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15/02/19

Einstein e Dio.






Io non sono ateo e non penso di potermi definire panteista. Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue.

Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti.

Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia.

Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. 

La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio.

Albert Einstein

03/01/19

"La Teoria del Tutto" una bellissima intervista di Laura Traldi al cosmologo Roberto Trotta. "Perché esistiamo?" è la domanda più difficile.

Senza Einstein, non avremmo il GPS. E niente WiFi, se Stephen Hawking non avesse scoperto i buchi neri. «La ricerca spaziale rivoluziona la vita di tutti i giorni», dice il cosmologo Roberto Trotta che abbiamo incontrato al Web Summit di Lisbona. «Ma potrà anche un giorno dare una risposta alla Grande Domanda: perché esistiamo?»

Roberto Trotta è diventato famoso un libro (The Edge of the Sky, Basic Books).che racconta come funziona l’universo usando le mille parole più comuni della lingua inglese, e ha un personaggio che sembra uscito da Harry Potter (The-All-There-Is, cioè “il-tutto-intorno-a-noi”). E, proprio grazie alla chiarezza del volumetto, la rivista americana Foreign Policy ha inserito il 41enne cosmologo teoretico ticinese, che insegna all’Imperial College di Londra, tra i cento Global Thinkers che cambieranno il mondo.
Eppure mentre parliamo con Roberto Trotta al Web Summit di Lisbona (di materia oscura, multiverso, monete che cadono misteriosamente tutte con la faccia all’insù) ogni tanto perdiamo il filo. Che vergogna. Putroppo le lezioni di fisica sono, per chi scrive, non un ricordo da rinfrescare. ma un incubo da dimenticare. «No, no, la colpa è mia», dice lui. Clemente.

Come mai è così difficile per gli scienziati spiegare quello che sanno?

«Perché devono considerare irrilevante il dettaglio. Che è l’opposto di quello che devono fare quando lavorano. Per essere comprensibili bisogna fornire uno sguardo a volo d’uccello e poi riportarlo a terra, chiarendo perché quello che sembra lontano e irrilevante non lo è».

Mi illumini, la prego. Mi sono sempre chiesta che senso avesse calcolare la differenza di età tra un gemello nello spazio e l’altro sulla terra.

«Il senso è capire che il tempo non è assoluto e il suo scorrere dipende dal sistema di riferimento con cui lo si misura. È una teoria – quella della relatività di Albert Einstein – che lei sfrutta ogni giorno senza saperlo. Stamattina, per esempio, ha probabilmente usato il navigatore satellitare per venire al nostro appuntamento. Senza Einstein sarebbe arrivata a 10 km di distanza. Perché il tempo, dove volano i satelliti, scorre in modo diverso rispetto a qui. E gli smartphone usano un algoritmo basato sulla teoria della relatività di Einstein per tenere conto dello scarto. Per questo ci portano a destinazione».

Senza Einstein niente GPS, dunque?

«Esattamente. Anche se Einstein non si sarebbe mai immaginato un’applicazione del genere. La storia della scienza è piena di scoperte all’aspetto puramente teoriche ma che poi portano – decenni più tardi – a innovazioni che rivoluzionano la vita di tutti i giorni».

Mi faccia un altro esempio.

«Non potremmo usare il wi-fi se Stephen Hawking non avesse predetto, nel 1974, che i buchi neri evaporano nel tempo». Roberto Trotta

Che c’entra il wi-fi con i buchi neri?

«Negli anni ’90 John O’Sullivan, un ingegnere australiano, ha sviluppato un algoritmo che eliminava le interferenze radio.mentre cercava un modo per “ripulire” i dati dei telescopi usati per individuare il segnale predetto da Hawking sulle esplosioni dei buchi neri. Senza questo algoritmo, non potremmo usare il wi-fi. E senza disturbare Hawking, anch’io, nel mio piccolo, sto applicando l’astrostatistica a problemi più terra-terra».

In che modo?

«Con la startup Utonomy, uso metodi che ho inventato per l’analisi di potenti esplosioni stellari (le Supernove) per predire le fluttuazioni nella richiesta di gas metano. Per chi lo distribuisce, adattare l’erogazione significa ridurre la pressione sulle tubature.e di conseguenza le fughe, che costano 200 miliardi l’anno nella sola Inghilterra. Senza contare l’effetto serra. Uso anche i metodi statistici che scoprono eventi anomali nell’universo per analizzare i dati sulle carte di credito. Così è possibile individuare le transazioni sospette». Roberto Trotta

Ci ha convinti. Ma perché è così importante per gli scienziati coinvolgere un pubblico allargato?

«Perché la ricerca spaziale è spesso accusata di irrilevanza. Soprattutto quando ci sono tematiche pressanti e complesse, come il Climate Change o la perdita di ecosistemi, che finalmente sono diventate di pubblico dominio. Perché dovremmo spendere risorse ed energie sullo spazio? Perché i giovani matematici dovrebbero perdere tempo con l’astrofisica, quando possono diventare ricchi usando la statistica nella finanza? La risposta a queste domande la devono dare gli scienziati. E una di quelle possibili è spiegare, come abbiamo fatto ora, che questa ricerca si è sempre rivelata fondamentale per migliorare la vita sulla terra».

Se questa è una delle risposte possibili, quali sono le altre?

«Quelle meno pragmatiche ma più affascinanti. Chi studia l’universo lo fa perché comprenderne la natura ci farà capire qual è il nostro posto nel cosmo. Ed è grazie a queste ricerche che un giorno, ne sono certo, capiremo perché siamo qui».

Quindi saremo in grado di spiegare il senso della vita?

«Fondamentalmente sì. In quanto fisici, la domanda che ci poniamo come punto di partenza è: com’è possibile che le leggi dell’universo siano tali da permettere l’evoluzione di entità biologiche come la nostra?».

E la risposta?

«Quella che sta prendendo sempre più piede, ora che siamo in grado di analizzare un numero enorme di dati che vengono dall’universo, è probabilistica. E detta anche del multiverso. Cioè che l’universo non sia unico ma una collezione di sfere, sotto-universi che funzionano ognuno secondo leggi differenti. E che questi siano così tanti da fare sì che, in base al calcolo delle probabilità, uno presenti esattamente le leggi fisiche che servono per la vita». Roberto Trotta

L’universo sarebbe cioè uno dei mille possibili ma anche l’unico in grado di farci vivere?

«Se dice mille per indicare un numero molto più grande, sì. Ma per farle capire di che cosa stiamo parlando le chiedo di immaginare di entrare in una stanza e trovare 400 monete su un tavolo, tutte con la “testa” in su. Penserebbe mai che siano state lanciate a caso? Ovviamente no. Le probabilità sarebbero infinitesimeMa le stesse che ha il nostro universo di avere parametri fisici come quelli che possiede. Viviamo quindi in un universo molto improbabile. E per spiegarlo abbiamo due vie. O poniamo che qualcuno – Dio – abbia messo tutte le monete a faccia in su sul tavolo seguendo un design precostituito. Oppure accettiamo l’alternativa probabilistica: un numero di stanze così enorme, che in ognuna di queste le monete siano state gettate in aria. Prima o poi ne troverai una con le 400 monete tutte rivolte nella stessa direzione».

A questo punto mi gira la testa.

«È normalissimo. Perché è stato calcolato che il multiverso contenga 10 alla 500 sfere. Cioè un numero di sfere pari a 10 seguito da 500 zeri, un numero inimmaginabile. Ma è quello che ci serve per poter garantire che almeno uno abbia le condizioni giuste per la vita».
Questo articolo è stato pubblicato su D la Repubblica il 22 dicembre 2018

19/11/16

"L'universo senza parole" di Dana Mackenzie (Recensione).



Una riprova della propensione divulgativa degli studiosi anglosassoni è questa fornita da Dana Mackenzie che dopo la laurea in matematica alla Princeton University è stato a lungo professore, per poi dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. 

Collaborando con importanti riviste di divulgazione-scientifica come Science, Discover e New Scientist, Dana Mackenzie ha sviluppato questo talento fino al tentativo quasi disperato rappresentato da questo volume: quello di spiegare la fortuna e la storia della matematica in 24 fondamentali equazioni che hanno cambiato la nostra percezione del mondo e la storia dell'umanità. 

Edito per la prima volta negli Stati Uniti nel 2012, L’universo senza parole è stato tradotto in varie lingue ed è divenuto in Francia un vero e proprio caso editoriale. 

Una sfida quasi disperata perché se la maggior parte dei libri di divulgazione sulla scienza, persino sulla matematica, evita le equazioni come se fossero qualcosa da risparmiare ai delicati occhi dei lettori, Dana Mackenzie fa esattamente il contrario concentrandosi proprio sulla magia della matematica che si riassume nella sintesi elegante e geniale delle equazioni.

Si snodano dunque, nel rapido succedersi dei 24 capitoli, altrettanto celebri formule, dalla più elementare di tutte: 1+1=2, attraverso la scoperta del Pigreco,  delle equazioni di Archimede, Pitagora, Galileo, Poincaré e Dirac fino alla più sofisticata (la formula di Black-Scholes sui derivati finanziari); dalla più famosa (E = mc2) alla più arcana (l'equazione dei quaternioni di Hamilton).

In questo lungo passaggio millenario il libro di Dana Mackenzie mette in evidenza come la funzione della matematica si sia radicalmente trasformata: dalla funzione di spiegare la realtà cioè di interpretare e rendere ragione della esistenza dei fenomeni del mondo: dalle figure geometriche al movimento dei pianeti, alla funzione di immaginarla e prevederla: il mondo della matematica infatti oggi è in grado, con le sue presunte astrazioni, di immaginare quello che la fisica scoprirà solo in un secondo momento, con le prove empiriche, come è successo ad esempio di recente, con il Bosone di Higgs, previsto da studi matematici con venti anni d'anticipo prima che l'acceleratore di particelle del CERN di Ginevra ne dimostrasse l'effettiva esistenza. 

L'esperimento di Mackenzie però funziona soltanto a metà. Il libro non è per niente chiaro e originale nelle illustrazioni scelte e nella esposizione dei diversi capitoli e la parte strettamente matematica - con lo sviluppo delle singole equazioni -  è molto tecnico e arduo per chi non abbia una preparazione specifica.

Resta così oscuro molto di quanto viene raccontato nei capitoli - specie gli ultimi che descrivono una matematica sempre più sofisticata  complessa e astratta -  anche se è godibile il quadro d'insieme che spinge a riflettere sulla perfezione misteriosa e matematica del nostro universo.

Dana Mackenzie
L'universo senza parole
Rizzoli 2016 Pagine: 224


Fabrizio Falconi


17/02/16

Einstein aveva ragione. Domani, Giovedì 18 una bellissima conferenza all'Auditorium Parco della Musica.



In occasione dell’annuncio dei risultati di ricerca che hanno scoperto l’esistenza delle onde gravitazionali da parte delle collaborazioni internazionali LIGO/Virgo alla quale l’Italia partecipa con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’INFN e la Fondazione Musica per Roma organizzano la conferenza pubblica “Einstein aveva ragione” . Di che cosa parliamo quando parliamo di onde gravitazionali: il racconto di una scoperta. 

La serata, moderata dal giornalista scientifico Marco Cattaneo, ruoterà intorno al dialogo con i protagonisti della ricerca e la proiezione di animazioni e filmati

Le inedite e scenografiche animazioni sulle onde gravitazionali e i filmati sui grandi interferometri Virgo, in Italia, e LIGO, negli Stati Uniti, consentiranno al pubblico di visualizzare lo straordinario potenziale della neo-nata astronomia gravitazionale e l’altissimo livello tecnologico dei nuovi strumenti per l’esplorazione del cosmo profondo. 

Durante il dialogo con gli scienziati sarà dato spazio alle straordinarie prospettive di scoperta che saranno possibili nel prossimo futuro

I recenti risultati aprono infatti una nuova finestra sull’universo, consentendoci di indagare a fondo sulla sua struttura, sulla sua origine e la sua evoluzione

Le onde gravitazionali 
Previste 100 anni fa da Einstein nell’ambito della teoria della Relatività Generale, le onde gravitazionali sono debolissime fluttuazioni del campo gravitazionale dovute a eventi cataclismatici come la fusione di buchi neri, l’esplosione di stelle al termine della loro vita o la rotazione vorticosa di sistemi binari

Gli strumenti 
Gli interferometri utilizzati per la loro rivelazione, Virgo e LIGO, sono giganteschi strumenti a forma di L le cui braccia hanno lunghezze di 3-4 km e sono percorse da fasci laser ultra-sensibili. Sviluppati dalle collaborazioni europea Virgo (coordinata dall’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e dal francese CNRS) e dall’americana LIGO, si trovano l’uno nella campagna di Cascina, vicino a Pisa, l’altro negli Stati Uniti.

Insieme, costituiscono l’unico network mondiale di interferometri avanzati per la ricerca delle onde gravitazionali. 

ANTEPRIMA FESTIVAL DELLE SCIENZE 
“Relatività” (20-22 maggio 2016) 
ROMA, AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA,
SALA PETRASSI GIOVEDI 18 FEBBRAIO, ORE 21 “Einstein aveva ragione” 
Di che cosa parliamo quando parliamo di onde gravitazionali: il racconto di una scoperta 

Intervengono 
Viviana Fafone – INFN e Università di Roma Tor Vergata, collaborazione Virgo Antonio Masiero – INFN e Università di Padova, vicepresidente INFN Fulvio Ricci – INFN e La Sapienza Università di Roma, coordinatore Virgo

Biglietti 3 Euro. 

10/02/15

Saul Bellow: "Il mio lavoro è essere me stesso."



"Ho delle risposte e ho anche delle domande, e con questo voglio dire che ho smesso da un po' di cercare qualcosa di definitivo.  Ho l'impressione di credere in cose in cui non ho mai pensato di credere, e che agiscono che io voglia o no. Quindi non si tratta di rifletterci sopra, ma di imparare a conviverci. 


E bisogna accettare il fatto che stai cercando di convivere con le preferenze o con le decisioni segrete di cui un modo o nell'altro non sei mai riuscito a liberarti. E non te ne libererai mai. Adesso lo sai. Per esempio, ho smesso di tormentarmi riguardo alla fede in Dio. Non è una domanda vera.


La domanda vera è: "Come mi sono sentito in tutti questi anni?" e "In questi anni ho creduto in Dio?" tutto qui. Cosa ci puoi fare ? Non si tratta dunque di liberare l'intelletto dai vincoli, si tratta innanzitutto di cercare di decidere se la fede sia un vincolo e poi accettare ciò in cui si crede, perché per ora è ciò che possiamo fare." 

Allora torniamo alla scrittura, la tua immagine...

"Il mio lavoro è essere me stesso. E nell'essere me stesso divento un fenomenologo elementare, o fondamentale.   
Ed è così che faccio tornare i conti, prima di andarmene.  Mi chiedi cosa significa essere un artista. Prima di tutto vedi ciò che non hai mai visto prima; hai aperto gli occhi e c'era il mondo; il mondo era un posto molto strano; ne hai ricavato la tua versione, non quella di qualcun altro; e sei rimasto fedele alla tua versione e a quello che hai visto.  Credo che, in senso personale, sia questa la radice del mio essere scrittore. E tu sai perfettamente di cosa sto parlando."

Cosa pensi del mondo?

"Be' posso dire senza alcun problema che non credo che il mondo si sia sviluppato o evoluto in maniera casuale e non diretto da una intelligenza superiore.
Non può essere stato casuale.  Una volta ho avuto una discussione con un famoso biologo che sosteneva: " Se c'è abbastanza tempo può accadere in base a un processo casuale, e visto che sono passati miliardi e miliardi di anni, il tempo c'è stato."  Io ho risposto: "Sufficiente a spiegare l'equilibrio ormonale nel corpo di una donna incinta ? Aleatorio ? Io non credo."  Non credo che sia andata così, questo è il mio scetticismo naturale, diretto contro la scienza, non contro la religione.

Ci fu una famosa controversia, forse un litigio tra Einstein e Bohr. Bohr aveva una visione diversa - sul grande gioco della natura, sul fatto che sia casuale - ed Einstein gli disse: "Senti, io non credo. Sono d'accordo che Dio giochi, e quel gioco non lo capiamo, ma sappiamo comunque che si tratta di un gioco."

"Sì adesso me lo ricordo. Non dico che le conclusioni cui sono giunte siano quelle corrette.  Quello che dico è che è arrivato il momento di fingere che io non ci creda.  In un certo senso ci credo. Uso la conoscenza che ho accumulato in ottantacinque anni. Lo applico a queste domande e mi dico: come può tutto questo essere il risultato di miliardi di episodi casuali ? E' impossibile."



Tratto da Saul Bellow, "Prima di andarsene", Una conversazione con Norman Manea, Il Saggiatore, 2013. 




02/01/15

La meditazione e il Campo Unificato - una esperienza trascendente.



Chi sperimenta le tecniche di meditazione - in particolare quella trascendentale, formalizzata nei suoi canoni da Maharishi Manesh Yogi nella seconda metà del Novecento - sa che nella radicata tradizione vedica, vecchia di 10.000 anni si può raggiungere un contatto con il cosiddetto Atman, quel soffio vitale o energia, che la psicologia occidentale identifica con il , il nucleo più autentico dell'individuo, in contatto con il mondo inconscio archetipico. 

La scienza, la fisica moderna è al lavoro sulla identificazione del Campo unificato, sulla base di quella intuizione di Albert Einstein, che passò gli ultimi anni della sua vita alla ricerca di una teoria di unificazione dei campi (oggi chiamata variamente Teoria del tutto) in grado di tenere insieme la gravità e l'elettromagnetismo, insieme o oltre la legge della relatività generale.   

Oggi molti teorici sono convinti dell'esistenza di questo Campo unificato, per la dimostrazione del quale mancano alcuni definitivi tasselli sperimentali, una specie di campo delle possibilità (la meccanica quantistica è già realtà, si lavora alla supersummetria) dove ogni particella è sospesa tra esistenza e non esistenza, una sorta di mare quantico, misteriosa origine di ogni cosa, visibile ed invisibile. 

La possibilità di accedere (intuitivamente, ma anche concretamente) a questo campo sottostante la nostra stessa vita individuale è una possibilità che offrono le tecniche di meditazione. 

Ed è un peccato non approfittarne, anche per comprendere come sia molto labile il confine delle nostre occupazioni e pre-occupazioni quotidiane e come in fondo il nostro irrompere sulla scena del mondo sia molto.... relativo (per dirla con Einstein), ma allo stesso tempo molto collegato a una rete molto più ampia di quello che possiamo anche soltanto immaginare.

Fabrizio Falconi


16/05/12

Albert Einstein e il Mistero.




L'esperienza più bella e profonda che un uomo possa avere è il senso del mistero: è il principio sottostante alla religiosità così come a tutti i tentativi seri nell'arte e nella scienza. Chi non ha mai avuto questa esperienza mi sembra che sia, se non morto, allora almeno cieco. È sentire che dietro qualsiasi cosa che può essere sperimentata c'è qualcosa che la nostra mente non può cogliere del tutto e la cui bellezza e sublimità ci raggiunge solo indirettamente, come un debole riflesso. Questa è la religiosità, in questo senso sono religioso. 


Albert Einstein, discorso a Berlino, citato da Thomas F.Torrance nella voce 'Einstein' del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, consultabile sul sito www.disf.org e citato da Denis Brian, Einstein, A life, Wiley, New York 1996, pag.234.

21/04/12

Il relativismo contemporaneo filosofia inevitabile e virtuosa - Dario Antiseri sul "Corriere della Sera".




Vi riporto questo interessante articolo comparso ieri sul Corriere della Sera a firma Dario Antiseri, nelle pagine della cultura. 


«Non esiste un principio etico razionale che valga più di altri» «Nel campo di coloro che cercano la verità non esiste nessuna autorità umana e chiunque tenti di fare il magistrato viene travolto dalle risate degli dèi». È questo il messaggio epistemologico di Albert Einstein. 

Lo stesso di quello di Karl Popper: «Tutta la nostra conoscenza rimane fallibile, congetturale. Il vecchio ideale scientifico dell' episteme - della conoscenza assolutamente certa, dimostrabile - si è rivelato un idolo. 

L'esigenza dell'oggettività scientifica rende ineluttabile che ogni asserzione della scienza rimanga necessariamente e per sempre allo stato di tentativo. Non il possesso della conoscenza, della verità irrefutabile, fa l'uomo di scienza, ma la ricerca critica, persistente e inquieta della verità». Tutta la ricerca scientifica, in qualsiasi ambito essa venga praticata - in fisica e in economia, in biologia e in storiografia, in chimica come nella critica testuale - si risolve in tentativi di soluzione di problemi, tramite la proposta di ipotesi o teorie da sottoporre ai più severi controlli al fine di vedere se esse sono false. 

Cerchiamo, insomma, di falsificare, dimostrare false le nostre congetture per sostituirle, se ci riusciamo, con teorie migliori, vale a dire più ricche di contenuto esplicativo e previsivo. Ciò nella consapevolezza che, per motivi logici, non ci è possibile dimostrare vera, assolutamente vera, nessuna teoria: anche la teoria meglio consolidata resta sempre sotto assedio. La realtà è che evitare l'errore è un ideale meschino; se ci confrontiamo con problemi difficili è facile che sbaglieremo; conseguentemente, razionale non è un uomo che voglia avere ragione, ma è piuttosto un uomo che vuole imparare: imparare dai propri errori e da quelli altrui. 

Ancora Popper: l'errore commesso, individuato ed eliminato è il debole segnale rosso che ci permette di venir fuori dalla caverna della nostra ignoranza. Dunque, nello sviluppo della ricerca scientifica, non ogni teoria vale l'altra e, di volta in volta, accettiamo quella teoria che ha meglio resistito agli assalti della critica. Il fallibilismo, in breve, è la via aurea che, in ambito scientifico, consente di evitare sia il dogmatismo sia l'arbitrio soggettivistico. 

Ora, la storia delle vicende umane, come anche la realtà dei nostri giorni, ci mostra una Terra inzuppata di sangue versato in nome di concezioni etiche legate a differenti prospettive filosofiche e religiose. Partendo dall'esperienza, ripete Max Weber con John Stuart Mill, si giunge al politeismo dei valori. E con ciò siamo nel mezzo delle questioni connesse al relativismo etico. Certo, è falso sostenere che tutte le etiche sono uguali. «Ama il prossimo tuo come te stesso» è un principio ben diverso da quello dove si grida «occhio per occhio dente per dente», o da quello leninista per cui «la morale è in tutto e per tutto soggetta agli interessi della lotta di classe del proletariato», talché «non bisogna accarezzare la testa di nessuno: potrebbero morderti la mano. Bisogna colpirli sulla testa senza pietà». 

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fonte Corriere della Sera.

in testa una tavola di Escher,  Encounter.