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28/01/19

Depressione e creatività. Malinconia e Genio. Un saggio bellissimo.


Nel settembre del 1787, quando aveva solo sedici anni, Beethoven rivelò un tormento che lo afflisse per il resto dei suoi giorni. In una lettera scritta poco dopo la morte dell'amata madre, confessò di soffrire per il dolore e per l'asma, cui si aggiungeva la "melanconia", che era per lui "un male grave quasi come la stessa malattia". Ben prima di essere straziato dalla sordità, che lo colpì a cavallo del secolo, Beethoven era già turbato per la disarmonia tra sé e il mondo. Questa cronica insoddisfazione si manifesta di continuo nelle lettere e nei comportamenti. La stessa melanconia inquieta agì peraltro anche da ispirazione per i suoi accordi sinfonici. 



Il 29 giugno 1801, in una lettera a un amico medico, Beethoven espresse la sua caratteristica melanconia con speciale intensità. Nella sua vita, scrive, tutto sembra procedere bene, almeno a una visione superficiale: le composizioni si vendono in fretta, molti editori gli chiedono lavori, ha poche preoccupazioni finanziarie. Ma l'apparenza nasconde una crudele realtà: la diminuzione dell'udito e i disturbi intestinali lo riducono alla "disperazione". Preoccupato di non poter guarire dall'incipiente sordità e dalle coliche, scrive: "Spesso ho maledetto il Creatore e la mia esistenza". Tutto quello cui può aggrapparsi, adesso, è la "rassegnazione": giura di voler "sfidare il suo destino", pur consapevole che ci saranno momenti in cui sarà "la più infelice delle creature di Dio".
La melanconia ci riporta a come Emily Dickinson definiva la "possibilità", una "casa più bella della prosa / di finestre più adorna, / e più superba nelle sue porte". Si trasforma in musa della visione, quella percezione di uno stato in cui le polarità di colpo si uniscono in turbolenta concordia, come stimolo a creare nuovi modi di immaginare relazioni tra opposti infinitamente misteriosi. Le creature melanconiche costituiscono un'affascinante squadra di mentori: pensare a simili guide aiuta a raccogliere le forze per resistere nei tempi bui. Possiamo identificarci tutti con queste grandi personalità, una lista d'onore di uomini e donne brillanti. Pensiamo a scrittori come Ernest Hemingway e Rita Dove, musicisti come Beethoven e Mahler, pittori come Goya e van Gogh. Ma non sono solo artisti; ci vengono in mente anche politici come Lincoln e Churchill, imprenditori come J.C.Penney e Ted Turner, attori come Carrie Fisher e Jim Carrey. 
O ancora scienziati come Isaac Newton e Sigmund Freud e capi militari come Napoleone e Sherman. Potrei aggiungere altri a quest'augusto elenco di innovatori melanconici; potrei menzionare Martin Lutero e Michelangelo, Hart Crane e Francis Scott Fitzgerald, Hans Christian Andersen e Florence Nigthingale, James M. Barrie e Mary Shelley, Handel e Holst, Rossini e Schumann, Paul Gauguin e Edward Munch. E Noel Coward, Victor Hugo, Cajkovskij, Charles Ives, Lev Tolstoj, Virginia Woolf, Dylan Thomas e Kierkegaard. Questa lista non arriva neanche lontanamente a fare giustizia dello sterminato inventario di illustri melanconici creativi. Che dire di Lord Alfred Tennyson, Franz Kafka e Jackson Pollock? Oppure di Abbie Hoffman, Tennessee Williams e William Faulkner? O ancora di John Lennon? O di Ad Reinhardt? O di Cary Grant? O di Marcel Proust?
Se soffri di costante melanconia, sei incluso in questa seducente litania di uomini e donne straordinari. Sei nauseato dello status quo; vuoi qualcosa di più dalla vita di quanto ti è offerto dalle fiacche convenzioni. Sei teso, un pò intimorito. Ma in questo momento ti senti più vivo che mai. Senti che sei sul punto di immaginare mondi alternativi, forze integre. Nel tuo momento di fecondità, guardi a queste figure come guide per una terra inesplorata, che recitano mantra commoventi nel tuo orecchio tremante. 



Nel 1890 Vincent van Gogh pose fine in modo repentino e violento al suo più forsennato periodo di attività creativa. Dopo aver completato freneticamente più di duecento quadri tra il 1888 e il 1890, compresi capolavori come Notte stellata e Campo di grano con volo di corvi, profondamente depresso, si incamminò sotto lo splendido sole giallo nella campagna francese e si sparò un colpo di pistola al petto. Morì due giorni dopo per la ferita. Aveva trentasette anni. Istinti suicidi e dipendenze pericolose sono forse il prezzo da pagare per i geni melanconici? 
Non sempre, certo, ma è comunque significativo che molti di loro dovettero lottare con gravi disperazioni e abitudini sordide. Forse è facile ammirarli da lontano; ma l'egoismo e lo sconforto di questi creatori produssero una bellezza che ci nutre senza fine. Per la bellezza occorre soffrire, è un tesoro da pagare a caro prezzo. Come dice Emily Dickinson, l'arte eccelsa è il "dono del torchio". Solo in questo modo possiamo continuare ad ammirare quegli animi malinconici la cui vita è stata dedicata a creare bellezza, non importa a quale costo. La melanconia è il terreno profano da cui sgorga il sacro. Abbiamo bisogno di credere che le nostre ombre generino luce. Non è il creare a renderci infelici; è l'infelicità a renderci creativi. 



Eric G. Wilson, Contro la felicità - un elogio della melanconia (Guanda, traduzione di Irene Abigail Piccinini) 



Eric G. Wilson è professore d'inglese alla Wake Forest University di Winston-Salem, North Carolina. E' autore di cinque libri sui rapporti tra letteratura e psicologia e ha ricevuto numerosi premi.

Fonte: Luigi La Rosa 

22/09/15

Il matrimonio di Jonathan Franzen: vita e ispirazione.




tratto da Repubblica online, 30 ottobre 2012.

Jonathan Franzen, Farther Away, 2012.

Vorrei dedicarmi al concetto di diventare la persona giusta per scrivere il libro che volete scrivere. 

Riconosco che parlando del mio lavoro,e raccontando la storia del mio passaggio dal fallimento al successo, corro il rischio di sembrare immodesto o innamorato di me stesso. Non è poi così strano o deprecabile che un scrittore vada fiero della sua opera migliore e passi molto tempo a esaminare la sua vita. Ma deve anche parlarne? 

In passato avrei risposto di no, e il fatto che ora risponda di sì potrebbe anche rivelare qualcosa di negativo sul mio carattere. 

Ma intendo comunque parlare delle Correzioni, e descrivere alcune delle lotte che ho affrontato per diventarne l' autore

Faccio notare in anticipo che buona parte di quelle lotte hanno riguardato - come credo accadrà sempre agli scrittori profondamente impegnati nel problema del romanzo- il superamento della vergogna, del senso di colpa e della depressione

Faccio anche notare che il semplice fatto di parlarne rinnoverà la mia vergogna

La prima cosa che dovetti fare all' inizio degli anni Novanta fu uscire dal mio matrimonio

Infrangere la promessa e il legame emotivo non è facile quasi per nessuno, e nel mio caso era ulteriormente complicato dal fatto di aver sposato una scrittrice. Mi rendevo vagamente conto che eravamo troppo giovani e inesperti per votarci a una monogamia perpetua, ma le mie ambizioni letterarie e il mio idealismo romantico ebbero la meglio.

Ci sposammo nell' autunno del 1982, quando avevo appena compiuto ventitré anni, e cominciammo a lavorare insieme, in squadra, per produrre capolavori letterari. Avevamo progettato di lavorare fianco a fianco per tutta la vita.

 Non ritenevamo necessario avere un progetto di riserva, perché mia moglie era una newyorkese sofisticata e piena di talento che sembrava destinata al successo, probabilmente molto prima di me,e io sapevo che sarei sempre riuscito a cavarmela.

E così ci mettemmo entrambi a scrivere romanzi, e restammo entrambi sorpresi e delusi quando mia moglie non riuscì a vendere il suo. 

Quando io vendetti il mio, nell' autunno del 1987, mi sentii emozionato ma anche molto, molto in colpa.

27/05/15

La Vita è un’Opera d’Arte - Decalogo per vivere.


Se non si vuole sprecare la propria vita terrestre – dal momento che per quel che ne sappiamo, è solo una, ed è anche breve – bisogna essere consapevoli del fatto che Vivere è un’opera d’arte.

E per vivere bene, per vivere una vita degna di essere vissuta – una vita umana – bisogna trattare la propria vita come il compimento di un’opera d’arte. ‘Opera d’arte’ non vuol dire necessariamente la Gioconda, o i fiori di ciliegio di Van Gogh.

L’opera d’arte non dipende dalle dimensioni: è un’opera d’arte il Giudizio Universale, ma lo è anche il centrino fatto ad uncinetto dalla vecchia.

E’ opera d’arte anche il buon vino del vignaio ed è opera d’arte anche la poesia notturna, nascosta in un cassetto.

Ciascuno è chiamato – con la sua vita – a offrire l’opera che può, a seconda del talento che gli è stato dispensato per mistero a noi in-conoscibile, come viene eloquentemente descritto nella celebre parabola evangelica. 

Il valore non è nel talento, ma nell’uso che se ne fa. La vita è dunque secondo me un talento dato a tutti. E a tutti sta trasformare questo talento in un’opera d’arte. 

Le dieci regole d’oro per trasformare una vita in Opera d’Arte e far sì che essa sia degna di essere vissuta, e sia perciò umana, sono quelle che regolano la creazione di ogni Opera d’Arte

1. Ogni Opera d’Arte deve avere un Senso. Un’opera in-sensata – come una vita in-sensata – non serve a niente e a nessuno. 

2.Ogni Opera d’Arte deve avere un Doppio Senso: un senso per chi la realizza (la vita) e un senso per gli altri (che vedono la tua vita, perché tu vivi in una comunità di umani). 

3. Ogni Opera d’Arte necessita di una Cura . Nessuna opera d’arte – e quindi neanche nessuna vita – si realizza con la trasandatezza, con la disattenzione, con il laissez-faire. 

4. Ogni Opera d’Arte ha bisogno, per nascere, di una ispirazione. L’ispirazione – come la vita – è dentro di te, ma è necessario che tu ti identifichi in lei, la ascolti, e la lasci parlare. 

5. Ogni Opera d’Arte ha bisogno di metodo. Non basta da sola l’ispirazione. La vita – come l’opera d’arte – ha bisogno che tu organizzi le cose, che tu persegui il tuo progetto. 

6. Ogni Opera d’Arte ha bisogno di Tempo. Senza tempo, che vuol dire pazienza – nessuna opera d’Arte e nessuna Vita sarà mai completata. 

7. Ogni Opera d’Arte deve essere nuova. L’originalità della tua vita è la stessa di una qualsiasi opera d’arte umana, che prima di essere creata, non esisteva. 

8.Ogni Opera d’Arte deve avere un valore. Un valore per chi l’ha creata, e uno per chi l’apprezza. Una vita senza valore, come un’Opera senza valore, non interessa nessuno. 

9. Ogni Opera d’Arte deve possedere fiducia. Fiducia che qualcuno saprà apprezzare, valutare, rendere, testimoniare, la nostra vita, come la nostra Opera. 

10. Ogni Opera d’Arte, una volta creata, è eterna. Perché, anche se sarà distrutta, continuerà a vivere nella memoria e nelle opere che essa ha – a sua volta – generato. 

Fabrizio Falconi – 22 maggio 2009 (C) riproduzione riservata 2015

13/12/12

Prima conosci te stesso.





Molte persone non fanno altro che interrogarsi sul destino: vogliono sapere del futuro, di come e se verrà realizzato il proprio talento, di come e se si riceveranno amore o doni dalla vita. 

Sono sempre alla ricerca di qualcosa o di qualcuno che sappia divinare, gettare un lume di chiarezza sul proprio destino, sul perché - fondamentalmente - si è venuti al mondo. 

Molti non sono nemmeno coscienti di avere un qualsivoglia talento (non si parla qui di talento solamente creativo, si parla di tutti i talenti della vita, quello per esempio di saper amare, o di essere generosi o di saper comunicare..).   

Eppure ciascuno ne possiede uno, si tratta di conoscerlo. E soprattutto di farlo fruttare come indica anche il racconto evangelico (Mt 25, 14-30)

Ciò che però spesso sfugge è l'esistenza di una premessa importante senza la quale nessun destino (o daimon o vocazione) può mai essere raggiunto o intra-visto.

Si dovrebbe sapere che proprio al di sotto dell'Omphalos del più famoso oracolo dell'antichità, a Delfi, era scritto a chiare lettere: Γνῶθι σεαυτόν, ovvero:  'Conosci te stesso'.

Nessun responso sul futuro, nessuna conferma o smentita mai arriverà a nessuno, se prima non si lavora su se stessi, duramente, se prima non si conosce veramente chi si è.

Questo vale per ogni campo della vita, da quello affettivo a quello delle relazioni umane, del lavoro, della creatività.

Ad un giovane scrittore che ardeva dal desiderio di raccontare, di diventare poeta e narratore e che al medesimo tempo, si sentiva indeciso su cosa scrivere, cosa raccontare, Aleksandr Sergeevič Puškin rispose con una lapidaria sentenza:  prima conosci te stesso. 


Fabrizio Falconi

Foto in testa: Omphalos di Delfi (copia ellenistica-romana dell'originale andato perduto), conservata nel Museo Archeologico di Delfi. 


22/10/12

Creare sotto le bombe.






Questo è dedicato a tutti coloro che pensano e sono convinti che per esprimere la propria creatività - qualunque essa sia - bisogna necessariamente rifugiarsi in un eremo, stare tranquilli, trovare il tempo, isolarsi da tutto e da tutti:

Ludwig Wittgenstein cominciò a scrivere la prima pagina del suo diario, nel 1914, appena entrato in trincea. Lo terminò alla fine della guerra.

Era il Tractatus logico-philosophicus, l'opera filosofica più importante del Novecento. Nel dicembre del 1914, imbarcato su un cargo militare, egli annotò: 

di notte i cannoni hanno fatto fuoco talmente vicino a noi, che la nave traballava. Ho lavorato molto e con successo.

Allora, forza: un po' di coraggio..  Coraggio: sembra essere quel che manca in questi tempi confusi e adagiati.  Qui le bombe non le abbiamo, ma ogni giorno ciascuno si carica di mille alibi per non fare nulla.



foto in testa: manoscritto originale del Tractatus, 1915.