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08/04/20

Galimberti sul Coronavirus: "Riaprire ora è una follia. La biologia è più forte dell'economia."






Al centro degli interrogativi e delle risposte di questi giorni difficili d’isolamento anticontagio c'è quella che viene chiamata ‘Fase 2', cioè la riapertura graduale di alcune attività commerciali e quelle lavorative. La task force italiana parla dell’individuazione di una fascia di popolazione immunizzata vicina al 10%, c'è ‘1 italiano su 20 che è immune al coronavirus' ha detto Silvio Brusaferro presidente dell’Iss. Molte persone rischiano, dunque, un possibile contagio. L'istituto Superiore di Sanità sta preparando la validazione dei test sierologici da poter usare su larga scala su campioni della popolazione. Sarebbero pronti già 100mila test. Tra le condizioni per la riapertura ad una qualche normalità in un suo articolo al Nyt, James Horowitz considera il fatto che potrebbero essere solo i cittadini immuni a poter rientrare a lavoro e quindi ad avvicinarsi ad una vita normale, a differenza di quelli più fragili o deboli. 

Abbiamo chiesto al filosofo Umberto Galimberti cosa pensa della Fase 2 e se una soluzione del genere possa minare i valori democratici ed etici della nostra società. 

Non si rischia di far vincere il più forte sul più debole, professore? 

Etica e democrazia sono modalità con cui si organizza la vita, prima bisogna cominciare a vivere e poi forse potremo discutere di etica e democrazia. Abbiamo una visione troppo ottimistica se pensiamo a tornare a lavoro e alla economia, in questa fase dobbiamo, invece, essere severissimi almeno finché non c’è il vaccino. Prevedo che l’epidemia possa tornare, per esempio in autunno, anche in Cina. Vede mia moglie – scomparsa qualche anno fa - era biologa molecolare e parlavamo molto di scienza, per me davanti a un virus così non c’è salvezza, ora è lui il più forte, se apriremo a chi è immune o si è auto-vaccinato insieme a loro seguiranno anche gli altri che non lo sono, e non faremo che peggiorare il problema. 

Eppure c’è una parte consistente di Paese che crede nell’importanza di una ripresa economica..

L’Economia viene dopo la biologia che di per sé è più forte. La frenesia con cui si lavora - dovremmo averlo già capito - crea precarietà biologica, ed è per questo che ci indeboliamo a discapito del nostro sistema immunitario. La biologia viene prima, sia nel bene che nel male. In questa fase bisogna essere ossequiosi rispetto a quello che dicono i sanitari, l’unica ancora di salvezza è la scelta biologica, solo quella conta. 

Allora cosa è successo all’inizio dell’epidemia? Parte di scienza e parte di politica hanno sottovalutato il problema? 

La scienza non è la verità, la scienza dice solo cose esatte ‘exacto’ cioè ‘ottenute da’, dalle premesse da cui parte l’indagine, non è la verità, essa si colloca accanto a ciò che è esatto. Inoltre la scienza si riferisce spesso alla probabilità, ecco che se uno dice cose sbagliate, allora loro hanno sbagliato. 

Qual è il problema di chi si sente spinto a reagire contro le restrizioni? 

La gente sbaglia, pensa di essere furba e immune, ma è solo molto disordinata, come quelli che pensano che la morte non li debba mai toccare, e invece poi arriva per tutti. Io vivo a Milano. Possibile che in un capoluogo così importante ci siano state 9000 persone denunciate? Forse potremmo tornare a pensare… 

Pensare a cosa? 

Ispezionare la nostra interiorità a cui non badiamo mai, non sappiamo chi siamo e non è bello vivere a nostra insaputa. Ciascuno guardi in faccia se stesso e il suo stile di vita, appena finirà lo si vedrà, tutti si butteranno a rifare le stesse cose che facevano prima e non sarà cambiato proprio nulla. Tutti si comporteranno esattamente come fanno i tossicodipendenti dopo un periodo di astinenza. Io, per esempio, sono contentissimo perché ho l’occasione di studiare più di prima, restando a casa mia. Dunque riaprire la cosìdetta Fase 2 sarebbe solo una follia, se sono i principi economici che contano allora bisogna invertire le priorità. 

Lo direbbe a chi prende decisioni, alla Politica? 

Vede, la politica non è più luogo della decisione che è riservata esclusivamente all’economia. Chi fa polemica politica in questo momento è un criminale. L’Europa concede aiuti, ma poi chi pagherà questi aiuti? Saranno i giovani, per me vittime sacrificali già da tempo. 

Non pensa a chi non ha i soldi per fare la spesa perché ha perso il lavoro? 

Tutti possono mangiare. Ci sono le opere di carità, non siamo in guerra, ecco questa è un’altra cosa su cui bisogna stare attenti: chi parla di guerra adesso lo fa in modo improprio, non stiamo vivendo una guerra, la guerra è un’altra cosa, lì non si arriva al cibo, per esempio. In guerra conosco il nemico e posso concluderla facendo un trattato di pace con lui, mentre qui è impossibile, perché questo nemico non lo conosciamo. Ci lamentiamo delle code da fare al supermercato, mentre in guerra non c’è da mangiare. Ci lamentiamo che siamo in casa, ma quando c’è guerra, le case vengono distrutte dalle bombe. Lei non crede che bisogna riflettere anche su questo? 


Fonte: 

02/03/13

Marco Guzzi sulle dimissioni del Papa.




Vi propongo qui di seguito - nel contesto delle riflessioni che stiamo pubblicando negli ultimi giorni - un intervento di Marco Guzzi sulle dimissioni di Benedetto XVI. 

Dal 28 di febbraio, alle ore 20, Benedetto XVI non è più Papa, la Santa Sede è vacante, anche se Joseph Ratzinger è ancora vivo

Questo evento è sostanzialmente un unicum nella storia bimillenaria della Chiesa, in quanto gli antichissimi e rarissimi precedenti non sono comparabili a questo evento mediatico mondiale del 2013.

Gli effetti di queste dimissioni saranno immensi e duraturi nei prossimi decenni, anche se da più parti si tenta invano di normalizzare una situazione evidentemente eccezionale, e di sminuirne la portata storica. Paradossalmente proprio questo Papa, che tanto ha insistito sulla necessità di ribadire la “continuità” nella storia della Chiesa, ha compiuto uno dei gesti di più radicale discontinuità che potessimo immaginare, un gesto che sarà ricordato come una rottura senza precedenti, una cesura epocale, un punto finale e un nuovo inizio.

Questo gesto si pone d’altronde nel novero dei grandi momenti di assoluta novità che segnano la storia della Chiesa dalla seconda metà del XX secolo in poi. Che il Concilio abbia determinato un punto di svolta e di ricominciamento, all’interno ovviamente della stessa storia del cristianesimo, ma che comunque abbia avviato processi anche caotici e ambigui che stanno tuttora mettendo in crisi e rigenerando forme secolari della liturgia come della catechesi, della pastorale come dell’intero assetto giuridico ecclesiale, è del tutto evidente. Che la richiesta di perdono, compiuta da Giovanni Paolo II, durante la prima domenica di Quaresima del 2000, sia stata un evento anch’esso unico e sconvolgente lo ribadì lo stesso documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, redatto dalla Commissione teologica internazionale: “In nessuno dei giubilei celebrati finora c’è stata una presa di coscienza di eventuali colpe del passato della Chiesa, né del bisogno di domandare perdono a Dio per comportamenti del passato prossimo o remoto. E’ anzi nell’intera storia della Chiesa che non si incontrano precedenti di richieste di perdono relative a colpe del passato, che siano state formulate dal magistero”.

Questi eventi, come il gesto di Benedetto, indicano la direzione ineluttabile di un vero e proprio punto di svolta, esplicitano il bisogno di una conversione radicale della Chiesa, di una purificazione seria e progressiva da tutte quelle forme distorte che ne hanno deturpato il volto e indebolito la testimonianza e quindi l’azione salvifica nella storia per secoli.

Un bisogno di conversione/trasformazione che d’altra parte tocca l’intera umanità contemporanea, giunta tutta insieme ad un punto estremo, ad un bivio sempre più evidente e allarmante tra autodistruzione e rigenerazione profonda.

30/10/12

L'Egoismo è finito, serve la civiltà dello stare insieme. Un nuovo libro.





"Non si puo' essere felici da soli": cosi' ragionava Aristotele, anche se il suo insegnamento e' stato presto rimosso dall'uomo globalizzato. Piu' soli, piu' fragili, piu' lontani: ecco il buio del tunnel dove siamo finiti. Ma l'egoismo, per quanto radicato nei cromosomi, non può funzionare come bussola di civiltà, tanto piu' in tempi di crisi.

E' un vero e proprio manuale della felicita' quello di Antonio Galdo, giornalista e scrittore, autore di "L'egoismo e'finito" (Einaudi, 114 pagg., 12 euro). 

Un libro sull'amore, innanzitutto, come precisa lo stesso Galdo, "su quella parte di noi, di ciascuno di noi, che ha bisogno dell'altro, di una relazione che unisce laddove la solitudine separa". Ma anche un testo - interessante e originale - alla scoperta di nuovi modelli gia' in atto.

"La Grande Crisi marca la fine di un paradigma, di un pensiero unico, e ci spinge alla ricerca di nuovi fondamentali, non solo economici", annota l'autore, che parte dai ricordi della sua infanzia per riannodare un discorso sul se' e gli altri. 

A partire da "mia madre", "sempre lei" a "trasmettere nel silenzio delle sue scelte di vita la componente genetica della natura umana che contrasta, in una misteriosa e oscura lotta, l'egoismo: l'altruismo".

Del resto, osserva Galdo, persino la scienza sta sfatando il mito: egoisti non si nasce, hanno scoperto alcuni scienziati, individuando un gene dell'altruismo (si chiama AVPR1A) che regola un ormone del nostro cervello. Ad ogni gesto di altruismo, hanno verificato gli esperti, corrisponde una vera e propria sensazione di benessere fisico, e persino di gioia. 

Ma il 'viaggio' di Galdo non finisce qui perche' il cambio di paradigma e' non solo un'aspettativa del futuro; e' gia' in atto. Lo dimostrano le molte storie contenute nel volume e che insegnano la 'declinazione del noi', piccoli grandi pilastri della civilta' dello stare insieme. Storie di citta' pensate per condividere i luoghi, i trasporti e gli spazi, come lo 'shared space' della pioniera Zurigo. Concezioni nuove dell'abitare, attraverso le nuove frontiere del co-housing o dell'housing sociale. 

O, ancora, la riscoperta degli orti urbani e il lancio di quelli verticali, gli avveniristici 'grattaverdi' di New York. Per non parlare del fascino del baratto, tornato alla ribalta grazie a internet e ai moltissimi siti su e' possibile scambiare di tutto, dagli elettrodomestici ai vestiti, dalla musica agli appartamenti.

"Il benessere costruito attorno al moltiplicarsi di pulsioni individuali non garantisce stabilita'", avverte l'autore, che pero' confida in una nuova svolta epocale: dopo la 'febbre dell'abbondanza', "la necessita' del ritorno a stili di vita piu' sostenibili che la natura umana ci impone se non vogliamo arrenderci a un autodistruttivo delirio di onnipotenza". 

"Sono nato in una Paese, l'Italia, che ha compiuto il suo salto nella modernita' attraverso un'idea forte di comunita', in grado di comporre l'innato individualismo di un popolo - scrive Galdo - La famiglia, la fabbrica, la parrocchia, il partito, il sindacato, ma anche la piazza, il bar, il villaggio: tutti luoghi dello stare insieme. Entrati in cortocircuito sotto i colpi della civilta' dell'egoismo, e adesso riscoperti nella tempesta della Grande Crisi e nella consapevolezza che da soli e' tutto piu' difficile, forse impossibile". 

11/09/12

Crisi, Hans Magnus Enzesberger durissimo: "Alla BCE omertà mafiosa."




Tra i componenti del Consiglio dei governatori della Bce regna la legge dell'omerta' come per la mafia: a sostenerlo e' il poeta e saggista tedesco, Hans MagnusEnzensberger, in un duro attacco all'istituto di Francoforte e all'euro pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz). 

Per Enzensberger i componenti dell'organo direttivo della Bce "si definiscono governatori come era in uso nei vecchi regimi coloniali e non devono rendere conto in alcun modo all'opinione pubblica". 

"Sono al contrario tenuti alla massima segretezza", prosegue il piu' famoso intellettuale tedesco, "e cio' ricorda l'omerta', il codice d'onore della mafia. I nostri padrini sono sottratti ad ogni controllo giudiziario e legislativo, un privilegio non consentito nemmeno al capo della camorra, l'assoluta immunita' giudiziaria". 

Per l'82enne autore di Musica del futuro, "l'esproprio politico dei cittadini ha raggiunto ora il suo culmine, ma era iniziata gia' molto prima, al piu' tardi con l'introduzione dell'euro". 

"Questa moneta e' il risultato di un mercato delle vacche politico", ha denunciato Enzesberger, "che ha ignorato le differenze di peso delle economie dei Paesi partecipanti, le loro divergenti competitivita' ed il loro carico debordante di debiti. Il piano di omogeneizzare l'Europa non ha tenuto nemmeno conto delle differenze di cultura e di mentalità del Continente". 

Per lo scrittore "a pochissimi viene in mente che da qualche tempo i Paesi europei non sono piu' governati da istituzioni democraticamente legittimate, ma da sigle come Efsf, Esm, Bce e Fmi". Per lo scrittore "senza costi, scontri e dolorose limitazioni non sara' possibile tornare indietro dal vicolo cieco in cui ci hanno condotto gli ideologi dell'interdizione". 

Quando si arrivera' alle cifre, spiega lo scrittore, "i popoli si risveglieranno dalla loro siesta politica, poiché già' cominciano a sospettare che alla fine dovranno assumersi il carico di ciò' che hanno causato i salvatori". 

14/07/12

Susanna Tamaro: Raccontare il bene, con parole semplici. Una riflessione.



E' una riflessione molto importante quella oggi pubblicata sul Corriere della Sera, in prima pagina a firma Susanna Tamaro, una scrittrice di solito molto snobbata dalla intellighentsia (?) conformista di questo paese.  Eppure son rimasto molto colpito leggendo, perché sono i temi - espressi con chiarezza e lucidità - sui quali insisto io stesso da molto tempo e che mi sembrano i più urgenti oggi, quelli che pure - prima o poi - sarebbe il caso di affrontare seriamente. 

In un pomeriggio di calura estiva, rovistando nel disordine delle mie librerie, ho ritrovato un libretto a me molto caro. Risale al 1973 e raccoglie otto conferenze di Konrad Lorenz incentrate sui peccati capitali della nostra società. Ho sempre considerato Lorenz uno dei miei grandi maestri, senza la ricchezza della sua opera la mia visione del mondo probabilmente sarebbe molto più povera. La mia formazione, infatti, è da naturalista e con lo sguardo da naturalista ho sempre osservato la realtà che mi circonda. Con lo stesso sguardo umile e appassionato provo a fare delle riflessioni sulla crisi che ha investito il mondo occidentale e che ora, a quattro anni dal suo inizio, sembra essere arrivata al culmine.

Lo spirito generale che si respira in Europa è simile a quello di Lucignolo e Pinocchio che, dopo aver gozzovigliato nel Paese dei Balocchi, scoprono l'amara realtà del mondo di Mangiafuoco. Se mi guardo in giro, infatti, mi sembra che molti padiglioni auricolari si stiano allungando e coprendo di una morbida peluria grigia: appartengono a tutti coloro che, in questi anni, avrebbero dovuto vigilare sul bene comune e immaginare un progresso in cui l'umano, nella sua accezione più alta, ne costituisse il fulcro e invece non l'hanno fatto. Orecchie pelosi e nasi lunghi! Come sarebbe bello se accadesse davvero, se si potessero individuare tutte quelle persone che hanno perpetrato allegramente il Grande Inganno; coloro, cioè, che, con certosina precisione, hanno ridotto la complessità della natura umana a un'unica dimensione, quella del consumo edonista e della sua inestinguibile sete. Si è trattato di un processo lungo, abile e ambizioso il cui risultato è sotto gli occhi di tutti. Le società dei paesi occidentali non sembrano ormai molto diverse da quelle dei lemming, quei piccoli mammiferi nordici che, senza una ragione apparente, si suicidano in massa lanciandosi in mare dalle scogliere.

24/05/12

Enzo Bianchi: "Le due paure madri della crisi. L'uomo diviso fra oggi e l'aldilà".



Vi propongo l'anteprima della (bellissima) Lectio Magistralis del priore di Bose per l'apertura del Festival Biblico di Vicenza 2012, pubblicata dal Corriere della Sera di Mercoledì 23 maggio. 

Esprimere gratitudine al card. Carlo M. Martini all’interno di un evento dedicato alla Speranza delle Scritture che vince la paura significa fare memoria della speranza che il ministero episcopale del grande biblista gesuita ha saputo destare non solo nella chiesa locale e nella città affidata alla sua cura, ma anche nella chiesa universale e nella società civile. 

E questo, proprio grazie alla sua conoscenza della bibbia e della sua familiarità amorosa con il modo di pensare e di agire richiesto dalla parola di Dio. Del resto, secondo l’apostolo Pietro, il cristiano è tenuto a questo e non ad altro: a “rendere conto della speranza” che lo abita a chiunque glielo chiede. 

E oggi che viviamo in un tempo posto sotto il segno della crisi, questa esigenza di testimoniare e suscitare speranza si fa sempre più cogente per i cristiani. La nostra epoca infatti, definita da molti pensatori come stagione della “fine” – della civiltà occidentale, della modernità, della cristianità... – è caratterizzata dal senso della precarietà del presente e dell’incertezza del futuro, un tempo in cui l’incognito che ci sta davanti spaventa per la sua imprevedibilità e, insieme, per gli orizzonti asfittici che lo caratterizzano: il nostro è un mondo che sembra sfuggire al nostro controllo e impedirci di capire dove stiamo andando. 

Ora, tutto ciò provoca un’angoscia profonda, che le tante situazioni di guerra, miseria e oppressione in atto in varie parti del mondo non fanno che confermare e che la crisi economica e finanziaria che attanaglia l’occidente trasforma per troppe persone in disperazione nel quotidiano. Ma allora, cosa significa sperare? E di quale speranza sono portatrici le Scritture? E, ancora, può la speranza vincere la paura? Proprio a partire dalla paura possiamo abbozzare una riflessione: in profondità ciascuno di noi è preda di due “paure madri”, da cui discendono tutte le altre: la paura della morte e la paura di Dio. Mosso dalla paura della morte, l’essere umano cerca di preservare con qualsiasi mezzo la propria vita, di possedere per sé i beni della terra, di dominare sugli altri. Egli pensa di assicurarsi in tal modo una vita abbondante, ritiene di poter combattere la morte con l’auto-affermazione, e giunge a considerare ragionevole e giusto ogni comportamento finalizzato a questo scopo, anche a costo di nuocere agli altri e persino a se stesso. E così finisce inevitabilmente per percorrere sentieri di morte… È quella tendenza egoistica che la tradizione cristiana indicherà come philautía (“amore di sé”), che spinge a contraddire la comunione voluta da Dio e a vivere senza gli altri, contro gli altri. 

Enzo Bianchi  Fonte: Comunità di Bose. 

23/05/12

Cosa è successo all'Italia ? Come siamo arrivati qui ?




Cosa è successo a questo paese sul finire degli anni '70 ?

Cosa è successo ad un paese che in meno di un trentennio - 1950/1978 - aveva stupito il mondo rinascendo come araba fenice dalle ceneri di una dittatura sciagurata e di una guerra mondiale (e civile) persa con lutti e danni spaventosi ? 

Cosa è successo ad un paese che in meno di un trentennio, messo in ginocchio dalla povertà, dalla fame, dalle distruzioni, fu capace di esprimere il meglio praticamente in ogni settore creativo, culturale, politico ?

Tra gli anni '60 e gli anni '70 l'Italia fu capace di esprimere questo: 

il meglio nel campo cinematografico - con-vissero artisti straordinari, Fellini, Visconti, Antonioni, Rosi, De Sica, Rossellini, Scola e poi Anna Magnani, Marcello Mastroianni, più il lunghissimo stuolo di attori che ebbero fortuna anche in campo internazionale - nel campo letterario - convissero i grandi vecchi della poesia italiana, Ungaretti e Montale, e poi Gadda, Moravia, Landolfi, Pasolini - nel campo delle arti visive, Vedova, Guttuso, Birolli, Boetti,  De Chirico e innumerevoli altri - nel campo della musica - basti pensare a Benedetti Michelangeli - ma anche nel campo della moda, del design (il design italiano fu all'avanguardia nel mondo), della progettazione ingegneristica,  dello sport (le XVII Olimpiadi), del costume, ecc.. 

E anche nei diversi settori della vita sociale, della rappresentanza politica, dello sviluppo economico, l'Italia, in quel trentennio fortunato, fu capace di esprimere il meglio, guadagnandosi, pur tra i mille problemi legati ad una crescita forse sproporzionata, la rispettabilità e l'ammirazione del mondo. 

Ebbene, come è possibile che a partire dalla fine degli anni '70, con l'avvento della prima crisi economica, con la prima efferata stagione del piombo e delle stragi,  tutto si sia pian piano lentamente e definitivamente compromesso ?

Come si è arrivati, in particolare, da un paese che era capace di ritenersi unito nelle finalità e nella gran parte dei valori condivisi, giungere alla frammentazione esasperata degli egoismi, alla incapacità progettuale, all'immobilismo infernale di questi anni, alla putrefazione del sistema, perfino di ogni credibilità rappresentativa - come stiamo sperimentando proprio in questi giorni - come si è arrivati all'incarognimento, alla mancanza di prospettive, alla perdita di speranza, al circolo vizioso delle de-pressioni collettive e personali alle quali stiamo assistendo ? Come si è arrivati al deserto culturale, alla sparizione delle intelligenze e dei percorsi originali e personali di ricerca ? Come si è arrivati alla tabula rasa e al 'niente da dire' ? Come si è arrivati all'annichilazione  alla deriva, alla linea spezzata e incapace di ri-congiungersi (a quanto pare)?

E soprattutto, quando arriverà il termine di questa notte ?

A cosa (più che a chi, come invece molti in questo paese continuano a riferirsi) dovremo af-fidarci ? A quale rinascita personale ? Ne saremo capaci ?

Sempre di più la domanda vera, la domanda che conta, alla quale dovremo rispondere, non è più e non sarà più quella di Chernichevskij ("Che fare?"), ma:  Cosa essere ?  


Fabrizio Falconi

16/02/12

“Se la feroce religione del denaro divora il futuro” di GIORGIO AGAMBEN


Per capire che cosa significa la parola “futuro”, bisogna prima capire che cosa significa un´altra parola, che non siamo più abituati a usare se non nella sfera religiosa: la parola “fede”. 

Senza fede o fiducia, non è possibile futuro, c´è futuro solo se possiamo sperare o credere in qualcosa. Già, ma che cos´è la fede? David Flüsser, un grande studioso di scienza delle religioni – esiste anche una disciplina con questo strano nome – stava appunto lavorando sulla parola pistis, che è il termine greco che Gesù e gli apostoli usavano per “fede”. 

Quel giorno si trovava per caso in una piazza di Atene e a un certo punto, alzando gli occhi, vide scritto a caratteri cubitali davanti a sé Trapeza tes pisteos. Stupefatto per la coincidenza, guardò meglio e dopo pochi secondi si rese conto di trovarsi semplicemente davanti a una banca: trapeza tes pisteos significa in greco “banco di credito”. Ecco qual era il senso della parola pistis, che stava cercando da mesi di capire: pistis, ” fede” è semplicemente il credito di cui godiamo presso Dio e di cui la parola di Dio gode presso di noi, dal momento che le crediamo. Per questi Paolo può dire in una famosa definizione che “la fede è sostanza di cose sperate”: essa è ciò che dà realtà a ciò che non esiste ancora, ma in cui crediamo e abbiamo fiducia, in cui abbiamo messo in gioco il nostro credito e la nostra parola. 

Qualcosa come un futuro esiste nella misura in cui la nostra fede riesce a dare sostanza, cioè realtà alle nostre speranze. Ma la nostra, si sa, è un´epoca di scarsa fede o, come diceva Nicola Chiaromonte, di malafede, cioè di fede mantenuta a forza e senza convinzione. Quindi un´epoca senza futuro e senza speranze – o di futuri vuoti e di false speranze. Ma, in quest´epoca troppo vecchia per credere veramente in qualcosa e troppo furba per essere veramente disperata, che ne è del nostro credito, che ne è del nostro futuro? Perché, a ben guardare, c´è ancora una sfera che gira tutta intorno al perno del credito, una sfera in cui è andata a finire tutta la nostra pistis, tutta la nostra fede. Questa sfera è il denaro e la banca – la trapeza tes pisteos – è il suo tempio. 

Il denaro non è che un credito e su molte banconote (sulla sterlina, sul dollaro, anche se non – chissà perché, forse questo avrebbe dovuto insospettirci – sull´euro), c´è ancora scritto che la banca centrale promette di garantire in qualche modo quel credito. La cosiddetta “crisi” che stiamo attraversando – ma ciò che si chiama “crisi”, questo è ormai chiaro, non è che il modo normale in cui funziona il capitalismo del nostro tempo – è cominciata con una serie sconsiderata di operazioni sul credito, su crediti che venivano scontati e rivenduti decine di volte prima di poter essere realizzati. 

Ciò significa, in altre parole, che il capitalismo finanziario – e le banche che ne sono l´organo principale – funziona giocando sul credito – cioè sulla fede – degli uomini. Ma ciò significa, anche, che l´ipotesi di Walter Benjamin, secondo la quale il capitalismo è, in verità, una religione e la più feroce e implacabile che sia mai esistita, perché non conosce redenzione né tregua, va presa alla lettera. La Banca – coi suoi grigi funzionari ed esperti – ha preso il posto della Chiesa e dei suoi preti e, governando il credito, manipola e gestisce la fede – la scarsa, incerta fiducia – che il nostro tempo ha ancora in se stesso. 

E lo fa nel modo più irresponsabile e privo di scrupoli, cercando di lucrare denaro dalla fiducia e dalle speranze degli esseri umani, stabilendo il credito di cui ciascuno può godere e il prezzo che deve pagare per esso (persino il credito degli Stati, che hanno docilmente abdicato alla loro sovranità). In questo modo, governando il credito, governa non solo il mondo, ma anche il futuro degli uomini, un futuro che la crisi fa sempre più corto e a scadenza. E se oggi la politica non sembra più possibile, ciò è perché il potere finanziario ha di fatto sequestrato tutta la fede e tutto il futuro, tutto il tempo e tutte le attese. 

Finché dura questa situazione, finché la nostra società che si crede laica resterà asservita alla più oscura e irrazionale delle religioni, sarà bene che ciascuno si riprenda il suo credito e il suo futuro dalle mani di questi tetri, screditati pseudosacerdoti, banchieri, professori e funzionari delle varie agenzie di rating. E forse la prima cosa da fare è di smettere di guardare soltanto al futuro, come essi esortano a fare, per rivolgere invece lo sguardo al passato. Soltanto comprendendo che cosa è avvenuto e soprattutto cercando di capire come è potuto avvenire sarà possibile, forse, ritrovare la propria libertà. L'archeologia – non la futurologia – è la sola via di accesso al presente. 

13/12/11

Elogio del pensiero lento - intervista a Daniel Kahnemann, premio Nobel per l'economia.


NEW YORK — «Studio da mezzo secolo i meccanismi decisionali della mente umana, ma non pretendo di saper spiegare alla gente come fare scelte migliori. Io stesso non credo di aver raffinato, in tutti questi decenni di lavoro scientifico, la mia capacità di prendere decisioni immediate ed efficaci, usando i meccanismi dell’intuito. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di rallentare: quando si teme di sbagliare, meglio prendere tempo e analizzare di più, anziché agire d’impulso. Discutendo, poi, delle scelte fatte con qualcuno di cui ci si fida: la gente nella maggioranza dei casi prende le decisioni giuste, ma quando sbaglia è talmente impegnata nel commettere l’errore da non accorgersene. Lo vede più facilmente qualcuno dall’esterno».

Strano personaggio Daniel Kahneman. Nel 2002 ha vinto il Nobel per l’economia. Ma non è un economista. È uno psicologo che, dimostrando coi suoi esperimenti scientifici che non esiste l’homo oeconomicus dai comportamenti perfettamente razionali che è alla base della teoria economica classica, ha aperto la strada alla nuova economia comportamentale.

07/11/11

Ricominciare. 12 cose da cui ripartire. (testo completo).



RI-COMINCIARE.  Da dove ?
(12 cose da cui ripartire)

Di Fabrizio Falconi


1  UMILTA'.

Ripetersi ogni giorno, almeno 1 volta al giorno che non si è speciali, non si è indispensabili, non si è migliori.

Anche se l’intera nostra vita sembra costruita sulla presunzione - o  sulla rassicurante certezza -  che noi siamo speciali, che il nostro amore è speciale, che il nostro lavoro è speciale, che quello che noi diciamo, pensiamo o facciamo, è speciale. E implicitamente, migliore.

Ripetersi che la storia umana è il procedere di miliardi di esseri umani come me. Che la loro traccia lasciata nella storia esteriore dell’umanità è praticamente nulla, nella stra-grandissima maggioranza dei casi.

Ripetersi che – se anche abbiamo un disperato bisogno che qualcuno ci dica che noi siamo speciali – in realtà speciali non lo siamo affatto.

Se il cammino del mondo ha un senso, lo ha solo nella VERA umiltà, che è quello di una profondaconsapevolezza che noi siamo ‘humus’, (da cui ‘humilis’).

L’umiltà è quando non pensi a ciò che ti verrà riconosciuto, ma a ciò che tu potrai riconoscere ad un altro, anche semplicemente per il suo ‘grazie’.

L’umiltà è per questo la virtù umana più difficile, rara e preziosa.

L’umilità, come scrisse Mario Soldati, è quella virtù che, quando la si ha, si crede di non averla.

(C) Fabrizio Falconi - 2011 (continua).

10/10/11

Le anime si riconoscono.



Da sempre - da quando ci ho ragionato su - sono convinto che le anime si riconoscano.
Quando due persone si incontrano, mettono insieme una serie di 'riconoscibilità', non una sola - quella che di solito noi pensiamo sia l'unica: cioè quella del soma, del corpo.
I corpi si parlano con il linguaggio del corpo: sappiamo subito dire se una persona è 'simpatica', o 'antipatica', se è 'affascinante' o 'respingente', se i suoi occhi sono 'profondi', e la sua bocca 'sensuale'. Tutto ciò attraverso una serie di 'segnali' che i nostri occhi, le nostre orecchie, il nostro olfatto, decodificano subito.
Allo stesso modo, le nostre anime ( per anima intendo proprio, seguendo Plotino, la terza 'ipostasi', che è insieme immortale, intellettiva e divina) si riconoscono da subito.
Ad ogni incontro la nostra anima sente (non allo stesso modo dei sensi, ovviamente), l'anima di chi ci è di fronte: ne riconosce il profilo, la consistenza, le qualità.
Se incontriamo un'anima sofferente, i nostri occhi e i nostri sensi possono anche scansarla e tirare subito dritto, ma la nostra anima l'ha riconosciuta, e questo incontro la nostra anima se lo porta dietro.
Gran parte della sofferenza di oggi negli uomini, ne sono convinto, deriva da questa incapacità di ascoltare la propria anima. Che vive tenuta al guinzaglio dentro ognuno di noi dal ferreo controllo del corpo e soprattutto della psiche.
La nostra psiche è come un ingenuo (e spaventato) guardiano che pensa che tenendo tutto sotto controllo (e ben stretto il guinzaglio) ogni sofferenza, ogni emozione troppo forte verrà resa innocua.        Invece, quel che ottiene psiche è esattamente l'opposto: l'anima tenuta al guinzaglio si ribella.     Manifesta la sua protesta attraverso quelle cose che noi chiamiamo con nomi che all'anima devono apparire  ridicoli: ansia,     depressione,    crisi,      vuoto,    malattia.
L'anima vuole essere libera. Vuole conoscere TUTTO, vuole assaporare la vita, vuole essere vera, perchè viva.  E viva, perché vera.
Vuole parlare.
E se noi non la facciamo parlare (al nostro corpo, alla nostra psiche), la nostra anima si limiterà a scambiare cenni di assenso, di riconoscimento alle altre anime prigioniere che incontra, come due navi che si incrociano nel cuore della notte, e che non possono fare altro che illuminarsi debolmente per qualche fuggevole minuto.
Fabrizio Falconi
in testa: 'Telone' di Justin Bradshaw,  acquarello, acrilico su zinco, 20X15 cm.

24/04/09

La crisi, il denaro, la ricchezza, i cristiani e... Gesù.


Devo dire che mi ha fatto molto piacere sentire dalla bocca del cardinale Angelo Scola, patriarca di Venezia, a margine di un incontro con la stampa, a Mestre, queste parole, quando un intervistatore gli ha chiesto di commentare l'attuale sconvolgente crisi economica:


"Come invita il messaggio cristiano, bisogna avere sempre una coscienza chiara, capace, anche quando e' il caso e in forma misurata, dI denunciare le contraddizioni di cio' che non va. Adesso e' molto importante, realmente, nel senso nobile del termine, che le regole del mondo della finanza vengano riscritte, come mi pare si sta tentando di fare. E mi sembra che il criterio di fondo per riscrivere queste regole sia quello di non dimenticare, come si e' dimenticato, che il valore numero uno, anche nell'intrapresa finanziaria, ha da essere la persona e la persona in relazione a cui bisogna subordinare il resto".

Mi dispiace soltanto che parole di questo tono si siano sentite raramente - anche in ambito di gerarchie cattoliche - negli anni in cui tutto è stato sacrificato alla logica del profitto e del mercato, in occidente, con i risultati che tutti ormai abbiamo sotto gli occhi. Eppure, per un cristiano non dovrebbe essere difficile, anche soltanto aprendo i Vangeli, sapere che senso abbia la ricchezza materiale, di beni e di denaro, su questa Terra. Come sappiamo, Gesù è l’antitesi di Satana: alla bramosia dei beni materiali e del potere sulla natura e sull’uomo, Gesù sceglie come valore supremo “l’essere”. Gesù compie questa scelta nel deserto, dove non ci sono comodità né ricchezze, ma solo le cose strettamente necessarie alla sopravvivenza.


Di qui la sua scelta a una vita povera, itinerante e senza sicurezze, tanto da definirsi come “uno che non ha dove posare il capo” (Lc 9,58).Egli vive per primo e in pienezza quanto insegnerà: “... che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” (Lc 9,25). Il suo distacco dalle ricchezze è totale, radicale. Egli “cerca innanzitutto il regno di Dio e la sua giustizia” e “liberamente” sceglie una vita che gli permette di appartenere totalmente alla sua missione e di testimoniare tutta la sua fiducia nel Padre.


Egli guarda gli uccelli del cielo e i gigli del campo: sa di valere più di loro, per questo “cerca prima il regno e la sua giustizia”, sicuro che il Padre non gli lascerà mancare il necessario; si affiderà in continuità al Padre; egli non porta con sé né borsa né bisaccia e si accontenta di quello che gli danno (vedi Lc 10,3.8).


Accanto a lui, uniti alla sua missione, ci sono sempre persone (discepoli e discepole) che lo seguono e che lo assistono con i loro beni (8,3). E quando spezza il pane rende grazie, riconosce che tutto è dono del Padre che lo sostenta nel suo cammino. Gesù sa, che solo nel vivere distaccato da ogni bene materiale, può godere di quella libertà che gli permette di vivere in pienezza la sua missione: “annunciare il regno di Dio” (Lc 4,43); essere con gli altri e per gli altri, cioè “servo”.


Sarebbe bello - anche se ahimè appare oggi ancora del tutto utopistico - immaginare una economia fatta dagli uomini non per acuire e consolidare i propri privilegi, ma costruita per essere 'serva' degli altri e per gli altri.


( ringrazio per il contributo dato a questa meditazione il portale http://www.donbosco-torino.it )