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15/03/18

"I due più importanti incontri della mia vita: con Krishnamurti e con Albert Einstein". Una bellissima intervista a proposito del grande fisico David Bohm.

David Bohm con Krishnamurti

Pubblico questa bellissima intervista realizzata da Simeon Alev allo scrittore e fisico David F. Peat - che oggi vive in Italia, in Toscana - per la rivista digitale Innernet.

David Peat è stato per molti anni amico intimo e biografo di uno dei più grandi fisici del Novecento, David Bohm. 

In questa bellissima e lunga intervista, Peat racconta l'amicizia di Bohm con Krishnamurti, la loro lunga proficua collaborazione, i loro dialoghi, e l'altra con Albert Einstein. Si parla di fisica, del senso della nostra vita biologica nell'Universo, della Teoria dei Quanti, della meccanica quantistica, delle teorie unificanti e di molto altro.  Buona lettura. 

La vita di molti scienziati fu influenzata dal grande insegnante spirituale J. Krishnamurti, ma nessuno di loro ebbe un rapporto intimo e duraturo con lui come lo ebbe David Bohm.
Bohm e Krishnamurti si incontrarono la prima volta nel 1961 e la loro amicizia si protrasse fino alla morte di Krishnamurti, nel 1986 (anche se nel 1984 entrò in crisi).
Bohm iniziò la carriera come pupillo di J. Robert Oppenheimer, il direttore del Manhattan Project, il progetto finalizzato alla realizzazione della bomba atomica, durante la seconda guerra mondiale. All’epoca del suo primo incontro con Krishnamurti, Bohm si era già guadagnato una grande e discussa fama come uno dei più brillanti fisici teoretici della nostra era. Egli aveva sviluppato la teoria del plasma – il quarto stato conosciuto della materia, dopo quello solido, liquido e gassoso – e la sua analisi del comportamento plasmatico degli elettroni nei metalli aveva posto le fondamenta per gran parte della fisica degli stati solidi.
Bohm, inoltre, esercitò un ruolo centrale nel dibattito sulla teoria dei quanti (ancora in corso ai giorni nostri), e fu l’autore di molte, provocatorie “interpretazioni” del quanto. Durante gli anni del suo insegnamento a Princeton, divenne amico di Albert Einstein, il quale, dopo aver trascorso vari anni cercando, senza successo, un’alternativa alla versione generalmente accettata della meccanica quantica, sembra aver indicato in Bohm il suo “successore intellettuale”, affermando: «Se qualcuno potrà riuscirci, questi è Bohm».

Il giovane Bohm con Albert Einstein
Ma David Bohm forse è più conosciuto, specialmente tra chi non è scienziato, per una teoria che è allo stesso tempo il frutto di una ricerca spirituale lunga una vita e il risultato di una profonda intuizione scientifica. Si tratta della teoria dell’ordine sottinteso, fondata su una visione globale, totale, nella quale la materia e la coscienza sono unite.
Bohm sembra essere stato ossessionato, sin da piccolo, dall’idea secondo cui viviamo in un universo nel quale la materia e il significato sono inseparabili; si dice che la parola “totalità”, da egli impiegata nel primo incontro con Krishnamurti per descrivere il suo lavoro scientifico, fece balzare quest’ultimo dalla sedia per dare un abbraccio a Bohm.
Leggendo Wholeness and the Implicate Order di David Bohm (in italiano Universo, mente, materia, RED edizioni), ho avuto spesso dei sentimenti simili. L’ampiezza e l’integrità della sua visione è efficacemente riflessa nella sua esposizione, che è allo stesso tempo lucida, ampia, precisa e profondamente, misteriosamente toccante. Leggendo Bohm, si rimane molto spesso sbalorditi dalla sua abilità nel connettere fenomeni di ordine radicalmente diverso, oltre che dalla sua passione per scoprire l’interrelazione e la coesione dinamica di un mondo generalmente considerato una forma di caos meccanizzato nel quale gli esseri umani sono destinati a svolgere una piccola parte.
Una volta abbandonata la vantaggiosa posizione di isolamento e distacco, l’essere umano si scopre profondamente inserito in un universo indivisibile che è allo stesso tempo reale ed eternamente misterioso; un unico evento multidimensionale senza inizio o fine.
Per molti colleghi di Bohm, comunque, la sua insistenza sul fatto che l’universo fosse da un lato intrinsecamente ordinato, dall’altro impossibile da comprendere appieno, era irritante piuttosto che fonte di ispirazione. Rievocando una frustrante intervista con Bohm nel libro The End of Science: Facing the Limits of Knowledge in the Twilight of the Scientific Age (La fine della scienza: a tu per tu con i limiti della conoscenza nel crepuscolo dell’Era Scientifica), lo scrittore di scienza John Horgan scrive: “Bohm anelava a conoscere, a scoprire il segreto di ogni cosa, sia attraverso la fisica… sia attraverso la conoscenza mistica. Tuttavia, insisteva sul fatto che la realtà era inconoscibile, perché, credo, provava repulsione verso l’idea della finalità”.
La premessa da cui parte Horgan, non insolita al giorno d’oggi, è che nel giro di venti anni la scienza avrà risposto a tutte le domande più importanti dell’uomo. Ma quello che Bohm riesce a comunicare in modo piuttosto chiaro durante quella intervista, è la sua concezione secondo cui le risposte finali non sono poi così importanti quanto il cercare di conoscere il mondo nel quale viviamo senza idee o conclusioni fisse. Fu caratteristico di Bohm insistere sul fatto che le idee fisse che sottintendono le ipotesi scientifiche non sono di aiuto, ma di ostacolo, e che una metodologia che unisca il rigore all’apertura mentale è la migliore per restare al passo della verità, man mano che essa si rivela nel corso dell’indagine scientifica.
Ma Bohm trovava ugualmente inadeguata la flessibilità senza il rigore, così comune nella vita spirituale. In un’intervista rilasciata per la rivista ReVision nel 1981, egli disse: “Dal momento in cui il mistico sceglie di parlare della sua esperienza… deve seguire le regole che governano il mondo ordinario, il che significa che deve essere ragionevole, logico e chiaro”.
E questo Bohm non lo chiedeva solo ai mistici, ma soprattutto ai fisici quantici contemporanei, molti dei quali, alla luce delle paradossali scoperte sul regno subatomico, si erano sentiti dispensati dalla necessità di offrire spiegazioni concrete o avevano sviluppato teorie e persino cosmologie più mistificanti delle visioni di uomini religiosi o spirituali. Ironicamente, fu proprio la richiesta di Bohm di spiegazioni puramente fisiche dei fenomeni quantici che lo portò a essere evitato da molti suoi colleghi.
Tuttavia, coloro che approvavano questo invito nutrivano per Bohm una grande fedeltà. Uno di questi è lo scrittore e fisico F. David Peat, che da giovane ascoltò catturato le spiegazioni di Bohm sulla meccanica quantica alla radio “BBS”, senza sapere che diversi anni più tardi avrebbe incontrato il suo eroe, apparentemente per caso, che sarebbero diventati amici e colleghi, che avrebbero scritto un libro insieme (Science, Order and Creativity), e che lui stesso avrebbe scritto alla fine la biografia di Bohm, Infinite Potential: The Life and Times of David Bohm.
Autore di molti libri, Peat è un uomo dai molteplici interessi, che l’hanno portato a girare tutto il mondo: tra questi la fisica moderna, le arti visive, la psicologia junghiana e la spiritualità dei nativi americani. La nostra intervista è stata condotta telefonicamente da Pari, il paese vicino a Siena dove egli vive attualmente. E’ stato un piacere parlare di David Bohm con qualcuno che lo conobbe intimamente e i cui ricordi sono ancora vivi nella sua memoria. Come si intuisce dalla nostra conversazione, il pensiero di Peat è stato influenzato, sotto molti aspetti, da Bohm.
Infinite Potential è un ritratto completo e imparziale. La maggior parte del lavoro di Bohm è una straordinaria fonte di ispirazione, frutto di una grande integrità, ma Peat ha ben presenti anche i difetti del suo amico. “Bohm visse per il trascendente”, scrive Peat, “sognava una luce universale… Ma la sua vita fu caratterizzata da una grande sofferenza e da periodi di grave depressione. Durante la sua vita, non raggiunse mai la completezza; tutto ciò che conquistò, e di cui ancora avvertiamo i benefici, fu raggiunto solo al prezzo di grandi sacrifici”.
Simeon Alev: Perché pensa che fosse importante scrivere una biografia di David Bohm, in questo momento?
David Peat: Penso che sia un libro utile perché aiuta a mettere la vita di Dave in prospettiva e perché riunisce tutta la sua opera, cosa che non è mai stata fatta prima. Dave aveva fatto cenno al proposito di scrivere un’autobiografia – da solo o con l’aiuto di qualcuno – e dopo la sua morte, nel 1992, ne parlai con le persone che gli erano state più vicini. Tutti eravamo preoccupati dal fatto che un’altra persona avrebbe potuto improvvisare una biografia, per cui decidemmo che forse avremmo dovuto farne una noi, e subito.
Vede, sembra che il lavoro di Dave abbia molti aspetti diversi: in esso troviamo, per esempio, le ricerche giovanili sul plasma, la teoria delle variabili nascoste, l’ordine sottinteso e la ricerca di nuovi ordini nella fisica; inoltre, la collaborazione con Krishnamurti e le ricerche sulla coscienza e sul significato del soma. Ma quando si considera la sua vita come un tutto, ci si accorge che questi sono aspetti dello stesso modo di vedere l’universo, e quindi non sono diversi. Ho pensato che sarebbe stata una buona cosa che la gente sapesse ciò, particolarmente coloro che, nel mondo della fisica, hanno cominciato a selezionare le idee di Dave, scegliendone alcune piuttosto di altre. Ho pensato che sarebbe stato utile presentarle tutte insieme, in modo che le persone possano rendersi conto del loro livello di integrazione, cosa che non comprendono del tutto nemmeno coloro che conobbero abbastanza bene Bohm.
Simeon Alev: La sua vita e il suo lavoro furono un tutt’uno coerente.
David Peat: Sì, mi sembra che ogni cosa sia legata al resto; semplicemente, non puoi estrarne una parte.
Simeon Alev: Dunque, sembra che la vita e il lavoro di Bohm contengano un messaggio globale per l’umanità?
David Peat: Beh, in un certo senso il messaggio è questa stessa visione dell’interezza… Che naturalmente non è nuova; è contenuta in molte altre filosofie e se ne parla da tempo. Ma credo che ogni volta che qualcuno ne parla, la rinnova o la reinventa, riportandola in vita per il tempo presente. E io penso che David lo abbia fatto per la nostra epoca. Egli, inoltre, evidenziò il fatto che la scienza si era scissa sia all’interno di se stessa sia dalle tematiche spirituali e dalla riflessione sulla coscienza e il sé. E nella biografia è possibile vedere come queste idee si esprimessero attraverso la sua lotta. La sua vita fu allo stesso tempo l’intuizione di qualcosa di trascendente e una lotta per raggiungere questa condizione di integrità. E oggi il suo lavoro appare sempre più rilevante.

19/01/14

Dieci grandi anime. 5. Jiddu Krishnamurti (3./)




Dieci grandi anime. 5. Jiddu  Krishnamurti (3./)

Iniziò così quella seconda, lunga fase nella vita del maestro, che lo portò a viaggiare per il mondo fino all`età di novant`anni, e a diventare un punto di riferimento per scrittori come Aldous Huxley, scienziati come David Bohm, o migliaia di persone comuni appartenente a paesi e razze diverse, così attratti dalla figura e dalle parole di un pensatore davvero fuori dal comune e da ogni schema.
      Una seconda fase nella quale Krishnamurti portò avanti con coerenza, fino all’ultimo, ciò che pensava della vita: il rifiuto di ogni ideologia, di ogni autorità spirituale o psicologica – comprendendo anche se stesso  in questo contesto – la liberazione dalla paura – dalla paura della morte in primis -  dai condizionamenti del pensiero, dall’autorità, dalla sottomissione ai vincoli imposti.
     Il cammino spirituale di Krishnamurti è fatto, prima di tutto, di consapevolezza. E’ solo la consapevolezza che rende liberi nel cammino verso la Verità.  Ma nessuna consapevolezza è possibile dentro al frastuono del mondo, nessuna consapevolezza è possibile se non ci si libera dei legacci e delle false illusioni del pensiero.
      La comprensione, scrive nel suo primo libro, pubblicato nel 1953, Education and the Significance of Life,  viene solo attraverso l’autoconoscenza, che è la consapevolezza del proprio intero processo psicologico.  L’istruzione è nella comprensione di sé, poiché è in ciascuno di noi che è raccolta la totalità dell’esistenza.
      E nell’Uomo alla svolta, aggiunge: la libertà è essenziale per l’amore; non la libertà della rivolta, non la libertà di fare quel che ci pare e piace, neanche l’indugiare segretamente o apertamente nelle proprie bramosie, ma piuttosto la libertà derivante dalla comprensione dell’intera struttura della natura e del centro. Allora la libertà è amore. (5)
      E’ grazie ad affermazioni come queste, fatte nel corso di lunghe conferenze, fatte senza nessun foglio scritto, seduto su di una semplice sedia, con il suo tono di voce avvolgente, la pronuncia lenta, gli occhi spesso socchiusi, che Krishnamurti diventò, poco a poco, celebre.  Riconosciuto, ammirato, inseguito anche – inevitabilmente – dal mondo della celebrità e dello spettacolo. 
      Quando l’amica italiana Vanda Scaravelli -  era figlia di Alberto Passigli, aristocratico proprietario terriero, e personaggio molto in vista nella società fiorentina e moglie del marchese Luigi Scaravelli, professore di filosofia all’Università di Roma – lo portò in Italia, registi cinematografici (Fellini, Pontecorvo), scrittori (Moravia, Carlo Levi), musicisti (Segovia, Casals) fecero a gara per incontrarlo.  Ma Krishnamurti non cambiò mai il suo semplice sistema di vita, apparentemente completamente alieno dai bisogni e dai desideri umani.   Continuò a passare gran parte delle sue giornate in meditazione, o studiando o scrivendo, o incontrando persone che volevano conoscerlo.   Continuò, allo stesso modo, quel doloroso processo, che a tratti si impadroniva di lui e lo portava in uno stato di estasi e di distacco dal mondo, del  quale la stessa Scaravelli (6) fu più volte testimone, e che così descrive nei suoi appunti:
       Dopo colazione stavamo conversando. In casa non c’era nessuno. Tutt’a un tratto K. svenne. Ciò che accadde a questo punto non si può descrivere, poiché non ci sono parole per darne minimamente un’idea: ma è anche qualcosa di troppo serio, troppo straordinario, troppo importante per essere lasciato nel buio, sepolto nel silenzio o tralasciato. Nel viso di K. ci fu una trasformazione.  I suoi occhi divennero più grandi, vasti e profondi, ed ebbero uno sguardo sovrumano, che andava al di là di ogni spazio possibile. Fu come se ci fosse una presenza, un potere appartenente ad un’altra dimensione. C’era una inspiegabile sensazione di vuoto e di pienezza al tempo stesso. (7)

       I contorni di questo ‘dove’, di questa ‘altra dimensione’ furono lasciati dallo stesso Krishnamurti sempre incerti. Non accettò mai di rispondere in modo preciso a ciò che avveniva durante quegli stati di coscienza che duravano anche giorni interi.  Ma sempre, nei suoi discorsi, emerse chiaramente che si sentiva ‘abitato’ o ‘protetto’ da una volontà e da un verità superiore.   Anche se ‘Dio’ è una parola che Krishnamurti  usò con incredibile parsimonia, proprio perché considerava quello che gli uomini descrivono come ‘Dio’ una ulteriore prigione mentale, un pre-giudizio, uno schema di cui liberarsi, se si vuole arrivare davvero al centro autentico della verità. 

(3./segue) 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

      
5.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. pag. 144.
6.     Vanda Scaravelli, scomparsa nel 1999 è stata a sua volta insegnante di Yoga e di meditazione profonda, fino all’età di 80 anni, con all’attivo numerosi saggi.
7.     M. Lutyens, La vita e la morte… op. cit. 128.