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14/09/23

Ricordate "Il Danno" ? Torna, sotto la veste di una nuova miniserie, intitolata "Obsession" su Netflix


Dieci minuti dopo che è partito il pilot della miniserie "Obsession" (4 brevi puntate, visibili su Netflix), del 2023, risuona una frase che negli spettatori più accorti risulta inconfondibile: "Ho subito un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... "
Si capisce subito, allora, che - anche se il titolo è diverso - si tratta del rifacimento di un celebre film - regia del grande Louis Malle, 1992 - a sua volta tratto dal celebre e fortunatissimo romanzo di Josephine Hart, pubblicato nel 1991, che ha venduto l'incredibile cifra di 5 milioni di copie in tutto il mondo: "Il Danno".
Siamo dunque esattamente come nel romanzo, dentro la storia di uno stimato professionista, William Farrow, brillante chirurgo e rampante politico, altoborghese, felicemente sposato con due figli, che perde completamente la testa per la donna che è la fidanzata di suo figlio Jay, e che suo figlio Jay sta per sposare.
La donna, Anna Barton, ha un passato di storie familiari torbide, piuttosto misterioso: il chirurgo ne resta soggiogato già dal primissimo incontro, e nonostante il vincolo familiare, intraprende con lei una rovente storia sessuale, basata sulla sottomissione, con virate bondage e sadomaso.
C'è subito da dire che la serie - una coproduzione franco-inglese - si fa apprezzare per qualità e sviluppo (non ci sono lungaggini o ovvietà), presentando qualche differenza abbastanza sostanziale con la storia originale (e con il film di Malle). Di più, è di sicuro una delle serie televisive dal contenuto sessuale più esplicito e il legame quasi senza parole tra i due - funereo, nichilista - viene mostrato senza orpelli, un po' come ha insegnato la scuola del film di Bertolucci ("Ultimo Tango a Parigi").
Il segreto del successo della storia e del libro originario risiede probabilmente nella esplorazione del lato oscuro della sessualità, nel suo legame con la morte (il vecchio binomio eros/thanatos) e nella ineluttabilità del danno elaborato attraverso la perversione: d'altronde lo stesso Freud ammoniva che "la nevrosi si può curare, ma con la perversione non si può fare niente."
Chi è stato danneggiato, dunque, è questa la "morale" della Hart, è più forte, più attrezzato per sopravvivere (anche se nella relazione si traveste da quello più fragile) e chi è più vittima è in fondo chi si avvicina e cade nella rete del danneggiato.
E' una tesi forse rassicurante o forse no, ed è per questo che il successo arrivò copioso.
Questa serie è un buon esercizio su (quel) tema, ambientando la vicenda in una Londra gelida e piuttosto lugubre. Gli interpreti sono all'altezza, a parte Richard Armitage nei panni del protagonista, il chirurgo doppiamente fedifrago, che ha una sola espressione per tutta la serie, e rigido e pallido com'è, fa rimpiangere dalla prima scena, il sensuale e sontuoso Jeremy Irons del film di Malle.
Bravissima è invece Charlie Murphy (già vista in Happy Valley 2 e 3), che offre mille sfumature alla fatale, estrema Anna Barton (anche nelle difficili, esplicite scene di nudo).
Bravissima è anche Indira Varma nel ruolo della moglie e Rish Shah in quello dell'innocente vittima, il ragazzo Jay.
Il finale della serie è diverso sia dal libro che dal film di Malle e concede una opzione in più sia ad Anna che a William: la vita può andare avanti anche quando si è fatto il peggio che si potesse fare (e di certo è una tesi molto, molto discutibile).
Insomma, un voto positivo per un lavoro difficile che aveva il compito di misurarsi con un un libro molto famoso e con un film di un grandissimo regista (che non fu, comunque, uno dei suoi migliori).

Fabrizio Falconi - 2023

10/06/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 28. "Ecco l'impero dei sensi (Ai no korīda)" di Nagisa Oshima (1976)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 28. "Ecco l'impero dei sensi  (Ai no korīda)" di Nagisa Oshima (1976)

Un classico, scritto e diretto dal maestro Nagisa Ōshima e basato su un celebre episodio di cronaca avvenuto nel Giappone degli anni trenta, Ecco l'impero dei sensi, trovò un notevole riscontro non solo di critica ma anche di pubblico a metà degli anni '70, dovuto sicuramente anche al pruriginoso lancio pubblicitario che fu fatto per il film, definito come "trasgressivo" e tacciato perfino di pornografia.

La vicenda è ambientata nella Tokyo del 1936 e descrive il legame tra la giovane cameriera ed ex prostituta Sada Abe (nome che ovviamente richiama il marchese De Sade) e Kichizo "Kiki san" Ishida, proprietario della pensione presso cui presta servizio. 

La relazione, iniziata con l'attrazione reciproca, si trasforma in un gorgo divorante che trascina i due sempre più dentro il loro universo esclusivo e claustrofobico. I due amanti vivono alimentandosi solo di amplessi e di rapporti sempre più estremi, sacrificando ogni forma di quotidianità tradizionale e di razionalità. 

Un gioco ossessivo che si conclude tragicamente con la morte di Kiki, soffocato nell'ultima e mortale trasgressione.

Nello scandaloso finale, Abe Sada recide il membro di Kiki - d'evidente valore simbolico e affettivo - e se ne appropria, portandolo dentro di sé per tre giorni, fino all'arresto da parte della polizia.

Dopo Ultimo Tango a Parigi di Bertolucci, Ecco l'impero dei sensi porta alle estreme conseguenze le idee di Georges Bataille: la passione fisica, il piacere sessuale, il gusto della trasgressione e la morte vi sono strettamente legati, come le corde che stringono gli amanti. 

E, come scrisse Callisto Cosulich nella occasione della uscita italiana della pellicola, il film si presenta come la messa in scena dell'aforisma di Montaigne: attraverso il sesso l'appropriazione della vita fino alla morte. 

Al di là dei temi affrontati, Oshima realizzò un capolavoro assoluto grazie alla perfezione formale dell'opera: la scelta degli ambienti, che rimandano al teatro giapponese tradizionale, i movimenti della camera, il montaggio compongono l'unità narrativa e formale di un racconto che scuote e avvince. 




22/11/16

Decalogo giapponese dell'amore.





Decalogo giapponese dell'amore
(mia libera traduzione)


1. L'amore perfetto non si raggiunge mai attraverso il possesso. Il sesso perfetto non arriva mai attraverso il possesso.

2. L'amore perfetto non arriva mai attraverso uno sfogo o una frustrazione. Il sesso perfetto non viene mai per la via di uno sfogo o di una frustrazione.

3. Mai cercare l'amore perfetto per trovare il sesso perfetto.

4. Mai cercare il sesso perfetto per trovare l'amore perfetto.

5. L'amore perfetto non chiede nulla.

6. Il sesso perfetto non chiede nulla.

7. L'amore perfetto è come un fiore che si apre al mattino.

8. Il sesso perfetto è come un fiore già aperto che riceve la luce perché è aperto.

9. Il sesso perfetto è l'immobilità del torrente che trova il mare.

10. L'amore perfetto è il mare che tu sei. E dentro di te, tutto.



30/04/14

L'amore è addomesticamento (De Rougemont e la nostra smania di avere tutto).




 Edward John Poynter: Orfeo e Euridice 

Come ci ha insegnato Denis De Rougemont,  per qualche migliaio d'anni  in Occidente e anche per i padri greci e romani, la questione era molto chiara: da una parte c'era la lussuria (il soddisfacimento degli istinti) dall'altra c'era il vincolo matrimoniale (dello hieros-gamos,  ιερογαμία) necessario per l'allevamento della prole.

Poi, a partire dal XII provvidero i menestrelli provenzali con le loro Chansons e la loro invenzione dell'amore romantico, assoluto, passionale, che vince perfino la morte, a rendere le cose molto più complicate. 

Oggi l'arcano della nostra incompletezza, della nostra perenne insoddisfazione, poggia sulla pretesa ideale e idealizzata (ormai assorbita dal nostro modello antropologico interiore, occidentale) di voler tenere e avere tutto insieme (e ci manca sempre un pezzo): lussuria, vincolo, passione, romanticismo, sicurezza, contratto, tutto nello stesso tempo, nella stessa persona. Qui e ora, e per sempre (come recitano le catenine d'oro o le incisioni sugli anelli che si scambiano gli innamorati, come simboleggiano i lucchetti che riempiono le ringhiere dei ponti sui fiumi occidentali).

Ma questo complesso di cose che chiamiamo amore e che naturalmente comporta anche cose non del tutto piacevoli come esclusione, esclusività, possessività, possesso, gelosia, fatica a concretizzarsi, nella vita concreta.

Perché l'amore in fondo è qualcosa di molto più delicato e impalpabile, e assomiglia molto all'addomesticamento.

Cresciamo talmente convinti che essere non amati sia la norma (i genitori sono sempre più distratti, gli altri hanno sempre meno tempo per occuparsi di noi), che sin dalla tenerissima età sviluppiamo, come i nostri simili selvatici, molte efficaci strategie di difesa: fuga, aggressione, lotta, graffi, morsi, veleno, mimetismo, girare alla larga, fingersi morti.

Poi quando arriva qualcuno che ci ama davvero - ci vuole accogliere gratuitamente, vuole farsi carico di noi, della nostra persona e della nostra estraneità al mondo, un vero miracolo che succede soltanto una volta nella vita, in genere  - la cosa più difficile (in tanti non ci riescono mai) è convincere noi stessi che nessuno ci farà più male, nessuno ci farà soffrire.

E che possiamo non mostrare più i denti, avvicinarci e lasciarsi avvicinare.

Questo siamo, e questo dovremmo ricordarci di essere. Un animale selvatico può essere addomesticato - se lo sceglie, se lo sente, se lo vuole - ma non accetterà mai di diventare una cosa nostra.  La sua essenza selvatica, in definitiva, resterà sempre soltanto sua, e diversa da noi.

Per fortuna.

Ma la gioia sarà quella di incontrarsi ogni volta nella libera fiducia riconfermata, vera, concreta, che non è la pretesa assoluta di un idea.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

27/06/12

"Il matrimonio ucciso dal sesso." Un articolo di Keith Botsford.



Non mi capita spesso, debbo dire, di vedere Montaigne, uno degli uomini più saggi e spassionati, citati sui giornali. Eppure eccolo lì, su Le Figaro del 13 agosto: “il matrimonio è un legame religioso e devoto; perciò il piacere che ne traiamo dovrebbe essere un piacere limitato, serio, e in qualche misura anche severo. Dovrebbe essere una voluttà prudente e coscienziosa." 

Ho letto queste parole e, come era successo allo scrittore francese Pascal Bruckner che le citava, mi hanno dato da pensare. Perché questa non è certo la descrizione delle unioni del nostro tempo. Oggi il matrimonio – quando esiste, o per quanto dura – raramente è religioso e ancor più raramente è devoto e il piacere che ne deriva è la stessa gratificazione istantanea disponibile anche al di fuori del matrimonio. Vale a dire, pura libidine. Ed essendo solo quello, appassisce col tempo. 

La nostra cultura tradizionale, ci ricorda Bruckner, riconosceva la fragilità dell’erotismo. Per questo occorreva qualcos’altro per garantire la durata del matrimonio – la “prudenza e coscienziosità” di Montaigne. Noi invece abbiamo imboccato la strada opposta: siamo imprudenti e trascurati. Appena consumata una unione, passiamo a un’altra e a un’altra ancora. Di fatto la situazione è ancora peggiore di quanto ammetta Bruckner, perché il nostro eros oggigiorno cerca il suo oggetto senza nessuna considerazione per la durata o la continuità. E lo cerca in se stesso; nell’informe e nell’androgino; nei bambini; negli animali; nel senso della comunità, o in tutte quelle fantasie perverse che, a lungo sepolte nell’inconscio, sono ora venute alla luce sotto forma di pornografia, che illumina la coppia moderna o l’onanista solitario. 

Nulla è più peculiare del nostro tempo di questa continua ricerca di novità, di conoscenza di una funzione biologica, di “liberazione” da quei vincoli che hanno fatto dell’amoreggiare un atto umano anziché animalesco. Nel corso della mia vita – anzi, nella mia stessa vita – ho assistito a questa trasformazione chiamata eufemisticamente “liberazione”. 

Questa liberazione, osserveranno probabilmente gli storici del futuro, non è soltanto delle donne – non concepire (contraccezione), non far nascere (aborto) e non sposarsi (divorzio) – ma anche dei loro potenziali partner che ora, affrancati dal rischio e dalla responsabilità della relazione erotica (procreazione e/o matrimonio) possono andare a briglia sciolta con l’immaginazione. E lo fanno. 

I risultati, come li elenca Bruckner, dovrebbero far riflettere chiunque. Avendo la società rinunciato (con un libero voto !) a porre vincoli, nessuno è implicato nella relazione di due adulti. La prima conseguenza è abbastanza terribile: significa che “se l’unione fallisce, uno può biasimare solo se stesso. “ Ma in che cosa consiste questo fallimento ? 

25/06/08

"Fare sesso" - Lucetta Scaraffia.



Come proclamò il famoso mantra di Nanni Moretti anni fa, le parole sono importanti. Anche quando non ce ne accorgiamo.

Così è importante questa riflessione pubblicata ieri da Lucetta Scaraffia sul Calendario del Corriere della Sera che induce a soffermarsi su un (ormai) vieto modo di dire:

"Mai però si era sentita una espressione volgare come "fare sesso", scrive Aldo Cazzullo su Io Donna di sabato scorso, e non si può non dichiararsi d'accordo.

Dal momento che le cose sono anche il loro nome, questo modo di dire ormai universalmente diffuso (naturalmente noi italiani l'abbiamo importato dagli americani 'make sex', nota mia) - che fa il paio con l'altra definizione "sessualmente attivo" - costituisce la dimostrazione più evidente del fallimento della rivoluzione sessuale, della grande utopia che ha attraversato il Novecento e che prometteva a tutti una felicità a portata di mano.

Invece, dopo aver liberato il sesso prima dalla procreazione, poi dal matrimonio, e infine dall'amore, lo si è ridotto ad una attività ludica simile a tante altre: un po' come si dice 'fare jogging', ' fare shopping', o 'fare un week end'.

E quello che è andato perso non è soltanto l'impegno procreativo, o l'impegno amoroso: in questa dissacrante leggerezza si è forse perso il senso dell'umano, dell'incontro tra due esseri che, come bene dice un antico testo di una qualche notorietà, unendosi ' si conoscono."