Visualizzazione post con etichetta degas. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta degas. Mostra tutti i post

21/09/15

"L'Assenzio" di Edgar Degas. Il quadro della condizione umana.



L'absinthe o Dans un café fu dipinto da Edgar Degas tra il 1875 e 1876.

Anche il  Café de la Nouvelle Athènes, dove la scena è ambientata, ha una lunga storia: si trovava a Place Pigalle ed era un famoso ritrovo degli impressionisti. Il Café prendeva il nome da un quartiere di Parigi di fine Ottocento.  Nel corso degli anni il caffè cambio nome più volte: negli anni quaranta, divenuto un locale di spogliarelliste, venne chiamato Sphynx divenne il luogo di incontro dei militari nazisti prima e statunitensi poi. Più recentemente, tra gli anni ottanta e gli anni novanta, fu chiamato New Moon. Il caffè fu poi chiuso definitivamente nel 2004 ed il palazzo che lo ospitava, completamente ristrutturato. 

La terrazza del Café offriva ai pittori impressionisti un luogo ideale da cui ritrarre i loro modelli. 

Degas ne sceglie due particolari: l'attrice Ellen Andrée e il pittore Marcellin Desboutin, un aristocratico caduto in disgrazia divenuto un vagabondo pieno di orgoglio e dignità e pittore senza troppa fortuna.  

L'uomo ha il gomito sul tavolo, la pipa in bocca e guarda fuori dal locale.   La donna, come ipnotizzata davanti ad un bicchiere di assenzio - bevanda poi definitivamente abolita, definita la droga dei poveri - con lo sguardo perso nel vuoto. 

I due sono vicini, ma non hanno nulla in comune. Sembrano ciascuno dei due prigionieri del proprio mondo, delle proprie fantasie, della propria visione del mondo

L'isolamento popola questa tela, la abita.

Lo sguardo di Ellen è la diagonale che attraversa il quadro, e fuoriesce da esso verso un altrove sconosciuto.  Il bicchiere sembra non ancora sfiorato.  Il liquido verdognolo lo riempie fin quasi all'orlo. Ma la caraffa è vuota. E forse, anzi, certamente, quello non è il primo bicchiere. 

Desboutin ha gli occhi rossi e il suo aspetto arruffato - il cappello inclinato - testimonia il dissidio aperto con il mondo. 

I giornali sono avvolti nelle stecche, in primo piano.  Nessuno li vuol leggere, non servono. La scena si svolge ben oltre l'attualità, l'ordinarietà della vita.   Soltanto la firma di Degas si può leggere sopra. 

Ellen e Marcellin sono incompleti. 

Aspettano qualcosa che forse - o quasi certamente -  non arriverà mai. Aspettano. 

Edgar Degas, L'absinthe, olio su tela, 92 x 68 cm, lascito del conte Isaac de Comondo, 1911, Musée d'Orsay, Parigi. 

Fabrizio Falconi









31/01/14

'L'impero delle Luci' di Magritte in una straordinaria mostra a Venezia.





Luce e oscurità a dare forma a una delle opere più note di René Magritte, 'L'impero della luci'; rapporti di assenza e presenza, di chiari e scuri, che dal quadro dell'artista belga, vero perno centrale, si dipanano tra avanguardie storiche, con un tuffo nel tardo Impressionismo, fino al contemporaneo del teschi 'umani' di Piotr Uklanski o Philippe Halsman, omaggio quest'ultimo a Salvator Dalì. 

Il gioco di assonanze e contrasti, lungo un percorso di 74 opere, tra cui un filmato dedicato a Jackson Pollock, è il filo conduttore della mostra curata da Luca Massimo Barbero al Collezione Peggy Guggenheim, a Venezia, aperta dal primo febbraio al 14 aprile. 

Una rassegna, giunta alla quarta edizione, che prende il titolo da una serie di lavori di Fausto Melotti, 'Temi & Variazioni'. Appare cosi' naturale che la sezione conclusiva della mostra, abituale omaggio del museo americano all'arte italiana, sia dedicata stavolta a un nucleo di una ventina di opere allo scultore che ha fatto della leggerezza di opere fatte di pure linee una delle sue cifre piu' famose. 

L'omaggio a Melotti si concentra sul periodo finale del suo percorso artistico, tra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso, quando da vita a una sorta di 'antiscultura', quasi ad anticipare l'Arte Povera. 

Una serie di lavoro che il curatore ha voluto a conclusione della rassegna centrata sulla luce proprio "come possibile dematerializzazione della forma plastica in pura luminosità, racchiusa da un essenziale disegno nello spazio". 

L'intero tragitto espositivo, però, e' ricco di sorprese, con le opere della Collezione Peggy Guggenheim che dialogano con lavoro provenienti da collezioni private, come un Degas o un Matisse. 

Ma, tra variazioni tematiche e cronologiche attorno al soggetto della luce, a tessere un dialogo muto ci sono anche Rothko, Fontana, De Kooning, e poi Jasper Johns o Donald Judd chiamati ad aprire le porte al contemporaneo, con maestri quali Richter, Hockney, Kapoor o Kiki Smith. 

E così 'L'impero delle luci' magrittiano trova il suo contraltare finale nella silhouette dell'albero nero di Nate Lowman.