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05/11/19

"E' tempo di un'insurrezione delle coscienze" - Una intervista a Enzo Bianchi


"Sopra una quercia c’ era un vecchio gufo. Più sapeva e più taceva, più taceva e più sapeva". Scolpita sulla pietra, la frase accoglie chi arriva a Bose, la comunità di monaci e monache di chiese cristiane diverse in provincia di Biella diventata un centro di spiritualità di livello internazionale. «Parole di saggezza popolare che ho scoperto in Puglia -in una casa abbandonata in mezzo alla campagna - e ho fatto copiare: è nel silenzio che la parola diviene autorevole e intelligente, sennò è chiacchiera» spiega Enzo Bianchi, che ha fondato il monastero nel 1965. Però ai nostri tempi si addice di più una presa di posizione. «È l’ ora di un ’insurrezione delle coscienze. Dobbiamo assumerci responsabilità, impegnarci in una concreta resistenza alla cattiveria, al disprezzo, altrimenti la barbarie andrà al potere. La storia ci insegna che la violenza verbale può diventare violenza fisica» spiega lui, che aggiunge: «Qui mi chiamano Enzo, in giro c’ è chi mi chiama fratel Enzo o padre Enzo... Dipende da cosa sentono in me». E certo non si sottrae, come dimostrano i suoi impegni pubblici di settembre , dove parlerà di umanità, di luce e tenebre... 

Già, che significa “restare umani” oggi? 
Significa coltivare la fraternità, la mitezza, l’accettazione della diversità, la cura e l’aiuto, il perdono e la misericordia. Ogni persona - di qualunque sesso, etnia, religione - è davvero mio fratello o mia sorella. Abbiamo la stessa dignità e gli stessi diritti, dobbiamo esser rispettati nella rispettiva unicità. All’interno della visione cristiana, l’uomo per eccellenza è proprio Gesù: la sua figura è lo specifico della nostra religione rispetto alle altre. “Dio ” è una parola assolutamente insufficiente, si presta a connotazioni molto differenti. 

Da cosa ha origine questo rischio di barbarie? 
La crisi economica ha portato a un ’invidia, a una guerra fra poveri, che ha fatto aumentare la diffidenza. Poi la paura è stata fomentata anche per ragioni politiche, utilitaristiche e ha incattivito tanta gente che fino a qualche anno fa si sarebbe vergognata di certe espressioni, di certi atteggiamenti. 

Lei invoca spesso la “sapienza del cuore”. In epoche storiche tanto complesse, non sarà assolutamente insufficiente? 
Il cuore deve sempre essere accompagnato dalla ragione, che ci dà la possibilità di discernere, pesare il bene e il male e deve quindi avere il primato: cosa sarebbe la religione senza l’uso della ragione? Solo emozione che potrebbe infiammarsi fino all’intolleranza, al fanatismo . 

Come si spiega che tanti cattolici siano attratti da politici razzisti o ultra nazionalisti? 
Con la schizofrenia tra religiosità e Vangelo, assai più attestata di quanto sipossa immaginare. Una volta c’ erano da una parte gli atei e da una parte i religiosi. Oggi fra i religiosi ci sono quelli che seguono il Vangelo e quelli che chiamo “cristiani del campanile”. Il Vangelo divide, non unisce affatto. I peccati commessi per debolezza vengono perdonati (bisogna accoglierli senza disprezzare se stes-si o essere coperti di imbarazzo), ma non quelli per malvagità. 

Magari si sarebbe più convincenti suggerendo qualche vantaggio egoistico del “restare umani”... 
Una certa gioia, serenità di fondo. Da anziano (ormai ho 76 anni), guardando al mio passato, capisco che ciò che conta è l’aver amato e l’ essere stato amato. Tutto il resto sfiorisce. Ecco, il vero senso della vita è: amare ed essere amati. L’unica cosa che ci salva. 

Sta venendo meno la speranza nell’ aiuto divino, non le pare? 
Sì, ma perché c’ è meno speranza nell’aiuto umano. Se non si riesce ad aver fiducia, a credere in chi si vede, come si può sperare in un Dio invisibile? Però , se manca la speranza, l’ esistenza diventa solo un duro mestiere senza possibilità di felicità. 

Mestiere durissimo, pensando a tutto il dolore che ci tocca. 
Il dolore resta un enigma pure per il cristiano , che può limitarsi a dire: finché siamo qui su questa terra insieme, cerchiamo di vivere quella gioia e quella pienezza che ci è consentita pur con le contraddizioni della malattia, del male e della morte. Non si tratta di dare un significato alla sofferenza, bensì di dare significato alla vita persino quando si soffre. 

A proposito di terra, a Bose c’è un’altra iscrizione che colpisce: «Dio perdona sempre, gli uomini talvolta perdonano, la terra si vendica e non perdona mai...
...e conclude: «Ama la terra come te stesso». È nostra madre, da cui Dio ci ha creati, dobbiamo rispettarla e renderla addirittura più bella. 

Non a caso lei è fedele da sempre all’orto fuori dalla sua cella. Un orto fu persino il regalo (originalissimo) chiesto a 11 anni per l’ ammissione alle scuole medie... 
Non solo l’ orto... Amo il bosco (sono nato nel verde del Monferrato), amo la tavola, gli amici, la compagnia e tutto questo lo vivo nella mia fede cristiana ma senza dissociazione tra le due cose, anzi: l’una potenzia l’altra. Sovente la spiritualità oppone anima a carne, cielo a terra... Noi siamo l’insieme, non possiamo dimenticare una delle dimensioni. 

Da dove le arriva questa visione “concreta”? 
Sono per carattere aderente alla realtà e, probabilmente, per vicende personali: mia madre è morta quando avevo otto anni, sono rimasto con mio padre in una condizione di povertà e precarietà... Quel che mi ha sempre sorretto è stato sentire il Vangelo come una stella polare che poteva guidarmi. La fede cristiana è stata il dono più grande di mamma, molto religiosa. 

Però non si è mai identificato nella chiesa di Roma, ha mantenuto apertura e curiosità 
Credo sia il risultato di aver avuto una madre cattolica e un padre comunista che mi ripeteva: «Enzo resta libero, gira, ascolta tutti, incontra tutti. Fa’ la fame ma compra libri!» Non ho mai considerato nessuno nemico o avversario . Ho avuto la fortuna di conoscere, giovanissimo, il patriarca ecumenico di Costantinopoli, Atenagora. Sono stato segnato dall’incontro con Frère Roger , il priore di Taizé. Ho passato mesi alla periferia di Rouen con l’abbé Pierre, facendomi straccione con lui e con i suoi ultimi... Mi considero privilegiato. 

E adesso, lo stato d’animo? 
Fondamentalmente sereno, benché la vecchiaia spaventi. Proprio stamattina ho visitato un coetaneo con l’Alzheimer e sono rimasto turbato: perdere l’autosufficienza è il timore più profondo. E poi c’ è la paura della morte, parte integrante della nostra identità umana. Ci sembra ingiusta, ci interroghiamo sul dopo...Questo rende fragili. In compenso, dalla vecchiaia sto imparando la pazienza. Con me stesso e con gli altri. 

Qualche rimpianto? 
Il rimpianto è una tentazione, ma non ne soffro. Se arriva, so spegnerlo presto. 

Maria Laura Giovagnini 
Io Donna 
14 settembre 2019

01/04/18

La poesia di Pasqua: "Tu mi cammini a fianco" di Ada Negri.


Tu mi cammini a fianco


Ti mi cammini a fianco, 
Signore. Orma non lascia in terra il tuo
passo. Non vedo Te: sento e respiro
la tua presenza in ogni filo d'erba,
in ogni atomo d'aria che mi nutre.
Per la redola scura in mezzo ai prati
alla chiesa del borgo
tu mi conduci, mentre arde il tramonto
dietro la torre campanaria. Tutto
nella mia vita arse e si spense,come 
quel rogo ch'or divampa ad occidente
e fra poco sarà cenere ed ombra:
solo m'è salva questa purità
d'infanzia che risale, intatta, il corso
degli anni per la gioia
di ritrovarti. Non abbandonarmi
più. Fino a quando l'ultima mia notte
(forse stanotte!) non discenda, colma
solo di te dalle rugiade agli astri;
e me trasmuti in goccia di rugiada
per la tua sete, e in luce
d'astro per la tua gloria. 


Poesie, Milano, 1948, p.897




01/05/13

I 70 anni di Enzo Bianchi - Un libro per celebrarlo .




Dal cardinale Angelo Sodano a Elsa Fornero, da Roberto Bolle a Eugenio Scalfari, da Gustavo Zagrebelsky a Giuseppe De Rita. 

Sono decine i rappresentanti del mondo della cultura e non solo che hanno voluto rendere omaggio a Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunita' monastica diBose, che il 3 marzo scorso ha festeggiato 70 anni. 

Uomini di chiesa, teologi, scrittori e giornalisti, politici e filosofi, artisti, giuristi: ognuno di loro ha dato un contributo per "La sapienza del cuore. Omaggio a Enzo Bianchi"(Einaudi, pp. 760, euro 28,00). 

Una raccolta di testimonianze e tributi di quanti, nel corso degli anni, hanno intrattenuto con lui conversazioni e discussioni. Come in uno scaffale di un'ideale biblioteca, gli amici di una vita cosi' come quelli piu' recenti si confrontano nel corposo volume con il priore di Bose in un dialogo ininterrotto utilizzando ciascuno il mezzo letterario piu' consono a esprimere i propri sentimenti e il legame con Bianchi. 

Ecco allora comparire tra lettere e messaggi, anche un'opera musicale ("Laudate..." creata dal maestro lituano Arvo Part) e il bozzetto di un ritratto del priore (del pittore Paolo Galetto). 

Filo rosso della raccolta sono le parole chiave della riflessione di Bianchi: dalla preghiera alla vita monastica, alla differenza cristiana, al pane di ieri, al vivere la morte. Riflessioni personali, diventati un patrimonio di molti. L'omaggio letterario si tramuterà in un incontro, domani, giovedì 2 maggio alle 18, al Teatro Regio di Torino, con Massimo Cacciari e padre Federico Lombardi a presentare il volume. 

La giornata sara' anche l'occasione per l'esecuzione da parte della Cappella musicale della Cattedrale di Lodi dell'opera di Arvo Part. 

 Previsto anche un intervento dello stesso Bianchi, autore non solo di profondi saggi biblici, ma anche di testi piu' biografici e discorsivi che hanno conosciuto un vasto successo di pubblico e che terra' la lectio 'La mia vita'. 

Il priore di Bose e' da tempo considerato un punto di riferimento non solo per i credenti. La sua attività e le sue riflessioni spaziano dal mondo ecclesiale a quello ecumenico, monastico, sociale, culturale e artistico. 

 A rendergli omaggio a Torino non mancheranno alcuni amici, rappresentanti della cristianità nel mondo, tra i quali il cardinale Ravasi.

Fonte: Claudia Fascia per ANSA

19/12/12

Dieci luoghi dell'Anima, dal Negev a Taizé - Una intervista a Fabrizio Falconi di Eleonora Bianchini




L'unica funzione della nostra coscienza è quella di creare finzioni, mentre la conoscenza è data dal cuore, dall'anima. Fabrizio Falconi raccoglie l'eredità di Andrej Tarkovskij nel suo "Dieci luoghi dell'anima - dieci itinerari dieci storie" (Cantagalli, pagg. 114, euro 13.90) per raccontare con l'armonia delle parole la manifestazione della spiritualità, passando dal Monastero del Monte delle Tentazioni di Jericho fino a Taizè. 

Perchè hai deciso di scrivere questo libro? 
Dopo tanti viaggi volevo fare i conti con alcuni luoghi che si erano sedimentati nella coscienza e anche nell'in-coscienza - nei sogni per esempio. Ci sono posti al mondo che non ci lasciano indifferenti e che continuano a parlarci anche a distanza di molto tempo. 

La fede è una conditio sine qua non per apprezzare la bellezza dei luoghi che descrivi? 
No. Chiunque capiti su queste strade, a prescindere dal suo percorso personale e dalla fede può goderne l'incanto e la bellezza. 

Eppure i tuoi Luoghi dell'anima sono sempre legati a un sentimento di religiosità cristiana. 
Hanno storie vecchie di anni, secoli e millenni, che solo in parte si intersecano con la storia cristiana. Però, i dieci che ho scelto possiedono anche un forte legame con eventi legati alla tradizione e alla fede cristiana. Ed è ovvio che da questo punto di vista se si leggono, se si vivono in una prospettiva di fede, hanno ancora più cose da raccontarci. 

In che modo chi non ha fede può gustare la dimensione spirituale dei luoghi che descrivi? 
Con il rispetto della loro storia e delle voci dei morti che li abitano. E in ciascuno di noi convivono parti diverse: in ogni credente esiste un potenziale non credente, messo a tacere dal conforto della fede. In ogni ateo può esistere una disponibilità - se non altro teorica - all'ascolto di quello che la fede ha da dire.

Qual è il luogo a cui sei più legato?
Difficile scegliere. In questi ultimi anni ho sentito una forte attrazione verso l'Arco di Malborghetto, alle porte di Roma, quasi totalmente sconosciuto ai romani. Ha una storia meravigliosa, lunga diciassette secoli, e probabilmente è il luogo dove Costantino Imperatore ebbe quella celebre visione che cambiò l'intera storia dell'Occidente. Poi è un luogo bellissimo, immerso in una campagna lussureggiante, in un silenzio straordinario.

Ti identifichi in "un uomo cresciuto dentro una tradizione occidentale e cristiana lunga due millenni". Credi che esistano luoghi spirituali che possano accomunare tutti i popoli oltre le religioni? Quali?
Penso ce ne siano in tutto il mondo, a prescindere dal credo. Alcuni di questi luoghi che cito, come la statua del Redentor di Rio de Janeiro, o il deserto del Negev in Israele, accomunano uomini e donne aldilà della provenienza e della fede. E penso valga anche per Stonehenge, Machu Picchu o il Taj Mahal, luoghi simbolo del cammino spirituale dell'uomo per cercare di decifrare il mistero della nostra presenza sulla terra.

In Occidente i monasteri e le comunità sono luoghi di beatitudine spirituale e centri di interesse anche per i non credenti, come abbiamo visto al cinema con il successo de Il grande silenzio o con i numerosi pellegrini nella Comunità di Bose di Enzo Bianchi. Perchè anche chi non crede è spinto verso questi luoghi?
Oggi chi non crede si sente terribilmente inquieto. Sono cadute le vecchie certezze. Ci sentiamo un po' come i naufraghi di Lost, sperduti su un'isola sconosciuta e minacciosa, senza i nostri padri che ci possano aiutare, confortare, salvare.
In questa situazione, dove si decidono i destini di un nuovo cominciamento, o di una definitiva auto-distruzione (pensiamo alla situazione del pianeta) è naturale che si senta il bisogno di voltarsi indietro, di fare silenzio, di capire qualcosa della nostra storia, di chi siamo, del perché siamo arrivati a questo punto, del come siamo arrivati fino a qui.
In questo senso, alcuni di questi luoghi, come Bose o Taizè, permettono di fare silenzio e di ascoltare la voce più autentica che parla dentro di noi.

L'ultimo luogo è appunto Taizè, la comunità fondata da frère Roger, che esprime una Chiesa aperta e protesa all'ascolto del prossimo, ben oltre le differenze delle singole confessioni.
A Taizè sono arrivato con mille piccole diffidenze e con molta ritrosia. Eppure, quel luogo mi ha subito parlato. Ha parlato alla mia anima. Lì non c'è costrizione o condizionamento, si respira una fede libera e sincera, senza artifici o sovrastrutture. E questa, io credo, è l'unica fede che può parlare all'uomo di oggi.

Eleonora Bianchini -  tratto da La poesia e lo Spirito.

24/05/12

Enzo Bianchi: "Le due paure madri della crisi. L'uomo diviso fra oggi e l'aldilà".



Vi propongo l'anteprima della (bellissima) Lectio Magistralis del priore di Bose per l'apertura del Festival Biblico di Vicenza 2012, pubblicata dal Corriere della Sera di Mercoledì 23 maggio. 

Esprimere gratitudine al card. Carlo M. Martini all’interno di un evento dedicato alla Speranza delle Scritture che vince la paura significa fare memoria della speranza che il ministero episcopale del grande biblista gesuita ha saputo destare non solo nella chiesa locale e nella città affidata alla sua cura, ma anche nella chiesa universale e nella società civile. 

E questo, proprio grazie alla sua conoscenza della bibbia e della sua familiarità amorosa con il modo di pensare e di agire richiesto dalla parola di Dio. Del resto, secondo l’apostolo Pietro, il cristiano è tenuto a questo e non ad altro: a “rendere conto della speranza” che lo abita a chiunque glielo chiede. 

E oggi che viviamo in un tempo posto sotto il segno della crisi, questa esigenza di testimoniare e suscitare speranza si fa sempre più cogente per i cristiani. La nostra epoca infatti, definita da molti pensatori come stagione della “fine” – della civiltà occidentale, della modernità, della cristianità... – è caratterizzata dal senso della precarietà del presente e dell’incertezza del futuro, un tempo in cui l’incognito che ci sta davanti spaventa per la sua imprevedibilità e, insieme, per gli orizzonti asfittici che lo caratterizzano: il nostro è un mondo che sembra sfuggire al nostro controllo e impedirci di capire dove stiamo andando. 

Ora, tutto ciò provoca un’angoscia profonda, che le tante situazioni di guerra, miseria e oppressione in atto in varie parti del mondo non fanno che confermare e che la crisi economica e finanziaria che attanaglia l’occidente trasforma per troppe persone in disperazione nel quotidiano. Ma allora, cosa significa sperare? E di quale speranza sono portatrici le Scritture? E, ancora, può la speranza vincere la paura? Proprio a partire dalla paura possiamo abbozzare una riflessione: in profondità ciascuno di noi è preda di due “paure madri”, da cui discendono tutte le altre: la paura della morte e la paura di Dio. Mosso dalla paura della morte, l’essere umano cerca di preservare con qualsiasi mezzo la propria vita, di possedere per sé i beni della terra, di dominare sugli altri. Egli pensa di assicurarsi in tal modo una vita abbondante, ritiene di poter combattere la morte con l’auto-affermazione, e giunge a considerare ragionevole e giusto ogni comportamento finalizzato a questo scopo, anche a costo di nuocere agli altri e persino a se stesso. E così finisce inevitabilmente per percorrere sentieri di morte… È quella tendenza egoistica che la tradizione cristiana indicherà come philautía (“amore di sé”), che spinge a contraddire la comunione voluta da Dio e a vivere senza gli altri, contro gli altri. 

Enzo Bianchi  Fonte: Comunità di Bose. 

15/05/12

'Ama il prossimo tuo' di Enzo Bianchi e Massimo Cacciari - recensione.





Nella serie che le edizioni Il Mulino dedicano alla rilettura dei Comandamenti, spicca il volume realizzato a 4 mani da Enzo Bianchi e Massimo Cacciari, dedicato a quello che viene definito, in Teologia, l'undicesimo comandamento, ovvero la novità dirompente introdotta dalla predicazione di Gesù di Nazaret rispetto al Decalogo ebraico con il precetto Ama il prossimo tuo. 

Si tratta in realtà di un volume molto prezioso:  Enzo Bianchi nella prima parte - Farai prossimo con amore - si sofferma al lungo proprio sul significato profondamente umano del precetto evangelico, fino nelle sue conseguenze più paradossali e apparentemente contrarie all'istinto (amare fino ad amare anche il nemico), con un interessante rovesciamento del concetto stesso di 'prossimo' che deriva da una attenta lettura della parabola del Buon Samaritano.

La domanda corretta - spiega Bianchi - sarebbe non 'chi è il mio prossimo?' che pure sembra derivare direttamente dalla nostra esperienza umana, ed è anch'essa necessaria, ma 'di chi io sono prossimo?' . E' questa infatti la domanda che infatti Gesù rivolge al termine della parabola ai suoi discepoli: Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? (Lc10,36).  

Questa domanda, scrive Bianchi, sollecita ancora oggi tutti noi. Ci spinge a muoverci, ad avere fiducia nell'altro,  ad assumersi responsabilità dell'altro, a prendersi cura dell'altro, a donare all'altro la propria presenza: sono i quattro pilastri che determinano l'osservanza dell' "undicesimo" comandamento.

Cacciari, nella seconda parte -  Drammatica della prossimità - descrive invece il complesso pathos dell'incontro, del vero incontro relazionale tra uomini e persone, nel quale si svolge nel teatro della com-passione, della passione condivisa, l'avvicinamento concreto e reale con il prossimo, attraverso la consapevolezza profonda che l'essere per sé astrattamente autonomo e che invece ciascuno di noi vive ed esiste in quanto racchiude  un essere-molti, un farsi-altro da se stessi.

Una lettura appassionante che va alle radici di quel senso di comunità umana che oggi appare smarrito e dal quale invece - sempre più urgentemente - sembra essere necessario ripartire.

Fabrizio Falconi

30/04/09

Mancuso vs. Bianchi - Una disputa sulla Salvezza.


Credo che molti di voi avranno letto, pochi giorni fa, martedì per l'esattezza, l'articolo in prima pagina su La Repubblica, nel quale Vito Mancuso risponde a Padre Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, che su Famiglia Cristiana aveva espresso critiche e riserve sul libro scritto a quattro mani dal teologo del San Raffaele insieme a Corrado Augias, "Disputa su Dio".

Chi non l'ha letto può recuperarlo qui .

Mi piacerebbe parlarne con più calma perchè sono piuttosto perplesso, anzi parecchio perplesso dalla deriva di sovra-esposizione mediatica che sta da settimane ormai attanagliando il nostro buon teologo.Oltretutto anche certe sue posizioni ultime non mi piacciono e non mi convincono, e non ho difficoltà a dire che nella disputa mancuso vs. bianchi, sono dalla parte di Bianchi. In realtà la polemica sulla salvezza extra ecclesiam di Mancuso mi sembra un po' pretestuosa.

Specie laddove si tira fuori il trito argomento di coloro che sono vissuti prima di Cristo e di coloro che non hanno conosciuto o non conoscono Cristo.

Mi sembra che Gesù ripete nei Vangeli, e i fedeli lo ripetono tutte le volte che facciamo la comunione, che Lui è venuto per salvare IL MONDO, e per togliere i PECCATI DEL MONDO. Dunque, se Egli salva il MONDO, salva potenzialmente e concretamente tutto il mondo anche quello che è venuto prima di lui e quello che non conosce Lui.

E mi sembra che Mancuso faccia confusione e sovrapponga in modo assai disinvolto la Chiesa degli uomini con la Chiesa di Cristo. Ma questo discende proprio da un suo presupposto che mi sembra carente: egli cioè fa teologia molto spesso prescindendo dalla centralità della figura del Cristo, e della persona di Cristo, cosa che per un cristiano è assai frustrante, e che invece per atei/agnostici/razionalisti è quanto mai suadente, visto che è proprio l'argomento Cristo ad essere oggi quanto mai 'scandaloso' e quanto mai ' politically in-correct'.

Ecco, non vorrei che tutto questo fosse un po' .. studiato a tavolino (ferma restando la stima per il brillante e colto teologo..)


.

21/09/08

Enzo Bianchi chiamato da Benedetto XVI per il prossimo Sinodo dei Vescovi


In vista della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà a Roma dal 5 al 26 Ottobre, a norma di quanto previsto dall’ Ordo Synodi Episcoporum, il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, con l’approvazione del Sommo Pontefice, ha nominato tra gli Adiutores Secretarii specialis (o Esperti), fr. Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.

Per noi de Il Mantello di Bartimeo, questa è una gran bella notizia, e per festeggiarla, vi propongo qui sotto l'Omelia scritta per la domenica di oggi, 21 Settembre 2008, da Enzo Bianchi, a commento della Parabola Evangelica dei lavoratori della Vigna.


«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna»: così si apre la parabola di Gesù che oggi ascoltiamo. È una parabola che, mentre rivela la distanza tra il pensiero di Dio e quello di noi uomini (cf. Is 55,8-9), ci invita a colmarla assumendo i sentimenti di Dio narrati da Gesù.Il padrone della vigna si accorda con gli operai chiamati all’alba per il salario di un denaro al giorno; poi esce ancora a più riprese sulla piazza del paese e assolda altre persone che scorge disoccupate, rispettivamente alle nove, a mezzogiorno, alle tre e alle cinque del pomeriggio. Con tutti quelli ingaggiati più tardi egli non pattuisce una paga precisa, ma si limita a dire loro: «Andate anche voi nella mia vigna, quello che è giusto ve lo darò». Parole strane in bocca a un proprietario terriero, parole che contrastano con la logica di mercato e attirano la nostra attenzione: quale sarà questo salario giusto?Venuta la sera il padrone della vigna incarica il suo fattore di pagare gli operai «incominciando dagli ultimi fino ai primi». Quelli delle cinque del pomeriggio ricevono un denaro ciascuno, mentre a proposito degli altri lavoratori presi a partire dalle nove non si specifica nulla. «Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più»: è un calcolo umanissimo, che probabilmente molti di noi sottoscriverebbero, ma è un atto di presunzione che dimentica quanto il padrone aveva pattuito con loro. La realtà invece è un’altra: «Anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno», come da accordo…

Ma nel ritirare il loro salario gli operai della prima ora non riescono a celare il loro disappunto. Essi però non hanno il coraggio di esprimere il loro dissenso mediante una parola franca e leale, ma mormorano contro il padrone. Già questa forma di «comunicazione» è sintomo di una doppiezza interiore, di un cuore diviso che porta ad avere labbra doppie (cf. Sal 12,3; 119,10.13), perché – come rivelato da Gesù – «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12,34). Quanto al contenuto della loro lamentela, è ispirato alla logica perversa del paragone, del confronto con gli altri: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ciò che non riescono a sopportare non è tanto la mancata corrispondenza tra lavoro compiuto e ricompensa, quanto l’uguaglianza del trattamento ricevuto, il pensiero che altri venuti dopo siano stati oggetto della benevolenza del padrone: «tu li hai fatti uguali a noi», essi dicono letteralmente…

Tocca allora al signore della vigna, figura di Dio, ricondurre questi contestatori alla realtà. Rivolgendosi a uno di loro egli innanzitutto lo chiama «amico», poi gli spiega: «Io non commetto verso di te un’ingiustizia. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene». Egli, dunque, si è comportato semplicemente in modo giusto. Ma non basta, il padrone si riserva anche la libertà di fare delle proprie ricchezze ciò che vuole: «Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te …

Oppure il tuo occhio è cattivo perché io sono buono?». In questa domanda è racchiusa la matrice profonda dell’invidia, sentimento che amareggia le nostre relazioni quotidiane: l’invidia consiste nell’avere un occhio cattivo verso l’altro fino a non volerlo più vedere e a desiderarne la scomparsa. Di nuovo, essa ha le sue radici nel cuore, perché «dal cuore dell’uomo nasce l’occhio cattivo» (Mc 7,22).

Ma perché siamo tristi per la felicità altrui, quasi fosse un attentato alla nostra? Gesù ci insegna che vi è una corrispondenza tra il concepire il proprio rapporto con Dio in termini di prestazione legalistica, misurando i propri presunti meriti, e il rattristarsi per la gioia altrui; al contrario, chi serve Dio nella libertà e per amore suo si rallegra della misericordia da lui riversata su tutti gli uomini e sa vivere il grande bene della gioia condivisa. Sì, il Signore Dio nell’imperscrutabile profondità della sua sapienza (cf. Rm 11,33) si rivela giusto nel donare la sua misericordia a tutti, abbiano risposto alla sua chiamata alla prima o all’ultima ora. Il suo unico arbitrio è la libertà di amare senza limite: e chi siamo noi per ostacolarlo?

Enzo Bianchi

il sito della Comunità di Bose:

http://www.monasterodibose.it/index.php/