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23/11/20

Pompei: Cosa sappiamo dei due corpi ritrovati miracolosamente intatti



I corpi di due fuggiaschi, travolti dalla furia dell'eruzione del 79 d.C. Quello di un uomo abbiente, il padrone, e, molto probabilmente, quello del suo schiavo. 

Quelli che sono riemersi dalle ceneri, a Pompei, restituiti grazie alla tecnica dei calchi in gesso, ideata nell'Ottocento da Giuseppe Fiorelli. 

La colata di gesso liquido nelle cavita' lasciate dai corpi degli abitanti dell'antica citta' romana fa emergere dettagli impressionanti. 

La prima vittima e', quasi certamente, un ragazzo tra i 18 e i 23 anni, alto 1,56 metri. Ha il capo reclinato, con i denti e le ossa del cranio ancora parzialmente visibili; indossa una tunica corta, di lunghezza non superiore al ginocchio, di cui e' ben visibile l'impronta del panneggio sulla parte bassa del ventre, con ricche e spesse pieghe. 

Le tracce di tessuto suggeriscono che si tratti di una stoffa pesante, probabilmente fibre di lana. Il braccio sinistro e' leggermente piegato con la mano, ben delineata, appoggiata sull'addome, mentre il destro poggia sul petto. Le gambe sono nude. 

La presenza di una serie di schiacciamenti vertebrali, inusuali per la giovane eta' del ragazzo, fa pensare che potesse svolgere lavori pesanti: ecco perche' si pensa che fosse uno schiavo. 

Durante la realizzazione di questo primo calco e' avvenuta la scoperta delle ossa di un piede, che ha rivelato la presenza di una seconda vittima

È in una posizione completamente diversa rispetto alla prima, ma attestata in altri calchi a Pompei. Il volto e' riverso a terra, a un livello piu' basso del corpo, e il gesso ha delineato con precisione il mento, le labbra e il naso, mentre si conservano parzialmente a vista le ossa del cranio.

Le braccia sono ripiegate con le mani sul petto, mentre le gambe sono divaricate e con le ginocchia piegate.

 L'abbigliamento e' piu' articolato rispetto all'altro uomo. Sotto il collo della vittima, vicino allo sterno dove la stoffa crea evidenti e pesanti pieghe, si conservano infatti impronte di tessuto ben visibili riconducibili a un mantello in lana che era fermato sulla spalla sinistra.

In corrispondenza della parte superiore del braccio sinistro vi e' anche l'impronta di un tessuto diverso, quello di una tunica, che sembrerebbe essere lunga fino alla zona pelvica. 

La robustezza del corpo, soprattutto a livello del torace, suggerisce che anche in questo caso sia un uomo, piu' anziano pero' rispetto al primo, con un'eta' compresa tra i 30 e i 40 anni e alto circa 1,62 metri. 

La scoperta e' avvenuta durante l'attivita' di scavo in localita' Civita Giuliana, a 700 metri a nord ovest di Pompei, nell'area della grande villa suburbana dove gia' nel 2017 furono rinveneuti i resti di tre cavalli bardati. 

"Questa scoperta straordinaria dimostra che Pompei e' importante nel mondo non soltanto per il grandissimo numero di turisti - dichiara il ministro per i beni e le attivita' culturali e per il turismo Dario Franceschini - ma perche' e' un luogo incredibile di ricerca, di studio, di formazione. Sono ancora piu' di venti gli ettari da scavare, un grande lavoro per gli archeologici di oggi e del futuro". 

"Uno scavo molto importante quello di Civita Giuliana - gli fa eco il Direttore del Parco Archeologico di Pompei Massimo Osanna - perche' condotto insieme alla Procura di Torre Annunziata per scongiurare gli scavi clandestini e che restituisce scoperte toccanti. Queste due vittime cercavano forse rifugio nel criptoportico, dove invece vengono travolte dalla corrente piroclastica alle 9 di mattina. Una morte per shock termico, come dimostrano anche gli arti, i piedi, le mani contratti. Una morte che per noi oggi e' una fonte di conoscenza incredibile".

06/09/18

Pompei: riemergono gli scheletri di una coppia clandestina.




Padrone e schiava sepolti assieme a Pompei

E' quanto emerge da un eccezionale ritrovamento nella necropoli del fondo Pacifico presso la necropoli di Porta Nocera, mai esplorato prima. Gli archeologi di Lille, coordinati dal professor William Van Andringa durante lavori di scavo, hanno scoperto la tomba nella quale si trovavano Ciaus e Ciara, una coppia clandestina. 

Con loro era sepolto anche un figlio, tra i 12 ed i 14 anni. 

Lo riferisce Il Mattino. 

Secondo le norme dell'epoca, l'ancella non poteva andare a nozze con il suo padrone.

Gli esperti sono da tempo a lavoro su dei nuovi monumenti funerari, databili tra il 20 avanti Cristo e il 79 dopo Cristo

Gli studi del professor Van Andringa, su alcune ossa bruciate, hanno permesso di individuare 14 defunti, tutti appartenenti alla stessa famiglia

Nella prima tomba è stato trovato il capo famiglia, Quintus Verauis, patrizio romano. Sulla tomba è stato trovato un altro monumento funerario, costruito per VeraniaQI Ciara, una ex schiava liberata dal padrone, Caius figlio di Quintus. 

Lo stupore per gli esperti, però, è sopraggiunto quando la tomba della donna è stata trovata vuota e le sue ceneri nella tomba di Caius. 

Una possibile spiegazione a questa scelta viene data dal professor Van Andringa: “Questo significa che nella vita erano una coppia“. La loro, quindi, sarebbe stata una relazione clandestina, visto che all’epoca una schiava non poteva sposare il padrone. 

Inoltre, si pensa che i due avessero anche concepito un figlio. 

Infatti, alle spalle delle tombe degli “amanti” è stata trovata una terza con delle ossa di un adolescente ed alcuni frammenti, delle stesse ossa, sono stati trovati anche nella libagione di Caius.


Fonte Ansa e Vesuviolive

04/08/18

Riemerge lungo l'Appia Antica un "Autogrill" di 2000 anni fa.


Vengono alla luce i resti di un tratto di strada lungo 14 metri. Costeggiava un piccolo centro abitato in cui si svolgevano anche attività artigianali. Era una stazione di sosta e commercio, abbandonata 20 secoli fa, lungo la "regina viarum". 

L'ipotesi degli studiosi: è l'antico insediamento di Nuceriola. Era una stazione di sosta e di commercio: un luogo dove rifocillare i cavalli, riposarsi e poi ripartire. Insomma, un qualcosa di simile alle locande o agli autogrill di oggi. 

Solo che questo sito ha duemila anni e insiste sulla Via Appia, la "Regina viarum" dell'impero romano. 

È uno scavo ricco di sorprese quello portato avanti a Benevento, tra le campagne di Masseria Grasso. 

L'equipe di archeologi dell'università di Salerno, guidati da Alfonso Santoriello, docente di Archeologia del paesaggio, ha individuato un antico tratto di strada in terra battuta lungo 14 metri, bordato da cordoli e databile a partire dal terzo secolo avanti Cristo

"Sicuramente è un pezzo dell'Appia antica - dichiara Santoriello - Costeggiava un abitato, all'interno del quale abbiamo rinvenuto un importante quartiere artigianale che si estende per 400 metri quadrati, databile tra il primo secolo avanti e il primo dopo Cristo". 

L'area, riportata in parte alla luce già nel 2016, è costituita da cinque ambienti, contenenti due fornaci (numero che potrebbe aumentare).

Era qui che si produceva vasellame a "pareti sottili", una varietà molto raffinata. 

Gli ultimi ritrovamenti, risalenti a pochi giorni fa, hanno individuato anche un canale per il deflusso delle acque, essenziali per il funzionamento dell'impianto artigianale, accanto a fosse con materiale di scarico. Hanno restituito vasi, brocche, piatti impilati. 

Si tratta di reperti che, secondo gli esperti, lascerebbero intendere quanto il sito non fosse soltanto una "statio": molto probabilmente ci troviamo in un piccolo e fiorente nucleo abitativo, poi abbandonato dopo il 50. L'ipotesi più suggestiva è che lo scavo sia ciò che rimane di Nuceriola, scalo principale dell'Appia prima di Beneventum, distante quattro miglia. L'idea è suffragata anche dalla "Tabula Peutingeriana", copia medievale di una mappa di antiche vie consolari romane: i luoghi sembrano coincidere.


21/12/16

Un posto bellissimo e misterioso: le rovine di Cuma e l'antica grotta della Profetessa.


Le rovine di Cuma, in Campania, con l’antica grotta della Profetessa.

La città di Cuma – le cui rovine si ammirano oggi nel territorio di Pozzuoli, nella zona dei Campi Flegrei, non lontano da Napoli – fu una delle prime in assoluto fondate dai coloni greci nell’ottavo secolo avanti Cristo, proprio negli stessi anni in cui più a nord nasceva in una sorta di disputa fratricida, la leggenda di Roma sul colle Palatino.

I coloni della Magna Grecia che per la prima volta arrivarono fin qui, scelsero il nome di Cuma -  Κύμη (Kýmē) – proprio perché questo terreno roccioso, in realtà di lava solidificata nel corso dei secoli, ricordava un’onda.

Il rialzo della roccia apparve a questi avventurosi colonizzatori il luogo ideale per costruire una città fortificata, dotata di acropoli che, in breve tempo giunse ad espandere il suo territorio a buona parte dell’attuale Campania. Un regno indipendente che durò poco, prima dell’invasione subita da parte dei Campani prima, e dei Romani poi, che concessero però alla nobile città il rango di civita sine suffragio, che garantiva cioè tutti i diritti di cittadinanza romana, con l’esclusione del voto.

I resti che si ammirano oggi di Cuma, si riferiscono però quasi interamente all’epoca di Augusto, durante la quale furono restaurati gli edifici più antichi. Ciò che fu invece salvaguardato, per il rispetto che il luogo incuteva era la Grotta, che una persistente leggenda, durata per secoli, indicava come la dimora del più celebre oracolo del mondo, la Sibilla Cumana, la sacerdotessa in grado di predire il futuro.

Chi era dunque Sibilla ? E perché questo luogo continua ad esercitare lo stesso fascino misterioso descritto da Virgilio, che della Sibilla fa un personaggio centrale, la traghettatrice che conduce Enea nel regno dell’Oltretomba (lo stesso ruolo che svolgerà Virgilio medesimo nella Comoedia dantesca) ?
Virgilio, nell’Eneide, nel sesto libro, fornisce questa immagine della Grotta della Sibilla: profonda grotta, immane di larga apertura/di roccia, da un nero lago difesa, e dai boschi tenebrosi.

Una Grotta, specifica ancor meglio Virgilio, abitata da vapori sulfurei,  in cui la profetessa appare come una virgo violentemente posseduta dal dio Apollo, che dolorosamente deve scacciare dal proprio petto, in un passaggio simbolico che richiama tutte quelle figure di sacerdotesse dell’antichità, il cui culto fu probabilmente importato dall’Oriente e passando attraverso la Pizia di Delfi, finì per essere assorbito dalla cultura della Magna Grecia prima, e romana poi.
L’habitat descritto da Virgilio, riguardante la Sibilla, era quello che già si tramandava oralmente e radicato dunque nella tradizione. Per intraprendere il viaggio negli inferi il visitatore – in questo caso Enea – doveva procurarsi un ramo d’oro (secondo diverse versioni doveva trattarsi di vischio) e condursi all’entrata del Lago di Averno, formatosi nell’antichità nel cavo di un vulcano e ricolmo di acque sulfuree le quali erano anche all’origine del suo nome, perché si riteneva scacciassero gli uccelli (l’etimologia di ‘Averno’, nel senso di ‘Inferno’ sembra derivi, oltre che dal colore scurissimo delle sue acque e dalla fitta vegetazione intorno, dal greco, Aornon, cioè ‘senza uccelli’).



Questo luogo, dunque, il Lago di Averno, che ancora oggi è possibile ammirare per fortuna libero dalle esalazioni che sono scomparse o attenuate, eppure pesantemente minacciato dallo sproporzionato sviluppo edilizio della zona, era la porta degli inferi, e la Grotta, quell’antro dove era possibile portarsi al cospetto della Sibilla.