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15/09/18

Palestra della durezza.




Ci sono tanti modi per allevare un ragazzo o una ragazza alla palestra della durezza.  Nei primi anni di vita - Bettelheim sosteneva che fondamentali per la determinazione del carattere fossero i primi 6 - basta mettere in scena nel teatro famigliare comportamenti e modelli come: l'instaurazione del senso di colpa come dogma, la repressione, il rispetto di regole dogmatiche, la propensione all'istinto di fuga, la ribellione, la competizione, la freddezza o l'assenza. 

Certo, ha ruolo fondamentale anche la predisposizione, il carattere, quello che è il proprio destino personale, quello con cui si nasce. 

Ma non c'è dubbio che ciò che si assorbe nell'ambiente famigliare nei primi anni, soprattutto a livello di sofferenza interiore - quando il bambino e poi l'adolescente si sentono abbandonati a se stessi e obbligati a trovare una strada propria, una regola morale o non morale interna, indipendente - racconterà molto della vita di un adulto. 

Esercitato a lungo alla palestra della durezza, il bambino diventato adulto tenderà a ripetere quei modelli, a metterli nuovamente in scena, ciclicamente, periodicamente, nevroticamente per poterli poi smentire, tradire o con-traddire.  

Non servirà ricoprire questo adulto di rassicurazioni o bene, dispensato più o meno gratuitamente. Il carattere tenderà a imporsi non appena sarà libero di farlo, cioè non appena i vincoli o le sovrastrutture - un sentimento, un obbligo, un legame - si saranno spezzati. 

Il carattere anzi, segretamente, lotterà sempre, già da prima e durante, contro questi vincoli e queste "sovrastrutture". Remerà contro, per poter un giorno dire all'altro se stesso, trionfante: "ecco, vedi, io avevo ragione". 

La palestra della durezza lascia segni come cicatrici, che non si cancellano con il tempo.  Rifiutando, fingendo di accettarlo, ciò che è mansuetudine, malleabilità, comprensione, genuinità. 

E' come se - e la storia della letteratura mondiale e del cinema è piena di modelli/stereotipi di questo tipo - l'eroe della durezza avesse bisogno di dimostrare a se stesso molto prima che al mondo, che occorre essere duri, non lasciarsi ingannare, non scendere a patti.  Jake La Motta prenderà a testate le pareti della prigione (come avviene nel finale di Toro Scatenato), pur di non dover ammettere con/a se stesso - che è stato, per molto tempo, forse per tutta la vita, il principale, inutile nemico di se stesso. 

Fabrizio Falconi



03/09/15

SaggiaMente. La sofferenza dell'anima.




La mente non è (solo) il cervello.  Gli occidentali ci hanno messo parecchio a giungere a questa conclusione che nel pensiero orientale era già assodata migliaia di anni orsono. 

Non è solo il cervello - l'organo biologicamente preposto al pensare - l'autore dei nostri stati d'animo, delle nostre ansie, delle nostre intuizioni, dei nostri dolori.   La mente si muove oltre i confini strettamente biologici, oltre le semplici connessioni neuronali (cellule neuronali fra l'altro non esistono solo nel cervello, ma anche in altri organi del corpo): si pensa anche quindi con il cuore, si pensa con lo stomaco, si pensa con gli organi genitali, si pensa con l'intestino. 

Si è felici o tristi anche con il cuore, con lo stomaco, con gli organi genitali, con la pelle, con l'intestino. 

Ma c'è qualcosa che trascende ancora il pensiero, la mente, biologicamente intesa come cervello o in modo più esteso come prosecuzione del/nel corpo. 

Questo qualcosa è stato variamente denominato nel corso dei millenni della storia dell'uomo.  Ad esso, a questo quid, ci si è riferito e ci si riferisce, non sapendo cosa sia, nei più diversi modi.  James Hillman, ne Il codice dell'anima, ha meticolosamente e dettagliatamente elencato questi nomi, che seppure con sfumature diverse, indicano questo quid, che non è, è non sembra essere soltanto mente: carattere;  predisposizione; anima; Sè; destino; istinto; talento.

Si tratta di quel nucleo originario della nostra personalità, della nostra individualità.  

Anche nella consapevolezza e nella accettazione e ricerca di questo quid, il pensiero orientale ha trovato strade di comprensione molto tempo prima, anche se dal pensiero greco platonico in poi, anche la tradizione occidentale ha preso le misure di una componente così essenziale della natura umana. 

Per verificare la potenza di questo quid - e anche la sua reale sussistenza - ci sono diverse strade e diversi cammini personali.   La strada più evidente è quella della sofferenza.   Cioran scrive che è proprio la sofferenza che plasma e crea la coscienza.  

Ma un certo tipo di sofferenza, rende evidente la potenza del quid, cioè dell'anima. 

Sono quelle sofferenze che non appartengono a stati mentali o a patologie o processi meramente cerebrali/neuronali.  Quasi tutti hanno sperimentato quel particolare malessere dell'individuo che non dipende da una malattia biologica - si è perfettamente sani nella mente e nel corpo - ma che sembra insinuarsi direttamente nella nostra radice più profonda dell'essere. 

Si può essere molto felici, esteriormente - avere tutto ciò che apparente-mente serve per essere felici, ogni condizione di bisogno appagata - ed essere al contempo interiormente enormemente infelici. 

Nel recinto di esistenze normali, si dibattono inquietudini interiori, vere crisi, mancanze di senso, infelicità diffuse che dipendono da ciò che il nostro quid silenziosamente o rumorosamente richiede, e che se non ascoltato procura danni enormi. 

La sofferenza dell'anima può infatti generare vere malattie della mente e del corpo. O del corpo e della mente, che appaiono così inestricabilmente legati. 

Ma la sofferenza dell'anima è anche un meraviglioso segnale, di cui disponiamo - se riusciamo a dare ascolto ad esso, e spazio, spazio, spazio - per capire cosa la vita ci chiede e cosa noi possiamo dare alla vita.


Fabrizio Falconi - 2015 


22/11/14

5 domande per sapere chi sei.





Un piccolo gioco ideato da me (e a quanto pare piuttosto efficace) - per chi vuole - per saperne di più su come si è.

Domani fornirò su questo blog una chiave per interpretare le risposte.  Si tratta di rispondere semplicemente, senza starci a pensare molto, a queste 5 domande, che rappresentano un modello di aut-aut  un po' paradossale. 

Bisogna scegliere l'uno o l'altra.  Segnatevi le 5 risposte.
Domani ne parleremo. 

1.

Mozart (A) o Beethoven (B) 


2. 

La pioggia (A) o la neve (B)


3.

Esserci sempre (A) o esserci quando si può (B)


4.

Cerchio (A) o quadrato (B)


5.

Uscita (A) o entrata (B)




Fabrizio Falconi



29/05/14

L'obiezione all'astrologia (di chi non conosce) - Marco Pesatori.





Coloro che deridono l'astrologia, spesso non sanno ciò di cui parlano. 

Molti infatti confondono la tradizione astrologica millenaria basata sulla conoscenza simbolica dell'animo umano con le varie tecniche divinatorie.

Ma come sanno tutti coloro che si avvicinano all'astrologia seriamente, nessun astrologo serio si sognerebbe mai di divinare il futuro di una persona, ciò che gli succederà esattamente domani o dopodomani. 

L'astrologia infatti si basa - come ogni scienza dei simboli - sulla individuazione dei principi individuali e collettivi che muovono i caratteri umani (e a questo termine così difficile da identificare - nessuno sa cosa sia il carattere di una persona - si associano altre parole misteriose legate all'esistenza umana: predisposizione,  destino, fato, propensione, personalità ecc..) 

Uno dei più seri astrologi italiani, Marco Pesatori, ha scritto recentemente (D di Repubblica, 24 maggio 2014):

L'astrologia è strumento per creature dotate di ragione e possibilità di scelta.   Così l'estenuante polemica tra determinismo e libero arbitrio sembra aver poco senso.
Se dal servizio meteorologico si sa che domani il mare ha forza sette, è una sentenza precisa, ma nulla impedisce al bravissimo velista o all'incosciente di prendere la barca a vela per farsi un giro. 
A chi è alto 1,53 nessuno impedisce di tentare il record mondiale di salto in alto, anche se sarà quasi impossibile ottenerlo e forse è meglio che si dedichi al 400 piani o alla maratona.
Che ci sia un disegno o no, non è dato sapere, ma ciò non mette in discussione la realtà o l'illusione di essere proprio noi a scegliere. 

Mi sembra eloquente, e molto interessante.

Fabrizio Falconi