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16/04/22

Ingeborg Bachmann e Roma, un destino tragico

 


Sto leggendo in questi giorni l'epistolario tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann, meritoriamente pubblicato dall'editore Nottetempo, di cui parlerò più avanti, e mi torna alla mente il tragico destino della grande scrittrice austriaca, innamorata del nostro paese e di Roma, in particolare, dove finì i suoi giorni nel modo più tragico. 

Dopo diversi soggiorni, in gioventù e nell'età matura, la Bachmann era tornata nel 1965 a Roma, a trentanove anni. Era una autrice ormai affermata, anche se il suo stile raffinatissimo, le sue poesie rarefatte e i racconti e i romanzi densi e magici, non potevano essere destinati a un grande pubblico. 

In quel periodo poi, la scrittrice soffriva per la dipendenza da pillole e alcol e scriveva assai poco. 

Nel 1967 aveva lasciato il suo editore, la Piper Verlag in segno di protesta per aver incaricato l'ex leader dell'HJ (la gioventù nazista) Hans Baumann di tradurre il Requiem di Anna Achmatowa, sebbene la Bachmann avesse caldamente raccomandato l'amico Paul Celan, passando alla Suhrkamp Verlag. 

Nella sua ultima lettera a Bachmann del 30 luglio 1967, Celan la ringraziava per aver preso parte all'"Affare Achmatowa". 

Quattro anni dopo, nel 1971 la Bachmann pubblicò Malina, il romanzo considerato il primo volume di una prevista trilogia intitolata Tipi di morte

L'ultimo lavoro di Bachmann è oggi considerato un "paradigma della scrittura femminile". 

Ancora due anni dopo, la fine improvvisa di uno spirito geniale e tormentato: nella notte tra il 25 e il 26 settembre 1973, Ingeborg Bachmann subì gravi ferite nel suo appartamento romano, in Via Giulia, a causa di un incendio appiccato da una sigaretta accesa mentre si stava addormentando. 

Oggi  si sa che la sua dipendenza dalle pillole fu considerata una delle ragioni dell'incendio. 

Alfred Grisel, un amico intimo, riferì di una visita a Bachmann a Roma all'inizio di agosto 1973: “Sono rimasto profondamente scioccato dall'entità della sua dipendenza dalle pillole. Dovevano esserci circa 100 pezzi al giorno, il cestino traboccava di scatole vuote. Aveva un aspetto brutto, era pallida come la cera. E su tutto il corpo coperto di macchie. Mi chiedevo cosa potesse essere. Poi, quando ho visto la Gauloise che stava fumando scivolare dalla sua mano e bruciarsi sul braccio, l'ho capito: ustioni causate dalla caduta delle sigarette. Le tante pillole avevano reso il suo corpo insensibile al dolore.”

Dopo il grave incidente, la Bachmann fu portato all'ospedale Sant'Eugenio. La sua forte dipendenza dai sedativi (barbiturici), di cui i medici curanti inizialmente non erano a conoscenza, innescarono convulsioni simili a crisi epilettiche. 

Il 17 ottobre 1973 morì di sintomi di astinenza fatali all'età di 47 anni. 

Fu sepolta il 25 ottobre 1973 nel cimitero di Klagenfurt-Annabichl. 

Le indagini su un possibile sospetto di omicidio furono chiuse dalle autorità italiane il 15 luglio 1974. 

In un necrologio in Der Spiegel, Heinrich Böll descrisse la scrittrice come una dei pochi "intellettuali brillanti" che "non hanno perso la sensualità né trascurato l'astrazione nella loro poesia". 

Il suo patrimonio di 6.000 pagine si trova nella Biblioteca nazionale austriaca dal 1979 e può essere visualizzato nell'archivio della letteratura . Dal 2018 esiste anche un patrimonio parziale di quasi 1000 pagine con scritti e lettere dei suoi giorni da studente. 

Nel febbraio 2021 è stata decisa la vendita della casa dei genitori di Ingeborg Bachmann in Henselstraße 26 a Klagenfurt, alla fondazione privata carinziana.

I beni privati ​​di Bachmann, che Heinz Bachmann, fratello di Ingeborg Bachmann, riportò qui dall'appartamento romano dopo la sua morte, sono ancora conservati nella casa. 

Si prevede di aprire la casa al pubblico sotto la direzione del Klagenfurt Musil Museum.

Fabrizio Falconi - 2022

27/01/21

Oggi, il 27 gennaio di 264 anni fa nasceva a Salisburgo il grande genio di Wolfang Amadeus Mozart


Oggi, 27 gennaio, la data di nascita - e l'anniversario -  del grande Wolfgang Amadeus Mozart.  Lo ricordiamo con questo articolo di di Antonino Gulisano di QDC 


Wolfgang Amadeus Mozart è nato il 27 gennaio 1756 a Salisburgo ed era già considerato un genio da bambino. Fece i suoi primi tentativi di composizione alla tenera età di sei anni. Era figlio di Leopold Mozart, istruttore di violino, compositore di corte e vicedirettore musicale alla corte del principe arcivescovo di Salisburgo. 

Uno dei più grandi compositori di tutti i tempi. Ha creato uno stile distinto, fondendo tradizione e contemporaneità. Una musica che lo fa amare ancora oggi. 

Creatore di composizioni di straordinario valore, viene annoverato tra i più grandi geni della storia della musica per via del suo eccezionale talento, tanto raro quanto precoce. 

Incluso nei massimi esponenti del classicismo musicale settecentesco, insieme a Franz Joseph Haydn e Ludwig van Beethoven costituisce la triade alla quale, nella letteratura musicologica, alcuni autori fanno riferimento come prima scuola di Vienna. 

Mozart ha creato ventiquattro opere tra cui Il flauto magico, Don Giovanni, Le nozze di Figaro, diciassette messe e oltre cinquanta sinfonie. Ma il lavoro di Mozart si è esteso a tutti gli stili e i tipi di musica. Ha saputo fondere elementi tradizionali e contemporanei per creare il proprio stile distintivo, caratterizzato da una varietà tematica e tonale, combinata con un alto grado di disciplina formale. Le composizioni di Mozart vivono dei loro contrasti melodici, ritmici e dinamici. 

Dopo la sua rottura con l’arcivescovo di Salisburgo, Mozart si trasferì a Vienna nel 1781, dove un anno dopo sposò la cantante Constanze Weber. Nel 1787 fu nominato compositore della camera di corte. Mozart morì nel 1791 mentre lavorava al suo famoso Requiem

A Salisburgo, al terzo piano di Getreidegasse n. 9, il 27 gennaio 1756, ebbe inizio una storia ricca di eventi prodigiosi: Wolfgang Amadeus Mozart emise i suoi primi… suoni. Motivo sufficiente, già nel 1880, per trasformare la Hagenauer Haus in un museo che rende omaggio ai primi anni di vita del maestro. 

A Vienna, Wolfgang Amadeus Mozart raggiunse l’apice del successo nella capitale austriaca e molti monumenti viennesi sono legati al suo mito. A iniziare dalla reggia di Schönbrunn, dove, nel 1762, i bambini Mozart furono ammessi a suonare al cospetto dell’imperatrice Maria Teresa. Dopo il concerto il piccolo Wolfgang saltò in braccio all’imperatrice, l’abbracciò e la baciò. Nel 1768 Maria Teresa concesse al dodicenne Mozart un’udienza di due ore nella Hofburg, la residenza degli Asburgo. Nello stesso luogo, nel 1781, il musicista diede un concerto in onore del duca di Württemberg e trascorse la notte di Natale dello stesso anno con l’imperatore Giuseppe II, figlio di Maria Teresa, negli appartamenti imperiali. 

In Austria sono tante le occasioni in cui godere la musica del grande genio. A iniziare ovviamente da Salisburgo. Qui, ogni anno, tra fine gennaio e inizio febbraio, il periodo intorno all’anniversario della nascita di Mozart, la Fondazione Mozarteum organizza la Settimana Mozartiana. 



16/03/18

Ecco i Sette Nuovi Musei da visitare nel 2018 !

Il Louvre Abu Dhabi, Emirati Arabi

I sette musei da visitare nel 2018

Dal Louvre di Abu Dhabi alla Casa Lego danese, dall’Urban Nation di Berlino alla Zeitz Mocaa di Città del Capo; ecco i nuovissimi luoghi della cultura che meritano un viaggio.


Louvre Abu Dhabi, Emirati Arabi
Inaugurato lo scorso novembre, il faraonico museo Louvre Abu Dhabifirmato dall’architetto Jean-Nouvel, è una meraviglia architettonica tutta da scoprire. Sorge sull’isola Saadiyat, non lontano dal cuore finanziario della capitale degli Emirati, ed è formato da 55 edifici bianchi ispirati a una Medina orientale, coperti da una cupola in acciaio di 180 metri di diametro. Il museo ospita opere di tutte le epoche e civiltà; tra i pezzi esposti più prestigiosi ci sono un Corano del VI secolo, una Bibbia gotica e una Torah dello Yemen come simbolo di fratellanza e di scambio di culture. Il museo offre dunque uno sguardo sull’arte universale - dalla Preistoria fino ai giorni nostri, passando per l’Antico Egitto, la Grecia e la Roma imperiale - con più di 300 opere provenienti da 13 musei francesi e varie sezioni dedicate alle mostre temporanee; solo una piccola parte, con 23 gallerie permanenti, è invece destinato all’arte moderna e contemporanea. Info:www.louvreabudhabi.ae
Curiosità: la cupola che ricopre il museo è pesante quasi quanto la Torre Eiffel ed è formata da 7.850 stelle metalliche, che creano un gioco di luci e ombre ispirato ai suk orientali. Il Paese ha pagato quasi un miliardo di euro al governo francese per poter usare per 30 anni il nome del suo museo più famoso, il Louvre.

Lego House, Danimarca
E’ nato lo scorso settembre a Billund, la città natale della Lego in Danimarca, il museo dedicato ai mattoncini colorati più famosi al mondo. La casa della Lego è un luogo dove grandi e piccoli possono divertirsi giocando e creando, secondo la filosofia della celebre azienda danese. Sorge su 12mila metri quadrati nel cuore della città di Billund e ospita 21 blocchi con attrazioni a pagamento e spazi all’aperto, come la Lego Square, una grande piazza al centro del museo dove gli ospiti possono giocare liberamente o concedersi un’esperienza gourmet in uno dei 3 ristoranti presenti. Cuore della Lego House sono le “experience zones”, che si sviluppano in 4 aree di gioco colorate, dove ogni colore rappresenta un aspetto dell’apprendimento dei bambini: rosso è creativo, blu cognitivo, verde sociale e giallo emozionale. Completano l’esperienza una magnifica galleria “Masterpiece” dove i visitatori possono esporre le proprie creazioni e la “History Collection”, uno spazio dedicato al racconto e alla storia dell’azienda.
Curiosità: i 21 blocchi del museo sono sovrapposti in modo sfalsato, proprio come i mattoncini Lego; la facciata è ricoperta da tegole in cotto che danno l’impressione di essere un mattonicino, così come il tetto, coronato da un gigantesco Lego in scala gigante. Non lontano dal museo sorge il parco dei divertimenti Legoland dove il mondo in miniatura è fatto di mattoncini colorati.

Urban Nation, Germania
Nel quartiere Schöneberg di Berlino è nato da pochi mesi il primo museo dedicato all’esposizione, allo studio e alla promozione della street art, l’arte contemporanea urbana, che vanta anche una biblioteca tematica con oggetti e più di 5mila libri, donati da Martha Cooper, la reporter americana che negli anni Settanta documentò la nascita del fenomeno artistico a New York. Il museo rappresenta un punto di riferimento importante per artisti, appassionati d’arte, berlinesi e turisti e offre un laboratorio didattico agli studenti. La facciata del museo, disposto su due piani con muri alti sette metri, è ricoperta di grandi pannelli modulari sui quali gli artisti realizzano graffiti e murales; i pannelli con le opere d’arte sono rimovibili per poter essere trasportati in altre parti della città o conservati all’interno del museo. Info: urban-nation.com
Curiosità: un corridoio/passerella all’interno del museo tra murales e graffiti crea un effetto “distanza”, come se le opere fossero sulla strada o sulle pareti di muri o edifici in giro per la città. “Il museo”, ha spiegato l’architetto progettista Thomas Willemeit “deve riflettere l’aspetto dinamico e non convenzionale della street art”.

Musée YSL Marrakech, Marocco
Inaugurato lo scorso ottobre in un palazzo color ocra con una cornice in pizzo di mattoni, il nuovo museo dedicato a Yves Saint Laurent è un omaggio alla moda e alla creatività dello stilista francese, scomparso dieci anni fa, e allo speciale rapporto d’amore che aveva con Marrakech, luogo ispiratore delle sue collezioni. Dal primo viaggio nella città marocchina nel 1966, infatti, lo stilista francese non smise di tornarci fino al 1980 quando la scelse come seconda casa, vivendo nella villa ai Jardin Majorelle con il compagno Pierre Bergé, uno dei luoghi che ogni visitatore ammira arrivando a Marrakech, tra le piante di cactus del giardino botanico e il blu cobalto delle pareti della villa. Il museo dedicato a Yves Saint Laurent, voluto della Fondation Pierre Bergé–Yves Saint Laurent e costruito vicino ai giardini Majorelle, è stato concepito come un grande centro culturale che comprende uno spazio espositivo permanente, una galleria temporanea di mostre, una biblioteca di ricerca, un auditorium, una libreria e una caffetteria con terrazza. La facciata è un raffinato incastro di volumi quadrati e circolari, alti e bassi, pieni e vuoti, che ricorda le sculture cubiste; i materiali usati sono tipicamente maghrebini: terracotta, pietra, ceramica e marmo. Se l’esterno è opaco, l’interno è volutamente luminoso, liscio e vellutato proprio come il rivestimento di una giacca sartoriale. Info: www.museeyslmarrakech.com
Curiositàal piano interrato c’è il dipartimento di conservazione: è una “camera di Tutankhamon”, un luogo speciale supportato da sofisticati sistemi hi-tech che oltre a conservare a temperature ottimali, è in grado di anticipare, prevenire e ostacolare il deterioramento naturale dei pezzi esposti, cioè di scarpe, cappelli, gioielli, vestiti a trapezio, cappotti di lamé, cappe di taffetà con buganvillee ricamate e altri capi d’alta moda.

Wien Museum Beethoven Museum, Austria
Da fine novembre Vienna ha un nuovo museo dedicato al grande compositore Ludwig van Beethoven, che nella capitale viennese visse molto a lungo, prima per prendere lezioni da Mozart e poi come allievo di Joseph Haydn. Il nuovo museo, che si trova al 6 di Probusgasse nel distretto termale di Heiligenstadt, fuori dal centro della capitale, è il risultato dell’ampliamento di uno degli appartamenti dove visse il compositore tedesco, che qui cercò di curare i disturbi all’udito di cui soffriva. L’allestimento museale, moderrno e interattivo, permette di conoscere la storia della cultura viennese tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento e di approfondire la figura di uno dei massimi compositori di tutti i tempi. All’interno 14 stanze raccontano attraverso gli oggetti e le testimonianze alcune tematiche legate alla vita e alle opere di Beethoven: la storia della casa, il trasferimento da Bonn a Vienna, il soggiorno a Heiligenstadt, le composizioni e le rappresentazione teatrali dell’epoca. In questa casa-museo a 32 anni Beethoven, in preda a un profondo sconforto, scrisse il “Testamento di Heiligenstadt”, una lettera ai fratelli, che non fu mai spedita, dopo aver appreso di essere destinato alla sordità. Sempre in questo appartamento si dedicò alla stesura di alcune opere, tra cui le tre sonate per pianoforte che compongono l’Op. 31, l’oratorio “Christus am Ölberge” e la “Sinfonia eroica”. Info: www.wienmuseum.at/de/standorte/beethoven-museum.html
Curiosità: nel museo sono esposti tubi acustici, una buca del suggeritore che Beethoven metteva sul pianoforte per amplificare il suono, e alcune uova, che simboleggiano il carattere irascibile del compositore. Nelle “stazioni” sonore, inoltre, si può avere una percezione simulata dell’affievolirsi dell’udito del compositore tedesco.

Zeitz Mocaa, Sudafrica
Il Museum of Contemporary Art Africa, inaugurato lo scorso settembre a Città del Capo, è il punto di riferimento per l’arte contemporanea nel continente africano, un Paese dalle molte potenzialità e in continua attesa di rilancio. Il museo Zeitz Mocaa potrebbe finalmente rappresentare questa possibilità grazie anche all’intervento di un ente no profit che sostiene gli artisti africani. Gran parte delle opere sono di proprietà del collezionista tedesco Jochen Zeitz, ma presto arriveranno nuove risorse e nuovi curatori, che punteranno sugli artisti africani e su elementi quali la multimedialità e le piattaforme digitali. L’enorme museo, dall’architettura spettacolare, è stato progettato dal britannico Thomas Heatherwick ed è di proprietà di V&A Waterfront, la società che possiede l’area del porto della capitale sudafricana. All’interno si trovano 80 gallerie, una collezione permanente, mostre temporanee e un centro per la fotografia, oltre a ristoranti e a un centro commerciale. Info: zeitzmocaa.museum
Curiosità: i 9.500 metri quadrati della struttura sono distribuiti su 9 piani, ai quali si accede da un imponente atrio che il progettista ha realizzato a forma di chicco di mais dei silos di cemento, dove un tempo si immagazzinava il grano.

Thomas Dane Gallery, Italia
Il gallerista inglese Thomas Dane ha inaugurato a fine gennaio un nuovo spazio espositivo al primo piano di Casa Ruffo, splendido palazzo ottocentesco nel cuore di via Chiaia, a Napoli. Un’elegante atmosfera neoclassica domina le 5 sale espositive, gli uffici e il grande salone centrale della galleria di Casa Ruffo, raffinato e sobrio, con una veranda che collega le opere dell’interno con la città campana; una splendida terrazza si affaccia su Capri e regala uno scenario mozzafiato. La galleria, che ogni mese ospita nuove esposizioni, è stata affidata alla direzione di Federica Sheehan, che formatasi tra New York e Milano, vive stabilmente a Napoli da sette anni. Info: www.thomasdanegallery.com
Curiosità: per Thomas Dane quella di Napoli è la prima sede esterna, la prima esperienza di galleria fuori da Londra; “Siamo rimasti molto colpiti“, racconta il gallerista, “dal grande riscontro ricevuto. Sono venute tantissime persone provenienti da tutta Europa, sicuramente per il grande interesse che questa città generaVolevamo essere presenti”, ha continuato Thomas Dane in una città ricca di storia e di opportunità per i nostri artisti. È una città unica, con la sua grande cultura e le sue peculiarità”.

05/06/15

"Vivo nel bosco: ascolto gli alberi che sussurrano " - Intervista a Peter Handke di Alessandra Iadicicco.




Questa è la bellissima intervista realizzata da Alessandra Iadicicco (sua traduttrice per l'italiano) a Peter Handke, nella casa dello scrittore a Chaville, nei sobborghi di Parigi, pubblicata sull'ultimo numero de La Lettura del Corriere della Sera. 

«Ma sì, venga da queste parti a maggio, quando al margine del bosco, tra l’erba o sotto l’edera, vale la pena di scoprire i prugnoli di San Giorgio». L’invito di Peter Handke era arrivato per posta, dopo uno scambio di lettere e di osservazioni sul tradurre, dopo la richiesta di un incontro e l’invio di qualche immagine di certi trofei. Gli avevo spedito le foto dei porcini raccolti l’estate scorsa in Alto Adige, nei giorni in cui lavoravo alla traduzione del suo Saggio sul cercatore di funghi: un racconto fiabesco, la storia di un’incredibile avventura uscita in questi giorni da Guanda. Lui aveva risposto con la foto di un gigantesco piatto di funghi da lui stesso cucinati per Capodanno.

Handke ha un sense of humour che contraddice l’immagine, che in genere gli si attribuisce, di quell’orso eremita, schivo, furente, allergico ai giornalisti… Come dargli torto? Certe sue posizioni sono state travisate. Come nel caso della ex Jugoslavia ai tempi della guerra nei Balcani. Sostenne la popolazione jugoslava, sensibile «alla loro tragedia — disse —, alla loro situazione senza speranza». Si schierò per la Serbia, si scagliò contro i bombardamenti della Nato lanciati su migliaia di civili. Pianse la sorte dei bambini vittime innocenti del conflitto, per i quali l’anno scorso ha devoluto gli oltre 300 mila euro del Premio Ibsen. E, da certa stampa, fu etichettato come fascista, un sostenitore del boia Miloševic o addirittura del sanguinario generale Mladic. Ora, proprio in nome «della grande amicizia e della simpatia dimostrata da Handke verso la popolazione serba», Belgrado gli ha conferito pochi giorni fa la cittadinanza onoraria.

Dopo una vita avventurosa, abita da anni in solitudine nel sobborgo parigino di Chaville, in una casa che, cinta da un muro e dal verde, dalla strada non si scorge nemmeno. Ma il gesto con cui apre il cancello del giardino — per mostrare orgoglioso i due meli, il cotogno non ancora del tutto sfiorito, il giovane pero, il grande cedro, il noce, il castagno… è lui in persona a coltivare le piante — non potrebbe essere più ospitale.

Lei stesso ha tradotto molti libri, di autori antichi e moderni. Tradurre le procura gioia?
«Ho paura quando scrivo, sempre, ancora adesso. La scrittura propria è sempre pericolosa. Ma quando traduco non ho paura. Semmai ho problemi, ma i problemi si possono risolvere. Scrivendo invece… Scrivere non è normale come sembra per la maggior parte degli scrittori oggi. Così la letteratura non è più la grande spedizione che potrebbe essere. Tanti oggi trovano normale scrivere. Forse è naturale, ma non è normale. Può diventare naturale man mano che si scrive, ma l’inizio non è naturale: l’inizio è un sacrilegio».

Perché?

«Non lo so. Non posso sempre dire perché… Però è una necessità vitale. Senza scrivere non potrei esistere. Scrivere è sano, indica la via verso la salute. Tradurre invece è vampiresco. Ti divora l’anima, non la nutre a sufficienza. Anche quando si ama molto un libro, o si traduce un autore che si sente affine. Tradurre non basta. Però una volta tradurre fu per me una salvezza».

Quando? E la salvò da che cosa?

«Fu la prima traduzione, dall’inglese, una lingua che non amo parlare. Di un autore americano, Walker Percy, tradussi The Moviegoer, Der Kinogeher, un personaggio che mi somiglia. Era il 1979, ero appena tornato in Austria, ma non volevo tornare in patria. Per anni avevo vissuto all’estero, prima in Germania, poi a Parigi. Mi trasferii nel ’79 a Salisburgo: volevo che mia figlia Amina frequentasse il ginnasio in tedesco. Ma allora la patria per me era terra straniera. Fu la traduzione a riportarmi a casa, a rendermi di nuovo familiare il mio Paese. La lingua e, parallelamente, il paesaggio attorno a Salisburgo mi indicarono la strada. Lingua e paesaggio: una fragile patria… La lingua che usai per tradurre mi riportò al mio posto. Non la scrittura. Perché la scrittura, lo ripeto, è una patria pericolosa…».

Tradurre permette di stringere legami attraverso confini che oggi, ancorché invisibili, sono più che mai soffocanti…

«Già… Nel frattempo gli antichi confini — politici, economici — sono scomparsi. Eppure i confini culturali sono molto più forti. I libri — non parlo di libri veri — sono scritti dappertutto allo stesso modo: in America, Russia, Cina… Questa indifferenza è peggiore di qualsiasi confine, dei confini che un tempo mi erano cari. Le traduzioni, poi, sono sempre sostenute dai ministeri, finanziate dagli istituti di cultura. Si vuole promuovere la letteratura internazionale. Ma io sento la mancanza di una letteratura mondiale, di quella che Goethe chiamava la Weltliteratur, che nasce dall’eterno scambio tra i popoli attraverso i confini e i linguaggi. Non potrà mai scomparire, ma non sai dove scorre. È come un fiume carsico che fluisce al di sotto del terreno e devi accostare l’orecchio alle rocce calcaree per capire dove passa e dove verrà alla luce».

Confini lei ne ha attraversati tanti, non solo traducendo. Ha fatto il giro del mondo, ha cambiato vari i luoghi di residenza.

«Ma ora di qui non mi muovo più. Vivo a Chaville da 25 anni. E difendo il mio posto, difendo il luogo: la mia casa, il giardino…».


Sarà perché lei è uno scrittore di luoghi...

«Sarà perché soffro da sempre per la mancanza di un luogo, perché dall’infanzia conosco il dolore dello sradicamento. Così anche un luogo episodico è sempre stato come una grazia per me. Un posto però deve diventare epico: si deve raccontarlo, trasformarlo nel personaggio di una storia, far sì che possa apparire per tutti».

E come vive il trascorrere del tempo? Ha l’aria di un uomo che non invecchia. Come «il cercatore di funghi»: da bambino non voleva sapere nulla del suo futuro. Da adulto, avvocato di fama internazionale, nell’intimo non si è mai spinto oltre i margini del bosco.

«È così: decisivo per me è rimasto il mormorare degli alberi sul margine del bosco. Se mi sfuggisse quel sussurro, se non riuscissi più a coglierlo, mi direi: hai perso tempo, hai mancato il momento. Questo è il tempo per me. Non il tempo politico. Rifiuto di credere che il tempo politico sia il mio tempo, il mio destino. Gli sono sfuggito. Sono un profugo del mio tempo. E non mi volto indietro, come la moglie di Lot, a guardare verso la politica. Mi trasformerei in una colonna di pietra, con la quale non si può fare nulla. No, il tempo per me è un altro. Anche tutte le mie spedizioni libresche mi portano in un altro tempo. L’altro tempo è, credo, un Dio buono, l’unico Dio che io abbia mai visto. E anzi l’ho sempre visto come una donna una dea: die Göttin Zeit… La Dea Tempo mi ha sempre mostrato un volto femminile».

E la sua scrittura è senza tempo, fuori dal tempo, inattuale? Nel «Saggio sul cercatore di funghi» scrive: «Finché questa flora selvatica resisterà all’allevamento, alla coltura, fino ad allora l’andar per funghi resterà l’avventura della resistenza! Una forma di eternità». 

«Però non sono solo i funghi… Voglio dire. Quando si dice di un libro che è attuale io rispondo: allora non mi interessa. I libri non hanno niente a che fare con l’attualità. Attualità però è una bellissima parola. Allude all’azione, alla vita. Però a me piace riferirmi a un’altra attualità. Voglio dire, non esisterei senza “il mondo delle notizie”. Quel mondo però contribuisce a darmi l’impulso e l’energia a pensare ex negativo qualcos’altro. In questo senso ha ragione chi dice di me che sono uno scrittore utopico. Perfino nei miei diari entra il cosiddetto mondo dell’attualità e quel che mi accade attorno. L’altro giorno, ad esempio, c’era sul treno una coppia di anziani accompagnati da due giovani badanti romeni. La scena si svolgeva in silenzio, gli anziani erano muti, come i loro accompagnatori. Io però ho immaginato che i quattro intavolassero una singolare conversazione. È invenzione, il che non significa fantasia arbitraria, vuol dire da quella che è l’“attualità attuale”, fantasticare su una attualità eterna».

I suoi libri, le traduzioni, i saggi, i diari, sono tutti manoscritti. La sua scrittura è riprodotta sulla copertina delle edizioni originali… 

«Anche questo segna un tempo diverso. Da oltre trent’anni scrivo con la matita. Ho cominciato a farlo per via dei viaggi. Spostandomi da un Paese all’altro, le lettere sulla tastiera della macchina per scrivere erano in un ordine diverso. Questo mi distraeva. Mi irritavo, mi arrabbiavo: non sono tanto saldo di nervi… Dovevo cercare il tasto giusto e la fantasia, la visione interiore era minacciata — no, esagero — era disturbata. Così ho provato a scrivere a mano. Funzionava! Fu una sorpresa. Ne è sorto un nuovo ritmo, anzi, un’altra Folge la chiama Goethe, un’altra sequenza: in questo senso sì, la mia è una scrittura inattuale. Eppure ci sono un paio di persone che mi leggono. Però mi manca la scrittura epica. L’avventura del cercatore di funghi è stata l’ultima».

Come trascorre le sue giornate da solo qui

«La mattina leggo, annoto quel che è accaduto il giorno prima, vado nel bosco, di solito verso mezzogiorno, quando tutti sono a tavola. D’inverno nel pomeriggio vado al cinema, a Parigi o a Versailles. Film ne vedo tantissimi, anche quelli brutti. Comunque il cinema è stimolante. Lo stesso non vale per i libri. Un brutto libro provoca un’irritazione sterile e cattiva. Il cinema, però, con tutte le sue potenzialità, non potrà mai colmare il posto della letteratura, che al momento è vuoto. Peccato».

intervista realizzata da Alessandra Iadicicco (sua traduttrice per l'italiano) a Peter Handke, nella casa dello scrittore a Chaville, nei sobborghi di Parigi, pubblicata sull'ultimo numero de La Lettura del Corriere della Sera. 


La casa di Peter Handke a Chaville