Visualizzazione post con etichetta civiltà. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta civiltà. Mostra tutti i post

16/06/15

Immigrati, un esodo biblico. La nostra Nemesi.



La tragedia che si svolge sotto i nostri occhi ogni giorno ora, ha un nome preciso: Nέμεσις, Nèmesis. 

Queste migliaia che vengono da noi ora con i loro stracci, reietti, additati come portatori di scabbia e altri castighi biblici, sono i figli dei figli di coloro che l'uomo bianco ha affamato e reso schiavi per secoli, da quando i galeoni della Nuova America portarono in catene quei figli d'Africa, a milioni, da quando le grandi potenze europee si spartirono un bottino che sembrava infinito, senza alcuna pietà, riducendo un meraviglioso continente ad una tabula rasa, spargendo guerre e inimicizie, affondando le avide mani, sradicando popoli interi dai loro riti e dalle loro culture millenarie. 

Per Nemesi, ora, queste masse di diseredati che non hanno più nulla alle loro spalle vengono e verranno ad esigere il nostro domani. 

Ciò non è detto per pacificare coscienze. Tutt'altro. Il fatto che noi non si sia direttamente responsabili di ciò che succede dall'altra parte del Mediterraneo (ma è poi vero ?) non assolve e non concede alibi. 

Getta semmai, valutando le desolate immagini di questo esodo oramai biblico, qualche ombra lunga sulla smisurata presunzione di una Civiltà progressista, in progresso, quasi come se la Storia non avesse insegnato nulla.

E' forse bene allora rileggere queste considerazioni di C.G. Jung in Tipi psicologici, p.152.

Proviamo a dar via libera agli istinti dell'uomo civilizzato ! Per gli esaltatori entusiasti della civiltà, non ne sgorgherà altro che bellezza. Questo errore non è che il frutto di una profonda ignoranza psicologica. Le forze istintuali compresse nell'uomo civilizzato hanno un'enorme potenza distruttrice e sono assai più pericolose degli istinti dell'uomo primitivo, il quale vive costantemente in misura modesta i propri istinti negativi. Per questo motivo nessuna guerra del passato supera in orrore le guerre tra nazioni civili. 

Fabrizio Falconi

in testa: La Nemesi alata, armata di spada e clessidra, in un quadro di Alfred Rethel del 1834

29/09/09

La cura e il poco. Due antidoti (cristiani) alla mancanza di Senso.


Essere uomini, però non è semplice.

Tanto più oggi. Il senso dell’orientamento è smarrito. Le vecchie società patriarcali, pur nell’abisso di palesi ingiustizie, e di inferni quotidiani e familiari, fornivano sicuri appoggi: per essere uomini occorreva il rispetto di poche e semplici, lineari regole. Nascita, obbedienza, iniziazione, coraggio, destino, onorabilità, consolazione, pietà.

Parole che sembrano oggi difficili da ritrovare, nel pullulare infinito di ‘bit’ dentro il quale sembra essersi parcellizzata la nostra ricerca di senso. Essere felici è diventato più importante che essere umani. Ma, come appare chiaro, nessuno può essere veramente felice, se non è prima di tutto umano.

Quindi, bisogna ripartire dall’origine.

E, ne sono convinto, non è semplice compiere oggi un percorso di umanizzazione, o di ri-umanizzazione. Gli ostacoli sono tanti, e appaiono spesso insormontabili.

Eppure, è l’esempio di Cristo stesso che ci indica la via, come sempre. L’aiuto cristiano – il tanto decantato ( e spesso vuoto, nelle affermazioni di principio) “amore per il prossimo “ - dovrebbe essere null’altro che aiutare gli altri ad eliminare quegli ostacoli (interiori ed esteriori) che si frappongono al raggiungimento dello "stato di uomini fatti, all'altezza della statura perfetta di Cristo" (Efesini 4:13).

Sono parole su cui bisognerebbe meditare a lungo.

Se si vuole ritrovare la via di un Senso, bisogna, mai come in questi tempi, nuotare controcorrente.


La corrente porta attualmente verso: la dispersione e il troppo. Ciascuno di noi è diviso tra troppe opportunità (spesso del tutto velleitarie), che ci rendono come pazzi, invasati. Fare mille cose per non farne, di vera, nessuna. E’ la civiltà del ‘troppo’: troppi consumi, troppe informazioni, troppe possibilità (uguale: immobilità paralizzante), troppo di tutto.
Ed è anche la civiltà della dispersione: perdiamo qualità umana, come se fosse acqua nello scarico delle fogne. Perché viviamo come dentro un flusso, e non riusciamo a trovare contenitori che contengano le nostre azioni.

Il rimedio mi appare dunque in due sole parole, che sono anche un intero programma di vita: cura e poco.

Primo: rifuggire dal troppo: accontentarsi del poco. Valorizzare il poco. Selezionare, rifiutare il superfluo, esercitarsi sulla lunghezza d’onda di un risparmio, di una austerità, di una sobrietà, così in controtendenza rispetto al messaggio imperante e dilagante.

Secondo: esercitare la cura. La cura vuol dire non soltanto la cura cristiana. Più in generale dedicarsi alla cura, all’attenzione. Concentrare le forze buone su un progetto di crescita che sia, possibilmente, altro da noi.

L’uomo ha inscritto nel suo destino queste due qualità: il poco e la cura. L’uomo ha saputo costruirsi dal nulla, con poco, dalla semplice terra. Ha saputo sopravvivere ad ogni necessità, e questa è stata – anche biologicamente – la sua forza evolutiva. L’uomo ha saputo applicarsi alla cura, con risultati straordinari.

Senza la cultura del poco, senza la cura in quello che facciamo, noi non siamo fino in fondo uomini, e quindi, non siamo niente.

in testa Il Giardiniere di Vincent Van Gogh.

02/02/09

Una civiltà decadente .



Probabilmente sull'argomento si sarà già riflettuto abbastanza, e ci saranno in giro chissà quanti trattati antropologici, ma è una cosa sulla quale - credo - non riflettiamo mai abbastanza. Un motivo della decadenza della nostra società - in particolar modo quella occidentale - è molto concretamente radicato nella nostra essenza biologica di esseri umani.
Mi spiego: fino a qualche generazione fa, l'infanzia e l'adolescenza avevano nella vita di un uomo una importanza temporanea straordinaria. Per molti secoli l'età media di vita di un uomo o di una donna non superava i quarant'anni o - quando andava bene - i cinquanta.

Di conseguenza, a causa della 'brevità' stessa della vita, l'infanzia e l'adolescenza occupavano la metà tonda o al massimo un terzo della vita di un individuo. E questo è quello che è accaduto anche a Gesù Cristo, che secondo il racconto evangelico, visse solo fino a 33 anni (anche se sappiamo che forse fu qualcuno di più, forse 36 o 37) e per il quale gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza - delle quali nulla o quasi sappiamo, se non brevissimi cenni in Luca - occuparono la metà della sua vita terrestre.

Con l'allungamento della vita, dovuto alle incredibili conoscenze scientifico mediche attuali, l'infanzia e l'adoloscenza sono diventate sempre più 'brevi' nell'economia di una vita. Se una persona vive oggi fino a 85 o 90 anni, l'infanzia e l'adolescenza non rappresenteranno che un 1/8 o 1/7 della sua lunga vita.
Questo aspetto comporta diverse conseguenze: la memoria dell'infanzia diventa sempre più 'lontana' nelle persone che vivono a lungo, inevitabilmente. E con lo smarrirsi di quei ricordi e di quelle emozioni, si smarrisce anche l'autenticità e la purezza di quello stato provvisorio del nostro corpo/psiche che, divenuto adulto, si è - per forza di cose - perduto.
Ecco perchè la nostra è una civiltà 'decadente': una civiltà nella quale i valori del nascente, di colui che nasce e che 'porta il nuovo' e che 'fa sembrare tutto diverso, tutto con occhi diversi' dura davvero troppo poco. Se fossimo capaci di trasportare anche nelle nostre lunghe - per fortuna - vite adulte, quella freschezza, quella innocenza, quella autenticità, non c'è dubbio che sarebbe davvero un mondo migliore per tutti.
Se fossimo capaci, come dice il Signore, di lasciare che quei bambini che eravamo venissero a Lui, e ritrovassero la forza di essere anche oggi quel che eravamo allora.

Fabrizio Falconi - 2009