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17/03/21

Libro del Giorno: "Il silenzio" di Erling Kagge

 


Mi sembra che la nostra epoca sia, più di ogni altra cosa, l'epoca della interruzione. Tutte le nostre vite sono diventate frammentate, continuamente interrotte. Mentre siamo impegnati a fare qualcosa, siamo costantemente distratti e interrotti dalle notifiche dello smartphone, di ogni tipo, dalle telefonate, dai messaggi, dalle mail della posta elettronica, dall'aggiornamento del pc, dalle chat in continua proliferazione.  

Parlare di silenzio nella nostra epoca è dunque quanto mai opportuno e in un certo senso coraggioso.

In media, secondo uno studio, perdiamo la concentrazione ogni otto secondi: la distrazione è ormai uno stile di vita, l’intrattenimento perpetuo un’abitudine

E quando incontriamo il silenzio, lo viviamo come un’anomalia; invece di apprezzarlo, ci sentiamo a disagio. 

Erling Kagge, al contrario, del silenzio ha fatto una scelta

Grazie alla sua passione di viaggiatore estremo, nei mesi trascorsi nell’Artide, al Polo Sud o in cima all’Everest, ha imparato a fare propri gli spazi e i ritmi della natura, e a immergersi in un silenzio interiore, oltre che esteriore: un immenso tesoro e una fonte di rigenerazione che tutti possediamo a cui è però difficile attingere, immersi come siamo dal frastuono della vita quotidiana

Ma che cos’è il silenzio? Dove lo si trova? E perché oggi è piú importante che mai? 

Queste sono le tre domande che Kagge si pone, e trentatre sono le possibili risposte che offre. 

Trentatre riflessioni scaturite da esperienze, incontri e letture diverse, e tutte animate da un’unica certezza: che il silenzio sia la chiave per comprendere piú a fondo la vita.

Cercare il silenzio. Non per voltare le spalle al mondo, ma per osservarlo e capirlo. Perché il silenzio non è un vuoto inquietante ma l'ascolto dei suoni interiori che abbiamo sopito.


Il silenzio. Uno spazio dell'anima 

03/05/16

"L'ultima famiglia felice" di Simone Giorgi (RECENSIONE).



Con questo romanzo d'esordio, Simone Giorgi, romano, classe 1981, ha avuto una menzione speciale al Premio Calvino 2014. 

Pubblicato da Stile Libero Einaudi, L'ultima famiglia felice (bel titolo), racconta pochi giorni (poche ore) di vita di una famiglia normalissima: il padre è il mite Matteo, un uomo alto e grosso che ha deciso di fare della bonomia e della tolleranza ad extremis il suo stile di vita.  E' anzi convinto che questo sia il collante necessario per mandare avanti una famiglia;   la madre è la nervosa Anna, donna in carriera, con una sua piccola agenzia pubblicitaria, e dentro un rapporto adulterino con il collega  (e sottoposto) Eugenio; i figli sono Eleonora e Stefano, i due classici adolescenti, la prima alle prese con i primi turbamenti sentimentali, pressata da uno sbruffoncello di scuola però innamorato, che si chiama Lorenzo, e Stefano, il ribelle, quello che ha attaccato un cartello sulla sua camera in cui scrive che l'ingresso è vietato al padre, e che lo manda a fare in culo regolarmente. 

Con questo povero o poverissimo materiale, quello di una famiglia assolutamente nella norma, Simone Giorgi imbastisce un romanzo di 240 pagine nel quale prova a smontare l'assunto tolstojano secondo cui le famiglie felici si somigliano tutte, mentre quelle infelici sono tutte infelici in modo diverso. 

Ma la famiglia di Matteo è felice o infelice ? Lo è - come molte famiglie - solo apparentemente: solo grazie a quella che Bergman chiamava l'arte di nascondere la polvere sotto il tappeto

E' su questo che si basa il sottile equilibrio che permette alla famiglia di restare apparentemente unita fino alla deflagrazione finale (ultime 2 pagine del racconto). 

Il centro della narrazione è ovviamente Matteo e il suo paradosso vivente: quello di non avere reazioni, di lasciar fare tutto, di mandare giù tutto, di sopportare ogni sorta di tradimento, di preoccuparsi degli altri, di fare per gli altri, di evitare ogni possibile scontro come prospettiva di unità e di felicità. Naturalmente Matteo è destinato a fallire.  E il romanzo è la costruzione minuta di questo fallimento che arriva fino al suo culmine. 

I personaggi - a parte Matteo che è lavorato meglio a tutto tondo, con un lungo monologo interiore - sono piuttosto stereotipati, il linguaggio letterario è (volutamente?) scarno. Lo stile, in levare.  Una vera sfida, insomma, anche per il lettore. 

Una certa tensione comunque monta lentamente dentro la narrazione, e la catarsi finale - fin troppo attesa - non è banale e riscatta l'attesa.

Il romanzo italiano oggi pare incastrato (o incarcerato) in queste minuti spostamenti emotivi che hanno ancora (o sempre?) al centro la famiglia, l'istituzione di cui è stato celebrato da molto tempo il funerale, ma alla quale non è stata ancora concessa o profilata alcun tipo di successione.

Fabrizio Falconi

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