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19/11/22

Arriva sugli schermi la parabola del grande Gigi Riva, uno dei calciatori italiani più forti di sempre

 


Da lunedi' 21 novembre arriva nei migliori multiplex e nelle principali citta' italiane distribuito da Vision Distribution, il film "Nel nostro cielo un rombo di tuono" scritto e diretto da Riccardo Milani, accolto da una critica unanimemente positiva. 

Il film che ripercorre la vita, le scelte esemplari e la parabola della straordinaria carriera sportiva del grande campione, ha totalizzato oltre 14 mila presenze e un incasso di piu' di 90 mila euro nei primi 9 giorni di programmazione nella sola Sardegna, rappresentando circa un terzo degli incassi della regione e posizionandosi subito sotto "Black Panther: Wakanda Forever" che in 7 giorni ha totalizzato 95 mila euro ma con quasi 13 mila presenze. 

Il grande pubblico potra' cosi' rivedere o scoprire per la prima volta la figura di un uomo che ha influenzato generazioni di sportivi e che ha rappresentato un esempio morale e umano di integrita' e coraggio per tutti. 

"La straordinaria testimonianza di affetto che Cagliari e la Sardegna hanno tributato a Gigi Riva e al commovente e suggestivo film di Milani - dichiara l'assessore regionale alla Cultura e allo Sport Andrea Biancareddu - sono il piu' bel ringraziamento che la Regione ha meritato per aver sostenuto questa produzione. Complimenti alla Film Commission, a Milani, agli attori e a tutti quelli che hanno reso possibile questosuccesso. E grazie al grande sardo (anche se come si sa il calciatore è originario di Leggiuno, comune in provincia di Varese, dove è nato il 7 novembre del 1944), Gigi Riva!". 

26/04/22

Apre al pubblico "La solitudine dell'ala destra. Pier Paolo Pasolini e il calcio"

 

Pier Paolo Pasolini in una delle sue tante partite al campetto di calcio

Apre al pubblico oggi, alla Galleria Harry Bertoia, a Pordenone "La solitudine dell'ala destra. Pier Paolo Pasolini e il calcio", mostra composta per lo più da materiale inedito, realizzata da Cinemazero e Comune di Pordenone, con il sostegno della Regione Fvg e il patrocinio del Centro Studi Pasolini di Casarsa. 

Con 120 fotografie, filmati, scritti, memorabilia che per la prima volta si svelano al pubblico, il percorso espositivo, curato da Piero Colussi, ricostruisce le tappe salienti della passione sportiva, di Pasolini, nel centenario della nascita. 

La mostra, a ingresso libero, sara' aperta fino al 19 giugno. 

In un'intervista all'Europeo il 31 dicembre 1970, Pasolini dichiarava: «Il calcio e' l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se e' evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio e' l'unica rimastaci. Il calcio e' lo spettacolo che ha sostituito il teatro». 

La mostra narra questa passione dalle origini, a Bologna, citta' natale di Pasolini, dove frequentava il Liceo Galvani e il calcio riempiva le sue giornate; poi a Roma, nei campetti delle borgate, dove conobbe coloro che sarebbero diventati i protagonisti dei romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta. 

A meta' degli anni '60 fu tra gli ideatori, con Ninetto Davoli e Franco Citti, della squadra Attori e Cantanti, che qualche anno piu' tardi sarebbe divenuta Nazionale dello Spettacolo, di cui fu a lungo capitano. 

Nella primavera 1975, qualche mese prima di essere assassinato, organizzo' a Parma la partita tra la troupe di Salo' e quella che a pochi chilometri di distanza girava Novecento di Bernardo Bertolucci. 

Fra i protagonisti della vittoria di Bertolucci, per 5 a 2, c'era un giovane della "primavera" del Parma, Carlo Ancellotti, che, era stato "assunto" come attrezzista nella troupe di Novecento e aveva pure segnato

Il legame di Pasolini con il calcio era fortissimo: nel 1973, a una domanda di Enzo Biagi, per La Stampa, dichiaro' che, senza cinema e senza scrivere, gli sarebbe piaciuto diventare «un bravo calciatore. Dopo la letteratura e l'eros, per me il football e' uno dei grandi piaceri». 

12/03/22

Pasolini e l'amore per il calcio. Per chi batteva il suo cuore di tifoso, Bologna o Roma?

 



Pasolini romanista? No. Nella sua vita di tifoso non rinnegò mai il suo amore per il Bologna. 

Eppure nei venticinque anni romani imparò a conoscere e ad amare i tifosi romanisti. Nelle nuove borgate e nei popolari rioni del centro c'era solo una squadra. Difficile non farci i conti, prima o poi. 

Chi lo conobbe ricorda che Pasolini andava all'Olimpico anche quando non c'era il Bologna in trasferta. 

Lo faceva con un blocco degli appunti in tasca, per segnarsi espressioni e imprecazioni che per altri erano la normalità, per lui erano preziosi elementi di quella normalità che cercava di assimilare e restituire nei suoi romanzi. 

Ve lo immaginate? Un bolognese con la riga fra i capelli e vestito di tutto punto, che senza scomporsi annotava su carta i "malimortaccitua" sentiti in curva. Il contrasto doveva essere simile a quello delle tante foto che lo vedono sporcarsi di fango inseguendo un pallone in mezzo ai ragazzini già sporchi di fango. È allo stadio che probabimente sentì quel «Forza, a Treré!» che gli amici di Tommaso Puzzilli gridano giocando al biliardino in "Una vita violenta". 

Perché il calcio in borgata era una questione seria, tanto che attribuire a qualcuno il tifo per "quelli là" equivaleva a un insulto: «An vedi questi! Ammazza che broccolo! […] 'Sto laziale stronzo!», grida Tommaso proprio a quelli che non lo lasciano giocare. 

Ed è sempre lui che, escluso da una partita non di biliardino ma di calcio, si lamenta: «Quale giusti, quale giusti, ma che sarebbe? Che, sete 'a Roma?». Per poi inserirsi di prepotenza: «Nun lo vedi che so' Pandorfini so'?».

La Roma non fu la squadra tifata da Pasolini, ma è quella tifata dalle sue opere. Anche nei primi racconti romani, datati 1950-51, è l'unica fede calcistica evocata. In "La passione del fusajaro" il venditore di fusaglie "Morbidone" si innamora di un maglione visto in una vetrina a Campo de' Fiori e l'infatuazione verso il costoso capo d'abbigliamento lo porta a fantasticare su una vita perfetta: «Gli sguardi di ogni pischella erano per lui. Poi, la domenica, a Ostia – no, alla partita di calcio. La Roma avrebbe vinto – a dispetto di Luciano e Gustarè – ed egli col maglione azzurro sarebbe andato a ballare in una sala del Trionfale: e avrebbe ballato con le più belle ragazze»

I suoi personaggi sono romanisti perché i suoi amici erano romanisti

Non una scelta, ma pura mimesi della realtà: era romanista il trasteverino come erano romanisti i dimenticati che vivevano nelle baracche fuori città. 

Chi ha visto e si ricorda l'episodio "Che vitaccia!" in "I mostri" di Dino Risi, in cui Vittorio Gassman spende gli utimi spicci per andare allo stadio, sa di cosa si parla. 

Per Pasolini, i romanisti «più commoventi» erano gli immigrati dalle campagne e dal Meridione: «Il loro amore per la Roma strappa le lacrime. L'amano disperatamente, e gridano poco: ingoiano dolori e macinano gioie in silenzio. E non dimenticano facilmente»

Lo scrisse in un articolo uscito esattamente sessanta anni fa su "l'Unità". Era la cronaca di un derby del 1957 vinto 3-0 dalla Roma. 

Per il giornale comunista non andò in tribuna stampa (non ci volle andare nemmeno tre anni dopo, quando fece da cronista per le Olimpiadi): si tuffò nel settore popolare pieno di vita, accompagnato dall'esperto Sergio Citti, che all'epoca non era ancora Sergio Citti ma "er Mozzone" di Tor Pignattara, romanista come era romanista il fratello Franco e com'è romanista Ninetto Davoli. Ragazzi di vita, ragazzi di Roma. 

10/07/21

Terry Gilliam: "Chi tiferò tra Italia e Inghilterra? Ovviamente l'Italia!"




"Chi tifero' tra Italia e Inghilterra? Ovviamente l'Italia": sono le parole di Terry Gilliam che nel borgo umbro di Montone ha inaugurato la 25/a edizione dell'Umbria film festival. 

Un luogo che lo vede concittadino (e' sua citta' d'adozione da oltre trent'anni perche' qui trascorre sempre le vacanze) e una kermesse che ha l'onore di fregiarsi della presidenza onoraria del grande regista e sceneggiatore statunitense naturalizzato inglese.

Gilliam si e' presentato cosi' al pubblico che lo aspettava in piazza San Francesco, dicendo quindi la sua sulla finale degli Europei di calcio. "Voglio diventare presto un vostro connazionale" ha aggiunto. "Per anni - ha spiegato - sono stato cittadino sia americano che inglese e pagavo le tasse in tutti e due i Paesi. Poi solo inglese, poi e' arrivata la Brexit e ora comunque, dopo tanti anni che sono qui, mi sento italiano". 

 Il ritorno a Montone di Gilliam e' stato omaggiato con la proiezione in piazza San Francesco del film che lo ha portato in Italia la prima volta, quel 'Le avventure del Barone di Munchausen', annata 1988, che il pubblico ha potuto ammirare sul grande schermo alla presenza quindi del genio di Minneapolis

Insieme al regista c'erano anche alcuni dei suoi collaboratori del tempo, come due premi Oscar come lo scenografo Dante Ferretti e la costumista Gabriella Pescucci, il direttore della fotografia Nicola Pecorini e Charles McKeown, attore e sceneggiatore britannico. 

Parlando del film 'Le avventure del Barone di Munchausen', Gilliam ha detto di "aver rubato Ferretti a Fellini e Pescucci a Pasolini". 

Si e' detto onorato di aver potuto lavorare nel 1988 con professionisti di questo tipo a Cinecitta', ricordando l'aneddoto che lo vedeva "parlare" con Pescucci, che all'epoca non conosceva bene l'inglese, solo attraverso i disegni per come realizzare i costumi del film. 

Quando gli e' stato chiesto qual era il suo film preferito da poter presentare anche per festeggiare i suoi 80 anni, Gilliam ha comunicato agli organizzatori proprio il 'Barone' perche', ha spiegato, "e' il film che mi ha fatto conoscere dal punto di vista professionale l'Italia e quindi per me ha una valenza enorme". 

L'Italia in generale, ha poi sottolineato, e' ormai la sua "dimensione artistica" e in Umbria ha detto di aver trovato la propria "dimensione di vita". 

"Per la prima volta quest'anno non sono venuto solo in vacanza - ha infine annunciato - ma mi sono messo a scrivere a Montone il nuovo film". 

Le sorprese del festival, che andra' avanti fino all'11 luglio, non finiscono qui, tra anteprime cinematografiche, cortometraggi e grandi ospiti. 

Il prossimo sara' infatti Thomas Vinterberg, fresco vincitore del premio Oscar come Miglior Film Straniero con 'Un altro giro', che oggi, 10 luglio ricevera' le Chiavi della Citta' di Montone. Il regista danese, gia' tra i fondatori del movimento cinematografico Dogma95 e regista di capolavori come 'Festen' e 'Il Sospetto', presentera' al pubblico il suo ultimo film alle ore 21 in piazza San Francesco. 

29/06/21

Alla Francia il record dei Premi Nobel per la Letteratura




C'è un campo in cui la Francia non teme eliminazioni, e in cui si conferma da molti anni leader assoluta: è quello dei Premi Nobel per la Letteratura. 

Prescindendo dai giganti dell'Ottocento, come Gustave Flaubert, Marcel Proust, Honoré de Balzac, Stendhal, Guy de Maupassant, Arthur Rimbaud, Paul Verlaine, Charles Baudelaire, anche nel Novecento la Francia si è confermata la culla della letteratura europea, confermata dal prestigioso (e virtualmente imparziale) istituto del Nobel per la Letteratura, vigente dal primo anno del secolo, il 1901.

Il primo premiato fu infatti proprio un francese, Sully Prudhomme (1901), cui hanno fatto seguito altri 14 premiati transalpini. Nell'ordine:  

Frédéric Mistral (1904)
Romain Rolland (1915)
Anatole France (1920) 
Henri Bergson (1927)
Ivan Alekseevic Bunin (1933)
Roger Martin Du Gard (1937)
André Gide (1947)
Francois Mauriac (1952)
Albert Camus (1957)
Saint-John Perse (1960)
Jean-Paul Sartre (1964)
Claude Simon (1985)
Jean Marie Gustave Le Clézio (2008)
Patrick Modiano (2014)

E altri che si candidano fortemente a vincerlo nei prossimi anni come Emmanuel Carrère o Michel Houellebecq. 

Per completezza, questa la classifica, a seguire, per nazioni in base a Premi Nobel per la letteratura vinti: 

12 Stati Uniti Stati Uniti, 11 Regno Unito, 8 Germania e Svezia , 6 Italia e Spagna , 5   Polonia, Russia, 4 Irlanda,  3 Danimarca e Norvegia,  2  Austria, Cile, Cina, Giappone, Grecia, Sudafrica, Svizzera. 

Fabrizio Falconi

19/04/21

SuperLega: La bellissima lettera di Gary Neville, storica bandiera del Manchester UTD - "Sono disgustato".




In merito alla notizia di queste ore, della formazione di una SuperLega o Super-League di Calcio europeo destinato esclusivamente ai club "Paperoni", cioè milionari, ecco il bellissimo, storico il commento di Gary Neville, grande difensore e storica bandiera del Manchester UTD rilasciato a Sky Sports UK:

"Sono un tifoso del Manchester United da 40 anni ma sono disgustato. E sono disgustato in particolare dal mio Manchester United e dal Liverpool. Voglio dire, il Liverpool è il club del “You’ll Never Walk Alone”, il “Fans Club” o il “The People’s Club”, e poi il Manchester United, creato da gente nata e cresciuta attorno a Old Trafford più di 100 anni fa, e vogliono entrare in un torneo senza competizione, dal quale non puoi essere retrocesso. È una vergogna.
Dobbiamo rivedere il potere calcistico in questo paese, partendo dai club che dominano e comandano la Premier League, incluso il mio club, il Manchester United. Quello che stiamo vedendo è semplice avidità, nient’altro. I proprietari dello United, del Liverpool, del City o del Chelsea sono degli impostori, non hanno niente a che vedere con il calcio in Inghilterra. Questo paese ha più di 150 anni di storia calcisticamente parlando, a partire dai tifosi di questi club che per decadi hanno tifato e supportato la loro squadra in qualsiasi situazione. E sono loro che vanno protetti.
Io devo tantissimo al calcio. Ci ho guadagnato e ci guadagno ancora soldi, come anche ne ho investiti e continuo ad investirne, quindi non sono contro i soldi che girano nel calcio ma tengo tantissimo ai principi e l’etica di questo sport. Se il Leicester vince la Premier League, è giusto che vada in Champions. Questo è un esempio, ma è come dovrebbe funzionare, non che squadre come Tottenham, United o Arsenal che in Champions League nemmeno ci sono, possano partecipare a una competizione elitaria.
Se annunciano che un pre contratto o un pre accordo è stato firmato, punite quei club. Toglieteli punti, multateli, toglietegli i titoli che hanno vinto. Date la Premier League al Fulham o al Burnley. Oppure salvate il Fulham e fate retrocedere Manchester United, Liverpool e Arsenal che sono le tre squadre più storiche e hanno tradito i loro stessi tifosi.
Ne hanno tutti abbastanza, il tempo è finito. Ci vuole una commissione esterna che valuti questi proprietari e riporti ordine".

13/12/20

Paolo Rossi e il mistero di "Eupalla" che si incarnò in lui il giorno di Italia-Brasile


La parabola epica di Paolo Rossi racconta meglio di sempre il fascino del gioco del calcio dovuto alla sua illogicità, alla sua imprevedibilità e ai capricci di quella che Gianni Brera chiamava Eupalla, la inesistente divinità del Pallone che lui aveva inserito nel pantheon greco.

Paolo Rossi, che fino ad allora era stato un giocatore normale, in quella partita - Italia-Brasile, mondiali 1982 - fu pervaso dalla divinità che scelse di incarnarsi in lui, per motivi imperscrutabili.

Io mi ricordo bene quei tempi. L'Italia di Bearzot arrivò a quel mondiale circondata dalla disistima di tutti gli italiani, che giudicavano il tecnico friulano più o meno un totale incapace e i giocatori che vestivano l'azzurro, brocchi. Il girone di qualificazione dell'Italia fu pessimo, e la nazionale rischiò di essere eliminata passando come seconda con miseri 3 punti (3 pareggi, 2 soli gol fatti e 2 subiti) contro avversari che erano Polonia, Camerun, Perù. Polemiche durissime ogni giorno piovevano sul ritiro azzurro in Spagna. L'Italia fu inserita, essendo giunta seconda, in un girone spaventoso, contro i fuoriclasse brasiliani e argentini, spacciati per tutti, anche per Monsieur de Lapalisse.

Poi arrivò quella partita. In cui Eupalla scelse il piccolo, magrolino e fiero Paolo Rossi. Si incarnò dentro di lui e gli concesse di trasformarsi in una furia divina.

In quella partita irripetibile, gli italiani all'ultima spiaggia divennero i maestri brasiliani e i brasiliani fuoriclasse arrancarono increduli di fronte a questa improvvisa e inspiegabile metamorfosi.

Come ha detto efficacemente oggi Junior (nella foto qui insieme a Paolino): "Se noi (cioè il Brasile) avessimo segnato anche il pareggio del 3 a 3 in quella partita, Paolo Rossi avrebbe poi segnato il 4 a 3".

Efficace sintesi. Destino, premonizione, carattere, fato, talento: chiamatelo come volete.

Il mistero descritto da J. Hillman ne "Il codice dell'anima" trovò quel giorno la sua più eclatante dimostrazione.

Ci sono cose più grandi di noi. E il destino di una palla che rotola - checché ne pensino sapienti e scriba - è uno di questi.

Cosa che fa impazzire e dannare chiunque si sia mai appassionato a una partita di calcio, uno dei giochi più crudeli mai inventati dall'uomo.

Fabrizio Falconi - dicembre 2020

09/03/17

Il conto dei corner (di F. Falconi).




Il conto dei corner non vuol dire niente. 

Lo sa bene chi si diletta col gioco del calcio.  Puoi dominare nel conto dei corner, batterne trenta in una partita, tempestare l'area avversaria di cross taglienti o tagliati, allungare la parabola sul secondo palo e oltre, batterlo corto sul difensore che sopravviene, o a sorpresa verso il mediano che si è liberato al limite dell'area per battere; puoi tentare la foglia morta dalla bandierina sul palo più lontano, puoi tirarla forte e bassa sul primo palo sperando nel tocco fortuito, puoi batterlo a casaccio nel mucchio in area sperando nella spizzata di testa, o nella papera del portiere che perde la palla in uscita e la lascia scivolare ai piedi del centravanti;  puoi perfino sperare nel colpo di mano in area del difensore avversario che è saltato per liberare.   Ma niente, in certe partite, quella maledetta palla non vuole entrare. 

E potresti batterne anche centodieci di corner, non servirebbe a niente.  Sguinzagliare tutta l'artiglieria dei corner, da destra e da sinistra, quella maledetta porta resterebbe inviolata. 

Il conto dei corner non vuol dire niente. 

Puoi aver dominato il conto dei corner, essere 50 a 0 e perdere quella dannata partita per un solo tiro avversario, con quella squadra di mezzi brocchi che di corner non  ne ha battuto nemmeno uno. 

E' superfluo dunque, il conto dei corner.  E' statistica, campionario, vuoto numero che non c'entra nulla e non dice nulla sulla sostanza delle palle che sono finite in rete. 

E quella odiosa bandierina resta simulacro di sconfitta. Bandiera bianca, resa al destino o agli eventi. 

Prima di disperderti, prima di consumare il conto dei corner, cerca di ricordarti questo: la linea di gesso bianco sulla linea di porta non sa che farsene dei tuoi corner.  Il cuore coraggioso oltre l'ostacolo colpisce con la zampata sporca da fuori area. Una deviazione, un rimorso, una fitta al muscolo della gamba: la palla, schizzando imprevedibile, entrerà proprio sotto il sette.  

E nessuno si ricorderà mai di tutti quei corner che hai battuto invano. 

Fabrizio Falconi
(riproduzione riservata)

29/01/15

Eusebio, il calcio e 'Cieli come questo'.


Per chi ha amato Eusebio da Silva Ferreira, la Perla nera, splendido attaccante che il Portogallo scovò nella sua colonia di Mozambico, sapere il Benfica di nuovo in una finale di Coppe europee dopo 23 anni è una gioia. I portoghesi non ne vincono una dal ’62. Erano all’epoca una potenza del calcio internazionale, Eusebio una stella in ascesa. Quattro anni dopo il Portogallo avrebbe eliminato il Brasile ai Mondiali d’Inghilterra, a lui era già stato assegnato il Pallone d’oro. Oggi si fa fatica a crederlo, ma i giornali dell’epoca – non senza ragioni – si chiedevano chi fosse il più forte calciatore del mondo: Eusebio o Pelé.  Fabrizio Falconi, giornalista e scrittore, ne ha parlato nel suo romanzo del 2002 Cieli come questo. La pagina è questa. Per chi ha amato Eusebio, per chi vuole cominciare a farlo ora.

Come quella volta in cui, mentre guidavi, ho fatto caso a quel gagliardetto rosso che penzolava dallo specchietto retrovisore. Lo scudetto era quello di una squadra di calcio portoghese, il Benfica. Sfondo rosso, un aquilotto che stringe i suoi artigli su un cartiglio con la dicitura E Pluribus Unum, poi i rami di alloro che incorniciano un pallone con la sigla SLB, e un’altra scritta, questa in bianco: GLORIOSO, FUNDADO EM 1904

“Perché questo scudetto?”.
“E’ di Lisbona, il Benfica”.
“Lisbona. Ci sei stato?”.
“Sì, una sola volta, purtroppo”.
“E te ne sei innamorato?”.
“Sicuramente. Ci sono stato durante i lavori che fecero per l’Expo del 1998. Cantieri ovunque, strade dissestate, caos…”.
“Eppure…”.
“Eppure… Che città, e poi è la città del Benfica. L’arte del football”.
“Io non ci capisco niente di football”.
“Non conosci Eusebio?”.
“Eusebio chi?”.
“Il più grande calciatore del mondo”.
“Non ne so niente. Ma non era Pelé?”
“Pelé? No, Eusebio era un’altra cosa (…) Che ne so, la maglietta amaranto con le bande verdi, a me quelli del Portogallo mi sono sempre piaciuti, e il Benfica, poi, con tutto quel rosso”.

[Fabrizio Falconi, Cieli come questo, ed. Fazi 2002]