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12/05/17

La Palla di Cannone nella Fontana al Pincio - Le stranezze e la grandezza di Cristina di Svezia a Roma.



Il trofeo del Teatro Apollo sul Lungotevere, oggi scomparso, il primo teatro pubblico di Roma, il genio stravagante di Cristina di Svezia e la palla di cannone nel muro. 


Percorrendo il Lungotevere Tor di Nona che propone uno degli scorci panoramici più suggestivi sulla città, ci si imbatte ancora oggi, seminascosta dalle fronde degli antichi platani, nell’antico trofeo che ricorda l’esistenza di un celebre Teatro oggi scomparso.
Sulla iscrizione marmorea, sormontata da due maschere e da una lira e sovrastante un antico marmoreo che fungeva da vasca d’acqua, si legge:

Il Teatro Apollo / sulle pietre dell'antica Torre Orsina / a fasti e glorie d'arte musicale / aprì le dorate scene / e dove foscheggiò Torre di Nona / libera si diffuse la melodia d'Itala / del "Trovatore" il XIX gennaio MDCCCLIX / di "Un ballo in maschera" il VII febbraio MDCCCLIII / Qui dove sul teatro demolito / passa l'antica strada romana / il genio di Giuseppe Verdi / affida l'eterna melodia canora / all'aria al sole al cuore umano / a ricordanza della torre / del teatro del genio creatore / il Comune di Roma pose / Anno Domini MCMXXV.



L’eleganza di questa iscrizione dunque racconta già molto della importanza di quello che fu uno dei più prestigiosi teatri di Roma, vero tempio della lirica, con il palco per i reali che fu appositamente realizzato dopo l’unità d’Italia. 

Quello che però l’iscrizione non dice è che il Teatro Apollo fu in effetti il primo teatro aperto al pubblico a Roma, che sorse nel 1670 per iniziativa di una delle menti più brillanti ospitate dalla città eterna nella sua lunga storia: la regina Cristina di Svezia, che instaurò durante la sua vita, con Roma un sodalizio lungo e fecondo.

Cristina, che era rimasta orfana a sei anni, divenne regina assumendo la pienezza dei poteri all’età di ventiquattro, trasformando rapidamente la corte di Stoccolma in una sorta di Atene del Nord. Cristina infatti, anticonformista ed eccentrica, appassionata (si ricordano storie d’amore con un cugino e con una dama di corte) e colta, si sentiva attratta da ogni branca del sapere, da ogni materia di conoscenza, scientifica, teologica, letteraria.  Ma la vera svolta per lei arrivò con la conversione al cattolicesimo, a ventotto anni.  Da lì, la scelta di abdicare, e di trasferirsi in incognito in diversi paesi europei, per conoscere luoghi e costumi che le sono estranei, ma la  affascinano: prima i Paesi Bassi, poi la Francia e infine l’Italia e Roma, che la accoglie come una vera regina. 


Papa Alessandro VII le tributa un ingresso solenne davanti alla popolazione festante attraverso la Porta di Piazza del Popolo (sulla cui sommità una grande iscrizione ancora ricorda l’avvenimento), poi la riceve in Vaticano dove Cristina arriva, il 23 dicembre del 1654 a bordo di una meravigliosa lettiga disegnata appositamente per lei da GianLorenzo Bernini, per ricevere i sacramenti direttamente dalle mani del Papa nella Basilica di San Pietro.

La sovrana a Roma si stabilisce prima a Palazzo Farnese, poi direttamente al Bosco Parrasio, ai piedi del Gianicolo, dove crea quella fantastica Accademia dell’Arcadia che secondo le intenzioni della nobildonna doveva diventare la corte delle menti più illuminate di Roma e d’Europa

Cristina, che destava interesse morboso nelle cronache dell’epoca anche per i suoi modi disinvolti e per i suoi amori veri o presunti, ogni venerdì si predisponeva ad ascoltare ciò che avevano da raccontare i geni dell’arte, dell’architettura, ma anche della teologia, dell’alchimia, riguardo alle loro conoscenze e scoperte, in un cenacolo esclusivo, al quale era invitato a partecipare anche ogni ospite illustre che si trovasse in visita alla Città Eterna.

Le stranezze riferite a Cristina sono molte e anche divertenti: una di queste afferma che fu lei a far sparare quella palla di cannone che ancora oggi si trova, ben visibile, al centro della fontana di fronte all’Accademia di Francia, allo scopo di tirare giù dal letto il Cardinale Carlo de’ Medici che abitava nella villa di famiglia, al Pincio, il quale aveva promesso alla sovrana di portarla in quel giorno a caccia.

La palla sparata dai cannoni di Cristina, incastonata nella fontana di fronte all'Accademia di Francia a Villa Medici al Pincio 

Un bel modo di risvegliare un amico, si direbbe. Del resto di amici e di ammiratori Cristina ne aveva molti, compreso il cardinale Decio Azzolini, mecenate di artisti e letterati e così intimo della sovrana che il Papa gli vietò espressamente le visite. 

Nel 1667 Cristina fece ritorno per l’ultima volta in Svezia e in quell’anno morì anche Alessandro VII, con il quale i rapporti erano stati sempre tempestosi. 

La sovrana ricevette mentre era in viaggio, ad Amburgo, la notizia che sul Soglio di Pietro era stato ora eletto Giulio Rospigliosi, amico intimo e frequentatore della corte romana di Cristina, con il nome di Clemente IX, e Cristina, euforica, diede una festa in suo onore nella città tedesca.

Tornata a Roma, fu accolta calorosamente dal nuovo pontefice. A quarantadue anni, Cristina si sentiva ancora piena di energia.  Decise così di occuparsi della ex prigione di Tor di Nona, un luogo squallido e dalla pessima fama, che l’illuminata sovrana decise di trasformare in un teatro, anzi, nel primo teatro aperto al pubblico di tutta Roma.

Giacomo d’Alibert, segretario di Cristina, convinse Clemente IX a concedere le mura dell’edificio, che erano di proprietà degli Orsini e nel frattempo ospitavano una locanda, per la creazione di uno spettacolare teatro al quale si poteva accedere via terra o anche direttamente dal fiume.


Il sogno di Cristina però fu ben presto avversato, con il Papa che – preoccupato anche per la presenza di donne sul palcoscenico – lo fece ben presto chiudere con la motivazione di offese alla moralità, adibendolo a granaio.
Ma Cristina non si diede per vinta. Ottenne la licenza per poter eseguire almeno i concerti dei suoi amici compositori: Stradella, Pasquini, Corelli e perfino Alessandro Scarlatti.

Negli anni successivi vedrà la morte di Papa Rospigliosi, il cui pontificato durò appena due anni e l’insediamento di Clemente X e di Innocenzo XI fino alla morte che la colse all’età di sessantadue anni, dopo una malattia contratta durante una visita in Campania

La sua scomparsa scuote la città che ormai l’aveva adottata.  Innocenzo XI, dopo i quattro giorni di camera ardente, rivestita della splendida mantella di ermellino, vuole addirittura imbalsamarne il corpo

E così sarà. Coperta di vesti di broccato e con il volto coperto da una maschera d'argento, nelle mani uno scettro e sul capo una corona (solo gli intestini vengono posti in un'urna separata), la regina viene sistemata  in tre bare, una dentro l’altra, la prima di cipresso, una di piombo e l'ultima di quercia.

La processione del funerale accompagnata dalla folla si snoda dalla chiesa di Santa Maria in Vallicella sino alla Basilica di San Pietro, dove la regina viene  sepolta, per volontà del pontefice, nelle Grotte Vaticane, privilegio concesso nella storia soltanto a tre donne.

Tomba di Cristina di Svezia nelle Grotte Vaticane



Ancora oggi in onore della defunta regina  e a ricordo della sua prodigiosa conversione, si può ammirare nella Basilica Vaticana il Monumento funebre allestito nel 1702 sotto la supervisione di Carlo Fontana: Cristina vi è ritratta in un medaglione di bronzo dorato, sostenuto da un macabro scheletro coronato, poco distante dalla celebre tomba di Alessandro VII, con l’altro grande scheletro con il capo velato e la clessidra in mano. 


tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2014. 


21/02/17

In mostra a Roma alla Galleria Corsini due meravigliosi e rari quadri di Daniele da Volterra.


Una mostra preziosa, perché rara. 

A cura di Barbara Agosti e Vittoria Romani si presentano alla Galleria Corsini l’Elia nel deserto e la Madonna con il Bambino, san Giovannino e santa Barbara di Daniele da Volterra, l’artista più vicino a Michelangelo nella sua esperienza creativa e umana, del quale si sono conservati pochissimi dipinti. 

I due quadri sono capolavori unanimemente riconosciuti e da più di un secolo appartengono all’antica collezione senese Pannocchieschi d’Elci e sono quindi scarsamente visibili. 

I dipinti furono realizzati a Roma al tempo di papa Paolo III Farnese (1534-1549) e sono il riflesso del determinante impatto che ebbero su Daniele da Volterra il Giudizio finale di Michelangelo e le sue ultime e più drammatiche opere

La mostra è anche l'occasione per visitare uno dei gioielli romani, il Palazzo Corsini alla Lungara,  situato nel rione di Trastevere, proprio di fronte alla Villa Farnesina, e edificato alla fine del XV secolo dai Riario, nipoti di Sisto IV della Rovere.

La Galleria Corsini

Nel XVII secolo il palazzo come è noto fu la residenza di Cristina di Svezia che vi fondò l'Accademia dell'Arcadia (la cui sede è attualmente poco lontano, alle pendici del Gianicolo). 

Fu Ferdinando Fuga a trasformare la piccola villa suburbana dei Riario in una vera e propria reggia, raddoppiando l'estensione della facciata e ovviando alla notevole larghezza con l'aggiunta di dieci lesene giganti, più addensate in corrispondenza dell'asse centrale.

Nel 1856 gran parte dei giardini sul Gianicolo furono uniti alla confinante Villa Doria Pamphilj, mentre nel 1883 il principe Tommaso Corsini vendette al Governo Italiano il palazzo, donando la biblioteca e la galleria ivi custodite

Il palazzo divenne quindi sede degli uffici e della biblioteca della Reale Accademia dei Lincei e della Galleria d'Arte Antica, costituita con l'occasione per accogliere le raccolte Corsini

All'interno del palazzo sono oggi collocate la Galleria Corsini (opere di Beato Angelico, Jacopo Bassano, Caravaggio, Rubens, Jusepe de Ribera ecc.) e la sede dell'Accademia dei Lincei con la relativa Biblioteca dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Corsiniana. 

Nel giardino ha sede l'Orto botanico di Roma.

DANIELE DA VOLTERRA
I DIPINTI D’ELCI
16 Febbraio 2017 - 07 Maggio 2017
Galleria Corsini
ORARI
Il lunedì; mercoledì-sabato 14.00 – 19.30
Domenica 8.30 – 19.30
La biglietteria chiude alle 19.00

25/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 4. "3.628.800, il numero del tutto" (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

4.   3.628.800

Abbiamo detto del 13.
Ma in passato c’è anche chi ha ritenuto di identificare in un solo numero perfetto l'essenza di una cosa imponderabile come la verità dello spirito.
Costui era tutt’altro che uno sprovveduto.  Parliamo infatti del grande AthanasiusKircher (1602-1680). Gesuita, esploratore, vulcanologo, decifratore di geroglifici, matematico, una delle menti più straordinarie del XVII secolo. 



Nato a Fulda, in Germania nel 1602, Kircher giunse diciannovenne - dopo un viaggio molto molto avventuroso - a Roma, e a Roma visse fino in vecchiaia, diventando consigliere ed erudito al servizio di Papi e di regnanti di casa nell'Urbe come Cristina di Svezia. 
Sempre alla ricerca di una teoria che potesse dare ragione della perfezione dell’universo – oggi i fisici moderni la chiamano Teoria del tutto - Athanasius Kircher pervenne, dopo anni di ricerca ossessiva, quasi delirante ad una Tabula Alphabetorum  Artis Nostrae, che costituisce la sua Pietra Filosofale.
Era l'invenzione di una macchina grazie alla quale ognuno, senza bisogno di studiare, solo con un po' di sforzo fisico, avrebbe avuto l'agio di comporre addirittura libri di filosofia, politica, giurisprudenza, matematica, e teologia.
In seguito, studiando l'Ars Magna di Raymond Lullo,  Kircher arrivò a comporre la sua opera più ambiziosa, che chiamò  Ars Combinatoria.   Una enciclopedia sistematica basata su una classificazione di principio di tutte le cose.
Alla base dell'Ars Combinatoria di Kircher, c'è proprio questo numero:  3.628.800 che è il prodotto di tutte le combinazioni possibili dei numeri da 1 a 10.


La spiegazione scientifica è questa:
la probabilità di ordinare alfabeticamente due lettere, ottenuta dividendo il numero delle sistemazioni ordinate (1) per quello di tutte le sistemazioni possibili (2) è ½ = 0,5 c'è cioè una probabilità su due che la combinazione tra due lettere sia quella giusta (ordinata) e allo stesso identico valore si arriva  per la probabilità che si possa avere una sistemazione non ordinata.

Se passiamo a 10 lettere, la sistemazione ordinata rimane sempre una, mentre quelle possibili divengono 3628800 e quindi la probabilità dell’ordinamento diviene 1/3628800 = 0,0000002, o - se si preferisce - 2 decimilionesimi, numero decisamente modesto.

Invece le sistemazioni disordinate sono 3628799 e quindi la probabilità di realizzare sistemazioni di lettere non ordinate alfabeticamente è 3628799/3628800 = 0,9999997,  un numero assai prossimo all’uno, un numero 4999998,5 volte più grande della possibilità della combinazione ordinata. 

E' questo, spiegava Kircher, il motivo del disordine del mondo.  Se infatti questa considerazione viene riferita ad un sistema costituito da 10 elementi, figuriamoci un sistema ordinatorio basato su molti più elementi.
Il calcolo di Kircher, che viene dalla tradizione cabalistica, influenzò non solo i contemporanei.    
Tra le carte lasciate dal poeta Stephane Mallarmè al momento della sua morte fu trovata una annotazione con il nostro numero:  3628800. 

Stephane Mallarmé


Mallarmè  era, come è noto, uno sperimentatore, ma della parola, anzi un vero alchimista, che voleva "operando delle permutazioni logico-verbali, portare alla luce le relazioni nascoste tra le cose".      
Le annotazioni fanno parte di un abbozzo per  un super libro che purtroppo Mallarmé non scrisse mai, e del quale era forse una anticipazione il celebre poemetto Un coup de dés jamais n'abolira le hasard, "un colpo di dadi non abolirà mai il caso."




Per i maniaci della matematica la tabella è questa




Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata (3/ segue)