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28/02/20

Smartphone e ragazzi: Le parole di fuoco di Zadie Smith



Passerò per luddista, ma sapere che prima o poi, attorno ai 13/14 anni (ah, ottimista! nota mia), dovrò dare ai miei figli degli smartphone mi fa imbestialire. 

Ora resisto, ma non c'è via di uscita, sarebbero emarginati dal sistema scolastico e poi universitario. 

Odio questi telefoni, penso siano letali per lo sviluppo dei giovani: ti localizzano, sono progettati per creare dipendenza... come se un'intera società, un governo e un'istituzione privata mi dicessero: "A 14 anni tuo figlio deve assumere eroina, tutti sono dipendenti dall'eroina." 

Lo trovo vergognoso! Ma non ho scelta ed è lesivo della mia libertà.

Zadie Smith, intervista di Luca Mastrantonio, il Corriere della Sera, Sette, 21.02.2020

23/01/20

La sopravvalutazione - tutta italiana - della politica




In questo anno in cui si celebrano i 100 anni (dalla morte) di Modigliani, i 100 (dalla nascita) di Fellini, i 500 (dalla morte) di Raffaello Sanzio, i 100 (dalla nascita) di Benedetti Michelangeli, l'Italia preferisce crogiolarsi nella Craxitudine.

Il che conferma quello che ho sempre pensato: che in questo paese c'è da sempre una super-eccessiva importanza data alla politica, che da noi è spesso - e oggi più che mai - farsa, commedia, intrattenimento, chiacchiera becera, operetta. Eppure la politica - specie quella italica - conta molto poco alla fine.

Nella economia di una vita contano o conterebbero molto molto di più le felicità, le ricchezze, le consapevolezze donate alle nostre anime e all'anima complessiva del paese che abitiamo, dagli spiriti illuminati che nei più diversi settori hanno dimostrato cosa può dare e fare l'indole umana creativa.

Invece preferiamo arrotolarci nel piccolo nostro cortile di torti e ragioni, di battaglie perse sugli scranni e vendette o riscatti. Che, dico io, lasceranno flebilissima, impalpabile traccia nella storia collettiva e ancor di più individuale.

Fabrizio Falconi
gennaio 2020 

18/12/18

Un paese più depresso (e nessuno se ne occupa) - Un bellissimo intervento di Franco Arminio.



Il nero dell’Italia di oggi non è il fascismo, ma la depressione. Forse sono depressi anche in Francia, ma lì ora è una depressione che si agita. Da noi è una cosa inerte, cupa. Tutti parlano di Salvini, ma il problema sono quelli che non escono di casa. Ci sono milioni di italiani in pigiama. C’è gente che finisce la sua giornata prima di cominciarla. Esistono i lavori usuranti, ma esistono anche i riposi usuranti. Abbiamo milioni di pensionati in buona salute, ma a cui nessuno sa cosa chiedere. Milioni di giovani senza lavoro e molto spesso senza utopie. Abbiamo un esercito di mutilati che non hanno partecipato a nessuna battaglia. La depressione degli italiani ovviamente non preoccupa nessuno perché i depressi in genere non danno fastidio. Anzi, uno dei motivi dell’assenza di conflitto sociale è proprio il dilagare della depressione. E ovviamente anche della paura.
Parliamo sempre della paura per i migranti. Ma forse la vera paura è il cancro. Siamo avvinti a questo nodo scuro che nessun uragano può sciogliere. Nessuno di noi, in nessun luogo può dire di non avere un parente o un conoscente ammalato di cancro. Anche la salute non è mai stata tanto grigia. Basta guardare le facce che ci sono in giro. È come se fosse sceso un velo grigio sulle facce. La scontentezza fa più danni del colesterolo. E poi c’è la lingua. Gli italiani non hanno mai parlato così male. Una volta c’erano i pastori, i barbieri che parlavano in rima. Anche chi non aveva studiato ti sapeva raccontare qualcosa. Ora si parla tanto di narrazioni, ma nessuno sa narrare niente. E ci si ammala anche per questo. C’è come un ristagno delle emozioni. La Rete ha creato un mondo di solitari che aspettano ogni giorno una parola che non arriva e se arriva non è mai bastevole. Primo e ultimo gesto della giornata: accendere e spegnere il telefonino. È come portarsi dietro una bombola di ossigeno vuota. Non c’è aria in Rete, è solo un traffico di ombre. E quello che una volta si chiamava mondo reale è un deserto. L’unico luogo dove si fa vita sociale ormai sono i ristoranti. Visti da fuori sembrano acquari dove ogni cliente è un pesciolino.

15/09/17

"Viviamo nell'età della rabbia" - dal 29 settembre al 1 ottobre il Festival di Internazionale a Ferrara.





Oltre 250 ospiti provenienti da 40 paesi e da 4 continenti per 250 ore di programmazione e 130 incontri. 

Questi i numeri del programma di Internazionale a Ferrara che e' stato presentato nella sede della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Filo conduttore di questa edizione e' la prospettiva intesa come lungimiranza e opportunita', una risposta ai moti xenofobi, ai populismi e ai nuovi protezionismi, sintomi di un affanno della politica a fare fronte ai grandi mutamenti sociali

Per tendere verso un`informazione corretta; per leggere gli eventi in corso senza paura, immaginando soluzioni rispettose dei diritti umani; per individuare modelli economici piu' inclusivi, serve la giusta distanza. 

"Anche quest`anno la citta' di Ferrara si trasformera' per un fine settimana nella piu' grande redazione al mondo - ha dichiarato Giovanni De Mauro, direttore di Internazionale - Il mondo del nostro logo quest`anno ha un cannocchiale, per cercare una direzione, mettere in prospettiva le cose, guardarle dalla giusta distanza per vedere non solo crisi ma anche le possibili soluzioni". "

Grandi ospiti da tutto il mondo: da Angela Davis, femminista ed ex militante del partito comunista statunitense a John Lewis che nel 1963, insieme a Martin Luther King organizzo' la grande marcia su Washington al termine della quale fu pronunciato il celebre discorso "I have a dream". Appuntamento, come ogni anno, con giornalisti, scrittori e fotoreporter da ogni continente: dallo scrittore siriano Khaled Khalifa alla reporter colombiana Marta Ruiz, dall`inviato iracheno Gaith Abdul-Ahad all`attivista di origine eritrea Meron Estefanos, fino a Shane Bauer che, nell`anno del risveglio dei nazionalismi e del razzismo istituzionalizzato, sotto copertura si e' infiltrato nei movimenti paramilitari di estrema destra americani. 

Emblematico l`incontro conclusivo del festival, intitolato "L`Eta' della rabbia" dal libro dello scrittore indiano Pankaj Mishra che dialoghera' con lo statunitense Adam Shatz e lo studioso francese Olivier Roy. 

30/10/13

Goffredo Parise: "Gli italiani non hanno mai amato l'idea dello Stato, è estranea al loro cuore e al loro cervello."




«La mia ragione e il mio sentimento sono condotti da un'idea estremamente elementare: l'enorme difficoltà di molti italiani a concepire non soltanto l'idea dello Stato ma soprattutto l'idea della democrazia».

Così scriveva Goffredo Parise nella rubrica di corrispondenza con i lettori del Corriere della Sera tenuta tra il 1974 e il 1975. Alcune di quelle risposte sono raccolte da Adelphi in Dobbiamo disobbedire (76 pagine, 7 euro a cura e con una postfazione di Silvio Perrella).




Negli anni in cui con i Sillabari, Parise aveva deciso di tornare ai sentimenti primari e a una scrittura quasi trasparente nella sua limpidezza, anche il suo sentimento civico si volgeva ai "fondamentali". Con la sensibilità rabdomantica del grande artista percepiva esattamente cosa stava cambiando e cosa permaneva nello spirito degli italiani. Individuando quelle costanti di fondo che restano vere ancora oggi.

«L'Italia non vuole più essere l'Italia. Gli italiani (parlo della grandissima maggioranza) non vogliono più essere italiani. Se ne fregano dei monumenti, dei musei, di San Pietro e della chiesa cattolica, dei Palazzi Pitti e Uffizi; ci mandano i loro figli con la scuola, ma se ne fregano, e se ne fregheranno i loro figli quando sarà il momento. Gli italiani non vogliono più essere italiani perché vogliono essere ancora meno che regionali, vogliono essere "paesani", "paisà", perché l'unità d'Italia, che del resto non c¿è mai stata, oggi c'è meno che mai. Oggi l'Italia è spezzata non in staterelli, ma in "lotti", in piccole, piccolissime, proprietà private a cui gli italiani, nel loro povero animo e nel loro povero corpo privi di Stato tengono in modo fanatico.

Per gli italiani di oggi, non di ieri, l'Italia è il "lotto", il proprio terreno, la propria villetta, il proprio "bicamere e servizi", costruiti da geometri o finti architetti secondo i propri gusti e soprattutto in materiali pressoché eterni come il cemento armato che diano a quei poveri corpi e a quelle povere anime senza Stato l'illusione di averne uno, indistruttibile. Se potessero costruirsi un bunker, con fabbrichetta accanto e un proprio esercito personale, lo farebbero. Il perché è troppo lungo da spiegare, fondamentalmente va ricercato nell'assenza non soltanto dello Stato ma dell'idea dello Stato (che fa lo Stato), che non gli è mai stata insegnata, che non hanno mai amata, che è ostica al loro cervello e al loro cuore, e in cui non credono».


26/03/13

100.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi. Grazie a tutti.




Vorrei ringraziarvi tutti, per aver tagliato, dopo così poco tempo,  il traguardo ragguardevole dei 100.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio mira a rivolgersi, con umiltà, dal basso, alle cose vere e importanti delle quali spesso non ci occupiamo, troppo presi a fare altro. Letteratura, poesia, temi di attualità, senso spirituale della vita, grandi questioni ultime.  

Ma sempre più è diventato anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno, insieme alla vita che viviamo.

Grazie.

Fabrizio

07/12/11

L'arresto di Zagaria e la propensione del male per il sottosuolo.



Osservando le immagini dell'arresto di Michele Zagaria, oggi, penso ai corsi e ricorsi che accompagnano, da sempre le fasi di cattura dei grandi criminali della storia.

SEMPRE, da Hitler a Saddam, da Gheddafi al camorrista Zagaria, c'è di mezzo un bunker, un nascondiglio, un sottoterra.


Sempre, c'è bisogno di sottrarsi allo sguardo, e di rifugiarsi nella terra, nel basso, nell'infimo. Una specie di attrazione irresistibile per chi compie il male.

C'è poi un ulteriore motivo, che farebbe la felicità dei grandi analisti di simboli, che è quello della presenza costante, in questi bunker, in questi rifugi, in questi sotterranei, di richiami religiosi. Una bibbia acutamente sottolineata, come il caso di Riina, un rosario - come sembra avvenne nel bunker di Berlino - un libro di preghiere, come è avvenuto anche oggi all'apertura del nascondiglio di Zagaria.

E' davvero qualcosa su cui meditare.

E tornano in mente le parole - profetiche - di Simone Weil: Quando si compie il male, non lo si conosce, perché il male fugge la luce.

05/12/11

Le lacrime della Fornero - un sussulto di umanità.



C'è qualcosa di estremamente indicativo in questa gara di cinismo - tipicamente italiano - che si è scatenata sulle lacrime del ministro Fornero, ieri in conferenza stampa, durante la presentazione della manovra.

Il nostro cuore si è così indurito, in questo paese, che quando una persona piange in pubblico, il primo pensiero è quasi sempre: "perché piange ? Cosa avrà da nascondere ? Lo fa apposta ? Quale sarà la vera intenzione ? Che grande attore. Chi vuol convincere ?"

Siamo diventati specialisti, lo siamo da sempre, della malizia, del pensiero malevolo, del pre-giudizio, sempre.

Eppure, io credo che quando una persona piange, bisognerebbe sempre restare in silenzio.

Il pianto umano suscita rispetto. Perché il pianto è la qualità umana per eccellenza.  Noi nasciamo piangendo. La madre che ci partorisce, piange. La nostra vita nasce in un pianto.  Il pianto è ciò che ci differenza dal resto della creazione ed è quindi la qualità più umana che possediamo.

Se un politico piange - ed è sincero nel suo non riuscire a trattenere le lacrime - è un buon segno.

Vuol dire che forse si può ancora sperare.

20/04/11

La vita convulsa e il centro perduto.


Viviamo oramai tutti (o quasi) vite random: le cose non ci accadono perché le scegliamo, ma perché ci capitano addosso. Mentre facciamo una cosa, ce ne capita un’altra.

Sì, siamo impegnati a scrivere quella che sarebbe una calorosa mail a un nostro caro amico lontano, ma nel frattempo squilla il cellulare e c’è una telefonata che non possiamo mandare indietro; lampeggia un flash sul computer e il download della canzone che amiamo da I-Tunes è terminato, dobbiamo ricordarci di accendere la tv per sapere che tempo farà domani; ma nel frattempo un sms ci ricorda che non abbiamo rinnovato l’assicurazione e passiamo mezz’ora al call-center in cerca di un operatore che ci ascolti.

‘Troppe informazioni mi rendono pazzo’, cantava un celebre ritornello di Sting e soci.

Più che pazzi, poi – nel senso comunque di dissociati – sembrerebbe che la frammentazione inarrestabile delle vite porti ad un senso di infelicità latente. Se faccio mille cose, ma nessuna di queste mettendoci dentro TUTTO me stesso, come farò ad essere felice?

Non è che la ‘vita liquida’ scivola via dalle dita senza lasciarci nulla di solido in mano?

Eppure, quando ci succede qualcosa di inaspettato e brutale – un lutto, una perdita di lavoro, la fine di un rapporto – improvvisamente ci rendiamo conto che così non va, non può andare.

Ci ricordiamo che la nostra vita è (sarebbe) ancorata a un Centro. Il nostro Centro ha un suono solenne, come il sax di Jan Garbarek che svaria sulle voci del coro dell’Hilliard Ensemble. Il nostro Centro è come il galleggiante di una lenza. Le acque turbinose lo sbattono di qua e di là, ma non appena le onde si placano, il galleggiante si riposiziona nella sua posizione naturale. In quello che è e che dovrebbe essere il Centro. La vita random può anche andare bene. Ma sarà difficile, in una vita random, ascoltare un giorno il sussurro del Centro che palpita in ognuno di noi.

Fabrizio Falconi

15/04/11

Restiamo Umani - l'addio a Vittorio Arrigoni.



Il Mantello di Bartimeo si unisce al dolore per la morte di Vittorio Arrigoni, un uomo coraggioso. Ma forse varrebbe la pena definirlo semplicemente: un uomo.

Visto che il motto con il quale chiudeva ogni sua corrispondenza da Gaza era 'restiamo umani'.

Diamo l'ultimo saluto a questo compagno di viaggio, con le parole appena battute dalle agenzie dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano scritte alla signora Egidia Beretta, madre di Vittorio: ''Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. Ho appreso con sgomento - afferma - la terribile notizia della vile uccisione di suo figlio Vittorio a Gaza. Questa barbarie terroristica suscita repulsione nelle coscienze civili. La comunita' internazionale tutta e' chiamata a rifiutare ogni forma di violenza e a ricercare con rinnovata determinazione una soluzione negoziale al conflitto che insanguina la Regione. Esprimo a lei e alla sua famiglia, in quest'ora di grande dolore, i sensi della mia piu' sincera e affettuosa vicinanza e del piu' grande rispetto per il generoso impegno di suo figlio''.

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17/10/10

Le cose che il Cile ha insegnato (a noi e al mondo).


Avendo seguito la vicenda dei minatori cileni sin dall’inizio, anche per ragioni di lavoro, in modo approfondito, vorrei sottoporvi queste piccole riflessioni.

La vicenda, ha secondo me offerto insegnamenti importanti. Molto spesso mi è capitato di pensare a cosa sarebbe successo se questa storia fosse capitata in Italia, oggi.

Ed ecco ciò che ho notato:

1. Innanzitutto il Cile – un paese che per molti degli italiani esiste solo in quanto patria di calciatori o di vaghi ricordi legati a Pinochet – ha fornito una incredibile dimostrazione di efficienza. La macchina dei soccorsi è stata tempestiva, efficace e direi quasi miracolosa, ricordando che questo del disastro cileno è un caso UNICO nella storia, e sin dall’inizio si era compreso che era necessario ricorrere a tecnologie (macro e micro) del tutto nuove, primo per identificare il luogo dove i minatori si trovavano, se sopravvissuti alla catastrofe, secondo per tirarli fuori di lì. I cileni hanno bruciato i tempi. Si parlava di Natale, all’inizio: hanno tirato fuori tutti i minatori due mesi prima, con una operazione tecnicamente perfetta.

2. Il paese, il Cile, ha dimostrato in questi due mesi e mezzo, una compattezza straordinaria: dal momento in cui si è saputo che i minatori erano vivi, nessuno più si è messo di traverso. La politica ha smorzato i toni, il premier e il governo sono stati sostenuti in ogni modo (possiamo immaginare cosa sarebbe successo in Italia ?). I giornali hanno lavorato per i minatori. La gente, il popolo, si è stretto intorno ai minatori, facendoli sentire vivi e necessari.

3. Al momento del salvataggio vero e proprio, i 1700 giornalisti di tutto il mondo accreditati (più di quanti ce ne erano per la morte di Woytila) – ma non li avevano invitati i cileni, erano venuti loro perché si tratta di una storia unica – sono stati tenuti in considerazione, ma lontano dalla botola del pozzo.

4. Intorno a questa botola, c’erano pochissime persone. Il presidente era uno di loro, e non aveva un posto privilegiato. Aspettava il suo turno per abbracciare i minatori che uscivano.

5.I minatori hanno mantenuto per tutta la durata della loro prigionia sottoterra, una dignità spaventosa: pur collegati in diretta, con la video via cavo, hanno evitato sceneggiate, mai crisi di nervi, mai appelli, mai richieste inappropriate, non un litigio, non una prevaricazione. La solidarietà esistente tra di loro è stata anzi completa fino all’ultimo – ognuno di loro aveva espresso il desiderio di uscire per ultimo dal pozzo.

6.Anche una volta usciti, i minatori hanno manifestato una gioia contenuta, sobria, vera. Gli abbracci sotto le telecamere sono stati perfino pudichi. Nessuno di loro ha parlato a vanvera, nessuno di loro ha ‘esternato’. Uno solo, anzi, ha tenuto a precisare di voler essere considerato per quello che è, e cioè ‘un operaio’ e non un artista.

7. Si è detto che le mogli e i parenti erano stati agghindati per le telecamere: niente di più falso. Erano donne che si erano preparate per i loro uomini, per i loro mariti o fidanzati, la cosa più naturale del mondo. Avevano i capelli in ordine e un filo di trucco perché volevano essere belle per loro. E loro, si erano sbarbati e pettinati per venir fuori. Non lo hanno fatto certo per le telecamere.

8.La vicenda è entrata nel cuore dei telespettatori di tutto il mondo per questo: perché ha raccontato la vita vera, le persone vere, le situazioni vere. Il rischio, la morte, la paura, l’abisso, la speranza, la fede, la solidarietà, l’amicizia, la fraternità, la sopravvivenza, il riscatto. Un piccolo compendio di umanità. Di tutto ciò che è legato all’essere umano, alla sua vera essenza.

9. E’ per questo che ieri, seguendo le notizie sui siti e sui TG italiani sono rimasto davvero basito, e mi sono intristito, per l’ennesima volta. La notizia dei minatori cileni – prima notizia in tutti i siti del mondo, ieri, dalla CNN all’ultimo sperduto sito indiano – ha resistito da noi come prima notizia solo poche ore, fino al terzo o quarto salvato. Già a partire dalle undici del mattino, sui siti la notizia è scivolata al secondo posto, scalzata dalla notiziona degli incidenti tra tifosi alla partita Italia-Serbia. I tg della sera hanno aperto tutti con Italia-Serbia (anche Mentana, che ha dato la notizia dei minatori quasi in chiusura di edizione). Davvero una tristezza: ancora una volta la dimostrazione di quanta fatica faccia il bene – tutto ciò che ho riassunto nell’elenco precedente – a diventare notizia, specie nel nostro cortiletto italico. Per noi la notizia degli ennesimi scontri ad una partita di calcio, dell’energumeno serbo incappucciato (nessun morto, per fortuna, ma va bene lo stesso..) è più importante di una storia epica di disgrazia che diventa riscatto e salvezza grazie alla forza di un intero popolo, alla solidarietà di un intero popolo. No, no, per noi vale sempre di più, e meglio, il rosario delle nostre cattive notizie quotidiane.

Fabrizio Falconi

06/02/10

Vito Mancuso sulla vicenda Boffo e sugli intrighi vaticani.


Davvero consiglio la lettura di questo articolo di Vito Mancuso pubblicato qualche giorno fa su La Repubblica. Riassume in termini sintetici ma anche molto drastici e duri quel che sta succedendo e che è successo nelle ultime settimane dentro una Chiesa che appare sempre più lacerata e per la quale occorre davvero pregare molto. Lo pubblico integralmente.
Il Papa il potere e il veleno dei cardinali
di Vito Mancuso
( "la Repubblica" del 4 febbraio 2010 )

Sarà vero che il documento calunnioso sul direttore di Avvenire è stato consegnato al direttore del Giornale niente di meno che da Giovanni Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, dietro esplicito mandato del Segretario di Stato vaticano cardinale Bertone, numero due della gerarchia cattolica a livello mondiale? E che l'insigne porporato si è servito di Vian e di Feltri per colpire il direttore di Avvenire in quanto espressione di una Conferenza Episcopale Italiana a suo avviso troppo indipendente e troppo politicamente equidistante? E che quindi il vero bersaglio del cardinal Bertone era il collega e confratello cardinal Bagnasco? Sarà vera la notizia di questo complotto intraecclesiale degno di papa Borgia e di sua figlia Lucrezia?

Come cattolico spero di no, ma come conoscitore di un po' di storia e di cronaca della Chiesa temo di sì. Del resto fu l'allora cardinal Ratzinger, poco prima di essere eletto papa, a parlare di "sporcizia" all'interno della Chiesa (25 marzo 2005). Qualcuno in questi cinque anni l'ha visto fare pulizia? Direi di no, e forse non a caso proprio ieri egli ha parlato di «tentazione della carriera, del potere, da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di governo nella Chiesa». Quindi è lecito pensare che la sporcizia denunciata dal Papa abbia potuto produrre l'abbondante dose di spazzatura morale di cui ora forse veniamo a conoscenza.
Naturalmente come siano andate davvero le cose è dovere morale dei diretti interessati chiarirlo. Con una precisa consapevolezza: che gli storici un giorno indagheranno e ricostruiranno la verità, la quale alla fine emerge sempre, chiara e splendente, perché non c'è nulla di più forte della verità. Le bugie hanno le gambe corte, dice il proverbio, e questo per fortuna vale anche per il foro ecclesiastico.

Siamo in un mondo che è preda di una devastante crisi morale. Le anime dei giovani sono aggredite dalla nebbia del nichilismo. Parole come bene, verità, giustizia, amore, fedeltà, appaiono a un numero crescente di persone solo ingenue illusioni. La missione morale e spirituale della Chiesa è più urgente che mai. E invece che cosa succede? Succede che la gerarchia della Chiesa pensa solo a se stessa come una qualunque altra lobby di potere, e come una qualunque altra lobby è dilaniata da lotte fratricide all'interno.

Certo, nulla di nuovo alla luce dei duemila anni di storia e di certo nessun cattolico sta svenendo disilluso. Rimane però il problema principale, e cioè che oggi, molto più di ieri, il criterio decisivo per fare carriera all'interno della Chiesa non è la spiritualità e la nobiltà d'animo ma il servilismo, e che la dote principale richiesta al futuro dirigente ecclesiastico non è lo spirito di profezia e l'ardore della carità, ma l'obbedienza all'autorità sempre e comunque. Eccoci dunque al tipo umano che emerge dalle cronache di questi giorni: il cosiddetto "uomo di Chiesa". È la presenza sempre più massiccia di persone così ai vertici della Chiesa che mi rende propenso a credere che le accuse alla coppia Bertone-Vian siano fondate.

Impossibile però non vedere che nella storia ecclesiastica misfatti di questo genere contro gli elementari principi della morale ne sono avvenuti in quantità. Anzi, che cosa sarà mai un foglietto calunnioso passato al direttore di un giornale laico per far fuori il direttore del giornale cattolico, rispetto alle torture e ai morti dell'Inquisizione? È noto che il potere temporale dei papi si è basato per secoli su un documento falso quale la Donazione di Costantino, attribuito all'imperatore romano e invece redatto qualche secolo dopo dalla cancelleria papale.

Che cosa concludere allora? Che è tutto un imbroglio? No, il messaggio dell'amore universale per il quale Gesù ha dato la vita non è un imbroglio. L'imbroglio e gli imbroglioni sono coloro che lo sfruttano per la loro sete di potere, per la quale hanno costruito una teologia secondo cui credere in Gesù significa obbedire sempre e comunque alla Chiesa.

Secondo l'impostazione cattolico-romana venutasi a creare soprattutto a partire dal concilio di Trento la mediazione della struttura ecclesiastica è il criterio decisivo del credere. Lo esemplificano al meglio queste parole di Ignazio di Loyola rivolte a chi «vuole essere un buon figlio della Chiesa»: «Per essere certi in tutto, dobbiamo sempre tenere questo criterio: quello che io vedo bianco lo credo nero, se lo stabilisce la Chiesa gerarchica». Ne viene che il baricentro spirituale dell'uomo di Chiesa non è nella propria coscienza, ma fuori di sé, nella gerarchia. I "principi non negoziabili" non sono dentro di lui ma nel volere dei superiori, e se gli si ordina di scrivere la falsa donazione di Costantino egli lo fa, e se gli si ordina di torturare gli eretici egli lo fa, e se gli si ordina di appiccare il fuoco alle fascine per il rogo egli lo fa, e se gli si ordina di passare un documento falso egli lo fa. Ecco l'uomo di Chiesa voluto e utilizzato da una certa gerarchia. È questa la sporcizia a cui si riferiva il cardinal Ratzinger nel venerdì santo del 2005? È questo il carrierismo denunciato ieri da Benedetto XVI?

Il messaggio di Gesù però è troppo importante per farselo rovinare da qualche personaggio assetato di potere della nomenklatura vaticana. Una fede matura sa distaccarsi dall'obbedienza incondizionata alla gerarchia e se vede bianco dirà sempre che è bianco, anche se è stato stabilito che è nero. Né si presterà mai a intrighi di sorta "per il bene della Chiesa". La vera Chiesa infatti è molto più grande del Vaticano e dei suoi dirigenti, è l'Ecclesia ab Abel, cioè esistente a partire da Abele in quanto comunità dei giusti. In questa Chiesa quello che conta è la purezza del cuore, mentre non serve a nulla portare sulla testa curiosi copricapo tondeggianti, viola, rossi o bianchi che siano.


fonte La Repubblica - http://www.repubblica.it

29/09/09

La cura e il poco. Due antidoti (cristiani) alla mancanza di Senso.


Essere uomini, però non è semplice.

Tanto più oggi. Il senso dell’orientamento è smarrito. Le vecchie società patriarcali, pur nell’abisso di palesi ingiustizie, e di inferni quotidiani e familiari, fornivano sicuri appoggi: per essere uomini occorreva il rispetto di poche e semplici, lineari regole. Nascita, obbedienza, iniziazione, coraggio, destino, onorabilità, consolazione, pietà.

Parole che sembrano oggi difficili da ritrovare, nel pullulare infinito di ‘bit’ dentro il quale sembra essersi parcellizzata la nostra ricerca di senso. Essere felici è diventato più importante che essere umani. Ma, come appare chiaro, nessuno può essere veramente felice, se non è prima di tutto umano.

Quindi, bisogna ripartire dall’origine.

E, ne sono convinto, non è semplice compiere oggi un percorso di umanizzazione, o di ri-umanizzazione. Gli ostacoli sono tanti, e appaiono spesso insormontabili.

Eppure, è l’esempio di Cristo stesso che ci indica la via, come sempre. L’aiuto cristiano – il tanto decantato ( e spesso vuoto, nelle affermazioni di principio) “amore per il prossimo “ - dovrebbe essere null’altro che aiutare gli altri ad eliminare quegli ostacoli (interiori ed esteriori) che si frappongono al raggiungimento dello "stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini 4:13).

Sono parole su cui bisognerebbe meditare a lungo.

Se si vuole ritrovare la via di un Senso, bisogna, mai come in questi tempi, nuotare controcorrente.


La corrente porta attualmente verso: la dispersione e il troppo. Ciascuno di noi è diviso tra troppe opportunità (spesso del tutto velleitarie), che ci rendono come pazzi, invasati. Fare mille cose per non farne, di vera, nessuna. E’ la civiltà del ‘troppo’: troppi consumi, troppe informazioni, troppe possibilità (uguale: immobilità paralizzante), troppo di tutto.
Ed è anche la civiltà della dispersione: perdiamo qualità umana, come se fosse acqua nello scarico delle fogne. Perché viviamo come dentro un flusso, e non riusciamo a trovare contenitori che contengano le nostre azioni.

Il rimedio mi appare dunque in due sole parole, che sono anche un intero programma di vita: cura e poco.

Primo: rifuggire dal troppo: accontentarsi del poco. Valorizzare il poco. Selezionare, rifiutare il superfluo, esercitarsi sulla lunghezza d’onda di un risparmio, di una austerità, di una sobrietà, così in controtendenza rispetto al messaggio imperante e dilagante.

Secondo: esercitare la cura. La cura vuol dire non soltanto la cura cristiana. Più in generale dedicarsi alla cura, all’attenzione. Concentrare le forze buone su un progetto di crescita che sia, possibilmente, altro da noi.

L’uomo ha inscritto nel suo destino queste due qualità: il poco e la cura. L’uomo ha saputo costruirsi dal nulla, con poco, dalla semplice terra. Ha saputo sopravvivere ad ogni necessità, e questa è stata – anche biologicamente – la sua forza evolutiva. L’uomo ha saputo applicarsi alla cura, con risultati straordinari.

Senza la cultura del poco, senza la cura in quello che facciamo, noi non siamo fino in fondo uomini, e quindi, non siamo niente.

in testa Il Giardiniere di Vincent Van Gogh.

27/07/09

La difficoltà della Fede.


Davvero è una bella iniziativa quella del Corriere della Sera di concedere una pagina del giornale, ogni ultima domenica del mese, al Cardinale Carlo Maria Martini.


Spero che i lettori divengano sempre più numerosi, perchè davvero è difficile trovare in giro pensieri così lucidi, come quelli che espone, pacatamente e fermamente, nelle sue risposte, il card. Martini, che - del resto - è davvero una 'grande anima' (come dicono gli orientali), e speriamo che ci sia conservata ancora a lungo.

Della pagina di ieri mi ha molto colpito una frase che Martini utilizza per rispondere alle molte lettere che gli giungono sul tema della fede perduta - come si fa a ritrovarla, come si fa rinforzarla, come si fa a credere, sostanzialmente.

Martini, nel suo stile sobrio ed essenziale, dà alcuni pratici consigli, seguiti a illuminanti e brevi considerazioni. Alla fine, però scrive: " ho sperimentato in me stesso che le difficoltà contro la fede crescono a misura che si rimpicciolisce il quadro di riferimento. "

Ci ho riflettuto a lungo, e mi sono detto, alla fine: " come è vero. " E' proprio vero che l'agonia della fede, di questi tempi, della fede cristiana, ma anche delle altre fedi, è dovuta, principalmente proprio a questa 'ristrettezza di orizzonti.'

Ci ho pensato, ancor di più sulla scorta delle celebrazioni per il quarantennale dell'Uomo sulla Luna, in corso in tutto il mondo. Sono passati appena 40 anni, eppure quelli che hanno vissuto quell'epoca, ricordano che le prospettive umane, in quel periodo, si erano davvero ampliate: a l'uomo, forse anche sulla base di queste incredibili missioni spaziali, veniva naturale pensare, riflettere all'immensità del cosmo, all'immane mistero che circonda il nostro piccolissimo pianeta, della vita che su questo pianeta si è sviluppato, sul futuro insondabile che ci aspetta. Sembra passata un'eternità da allora.

In questi ultimi decenni sembra ci sia stato un ripiegamento sempre più feroce verso il minimo, il basso, a volte l'infimo. Archiviata la parentesi delle grandi conquiste spaziali, si è ri-cominciato a pensare in piccolo, sempre più piccolo. E sembra che a qualcuno che sta in alto questo faccia molto molto comodo.

Eppure soltanto se si sfoglia un libro di fisica divulgativa, oggi - ce ne sono tanti e di ottimi in commercio - si scopre che la nostra conoscenza di quel mistero prosegue, e ci svela panorami sempre più stupefacenti: il multiverso, la singolarità che ha generato il nostro universo, i buchi neri, l'antimateria, gli universi paralleli, i mattoni della materia, i quark, i bosoni, i barioni, la fisica delle particelle, la meccanica quantistica, la teoria delle stringhe: stiamo scoprendo una complessità in-immaginabile fino a qualche decennio fa.

Stiamo scoprendo un 'oltre', un 'tutto' che è ben oltre qualsiasi nostro canone pensabile.

Eppure... guardando le notizie sui giornali, guardando la tv - specie in questo paese - sembra che la realtà finisca alle miserabili beghe politiche, agli affanni della soubrette in vista per ottenere una copertina in più, al tornaconto dei pil e degli scudi fiscali.

Ma possibile ?

Un uomo ripiegato solo sui suoi bisogni, sul suo metro quadrato di pseudo-vita (spesso poi frenetica e in-sensata), come potrà mai e dove potrà mai trovare un posto NON per Dio, ma per la domanda che precede il trovare Dio ?
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09/01/09

La Famiglia al collasso : 110 vittime negli ultimi 6 mesi.


In Italia si fa un gran parlare di famiglia. Lo abbiamo visto nell'ultima campagna elettorale, dove praticamente tutti i partiti in campo si dichiaravano 'difensori' della famiglia.

Ma di quale famiglia ? Come è diventata la famiglia italiana ?

E' fin troppo ovvio che ogni 'difesa' pregiudiziale del vecchio modello di 'famiglia', in Italia, dovrebbe tener conto di quanti e quali guasti essa ha provocato. Dietro il velo di ipocrisie d'epoca (la moglie 'angelo del focolare' e il marito 'cacciatore' o 'guerriero' ) si celavano spesso veri e propri inferni coniugali, aggravati dalla im-possibilità almeno legale, di separarsi.

Ma detto questo, siamo sicuri, oggi di passarcela molto meglio ? Sembrerebbe di no, visto che da un recente studio emerge come la violenza in famiglia non abbia più confini. Dopo l'ultima vicenda, quella di Caltagirone, in cui una donna ha ucciso suo marito - sull'eterno, drammatico problema dell'affidamento dei figli - si è constatato che nel nostro paese ogni due giorni si consuma una tragedia familiare che esplode in omicidio; questo è il dato riferito agli ultimi 6 mesi. Un fenomeno di preoccupante recrudescenza di questi fatti di sangue che trasformano la famiglia italiana, un tempo considerata isola felice e modello per tutto il mondo, nel teatro del più alto numero di violenze nel nostro Paese, addirittura maggiore di quelle perpetrate dalla malavita organizzata nel suo complesso.


Allora forse bisognerebbe cominciare a chiedersi: è davvero un mondo felice quello che stiamo costruendo, dopo che - emancipandoci - abbiamo conquistato (o crediamo di averlo fatto) ogni possibile libertà personale ? Davvero la realizzazione personale di se stessi - a scapito di tutto e di tutti, anche dei rapporti famigliari che si sono iniziati a costruire - è il valore principale e fondante, che deve venire prima di tutto ? E come mai a una maggiore libertà non corrisponde una maggiore felicità ?


Dalle statistiche pubblicate dall'Associazione nazionale degli Avvocati Matrimonialisti in Italia, emerge che nel nostro paese la durata di una udienza presidenziale, nel corso della quale vengono emessi i primi provvedimenti provvisori sull'affidamento dei figli (anche piccolissimi) , è in media di 27 minuti. In questo esiguo lasso di tempo, il Giudice è chiamato a disporre l’affidamento condiviso dei figli senza avere la possibilità di conoscere, neanche parzialmente, la storia della coppia separanda né le qualità dei due coniugi-genitori.

Non basta: un magistrato, spesso, in un solo giorno è chiamato ad emettere provvedimenti per 20 coppie che si separano. I Tribunali sono al collasso, specie nelle grandi città.


Davvero come ci si può poi meravigliare che un Teatro di questo genere diventi ‘terreno fertile’ per la violenza intrafamiliare che negli ultimi 6 mesi ha causato circa 110 vittime, tra cui anche diversi bambini ?

Non bisognerebbe che tutti, organizzazioni laiche e religiose, ma anche e soprattutto individui, dalla base, dal fondo, comincino a ripensare a dove stiamo andando ? A cosa vogliamo chiedere davvero alle nostre vite ?
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27/11/08

La conversione di Gramsci - un "caso" inutile.


Mi colpisce davvero questo presunto "caso" che ritorna a tratti nel dibattito italiano, sulla conversione in punto di morte di Antonio Gramsci, e mi sembra nient'altro che una pedissequa e triste conferma al fatto che questo paese ormai sembra capace solamente di guardare (e di guardarsi) indietro, e totalmente incapace di pensare al (il) futuro.

Adesso, dopo i "rumours" del 1977, le rivelazioni arrivano direttamente dalla chiesa Cattolica e da un vescovo, Luigi De Magistris, il quale ha pensato di rendere di dominio pubblico le confessioni di una suora sarda, Suor Pinna, che sarebbe stata la testimone dell'evento.

Ora, mi chiedo: ma che bisogno c'è di esternare le ragioni o le circostanze di una conversio in puncto mortis di un personaggio storico o pubblico ? A che serve ? A chi giova ?

Il cuore dell'uomo, come dovrebbe essere chiaro soprattutto ad ogni cattolico, è un mistero pressochè inaccessibile. E le circostanze, i desideri, le speranze ultime, la disperazione, la grazia che possono portare un uomo che per tutta la vita è rimasto lontano dalla fede, a implorare il nome di Gesù, resteranno per sempre impenetrabili.

Che ne sappiamo noi di cosa spinge un uomo a convertirsi ? Che ne sappiamo di quel che succede nel suo cuore, ogni giorno, figuriamoci quando vede la morte stagliarsi di fronte a sè ? Davvero serve a qualcuno - serve magari anche alla propagazione di una causa - lo svelare che un uomo politico padre in Italia di una ideologia, non fu insensibile al richiamo di Gesù Cristo ?

Non sarebbe meglio lasciare in pace i morti ? Lasciare che se la cavino da soli, che affrontino quella 'sacra conversazione' come vorranno e se vorranno ?

07/04/08

Il Sacro Fuoco di Olimpia e le contestazioni.


Fa una gran tristezza assistere in questi giorni a quel che avviene al passaggio della sacra fiaccola olimpica, in viaggio verso Pechino: contestazioni ovunque, a Londra tentativi di spegnimento con l'estintore, da ultimo a Parigi le autorità costrette a caricare la fiaccola a bordo di un pullmino, per oltrepassare i gruppi di protesta.

Protesta sacrosanta, sia bene inteso.

Come sarebbe possibile non indignarsi per quello che sta accadendo in Tibet in questi giorni ?

Ma la tristezza assale ugualmente, pensando a quel che dovrebbero essere i Giochi Olimpici, a quel che rappresentano simbolicamente, all'ideale perduto di uguaglianza, fraternità tra i popoli, amicizia, pace.

Che è rimasto di questi ideali, nel mondo ?

Stiamo vivendo, mi sembra, tempi sempre più difficili, contrassegnati da una evidente schizofrenia degli uomini, specie in Occidente:

un Occidente che pensa da pessimista e vive da ottimista. Crede che la vita sia brutta e che tutto finisca con la morte, che nulla abbia senso, che siamo solo un insieme di molecole in movimento e materia in disgregazione; ma pretende di vivere allegramente circondandosi di benessere economico, salutismo, diavolerie tecnologiche, divertimenti, distrazioni.

Come è possibile non diventare schizofrenici, vivendo e pensando in questo modo ?

E' chiaro che anche il simbolo Olimpico sia vissuto - allo stesso modo, oggi.

Da una parte si pensa tutto il peggio possibile di questa fiamma Olimpica che potrebbe rappresentare e rappresenta, la legittimazione del potere di Pechino. Dall'altra vorremmo tutti goderci lo spettacolo sano dei Giochi, vissuti come momento di competizione, di svago e anche - in Italia soprattutto - di vanto nazionale.

Come se ne esce ? Non se ne esce.