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15/05/19

Tarocchi e I-Ching: Esce un nuovo libro, "I codici del cambiamento", con nuove tesi, presentato venerdì prossimo a Roma.




L’I Ching e i Tarocchi, due tra i più antichi testi di sapienza tradizionale, custodiscono, nella loro matrice codificata, una segreta conoscenza del DNA e dei suoi meccanismi. 

Un numero sempre più elevato di studi scientifici ipotizza che il DNA sia una vera e propria lingua che, svolgendo funzioni di meta-comunicazione simili a quella di un’antenna ricetrasmittente, risponde a diversi tipi di frequenze, tra cui quelle del linguaggio e dell’attitudine umani

Sul piano simbolico, infatti, i 64 esagrammi del Libro dei Mutamenti e i 22 Arcani Maggiori del Tarot sembrano essere, rispettivamente, i corrispettivi delle 64 triplette genetiche e dei 22 aminoacidi che, sul piano biologico, governano la costruzione delle proteine, le molecole base della vita

In particolare, dalla loro interazione emerge l’esistenza di strutture definite Codici del Cambiamento o iCode che, in qualità di centri funzionali della coscienza, serbano le chiavi delle dinamiche interiori che sottendono a ogni essere umano. 

Il rivoluzionario lavoro di Bozzelli, dunque, offre un’audace prospettiva sul contenuto dell’I Ching e del Tarot, contenuto che, paragonabile a una tecnologia innovativa espressa da archetipi che si trasformano in Parole Chiave, cioè vibrazioni, consente di compiere una mirabile trasmutazione evolutiva lungo il personale cammino dell’esistenza. 

CARLO BOZZELLI, dopo gli studi di medicina veterinaria e la specializzazione in microbiologia, ha approfondito l’indagine, iniziata sin da giovane, della secolare Tradizione dei Tarocchi. Attraverso una ricerca scientifica e filologica condotta tramite la comparazione dei mazzi del passato e lo studio del millenario simbolismo sacro, sta riscoprendo l’antichissima saggezza custodita nelle Icone oggi note come Tarocchi. In qualità di mastro cartaio, ha restaurato e integrato l’originale gioco dell’incisore marsigliese Nicolas Conver, da molti esperti considerato il più importante modello di riferimento. È ideatore e docente dell’Accademia dei Tarocchi e fondatore dell’Associazione Tarologi Italiani. Autore dei libri Il codice dei Tarocchi (ed. Anima, 2012) e I Tarocchi: il vangelo segreto (Ed. Mediterranee, 2014), tiene conferenze e seminari in Italia e all’estero, pubblicando articoli e testi su riviste e portali on line. 

FRANCESCO D’AYALA è giornalista professionista. Scrittore. Lavora al Giornale radio della Rai. Da inviato si occupa di moltissimi temi quali la cultura, i libri, l’arte, l’archeologia ed i problemi inerenti al patrimonio culturale. 

Presentazione del Libro alla 
relatore: Carlo Bozzelli introduce: Francesco d'Ayala 

25/01/14

Nessuna meraviglia viene a risvegliare il tuo sonno.




Fonte di saggezza popolare ripete che si invecchia quando si smette di innamorarsi. Cioè, non si riesce più. Soltanto ampliando lo sguardo, si dovrebbe ammettere che si invecchia, e cioè ci si avvicina, preparandosi, alla morte, quando si smette di meravigliarsi. 
Nulla è infatti più vicino alla meraviglia dell'innamoramento, che della meraviglia è solo una delle manifestazioni. 

L'albero rinnova i colori, si piega sotto il peso della pazienza, non smette di credersi legato indissolubilmente alla terra, anche quando muoiono le radici e il legno vecchio si disperde nell'apparente niente che è la dissoluzione degli atomi, degli amminoacidi, delle diverse variazioni chimiche chiamate 'albero'. 

Così noi, dovremmo essere capaci di rinnovare i colori. Farci nuovi per il riposo degli uccelli, splendenti per le piogge di giugno, nudi per la paura di gennaio, tenui per l'alba nuova d'autunno, intrepidi per l'ultima primavera che verrà a visitarci. 

Lo sguardo è quello che siamo capaci di essere. 

Quando tutto è fermo, senti una madida coperta senza vita che avvolge il tuo corpo. Da sotto, uno scheletro insensibile riesce ancora a sentire.  Ma nessuna meraviglia viene a risvegliare il tuo sonno. 

Vivi da morto, come un morto.  E il vecchio adagio direbbe che sei morto anche se vivi, cioè non sopravvivi, anche se sembra che è quello che fai. 

La meraviglia scardina come un arpeggio le ossa del tuo scheletro.  Quando non vuoi, viene a ricordarti che sei stato vivo, e lo sei, e lo sarai.  Dipende, come in ogni cosa creata dall'universo,  dalla vibrazione.  Sei nato da quella, tornerai ad essere quella, dipendi da quello .  Il silenzio, senza di quella, è vuoto. Come non è mai il silenzio. 




Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

25/06/13

Di cosa è fatta la nostra paura.




Di cosa è fatta la nostra paura ?

In cosa consiste esattamente ?  La nostra paura è un insieme di paure.  Alcune ci servono per vivere.  Se non provassimo alcune paure, saremmo destinati all'autodistruzione. 

Sono dunque, fisiologiche. 

Altre sono invece, le avvertiamo invece, come zavorre. 

Sentiamo che queste paure rappresentano il modo che il nostro io interiore ha per bloccare ogni cambiamento, ogni crescita ogni possibile evoluzione.  Il rischio del cambiamento è ciò che più ci atterrisce anche se siamo coscienti che - come ha scritto Krishnamurti - l'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento.

Proprio per questo, nel flusso permanente che ha ed è la vita - dove ogni cosa mai si riposa - noi sentiamo il bisogno di creare permanenza, di costruire qualcosa che ci illudiamo non cambi, qualcosa che resti sempre, che non sia mutevole e cedevole come ogni cosa della vita dei viventi. 

Per bloccare dunque il flusso che ci spaventa, le nostre paure ci impongono di aver paura e di fermarci in tempo.   Bloccati dalla paura e dalle paure, ci sentiamo in fondo più sicuri. 

Eppure, come insegnano le diverse psico-analisi - e come insegnano anche le religioni tradizionali - ogni cambiamento è possibile solo se e in quanto siamo disposti ad attraversare le nostre paure.  Le nostre zone d'ombra, come vengono chiamano nella terminologia junghiana. 

Per affrontare le nostre paure occorre il coraggio: la virtù umana che Michel Serres ha definito quella oggi più importante. 

Il coraggio non può essere dato.  

Il coraggio è una qualità umana che sperimentiamo soltanto nella concretezza della nostra vita.  Nessuno, in assoluto, può dirsi un vile o un coraggioso.  Il fatto di esserlo - e di esserlo con se stessi - deriva fondamentalmente da ciò che decidiamo di essere di momento in momento, nel flusso delle nostre vite.

Il giudizio - e l'autogiudizio - ci paralizzano. Soprattutto perché siamo abituati a non dare un volto alle nostre paure, a non parlarne, e a far finta che non esistano. 

Le paure, invece, se vogliamo affrontarle, debbono per prima cosa essere riconosciute.  Accettate.  Non negate, non rimosse. Siamo esseri animali dotati di istinto: la paura fa parte di noi.  Siamo esseri dotati di spirito - ciascuno ne è provvisto, ciascuno nasce diverso da un altro, la nostra individualità unica e irripetibile E' spirito - e di coscienza: la coscienza  e lo spirito ci aiutano a riconoscere e ad accettare le nostre paure. 

A tenerle vicino, a non averne paura.

Solo così, la coscienza e la paura, non negandosi a vicenda, realizzeranno insieme il fine della vita, che è il cambiamento consapevole. L'essere consapevoli del cambiamento.  L'essere capaci di cambiare restando sempre consapevoli di sé.

Fabrizio Falconi


14/05/13

Cambiare rimanendo fedeli a se stessi.





Nella vita siamo sempre mossi da un doppio istinto: quello di muoverci, di cambiare, di sperimentare, di attraversare la vita; e quello di conservare, di allontanarci, di perderci . 

Non facciamo altro, in definitiva, nelle nostre esistenze, che oscillare tra questi due sentimenti opposti.

Il cambiamento ci attira ma è anche ciò che più ci spaventa. 

Qualcosa dentro di noi ci dice che senza cambiamento la vita non è nemmeno degna di essere vissuta, ma qualcos'altro dentro di noi resiste e ci invita a non farci trascinare passivamente dalla forza del cambiamento.

Se appena ci pensiamo, ci rendiamo conto che il cambiamento è inevitabile: come scrive Krishnamurti, anzi l'unica cosa che si ripete costante nella vita è il cambiamento. 

Sappiamo però anche che c'è qualcosa - un pre-dato - che siamo noi e che non vuole perdere mai del tutto la propria natura. E' ciò che è stato chiamato in diversi modi nella storia umana, e che per migliore approssimazione è stato definito anima. Il nucleo, il centro originario di noi stessi. 

In psicologia, anzi, lo ha teorizzato C.G.Jung, ci si realizza pienamente soltanto non allontanandosi mai del tutto dal centro di se stessi.  Rimanendovi in qualche modo fedele. La pienezza vera esiste soltanto nel , dice Jung.  L'esperienza ci insegna, vivendo, che nessuna pienezza ci può derivare dai beni materiali, e nemmeno dalle relazioni in quanto tali, se il nostro non è pienamente coinvolto. 

Come vivere dunque, tra queste due opposte spinte ?

E' un difficile equilibrio.  Ma è il senso stesso dell'esistenza. 

Il cambiamento non può essere rifiutato.  Chi rifiuta il cambiamento, in definitiva non vive. 

E non ottiene nemmeno risultati, perché come scrive Neale Donald Walsh, quello che tu resisti in realtà persiste quello che invece tu accetti scompare.

Se tu opponi cioè una resistenza al cambiamento, quella realtà resisterà e anche la tua opposizione persisterà, paralizzandoti.  Ciò invece che mette paura e spaventa, se accettato - ovvero vissuto pienamente - scompare, non è più un pericolo. 

Ma ogni cambiamento - per essere vero cambiamento - deve essere fedele alla tua natura interiore.  Per avere coscienza di questa fedeltà, bisogna prima di tutto conoscersi. Sapere chi si è veramente. E' l'operazione che si deve fare costantemente nella vita. Ascoltarsi, conoscersi, attraversare le proprie zone d'ombra e le paure, conoscere cosa hanno da dirci, e solo così accettare il cambiamento che la vita ogni giorno ci chiede, per essere degni di vivere.

Fabrizio Falconi

19/04/13

Aprile, tempo di cambiamento. Il Mattino domenicale di Wallace Stevens.




E' uno strano tempo, il tempo di aprile, del cambiamento. Nascita, rinnovamento, evoluzione, crescita, lontananza, mancanza, senso di temporaneità, di caducità e allo stesso tempo aspirazione all'eterno, sfida umana assurda.  
E questa poesia di Wallace Stevens, da Mattino Domenicale, esprime il sentimento profondo di questo tempo, per noi, per ogni giorno che Dio manda in terra e che rinnova il mondo e noi stessi, ogni giorno. 

IV.

Dice: "Mi piace quando agli uccelli
prima del volo provano con dolci
domande la realtà dei campi in bruma:
ma quando son partiti, se non tornano
i loro campi, allora il paradiso
dov'è ?" Antro non v'è di profezia,
né remota chimera della tomba
eliso d'oro o isola sonora
ove dian loro le anime rifugio,
né trasognato Sud, né aerea palma
sopra i clivi del cielo, che perduri
come il verde d'aprile, o che perduri
come il ricordo in lei d'agili uccelli,
o vaghezza d'un vespro di giugno
che pieghi al tocco d'ala della rondine.

Wallace Stevens, da Mattino Domenicale, Giulio Einaudi Editore, a cura di Renato Poggioli, 1982.




testo originale: 

IV.

She says, ``I am content when wakened birds,
Before they fly, test the reality
Of misty fields, by their sweet questionings;
But when the birds are gone, and their warm fields
Return no more, where, then, is paradise?''
There is not any haunt of prophecy,
Nor any old chimera of the grave,
Neither the golden underground, nor isle
Melodious, where spirits gat them home,
Nor visionary south, nor cloudy palm
Remote on heaven's hill, that has endured
As April's green endures; or will endure
Like her remembrance of awakened birds,
Or her desire for June and evenings, tipped
By the consummation of the swallow's wings.


22/12/12

Martin Buber: Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.




Bisogna che l'uomo si renda conto innanzitutto lui stesso che le situazioni conflittuali che l'oppongono agli altri sono solo conseguenze di situazioni conflittuali presenti nella sua anima, e che quindi deve sforzarsi di superare il proprio conflitto interiore per potersi così rivolgere ai suoi simili da uomo trasformato, pacificato, e allacciare con loro relazioni nuove, trasformate.

Indubbiamente, per sua natura, l'uomo cerca di eludere questa svolta decisiva che ferisce in profondità il suo rapporto abituale con il mondo: allora ribatte all'autore di questa ingiunzione - o alla propria anima, se è lei a intimargliela - che ogni conflitto implica due attori e che perciò, se si chiede a lui di risalire al proprio conflitto interiore, si deve pretendere altrettanto dal suo avversario. Ma proprio in questo modo di vedere - in base al quale l'essere umano si considera solo come un individuo di fronte al quale stanno altri individui, e non come una persona autentica la cui trasformazione contribuisce alla trasformazione del mondo - proprio qui risiede l'errore fondamentale [...].

Cominciare da se stessi: ecco l'unica cosa che conta. In questo preciso istante non mi devo occupare di altro al mondo che non sia questo inizio. Ogni altra presa di posizione mi distoglie da questo mio inizio, intacca la mia risolutezza nel metterlo in opera e finisce per far fallire completamente questa audace e vasta impresa. Il punto di Archimede a partire dal quale posso da parte mia sollevare il mondo è la trasformazione di me stesso. Se invece pongo due punti di appoggio, uno qui nella mia anima e l'altro là, nell'anima del mio simile in conflitto con me, quell'unico punto sul quale mi si era aperta una prospettiva, mi sfugge immediatamente.

[...] "Cerca la pace nel tuo luogo". Non si può cercare la pace in altro luogo che in se stessi finché qui non la si è trovata. E' detto nel salmo: "Non c'è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato". Quando l'uomo ha trovato la pace in se stesso, può mettersi a cercarla nel mondo intero.

Martin Buber, Il cammino dell'uomo.


27/01/09

Il Vangelo della Domenica scorsa - "Convertitevi e credete al Vangelo."




VANGELO Mc 1,14-20

Dal Vangelo secondo Marco

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello diSimone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch'essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

Cosa vuol dire 'convertirsi' ? L'etimologia della parola, dal latino convertere (cum vertere) vuol dire letteralmente 'voltarsi con forza', 'volgersi con forza', cioè Trasformarsi, Trasmutarsi, Destinare ad un uso diverso.

Trasformarsi, Trasmutarsi, Destinare ad un uso diverso. Destinare ad un uso diverso, cosa ? Semplicemente se stessi.

Chiunque sperimenta nella vita di tutti i giorni che la cosa più difficile di tutte, per ognuno di noi, è cambiare. Cambiare noi stessi.

Cambiare sembrerebbe la cosa più naturale del mondo, visto che viviamo in un mondo im-permanente, dove tutto cambia, dove ogni cosa cambia in ogni momento, dove ogni cosa si trasforma, dove panta rei.

Noi esseri umani, invece, forse proprio a causa del sacro terrore che ci ispira questa im-permanenza, facciamo di tutto nella vita per evitare cambiamenti. L'unico scopo della nostra vita sembra essere quello di costruirci qualche tipo di (provvisoria) certezza: il lavoro, gli impegni, le mie convinzioni, le mie ideologie, le mie abitudini, le mie consuetudini, ecc..

Tutto pur di evitare di doverci mettere in discussione, di doverci domandare: " ma io chi sono veramente ? " " cosa sento e cosa provo veramente ? " e " cosa voglio per me, esattamente ? "

Domande che ci mettono a disagio, perchè ad esse è difficile rispondere, e sono domande che suscitano molti dubbi. E i dubbi, noi in generale non li vogliamo.

Gesù Cristo viene a scardinare tutto questo. Viene a ribaltare completamente il nostro 'io vecchio'. Viene a dirci: basta, adesso. Alzati, e seguimi: tutto il resto non conta. Tutte le piccole certezze che ti sei costruito, e sulle quali pensi di poter stare comodamente seduto, senza senso.


Le reti - simbolo delle nostre occupazioni, ma anche delle nostre 'prigioni' - lasciale stare, abbandonale. Cammina, seguimi. Vieni dietro di me, questo vuol dire convertirsi: muoversi, mettersi in cammino, non restare seduti. Certamente camminare è molto più faticoso che restare comodamente seduti. Ma vale la pena, se il cammino che ci viene promesso, è un cammino di conoscenza profonda, di noi stessi, dell'altro, e del nostro senso qui, ora.

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