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12/02/20

Vantarsi di non credere in niente non ha senso




Vantarsi di non credere in niente, non ha molto senso. Perfino Rimbaud, l'iconoclasta puro, non smise di credere, perfino - quando era nel buco più scuro dell'africa a fare il trafficante d'armi - a un futuro che gli avrebbe portato una moglie, un figlio e una rispettabilità borghese.

Se si smette di credere, se non si crede più a niente, nemmeno si spera più. Si diventa cioè di-sperati

Sembra che l'uomo infatti sia programmato per credere, e che senza credere - magari semplicemente ai suoi sogni o alle voci che sente nella testa o nel cuore - non sappia vivere. 

Una società e individui totalmente scettici, diventano deboli, inani, morenti. 

È per questo che i figli - mussulmani o ebrei o animisti - d'Asia e d'Africa fanno tanti figli, anche in povertà e disagio: hanno voglie e determinazione e volontà ferree di realizzarle

È per questo che i pronipoti dell'Occidente, con le loro sontuose chiese vuote, si baloccano in serate leggere, consolati - mi dicono - da un comico che declama in diretta nazionale una pagina di un Cantico che loro non conoscono e nemmeno capiscono più, ma scivola via leggero tra una canzonetta e un calembour.

Fabrizio Falconi
- febbraio 2020

09/02/15

Vedere e credere, non vedere non credere.



Un bambino di 5 anni mi ha chiesto se sono sicuro che esista l'aria, dal momento che non si vede. E anche il vento. 

Gli ho risposto che noi giudichiamo se una cosa esista dal fatto che produca un qualche effetto su di noi (l'aria ci fa vivere, il vento muovere i vestiti), ma poi mi son detto che i nostri 5 sensi non ci avrebbero mai detto che esistono le onde radio e che l'uomo ha vissuto per una qualche decina di migliaia di anni convinto che non esistessero finché a qualcuno non è venuto in mente di alzare un'antenna. 

Il bambino però già lo sapeva e si è messo a ridere dicendo che per credere non bisogna per forza vedere.

E' la lezione di Saint-Exupéry e del Piccolo Principe, che tutti possiamo sperimentare. 

I sentimenti, le parole che non si pronunciano mai, quello che si sente, quello che non c'è se non nella nostra testa, è ciò che ci tiene maggiormente occupati e che ci fa credere o non credere.

Ciò che esiste o no, dipende quindi dipende molto labilmente da ciò che è

Ma è l'unico strumento di orientamento di cui si dispone.  E anche l'unica cosa su cui due persone - che credono la stessa cosa - possono ri-trovarsi, nella limitata condizione terrestre.



Fabrizio Falconi - (C) riproduzione riservata - 2015

25/08/14

Le cose non sono mai come sembrano (e nemmeno come sono).





Non solo le cose non sono mai come sembrano, ma non sono nemmeno come sono.

Sembra inevitabile e rassicurante dare un nome alle cose, definirle. Farle essere come sostanza.

Ma, come sappiamo bene da qualche decennio, ogni cosa è più cose. E più cose tutte insieme. Lo è in natura e lo è in ogni essere umano.

Nello stesso senso della percezione che ne avevano avuto i padri greci, tutto è molteplice.

Il desiderio di imprigionare le cose nasce dalla paura di perdersi, di confondersi, di non trovare più approcci saldi, sicuri, di smemorarsi nella stessa infinitezza del mondo.

Ma c'è una sincerità più profonda.

Quella di abbandonare la pretesa di ordinare il mondo e di accettarne la straripante bellezza, quella evidente e quella nascosta.

Se si accetta, si crede.  Non ascoltare più soltanto il suono monotono della nostra mente (isolata dal mondo, nostalgica di questo isolamento, malata).

Si scopre così che la maggior parte delle cose che si credono (di qualunque natura) si credono sulla base di un principio volitivo (convinzioni, pregiudizi,consuetudini, ragionamenti, motivazioni) e solo in minima parte sulla base di quel che si sente (istinto, cuore, interiorità).

Ma il cuore ha conoscenze che attingono ad una fonte più profonda. E ignota.

Ascoltarla, bisogna.



Fabrizio Falconi - © riproduzione riservata.