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16/02/24

ONE DAY (LA SERIE) - GLI INGLESI NON HANNO PAURA DELLA LEGGEREZZA

 


Senza scomodare Calvino, ognuno sa che la leggerezza può essere un valore importante, in campo creativo: a patto che non debordi nella superficialità o vacuità.
La fiction inglese pratica con successo la leggerezza (basti pensare al successo planetario di Downton Abbey) di qualità.
Non per niente, di un certo tipo di classico romanticismo-introspettivo psicologico è insuperata modello Jane Austen, la cui opera ha dovuto faticare (in quanto donna e in quanto esponente di una letteratura definita all'inizio "femminile" o "rosa") per essere ammessa senza indugi nel Canone letterario, con piena legittimità.
Anche in tempi moderni, dunque, gli inglesi manifestano una felice propensione per il genere, che viene rinnovata da questa spigliata serie, ONE DAY (su Netflix) in 14 brevi puntate, tratta da un romanzo (di David Nicholls, in italia lo ha pubblicato nel 2009 Neri Pozza) e da un film (regia di Lone Sharfig, 2011), entrambi di successo.
La storia richiama gli archetipi classici (si pensa a Come Eravamo - The Way We Were di Sidney Pollack, 1973), con l'incontro alla festa di laurea di un blasonato college inglese, di un ragazzo e una ragazza apparentemente dissimili: bianco, ricco e bello lui, di origini indiane, di classe sociale più modesta, di bellezza non straordinaria, lei.
L'espediente narrativo è quello di seguire la vita di questa coppia-non coppia (nessun rapporto è stato consumato), dal momento in cui si incontrano e per i venti anni successivi, lo stesso giorno dell'anno - il 15 luglio - in ogni anno diverso.
Sulla definizione della diversità dei caratteri e delle propensioni scandita all'inizio da toni quasi di pura comedy, la storia prende presto altre strade, parlando(ci) di qualcosa che tutti, prima o poi, hanno attraversato nelle loro vite: l'inspiegabilità della specificità di un incontro, gli ostacoli (altrettanto inspiegabili) che si frappongono a una reale evoluzione dello stesso, le paure, le incapacità di esprimersi e di riconoscere i sentimenti (e di viverli).
Se Dexter è un bello inutile (da tutti viene ritenuto più o meno un coglione), incapace di emanciparsi, ma dall'animo gentile che suscita tenerezza, Emma è barricata nelle sue convinzioni e, ai limiti del masochismo, dentro la paura di farsi male.
La storia procede, con tutti i travagli della vita, accompagnata da una straordinaria "compilation sonora", di fantastiche canzoni che ricreano il clima dal 1988 al 2007 (già solo questo, motivo di godimento).
I due attori iper-protagonisti, sono di freschezza fantastica e molto bravi: Leo Woodall, 27enne già star in patria, e Ambika Mod, ragazza indiana di genuina intensità.
Completano il cast Eleanor Tomlison (la Demelza di Poldark) e Jonny Weldon nei panni dell'insopportabile Ian.
Si vede con piacere, emozionandosi senza ricatti narrativi, con semplicità. Operazione assai lodevole.

Fabrizio Falconi - 2024

23/11/13

"The way we were (Come eravamo)" compie 40 anni. Il film di tutti quelli che si lasciano. Un bellissimo pezzo di Annalena Benini.





Dal 1973, quando uscì Come eravamo, ogni storia d'amore in cui ci si lascia senza smettere di amarsi ha per protagonisti Katy Morosky e Hubbell Gardner, Barbra Streisand e Robert Redford. 

E dal 1973, dalla sera della prima, Barbra Streisand non ha più perdonato Sydney Pollack, che tagliò senza dirglielo (di corsa, in una notte, dopo una proiezione privata in cui nessuno pianse) cinque scene del film. 

Scene politiche, per lo più, ma anche la scena con dentro il vero motivo per cui Katy e Hubbell, la ragazza ebrea, comunista, super impegnata e il ragazzo biondo, sorridente, wasp (che si sono perfino sposati, aspettano un figlio e vivono a Hollywood), si lasciano. 

Con quei tagli Sydney Pollack trasformò Come eravamo in un grandioso successo, in un film eterno, indimenticabile e dimostrò una cosa importante: non lo vogliamo sapere, qual è il vero motivo per cui due che si sono amati così tanto, e detestati, sempre amandosi, si lasciano. 

Vogliamo deciderlo noi. Si lasciano perché sono troppo diversi, si lasciano perché lui l'ha tradita con un'altra, si lasciano perché lei insegue la purezza e l'impegno con troppa ostinazione, si lasciano perché lui non la sopporta più, si lasciano perché lui ha deciso di cedere, di fare compromessi con la vita e non vuole che lei lo guardi mentre svende il suo talento, svende se stesso, ritorna a essere lo smidollato che era prima di incontrare Katy. 

Potevamo scegliere, possiamo scegliere di nuovo e ogni volta, commuovendoci, sempre ripetendo quelle frasi imparate a memoria e adattandole alla nostra vita: "Tu non molli mai, eh", è una di queste, sono le parole che ritornano, Hubbel le ripete a Katy in più di vent'anni d'amore in infinito conflitto, sempre con quell'aria, ammirata e ironica insieme, di chi in fondo vorrebbe essere come lei, così appassionata, seria, convinta e arrabbiata, ma sa già, fin dai giorni lievi dell'Università , che Katy è un'altra cosa. Lui pensa che:«la vita è troppo seria per prenderla seriamente», lei è convinta di dovere e potere cambiare tutto, anche lui («Porta una bandiera o diventerai un vegetale»). 

A lui piace stare a Hollywood alle feste davanti al mare, ma sogna la passione pura di lei, i suoi occhi accessi sul mondo. Lei è sempre arrabbiata, piena di battaglie da combattere, ma sogna il sorriso di lui, gli scosta i capelli dalla fronte, gli stira la giacca bianca da ufficiale, si stira i capelli, per lui si veste da signora elegante, ma non riesce mai a tenere la bocca chiusa, a non litigare. Sono due modi diversi di essere americani, dalla fine degli anni Trenta a New York alla morte di Roosevelt, fino al maccartismo, alle liste nere dei sospettati di essere comunisti. Sono due modi diversi di essere giovani, anche, e poi di lasciarsi alle spalle la giovinezza e diventare per sempre adulti. 

Katy non molla mai, nemmeno con una figlia, nemmeno con la perdita dell'amore della vita. Come ha scritto Francesco Piccolo nel suo ultimo libro, Il desiderio di essere come tutti (Einaudi), Hubbel sa benissimo che, alla fine chi tra loro due è migliore, è lei. 

Forse lo sa dall'inizio. Mentre la guarda distribuire volantini a Manhattan e invitare a firmare contro la bomba atomica con lo stesso entusiasmo con cui vent'anni prima arringava gli studenti all'Università contro il fascismo. Hubbel la guarda, e capisce che lei non ha rinunciato all'intensità, del resto non avrebbe potuto, non l'ha fatto nemmeno per un grande amore. 

Scrive Piccolo che Katy "ha conservato, dentro, la testardaggine dell'impegno politico, la sua giovinezza". Mentre Hubbel è diventato un adulto disincantato, ben pagato, deciso a fare per sempre in modo che le cose che succedono nel mondo non succedano a lui personalmente (Robert Redford non voleva girare questo film, non voleva essere Hubbel: si sentiva troppo scemo, troppo pin up, Pollack lo convinse per sfinimento).

Se Sydney Pollack non avesse tagliato la scena cruciale adesso avremmo la certezza che ci si può lasciare per un motivo preciso, e quindi ci saremmo immedesimati di meno, di volta in volta in Katy, o in Hubbell, o desiderando essere Katy e sentendoci superficiali come Hubbell: si lasciano (ma davvero abbiamo bisogno di saperlo, adesso?) perchè Katy è entrata nella lista nera dei sovversivi. 

Un suo compagno di università, quello che era evidentemente innamorato di lei fin dalla prima scena, quello che lavorava con lei nella Lega dei giovani comunisti, è diventato un informatore del governo, e in questa caccia alle streghe Katy è considerata una pericolosa comunista, moglie di uno sceneggiatore che quindi potrebbe essere stato contagiato dall'ideologia. 

Sta per venire messo nella lista nera anche lui, e gli verrebbe impedito di lavorare. E'  lei a dirgli: «Ma esiste il divorzio», e lui scuote la testa, ma è già rassegnato. Quella scena spiegava molte cose, ma non commuoveva, non colpiva al cuore, Pollack la tolse.

E in fondo, forse, non spiegava niente di più: loro si lasciano davvero perché sono troppo diversi, hanno scopi diversi, perché lei resta pura e «spinge troppo», come la rimprovera lui, perchè stare con lei è facile solo in confronto alla Guerra dei Cent'anni, perché lui ha amici troppo stronzi. 

Lui avrebbe potuto dire: al diavolo questi cafoni di Hollywood, torniamo a New York, andiamo in Francia come piace a te, facciamo questo figlio e amiamoci e basta, scriverà un libro bellissimo. Non l'ha fatto. 

Per questo Come eravamo è il film sull'impossibilità di un amore puro, senza compromessi, pieno soltanto di certezze e di luci accese e di giovinezza. "Sei proprio tanto certa delle cose di cui sei certa?", le chiede Hubbel, che non è davvero una pin up, che sa vedere i due lati di un problema. Lei è sempre certa, lui mai.

Ma alla fine è lei ad accettare la realtà . Come eravamo è il film di tutti quelli che si lasciano, e che guardano indietro con struggimento, con nostalgia, al tempo perduto della purezza. 

«Vorrei che ci si potesse amare», dice Katy: è questo il punto, è questa la cosa più difficile di tutte, per cui nemmeno l'amore può bastare. E' per questo che non importa più il motivo preciso per cui ci si è lasciati, e forse non importa mai: la verità è che ci si è amati, e poi non ci si è più potuti amare.