Visualizzazione post con etichetta cuore. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cuore. Mostra tutti i post

25/06/14

L'assurdità di "metterci la faccia."





In un giorno di pioggia d'estate, di afa e di vento, qualcuno disse: "bisogna metterci la faccia." 

Rimasi a lungo a pensarci. Non avevo mai sentito una espressione più assurda di questa e più insignificante. Quasi tutti quelli che la pronunciano, riflettei più tardi, la lanciano come una specie di grido o di rivendicazione, per difendere il proprio operato. Anche quando è inqualificabile. 

"Metterci la faccia."

La faccia non si "mette".  La faccia c'è o non c'è. 

La faccia è il nostro cammino tutto insieme e non si nasconde nemmeno quando è nascosta. Perché la faccia non è quella che portiamo sulla "faccia".

Sarebbe solo un'antica tradizione e una perfida consolazione pensare che le rughe siano quelle che si portano sulla "faccia" e non dentro il cuore.  Sarebbe soltanto un inganno o un povero accampar di scuse (come fanno sempre gli umani), nascondersi dietro una "faccia". 

La "faccia" non dice nulla.  La "faccia" siamo noi che facciamo finta. E "metterci la faccia" è solo un brutto nome in più che abbiamo, per dire che facciamo finta.

La faccia è, spesso, la chioma risplendente di un albero di giugno, le cui radici sono già morte e piene di vermi. 

Immagine in testa: Magritte, no face hat. 

14/04/14

Domani - Io vivo nella possibilità. (La mia vita a quattro zampe).





Io vivo nella possibilità scriveva quasi due secoli fa Emily Dickinson. 

Ci sono due modi di vivere. 

Quello del sentirsi intero a se stesso, di calcolare la possibilità solo come opportunità, e quello del sentirsi realmente e concretamente aperto al mondo, di vivere cioè la possibilità in quanto tale. 

Possibilità è attraversamento del mondo. Con le sue paludi, le sue zone d'ombra, i suoi territori pericolosi, le sue estasi. 

Non è necessario viaggiare, non è necessario esplorare.  E' necessario aprire il cuore. 
Una operazione niente affatto semplice, niente affatto banale.

Come il piccolo Ingemar (La mia vita a quattro zampe, di Lasse Hallstrom, Golden Globe per il miglior film straniero nel 1988), rimasto orfano.  Che avrebbe ogni giustificazione per chiudere, barricare il suo cuore e non desiderare più alcuna possibilità. 

Invece Ingemar imparerà a vivere, nonostante tutto. L'istinto di vivere è più forte in lui del dolore e del lutto e della pesantezza apparentemente insostenibile della vita. 

Io vivo nella possibilità. 

E se io non fossi questo, non sarei nemmeno vivo. 



19/02/13

Innamoramento come prova della trascendenza.




Si cercano tanto nella vita, si cercano sempre prove della trascendenza della natura umana, della sua non spiegabilità solo basata su fattori biologici.

Una di queste prove ce l'abbiamo sotto mano tutti i giorni, ed è la nostra capacità di innamorarci.

Come scrive James Hillman ne Il codice dell'Anima, la mappa amorosa può spiegare le cose visibili, come i fianchi morbidi, le automobili e i cammelli, ma l'amore si innamora anche di qualcos'altro che è invisibile. 

Diciamo: "Lui/lei ha un non so che"; "Il mondo intero cambia quando c'è lui/lei". Come pare abbia detto Flaubert: "Lei era il punto di luce sul quale convergeva la totalità delle cose."

Questo sulla mappa non c'è. Qui ci troviamo nel territorio della trascendenza, dove le realtà normali sono meno convincenti delle cose invisibili. Se mai volessimo la prova lampante dell'esistenza del daimon che chiama (cioè dell'anima), basta che ci innamoriamo una volta.

Nessun gene, nessun liquido organico riuscirà mai a spiegarci perché ci innamoriamo proprio di quella persona, e non di una delle altre migliaia che incontriamo durante la vita.

Il filosofo spagnolo Ortega y Gasset dice che gli innamoramenti sono rari, se pensiamo a come è lunga la vita. L'innamoramento è un evento raro e fortuito, che colpisce a profondità incredibile.

Quando accade, accade esclusivamente per la singolarità della persona: quella persona, e non un'altra.

L'occhio dell'innamorato è capace di vedere una realtà che vede soltanto lui, e che soltanto lui riconosce come qualità invisibile dell'oggetto amato.

Servono altre prove, altre parole per rendere evidente che nell'uomo agiscono forze a lui ignote, non spiegabili e non riducibili soltanto ai meccanismi della biologia e della materia ?

Eppure oggi ci diverte molto questo gioco macabro che vuole rendere l'uomo equivalente a un pezzo di legno, o a qualsiasi altra cosa del creato.