicato per la prima volta da : Lorenzo Gobbi. PUBBLICATO DA LORENZO GOBBIWWW.LATTENZIONE.BLOG.COM 

22/01/15

Il nostro incontro non era in agenda.




Il nostro incontro non era in agenda.  Come spesso accade nella vita, abbiamo lasciato fare al caso. Quest'onda increspata che a tratti ci accarezza e a tratti ci sommerge. 

Ma non è così l'anima delle cose.  Questa nebbia indistinta, questo mal di capo, questa debolezza lascia il posto alla furente voglia di cercare il dritto e il compiuto,  la passione delle forti istanze, le meteore che attraversano come un lampo la notte della savana. 

Il nostro incontro non era in agenda.  E tu, anima lo sapevi. 
Hai aspettato paziente e non ti sei sottomessa. 
Come un animale selvatico sei sparita per un po' e poi sei tornata.  Sulle medesime tracce lasciate ai tempi della neve. 
Le riconosci.
Anche io, che son cacciatore, le riconosco.
Anch'io son paziente. 
Ci siamo guardati da lontano e abbiamo lasciato fare.  All'odor di fragole, alle malie del sottobosco, al lampo del tuono prima della pioggia, al rimbombo lontano dei massi caduti. 

Il nostro incontro non era in agenda. Tu ed io potevamo sfiorarci nei percorsi di tutti i giorni e non incontrarci mai.  
Poi venne quel giorno, e l'attenzione fece il resto.
Da quando si è attenti, nulla è più come prima.
Il mondo cambia, tutto il resto cambia. Nell'ingranaggio del motore dell'universo creato o increato, due cose trovano posto, si sovrappongono come nel tempo dell'eclissi. Combaciando perfettamente. E tutti gli animali, tutto il regno si inchina, tira il fiato, ne tiene il conto.



Fabrizio Falconi (Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata).

29/09/14

L'epoca dell'entusiasmo "a caduta rapida" e X-factor.



Viviamo nell'epoca dell'entusiasmo a caduta rapida. 

Nel mondo delle impressioni, nessun sentimento, nessun pensiero, nessuna 'convinzione' è durevole. Tutto, nel bene o nel male, dura al massimo 10 o 15 secondi. Ed è così anche per le good vibrations, che diventano manifesto, coazione a ripetere.  

Un sintomo dell'entusiasmo a caduta rapida dei nostri tempi (incapaci di vera gioia, di vera felicità) sono banalmente questi reality, come x-factor, dove l'ovazione per l'esordiente di turno scatta dopo 10 o 15 secondi di esibizione, dove il parere dei giudici - l'entusiasmo o la (rara) bocciatura - scatta dopo 10 o 15 secondi di esibizione. 

Il nostro entusiasmo ci mette 10 o 15 secondi a sbocciare. E' un entusiasmo finto, ovviamente. 
Epidermico, primario o primitivo. Non c'è alcuna interiorizzazione, non parliamo di un pensiero 'critico'. 

L'entusiasmo - del pubblico, dei 'giudici' e del pubblico a casa - sboccia sulla base di un riflesso pavloviano che dovrebbe giudicare qualcosa di così complesso, profondo e misterioso come il talento

Quale tipo di valutazione di un talento, di un talento umano può essere espletato in una bolgia ? 

Il meccanismo dei talent-show però è indicativo anche di come si è modificato il gusto, e quindi il giudizio umano. 

Quasi nessuna di queste stelline prodotte a tambur battente dai reality vede riconosciuto poi concretamente - e soprattutto durevolmente - il suo talento (al di fuori dei 15 minuti di notorietà, oggi forse ridotti a 5, di cui parlava Warhol).  

I grandi clamori, le grandi acclamazioni e le standing ovations (che quando ero piccolo io si tributavano solo ogni morte di Papa, e solo per esibizioni di talenti davvero stra-ordinari) lasciano il posto spesso a un decadimento immediato. 

Ma è il prodotto di una figura di mondo che è costruita ormai interamente sulle "emozioni" ( non sulla gioia duratura, profonda e silenziosa, che tutti hanno ormai smesso anche di perseguire). 

Eppure ogni forma critica, ogni forma di giudizio nasce da una valutazione silenziosa, dal fare silenzio, che è la prima e indispensabile condizione dell'attenzione. 

Ma, come scriveva Elsa Morante nel 1982 (Aracoeli):  si direbbe che gli umani rifiutano, oggi, il Dio che parlava il linguaggio del silenzio. In tutte le loro azioni quotidiane: lavarsi, nutrirsi, lavorare, accoppiarsi, camminare o star fermi; e dovunque: nelle case e nei caffé, negli alberghi e nei bordelli e negli asili, nelle carceri e negli uffici, nelle automobili e nei treni e negli aerei; dovunque e sempre, individui e masse; vivono soggetti a questa Maestà elettrica, rimbambita e sinistra, infuriante nelle sue casse di plastica da cui escono "lampi e voci e tuoni"

12/09/14

"Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine" - Intervista a Thich Nhat Hahn.


riporto l'intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac, in provincia di Bordeaux a Thich Nhat Hanh, uno dei grandi maestri spirituali contemporanei, e pubblicata il 9 settembre scorso.  

Scorre sul finestrino del treno la campagna francese tra Bordeaux e Bergerac, filare dopo filare tra boschi e prati verdissimi che riflettono un’idea di potente dolcezza. È la stessa forza gentile che sembra di ritrovare negli insegnamenti di Thich Nhat Hanh. Monaco buddhista vietnamita, vive insieme con la sua comunità monastica al Plum Village, sulle colline intorno al minuscolo paese di Thenac. Tutti lo chiamano Thay, maestro semplicemente. Ottantotto anni, il volto severo che all’improvviso fiorisce in un sorriso contagioso di fanciullo, fu esiliato dal Vietnam del Sud nel 1973. Scelse l’Occidente, dove era già apprezzato da Martin Luther King e Thomas Merton, conosciuti nei suoi tour americani in favore della pace. In oltre un centinaio di libri ha creato un insegnamento buddhista rivolto agli occidentali, basato sulla Mindfulness: consapevolezza, presenza mentale. Assieme al Dalai Lama è forse il buddhista più celebre nel mondo, ha centri in ogni continente e un seguito di centinaia di migliaia di persone. Non chiede ai suoi seguaci occidentali di abbandonare la propria religione. Tra i quasi settecento italiani presenti al ritiro di fine agosto, molti infatti erano cristiani. 

Thay, che cos’ha da offrire il suo buddhismo alla generazione digitale, ai giovani che stanno tutto il giorno su Internet?  
«Oggi i giovani passano troppo tempo su Internet, questa è una malattia del nostro tempo. Quando passiamo tre ore davanti al computer ci dimentichiamo completamente di avere un corpo. Internet è uno strumento che può essere di grande beneficio o portarci molti problemi. Utilizzare Internet è un tipo di consumo. Consumiamo attraverso le idee, le immagini e i suoni con cui veniamo in contatto e questi possono essere elementi salutari o tossici. Le persone sono spesso sopraffatte dal numero di informazioni che ricevono su Internet. Molti di noi possono sviluppare una vera e propria dipendenza dall’essere online. Perdiamo noi stessi in questo mare di informazioni e quindi non siamo presenti per noi stessi, per i nostri cari e per la natura. Ci illudiamo pensando che rimanendo su Internet possiamo connetterci con gli altri, ma in realtà ci sentiamo sempre più soli. La consapevolezza ci aiuta prima di tutto a moderare il tempo che passiamo su Internet, e allo stesso momento ci aiuta a sapere se quello con cui entriamo in contatto è benefico o se ci fa sentire ancora più disperazione e solitudine. Consumiamo Internet per coprire la nostra solitudine, ma in realtà ci fa sentire sempre peggio. Molto spesso, quando consumiamo news, film, pornografia e pubblicità, stiamo consumando rabbia, violenza, paura e desiderio». 

Il buddhismo considera l’individuo un’illusione: c’è ancora posto in questa visione per la distinzione tra bene e male?  
«Nel XX secolo l’individualismo è stato messo in primo piano e questo ha creato molta sofferenza e difficoltà. Creiamo una separazione tra noi stessi e gli altri, tra padre e figlio, tra uomo e natura, tra una nazione e l’altra. Non siamo consapevoli dell’interconnessione tra noi stessi e tutto ciò che ci circonda. Quest’interconnessione è quello che nel buddhismo chiamiamo “interessere”. Il cammino etico che ci viene offerto dal buddhismo si basa sulla comprensione profonda dell’interessere. Quello che succede all’individuo influenza quello che accade in tutta la società e sull’intero pianeta. Su questo cammino la pratica della presenza mentale ci aiuta a fare una distinzione tra ciò che è bene e male, giusto e sbagliato. Quando siamo consapevoli possiamo vedere i danni che sono stati causati agli animali e al pianeta al fine di produrre carne per il nostro consumo. Con questa consapevolezza mangiare cibo vegetariano diventa un atto di amore verso noi stessi, verso il nostro ecosistema e il pianeta. Molti di noi rincorrono la fama, il potere, i soldi o il piacere dei sensi. Pensiamo che queste cose ci possano portare la felicità, ma al contrario ci possono portare a distruggere il nostro corpo e la nostra mente. Spesso i giovani confondono il sesso con il vero amore, ma in realtà una sessualità vuota può distruggere l’amore, e portare ancora più desiderio, solitudine e disperazione. La presenza mentale ci aiuta a sviluppare la nostra comprensione riguardo l’altra persona. Il vero amore non può esistere senza comprensione». 

È possibile superare la paura della morte?  
«La radice della paura è la nostra visione erronea per quanto riguarda la natura della morte. Abbiamo paura della morte perché pensiamo che una volta morti diventeremo il nulla. La scienza moderna ci insegna che nulla si crea, nulla si perde e che tutto si trasforma. Osservando una nuvola possiamo chiederci se possa morire. Può una nuvola da qualcosa diventare nulla? Osservando in profondità, possiamo vedere che la nuvola può solo diventare pioggia, neve, grandine e poi di nuovo vapore acqueo. Anche la nostra natura è come quella della nuvola. Proprio come la pioggia e la neve sono la continuazione della nuvola, le nostre azioni di corpo, parola e mente ci continuano sempre». 


intervista realizzata da Claudio Gallo de La Stampa a Thenac a Thich Nhat Hanh, pubblicata il 9 settembre scorso.