Visualizzazione post con etichetta dag hammarskjold. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta dag hammarskjold. Mostra tutti i post

03/03/18

Dieci foto, le Dieci Grandi Anime di cui si parla in "Cercare Dio" di Fabrizio Falconi.

Ecco dieci ritratti delle dieci Grandi Anime di cui si parla in Cercare Dio, di Fabrizio Falconi, appena uscito da Castelvecchi Editore, in tutte le librerie. 

Etty Hillesum (1914-1943)

Jiddu Krishnamurti (1895-1986)

Ingmar Bergman (1918-2007)

Frère Roger Schutz (1915-2005)

Dag Hammarskjöld (1905 – 1961)

Antonia Pozzi (1912-1938)

Andrej Tarkovskij (1932-1986)


Raimon Panikkar (1918-2010)


Clive Staples Lewis (1898 – 1963)


Pavel Florenskij (1882-1937)


30/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (5./)



Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (5)


Le ultime pagine del 1961, prima della morte, sono straordinarie.
      Il giorno del giovedì santo (30 marzo), Hammarskjold davvero profeticamente, scrive:
    
     La morte si avvicina
     Tutta la volontà di un uomo Quantum Satis ?
     Egli è Deus Caritatis.
 
     Ragionavo per intendere questo,
     ma era troppo complicato per me:
    finché non sono entrato nel santuario di Dio. (14)

     Le prime tre righe di questo scritto sono tratte dal dramma di Ibsen, Brand.  E davvero l’invocazione del  pastore ibseniano che grida a Dio, devono apparire ad Hammarskjold, in quei giorni di terribile solitudine, un pre-sentimento fortissimo.   Poche settimane dopo, il 21 maggio, il giorno di Pentecoste, scrive quel brano di diario destinato a diventare un piccolo classico della spiritualità, brano nel quale, in poche righe, in scarne parole, è contenuto il significato di una vita intera e di una ricerca. Una traccia di cammino,  testamento esemplare da consegnare ai posteri:
   
      Io non so chi - o che cosa - abbia posto la domanda. Non so quando essa sia stata posta. Non so neppure se le ho dato una risposta. Ma una volta ho risposto sì a qualcuno - o a qualcosa. Da quel momento è nata la certezza che l'esistenza ha un senso e che perciò, sottomettendosi, la mia vita ha uno scopo. Da quel momento ho saputo cosa significhi non guardare dietro a sé, non preoccuparsi del giorno seguente. Guidato attraverso il labirinto della vita dal filo d'Arianna della risposta, ho raggiunto un tempo e un luogo, in cui venni a sapere che il cammino porta a un trionfo, e che il crollo a cui esso conduce è il trionfo; venni a sapere che il premio per l'impegno nella vita è l'oltraggio, e che l'umiliazione più profonda costituisce l'esaltazione massima che all'uomo sia possibile. Da allora la parola coraggio ha perduto il suo senso, in quanto nulla poteva venirmi tolto. Proseguendo il cammino imparai, passo dopo passo, parola per parola, che dietro a ogni detto dell’eroe dei Vangeli, vi è un essere umano e l’esperienza di un uomo.  Anche dietro la preghiera che il calice gli fosse allontanato e dietro la promessa di vuotarlo.  Anche dietro ogni parola sulla croce.  (15)

      La consapevolezza che nulla può essere tolto.  Una pienezza nuova e sconosciuta e finalmente raggiunta. Nella umanità divina, nella sottomissione del Figlio, nel compimento di un , egli trova la risposta tanto agognata.  La domanda è stata posta nel modo giusto, la risposta è arrivata prima di comprendere pienamente la domanda, sulla base di una fiducia totale, di una sottomissione senza pretese, nella certezza di essere nel giusto.  Il 2 agosto del 1961, 40 giorni prima dell’incidente scrive:

Onnipotente…
Perdona
il mio dubbio,
la mia ira,
il mio orgoglio.
Piegami
con la tua grazia.
Innalzami
con il tuo rigore.

     Nel Getsemani personale di Hammarskjold l’ora è giunta.    E’ un nuovo paese,  scrive nell’ultima pagina del suo diario, il 24 agosto, in una realtà diversa da quella del giorno ? Oppure ho vissuto io lì, prima del giorno ? …. Eppure è lo stesso paese. E comincio a riconoscere la mappa e i punti cardinali. 
     I contorni del nuovo paese  sono forse quelli di una nuova Gerusalemme.  O almeno così piace immaginare, quando si giunge al termine della lettura delle fitte pagine di Markings, il Diario di Hammarskjold.   Il sacrificio, come tutto lasciava presagire, si compì.
     Riguardo la sua morte oggi sappiamo che si trattò, con ogni probabilità di un omicidio, voluto dalla compagnia franco-belga Unione Miniere,  una eliminazione motivata dall'opposizione dell'allora segretario generale dell'Onu alla secessione di una regione, goloso obiettivo di una delle società minerarie più potenti del pianeta. Scrive Luciano Canfora: “E ora, dopo quarant’anni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l’Unione Miniere condannò a morte (per "incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale dellOnu, colpevole di opporsi alla secessione del Katanga, preda avita dellUnione Miniere”.  (16)
       Quel viaggio doveva servire al Segretario Generale per raggiungere il villaggio di Ndola, al confine tra Katanga e Rhodesia del Nord ed incontrare i secessionisti, convincerli a intavolare subito una trattativa di pace. 
       All’aeroporto di Leopoldville, prima di salire sulla scaletta dell’aereo, per l’ultimo volo fatale, Hammarskjold aveva confidato all’amico Sture Linner di aver appena intrapreso una propria personale traduzione dell’opera capitale di Martin Buber, l’Io e il Tu.
       Per l’uomo che aveva fatto della sua vita – al prezzo di una personale solitudine e di una devozione estrema - un inno alle possibilità della relazione, di ogni relazione, umana e divina, davvero non poteva esserci un testo programmaticamente più scelto di questo.

       “Lo scopo della relazione”  scrive Buber in una delle pagine più intense di quel libro, “è la sua stessa essenza, ovvero il contatto con il Tu; poiché attraverso il contatto ogni Tu coglie un  alito del Tu, cioè della vita eterna.” (17)     (5-FINE) 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata

14. Op. cit. pag. 224 
15. Op.cit. pag.225 
16. Luciano Canfora, “Critica della retorica democratica”, Laterza, 2002. 
17. Martin Buber, Io e Tu, in Principio Dialogico, Comunità Milano, 1958, pag. 57.

29/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (4./)



Dieci grandi anime. 1. Dag Hammarskjold (4)


Il coraggio non manca, dunque, a quest’uomo che sembra davvero aver posto un obiettivo ambizioso, davanti a sé: quello della santità, dell’avvicinarsi quantomeno alla santità, nella certezza di aver fatto tutto quel che si poteva, di aver dato tutto quel che si aveva.
      Un coraggio che da solo, servirebbe comunque a poco. E’ soltanto nell’accettazione, nel piegarsi ad una volontà superiore, e semmai proprio nello sforzo continuo di identificare questa volontà – cosa vuoi tu da me ? – che il cammino può proseguire, e giungere fino al termine.  In questo, il percorso di Hammarskjold ricorda da vicino quello di un altro gigante del Novecento, Dietrich Bonhoeffer.  Scrive nel suo quaderno Dag:

     Dinnanzi a te, padre
        In rettitudine e umiltà
     Con te, fratello,
        In fedeltà e coraggio !
     In te, spirito
        In quiete.

   Tuo, perché la volontà è il mio destino,
votato perché il mio destino è di essere usato e
consumato secondo la tua volontà.  (11)

    Rettitudine, umiltà, fedeltà, coraggio, quiete.  Parole semplici che nella teodicea di Hammarskjold rappresentano le strade convergenti per uniformarsi alla volontà di Dio. La fede, in fondo, appare soltanto che questo:  lo scomponimento delle proprie aspettative egoistiche, lo scioglimento di se stessi, delle proprie velleità individuali, in un disegno più grande, in un servizio più grande.
    
La fede è l’unione di Dio con l’anima, scrive Hammarskjold citando San Giovanni della Croce, La fede è: dunque, non può essere afferrata, né tantomeno identificata con formule usate per parafrasare ciò che è.      …. In una notte oscura. La notte della fede tanto oscura che non si può cercare nemmeno la fede.  E’ nella notte del Getsemani che l’unione si compie, quando gli amici dormono, gli altri tramano la rovina e Dio tace.
     Essere guidati da quel che vive quando “noi” più non viviamo come parti in causa o “saccenti”. Saper ascoltare e vedere ciò che dentro di noi è nel buio. E nel silenzio. (12)
     
      Negli ultimi tre anni, dal 1958 alla fine, il linguaggio nei Diari di Hammarskjold si fa sempre più rarefatto, sempre più diluito, quasi in obbedienza a questa legge del silenzio che sembra avvicinarlo sempre di più a Dio.  Aforismi e considerazioni, riflessioni e meditazioni sul proprio mestiere, sugli incontri e le circostanze, lasciano il posto ormai a veri e propri piccoli componimenti poetici, fatti di rapide terzine, di versi brevi tagliati, densi di immagini delicate e forti, di impressioni e combattuti sentimenti difficili da esprimere,  di considerazioni che appaiono davvero ultime, in cui si avverte spesso il peso di un destino:

Il cammino degli altri
ha soste
al sole
dove si incontrano.
Ma questo è  il tuo cammino,
ed è proprio ora,
ora, che non puoi tradire. (13)
      
      Ma davvero questo cammino particolare è anche un duro privilegio. Mi desti forse questa solitudine senza scampo affinché più facilmente io potessi darti tutto ? Scrive nel giorno del suo cinquantatreesimo compleanno. 

      Il Tu a cui si rivolge in modo sempre più accurato negli ultimi tempi della sua vita Hammarskjold, non è più così silenzioso. Una risposta arriva, è una risposta confermativa, ma – è la scoperta più radicale – una risposta che dipende molto (anzi, che dipende tutto) dalla domanda.    (-segue 4./).

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata


11. Op.cit. pag. 141
12. Op. cit. pag. 114 
13. Op. cit. pag.233

26/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (2./)




1. (Dieci grandi anime) - Dag Hammarskjold (2) 


Quel che appare certo è che in un certo senso Dag Hammarskjold aveva un destino già scritto, se è vero che egli era l’ultimo dei quattro figli maschi di Hjalmar Hammarskjold, eminente politico del dopoguerra svedese, che fu anche primo ministro e membro dell’Accademia Reale di Svezia.   Quando Dag, alla sua morte,  è chiamato a prenderne il posto, alla fine del 1953, pronuncia un celebre discorso in memoria del padre. E ricordando il se stesso diciannovenne che seguiva dalla tribuna la cerimonia di insediamento del padre, dice: le parole che lui pronunciò riassumevano, per me, una vita di fede nella giustizia e di servizio compiuto nella negazione di sé, sotto una responsabilità che ci unisce tutti.
       Negazione di sé, sottomissione, darsi agli altri, sono le parole d’ordine che risuonano quasi in ogni pagina del Diario di Hammarskjold.  Sembrano coniugare la personale teodicea di quest’uomo che pronuncia la parola ‘fede’ con molta esitazione, e che con la stessa prudenza e attenzione si rivolge a Dio.
       Eppure, Hammarskjold, soltanto a scorrere il suo Diario, appare un assiduo frequentatore delle Scritture.   Quasi ogni pensiero è scandito di echi, magari anche lontani, anche non espliciti, all’Antico e al Nuovo Testamento.
        E quando i soccorsi raggiungono in Africa il luogo dell’incidente aereo,  in quel giorno d’estate del 1961, scoprono, non lontano al cadavere di Hammarskjold, la copia tascabile del De Imitatione Christi di Tommaso da Kempis, uno dei testi più popolari della spiritualità cristiana. La stessa copia che Hammarskjold teneva abitualmente sul comodino del suo appartamento di New York,  che portava sempre con sé e che era accompagnata da un segnalibro molto particolare: una cartolina su un lato del quale era battuto a macchina il giuramento formulato nella cerimonia di insediamento come Segretario Generale delle Nazioni Unite.
        Un uomo di fede, dunque, si direbbe senza alcun dubbio.
        Eppure, scorrendo le brevi frasi, le rapide illuminazioni contenute nelle pagine dei Diari, si scoprono gli angoli di un negoziato con Dio vissuto al prezzo di dubbi, lacerazioni del cuore, paure, incerti scaturiti da notti insonni, o da pause meditative durante le quali il compito di operatore di pace tra popoli e genti che non volevano saperne di ragionare, dialogare, smettere di guerreggiare, doveva apparirgli improbo, disperato.
        Chi ama vuole la perfezione dell’amato, scrive la vigilia di Natale del 1955,  la quale esige l’essere liberi persino da chi ama.   Dio vuole la nostra indipendenza e in essa noi “ricadiamo” in Dio, quando smettiamo di cercarla da soli.
       Ma questa libertà, questa indipendenza che Dio lascia all’uomo è forse anche pericolosa.  Hammarskjold la avverte come un campo aperto, dove è molto facile perdersi, ancora di più per un uomo come lui esposto a tentazioni umane molto tangibili e suadenti: il potere, l’autoaffermazione, il riconoscimento degli altri, il narcisismo, l’interesse personale.
      Il cristiano Hammarskjold procede allora su un altro piano,  che è quello della totale sottomissione ai disegni di Dio, una sottomissione che viene avvertita anche nei toni di un destino personale, forse pre-sentito.  E’ infatti curioso constatare come riecheggino per tutto il diario presentimenti di una possibile fine imminente, di un annientamento. Basti pensare che ogni nuovo anno del taccuino personale, si apre con la stessa frase: “e presto verrà la notte”…
      La condizione umana è quella, per come viene sperimentata da Hammarskjold, di un viaggio senza ritorno, di un cammino che una volta intrapreso ha un solo possibile epilogo, quello del sacrificio e del grande salto nell’Oltre.   Tornare indietro non è possibile. Vi è un punto in cui tutto diviene semplice, in cui non c’è più alternativa, poiché tutto quello che hai puntato è perso se ti guardi indietro. Il punto di non ritorno, proprio della vita. (3)

      Il cammino della vita procede su coordinate fisse, soltanto in parte decise ab origine. E una di queste coordinate, quella zenitale, è la responsabilità personale.  Responsabilità personale che consiste, in primis, nel non deludere le aspettative.  Nell’essere all’altezza.  Dag ha fatto propria una massima di Joseph Conrad che ripete spesso: Vivere secondo le aspettative dei propri amici. (-segue 2./). 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata


3. Op. cit. pag. 83.

25/09/13

Dieci grandi anime - 1. Dag Hammarskjold (1./)





1. (Dieci grandi anime) - Dag Hammarskjold (1) 

Chiedo l’assurdo:  che la vita abbia un senso.
    Così scriveva nel 1952, nel suo diario intimo, Dag Hammarskjold.  La sua vita breve volgeva già al termine. Altri nove anni, poi in una notte  di settembre del 1961 – tra il 17 e il 18 – l’aereo che lo trasporta per una nuova missione di pace per risolvere la drammatica crisi congolese, nel cuore della martoriata Africa, e che è partito nella serata da Leopoldville, si schianta a Ndola, nello Zambia.
     Hammarskjold muore, la notizia fa il giro del mondo.  E’ morto un operatore di pace, un grande uomo.  Un uomo, che come disse John Steinbeck, faceva tutto per passione.
     E come è immancabile quando a morire è un uomo politico, specie se questo uomo è un grande diplomatico, anzi, un Segretario Generale delle Nazioni Unite, le “notizie sulla morte” sono imprecise, sospette, lacunose, piene di oscurità: è stato un attentato ?  Quasi certamente, ma non si saprà mai con precisione. Gli uffici istruttori nell’ex Africa coloniale, nei primi anni ’60 sono tutt’altro che preparati per una evenienza del genere.
Poco importa: l’oscurità della morte di Hammarskjold diventa, in poco tempo luce.  Due fatti, principalmente. Appena due mesi dopo la morte l’Accademia di Svezia concede all’unanimità il Premio Nobel per la Pace alla memoria del grand’uomo svedese.  Quasi contemporaneamente, nell’appartamento abitato a New York da Hammarskjold, vengono ritrovate alcune carte, tra cui un diario minutamente e ordinatamente segnato, con brevi riflessioni riportate anno dopo anno, dal 1925 al 1961.   Insieme al diario c’è una lettera, indirizzata ad un caro amico, Leif Belfrage.       Hammarskjold gli ricorda che qualche volta ha accennato a questo diario, gli scrive che vorrebbe che sia lui ad occuparsene, in vista di una possibile pubblicazione.  
      Se trovi che valga la pena di pubblicare le mie note, scrive nella lettera, ti autorizzo a farlo, come una specie di “libro bianco”, sul mio negoziato con me stesso… e con Dio.
     La parola ‘negoziato’ per un diplomatico, non può essere un caso.
     Cosa intendeva Hammarskjold con “negoziato” ?  Perché sentì l’esigenza di intavolare questa trattativa con Dio ?  Chi era, in definitiva, questo uomo che le fotografie d’epoca ci mostrano distinto ed elegante, gli occhi azzurri, l’onda dei capelli biondastri sull’alta fronte, lo sguardo luminoso e buono ? Cosa sappiamo di lui ?
     Gli archivi del Palazzo di Vetro dell’ONU dispongono di montagne di documentazione sul lavoro e sulla frenetica attività diplomatica del terzo segretario dell’ONU (1). Ma certamente per chi oggi voglia conoscere qualcosa dell’uomo Hammarskjold assai più significative di quelle cataste di documenti, appaiono essere le poco più di duecento pagine del ‘Diario’ intimo, tradotto in tutto il mondo con diversi titoli (2).       (-segue 1./). 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata


1.      Dag Hammarskjold (1905-1961) fu il terzo Segretario Generale delle Nazioni Unite – che furono fondate il 24 ottobre 1945 -  dopo il britannico Sir Gladwyn Jebb (1945-46) e il norvegese Tryvge Lie (1946-1952).       2.     In Italia i diari di Hammarskjold sono pubblicati con il titolo Tracce di cammino da Qiqajon – Comunità di Bose, 1992, a cura di Guido Dotti. A questa edizione si è fatto riferimento per le citazioni riportate nel testo.