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08/01/15

Tempo di semina - quando tutto muore, tutto segretamente rinasce.







Il tempo della semina del grano è l'autunno

Nella stagione dove tutto muore, qualcosa segretamente nasce.  

Il contadino ha già arato il campo, l'erpice lo ha spianato, tutto sembra ormai brullo e finito, come in ogni anno.  Ma tutto quello che verrà poi, che rinascerà, viene piantato in questo tempo cupo, durante il quale il cielo si annerisce, il vento spazza via ogni foglia, i rami restano impietriti, la pioggia copre come pietra tombale la vita, prima della benedizione silenziosa della neve. 

Il grano seminato dorme, al buio. Si prepara nell'infimo del terreno, tra i vermi. 
Nell'umile non visto e non udito. 

Anche l'energia vitale, il rinnovamento, la rinascita personale, l'amore, funzionano così. Come il lussureggiante campo che esploderà al sole di luglio. 
Nessuna di queste cose può arrivare se essa viene condizionata o ordinata a crescere. 

La crescita è un fenomeno spontaneo, che sgorga dalla pazienza dell'era nascosta, non controllabile, non artificiosa, non voluta. 
La speranza è nel seme.  La crescita è nella sapienza della terra. Di ciò che già la terra, contiene. 

Scriveva Rainer Maria Rilke nel Testamento:

come sono stanco di predisporre tutte queste contromosse per difendermi dalle prevaricazioni dell'amore - ; dove sarà il cuore che non mi 'commissioni' una precisa, egoistica felicità, ma mi conceda di predisporgli ciò che da me sgorga inesauribilmente ? 

Fabrizio Falconi


27/12/14

Non vi è intelligenza senza emozione (L'ebanista)



Non vi è intelligenza senza emozione. Ci può essere emozione senza molta intelligenza, ma è cosa che non ci riguarda, scriveva Ezra Pound.

Quel che si trova sul mercato è emozione senza molta intelligenza. Tutto è facile se si asseconda questa direzione.  

L'emozione pura però, senza vera intelligenza, è pura superficie. Non dà e non aggiunge. Non cambia e nemmeno toglie.  E' come un grano di clessidra che si disperde, uguale agli altri. E un altro tempo è passato. 

La vera intelligenza è nascosta nel vivere profondamente le emozioni (non come fossero princìpi distinti, ma allo stesso momento, tutto insieme)

Per molto tempo, nella vita, ci illudiamo di conoscere profondamente l'altro o gli altri, ma questa vera conoscenza non deriva certamente dalle emozioni (neanche da quelle che si vivono insieme): è la qualità dell'intelligenza, del respiro interiore di ciò che si vive, che rende le emozioni profonde, indelebili. E la conoscenza dell'altro non è allora illusoria, ma vera e reale. 

E come un legno trattato da un ebanista, ad ogni passaggio (di emozione), il legno diventa sempre più pregiato. E' il lavoro dell'intelligenza dell'ebanista, la sua pazienza, il suo modo di sentire, il silenzio, l'accoglienza, la determinazione e la dolcezza, il mettere e levare dei gesti (cioè l'intelligenza) negli intarsi, che rendono lucente e prezioso ciò che sembrava deperito o incapace di essere altro da cibo per i tarli.

Fabrizio Falconi


03/12/12

"Cosa perdono quelli che non vogliono figli" - un intervento di Ferdinando Camon.




Cosa perdono quelli che non vogliono figli 
di Ferdinando Camon.

Si sta diffondendo il pensiero che è bello non avere figli: i figli sono una disgrazia, rovinano la vita e il pianeta. Il pensiero diventa un movimento, il de-natalismo, e prende piede in Francia, Italia e soprattutto in Belgio. Qui i de-natalisti hanno inventato una festa annuale, a Bruxelles, dove si trovano, cantano canzoni e alzano boccali di birra. E citano uomini illustri senza figli. Ma citano male. Moravia non era un senza-figli. Era un mancato-padre circondato da mancati-figli.

Quando andavano a trovarlo, Dario Bellezza, Achille Serrao e gli altri, toccavano tutto, spostavano tutto, come fanno i cattivi figli di un padre scrittore. Uno sgattaiolava fuori dalla porta, Alberto lo inseguiva col bastone: “Cos’hai preso?”, “Ma niente Alberto, poi te lo riporto”. Sono gli aspetti vischiosi e fastidiosi della famiglia, che fanno una falsa famiglia. Pasolini dice in una poesia di aver amato una prostituta ma non è nato un figlio, e di questo era contento. Non ha mai affrontato il problema se la sua omosessualità fosse una fuga dalla paternità. Quando esplose la domanda, era in analisi da Musatti. Smise subito. Troppa angoscia. 

Sì, certo, senza figli si lavora meglio. “Tu hai dato degli ostaggi alla vita”, mi ammoniva Meneghello, qui nello studio dove sto scrivendo. L’aveva già detto Bacone: “Se hai dei figli, non farai più grandi azioni, né virtuose né vituperose”. I figli ti bloccano nella mediocrità. Sono ostaggi del nemico, in una vita che è guerra. Ma se noi, padri, siamo un esercito in guerra, i figli sono l’avanguardia e la retroguardia: la protezione. Riempiono i vuoti del passato e vanno in avanscoperta sul futuro che non vivremo. 

Io non so come ho capito i primi film che vedevo, da bambino. Ma mi si spalanca una luce quando vedo la nipotina che guarda incantata il risveglio di Biancaneve, poi Biancaneve sparisce ed appare la matrigna, la piccola osserva in giro sbalordita e domanda: “Dov’è Biancaneve?”. È convinta che, se non è più nel televisore, è uscita dal televisore e cammina nella stanza. Qualcosa del genere dev’essere capitato al mio cervello, quand’ero piccolo, perché a questa ri-scoperta si eccita. Senza figli e nipoti avrei un cervello non eccitato, che vuol dire piatto. 

A 6 anni il primo dei miei figli fece un sogno: “I monti mi dicevano: quando morirai, crescerai”. Significa che ogni conquista passa attraverso una morte? Al fondo del mio cervello c’era questo concetto, non ero sicuro che fosse la verità, ma il sogno del figlio me lo confermava. Lui amava il cinema. Un giornale mi mandava un tesserino perché andassi alla Biennale, lui me lo rubava e ci andava lui. Sul tesserino c’era la mia foto, lo lasciavano passare perché lui era identico a me. 

Questo resta in me l’esempio di cosa vuol dire rinascere in un altro: quando la burocrazia controlla quell’altro e lo scambia per te. A volte mi càpita di cercare un libro che non ho mai letto, lo apro e lo vedo pieno di segni a matita. Sono segnate le frasi giuste con i giusti segni, asterischi, cerchi, punti interrogativi o esclamativi. Ma se non ho mai letto quel libro, chi ha fatto quei segni? Un figlio. Dunque, io ho letto quel libro non come io, ma come figlio. E allora, continuerò a leggere libri, segnandoli con i miei simboli, anche quando non ci sarò. 

I bambini si ammalano, come tutti, e finiscono in Pediatria. L’ospedale vuole che di notte stiano soli, se c’è bisogno ci sono gl’infermieri. Ma le madri non vogliono lasciarli, e si nascondono negli armadi. Il primario prima di andarsene apre gli armadi e scaccia le madri, allora queste si nascondono nei bagni. Le ho viste. I figli sono il sancta sanctorum della famiglia, non possono restare senza sentinelle. 

Quando andavo a prendere un figlio all’asilo, o adesso una nipotina, la maestra lo chiama e gli chiede: “Chi è questo signore per te?”, perché ci sono i ladri di bambini, i bambini sono un valore. Diciamo sempre che non ci sono più valori: eccolo, un valore. 

Ho sentito una madre raccontare: “Passeggio con la figlioletta, questa si nasconde, non la vedo più, e mi son detta: Mi uccido”. Ho sentito una madre friulana cantare una canzone al figlio ricoverato in ospedale: “Signor del Cielo ascoltami, / non farlo mai soffrire, / se c’è dolor per lui, / ti prego dallo a me”: voleva soffrire e morire al posto del figlio. 

È difficile che chi non ha figli attraversi quest’esperienza, voler morire al posto di un altro. Per chi li ha, è un’esperienza perenne. Essere umani vuol dire questo. A Bruxelles alzano boccali di birra per la gioia di non avere figli? Avranno, come tutti, disgrazie nella vita, ma nessuna più grave di questa.

Ferdinando Camon  La Stampa, 2 dicembre 2012.

(foto in testa di Elliot Erwitt)

27/09/12

'Io so chi sei.' Quello che noi desideriamo e temiamo (sentirci dire).






Io so chi sei. 

Per tutta la vita, in fondo, rincorriamo qualcuno (un amante focoso, un amico, un compagno, uno sposo) che possa dirci - credibilmente questa frase guardandoci negli occhi. 

E' il segno di una intimità che un tempo abbiamo sentito pronunciare dall'essere umano che biologicamente ci ha prodotto e che forse è l'unico ad avere i titoli giusti per pronunciare questa frase: nostra madre. 

Chi può dire di conoscerci veramente se non chi ha prodotto biologicamente il nostro sangue, le ossa, i tessuti, le stesse nostre connessioni cerebrali ?

Per tutta la vita cerchiamo dunque qualcuno in grado di emulare questa capacità di introspezione: brameremmo di essere trasparenti, di poter essere guardati - con sguardo compassionevole - senza bisogno di tutta quella fatica che serve normalmente per far partecipi gli altri del nostro mondo interiore: parole, discorsi, gesti, condivisioni, sempre con la paura di essere fraintesi, di non essere mai capiti del tuto, mai compresi e mai - in definitiva - amati. 

Allo stesso tempo questa frase che bramiamo ascoltare, ci terrorizza.  Chi ci conosce bene, chi sa chi sono potrebbe e può utilizzare le mie fragilità scoperte, le mie ombre, le mie magagne. Farmela pagare, farmi soffrire. 

Per questo l'affidamento agli altri è così difficile. 

Per questo quella frase preferiamo - in fondo - non sentirla mai. Se no magari, nel segreto di un alcova e nello scambio e momentaneo di altre intimità biologiche. 

Preferiamo non sentirla, ci rinunciamo, esausti ci adagiamo - mentendoci -  nella rassegnazione che ciascuno è estraneo all'altro e che nessuna conoscenza dell'altro è mai, fino in fondo, possibile. 

Fabrizio Falconi

nella foto in testa: Charlton Heston è Mosè nei "Dieci Comandamenti", Drive-in theater, Utah, 1958.